Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 12 maggio 2012

Ridare rappresentanza politica agli interessi popolari. Qui ed ora

Segreteria Nazionale della Rete dei Comunisti



La tornata elettorale in Francia, Grecia e Italia (parziale in quanto amministrative e solo in alcuni comuni) costringono tutti ad una riflessione più avanzata sulle tendenze generali piuttosto che continuare a fotografare la situazione su aspetti specifici e particolari.
E’ evidente che gli effetti della gerarchizzazione a livello di Unione Europea si riverberano a cascata dal “cuore” del polo imperialista europeo verso la sua periferia con risultati molto diversi, soprattutto a causa dei processi economici che tendono a diventare rapidamente processi politici.

1. Hollande segna una discontinuità molto parziale con Sarkozy nel rispettare gli interessi strategici della borghesia francese. Su alcune cose (ritiro dall’Afghanistan, mantenimento pensione a 60 anni, diritti civili) cercherà di segnare una diversificazione da un presidente fortemente reazionario, ma sulle scelte strategiche che hanno gerarchizzato sempre più l’Unione Europea, Hollande giocherà il ruolo confacente a quello di un presidente francese, formatosi come tanti altri nelle scuole che formano la classe dirigente della Francia. Il possibile riequilibrio tra Berlino Parigi avverrà per vie interne e non con rotture clamorose che rimettono in discussione il processo di centralizzazione in corso. La classe dirigente francese, come a Berlino, ha imposto ai paesi più deboli dell’Unione Europea di privatizzare, ridurre il debito pubblico, licenziare, liquidare il welfare state, ma si guarda bene dal fare altrettanto all’interno della propria società. Il forte senso dello Stato coincide con il mantenimento di un forte apparato produttivo pubblico che centellina con cura le misure liberiste da introdurre nel paese.

2. Il processo di gerarchizzazione dei poteri decisionali nell’Unione Europea, ha prodotto invece effetti assai diversi in una situazione sociale devastata come la Grecia. Qui la fortissima polarizzazione sociale (con una crescente proletarizzazione e addirittura pauperizzazione in buona parte della società), ha prodotto una forte polarizzazione politica verso sinistra e verso destra. Ha punito i partiti moderati responsabili del disastro sociale e dell’obbedienza ai diktat della Bce,d el Fmi e dell’Ue, ed ha premiato i partiti della sinistra (Syriza soprattutto) e aperto spazi ai nazisti. E’ accaduto anche in passato e nel cuore dell’Europa, che una fortissima crisi economica e la disgregazione sociale spingesse in avanti le due opzioni politiche più estreme. I nazifascisti se ne sono avvantaggiati negli anni ’30. Sulla base dell’esperienza occorre lavorare affinché siano i comunisti e la sinistra di classe a trarne invece vantaggio nel XXI° Secolo. In tal senso diventa auspicabile una alleanza delle forze di classe greche su un programma di transizione per la Grecia che possa diventare proposta credibile anche per gli altri paesi Piigs dell’Europa (Spagna, Italia, Portogallo) e in rottura con i diktat dell’Unione Europea. Syriza ha i numeri e capacit� di movimento (anche per la presenza nella coalizione di forze come il Koe) e il Kke ha una forte organizzazione. Tenere ancora le cose separate non appare comprensibile e né politicamente ed utile a fronte delle straordinarie possibilità che si aprono in Grecia.

3. Tra Parigi e Atene si colloca l’Italia. Una situazione intermedia resa visibile anche dai risultati elettorali (per quanto parziali). E’ indubbio che la tendenza alla polarizzazione (meno forte che in Grecia) abbia visto crescere il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, ma lo ha visto crescere solo nelle zone ricche e più moderne del paese (il Nord). Ha visto il Pd “portare a casa la pelle”, perdendo voti ma perdendone meno egli altri e rimanendo l’unico partito di dimensioni nazionali, ma nel Pd – che vorrebbe provare a “buttarsi a sinistra” - si riaffaccia forte la voglia di “farsi stato” riabbracciando così un vecchio demone continuamente sollecitato e rappresentato dalle esternazioni del Presidente Napolitano. L’estrema destra e la Lega sono usciti sconfitti e dunque – diversamente dalla Grecia – non sono riusciti a raccogliere gli effetti peggiori della disgregazione sociale. Il PdL si conferma una “tigre di carta”. Le forze della sinistra “extraparlamentare” (FdS, Sel) ristagnano e sembrano continuare a guardare la finestra sul retrobottega (la fase precedente) piuttosto che quella sulla realtà per come si presenta e per dove appare muoversi.

4. La situazione sociale in Italia spinge verso la Grecia, quella politica verso la Francia. Da questo dato occorre riprendere la discussione e soprattutto l’iniziativa a scala globale. In questa divaricazione la sinistra di classe deve “cogliere l’attimo”, farlo rapidamente, procedere nella definizione del proprio spazio politico e dichiarando apertamente le proprie interlocuzioni sociali. Gli interessi popolari hanno urgenza di recuperare una propria rappresentanza indipendente sul piano politico e autonoma socialmente, in aperta rottura con le priorità indicate dal governo Monti e dall’Unione Europea. Ma questo è un passaggio che non si realizza da solo né per inerzia. Per metterlo in campo, serve un soggetto politico organizzato, con capacità  autorevole,  una attivizzazione dinamica e radicato sul piano sociale. Serve un programma minimo comprensibile, credibile a livello sociale anche se non immediatamente realistico. Da mesi stiamo lavorando e discutendo questa esigenza all’interno dell’occasione a nostro avviso più seria nello scenario italiano: il Comitato No Debito. E’ una discussione che richiede tutte le verifiche necessarie, ma è la realtà stessa, più che i soggetti coinvolti, a spingere in avanti i processi, sia quelli sul piano sociale che su quello politico.

Non vogliamo accodarci al tormentone del “se non ora, quando”, è certo però che in molti dei nostri ambiti occorra rompere gli indugi e cominciare a misurarsi concretamente con questa realtà e le possibilità che offre alla sinistra di classe e alle forze che puntano al cambiamento politico del paese e dell’Europa.

Frosinone. Amministrative 2012, ballottaggi

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA, CIRCOLO CARLO GIULIANI DI FROSINONE

Il partito delle Rifondazione Comunista di Frosinone, che con una propria lista costituita insieme con due componenti indipendenti del movimento La Colomba, ha sostenuto la candidatura a Sindaco  di Marina Kovari, insieme con le liste di Sinistra Ecologia e Libertà e Frosinone BeneComune, non può che constatare come da decenni una coalizione di sinistra autonoma rispetto al centrosinistra non riuscisse ad ottenere un risultato così importante, 949 voti.  Riteniamo che le ragioni di questo risultato siano da ricercarsi nella chiarezza della proposta politica che sin da subito si è  caratterizzata con un programma di discontinuità  con le pratiche politiche e amministrative che avevano contraddistinto la ultime giunte. Un programma  basato su proposte di completa rottura  con sessant’anni  di amministrazioni condizionate dai poteri forti della città.  In particolare il nostro partito già da un anno, quando ancora la giunta Marini era ben salda  in sella con   socialisti e Udc,  e ancora non  era investita dal terremoto giudiziario,  pur con qualche posizione dissenziente al suo interno,  aveva espresso chiaramente  la volontà di schierarsi contro  quel bipolarismo che oggi a livello nazionale appoggia unito e compatto la macelleria sociale operata dal  governo Monti,  e che  a livello locale mostra di  parlare la stessa lingua basando i programmi sui project  financing,  sulla  privatizzazione dei beni comuni, e ignorando politiche volte alla promozione dei servizi sociali , all’affermazione dell’istruzione e della cultura  e di opposizione  al patto di stabilità. Per questo motivo  siamo convinti che chi ha votato la nostra coalizione abbia fatto la scelta di premiare la  proposta di una nuova  politica contro il bipolarismo trasformatasi a Frosinone nel  pericoloso tripolarismo Marzi/Marini/Ottaviani. Da questa breve analisi ne deriva che la nostra posizione in merito al ballottaggio fra Marini e Ottaviani , anche per rispettare la volontà di chi ci ha scelto , è di assoluta continuità con i programmi e le istanze espresse prima e durante la campagna elettorale:  il Prc non si schiera né con il centrosinistra,  né con il centro destra, né con Marini né con Ottaviani.  L’apparentamento è un concetto completamente al di fuori della nostra opzione politica nel quadro determinato dal primo turno elettorale.   Inoltre abbiamo troppa stima verso  i nostri elettori  per dare loro indicazione sul come dovranno comportarsi rispetto ai ballottaggi. Sia chi sceglierà di non andare a votare, sia chi al contrario deciderà di partecipare alla tornata di ballottaggio, siamo certi,  lo farà con consapevolezza e  onestà intellettuale. Per quanto riguarda il futuro continueremo ad impegnarci nella costruzione di un polo di sinistra alternativo alla grossa coalizione venutasi a formare fra centrodestra e centrosinistra in appoggio al governo Monti, i cui nefasti effetti non tarderanno a manifestarsi, ancor peggio di quanto facciano già oggi  nella vita delle persone che noi invece vogliamo difendere.

Frosinone, 11-05-2012
                                                Il direttivo del circolo Carlo Giuliani del Prc di Frosinone

venerdì 11 maggio 2012

Porto un fiore per Peppino Impastato

Nicla Langiu


Mercoledì scorso, nel 34° anniversario dell'uccisione di Peppino Impastato, il  piazzale e la targa a lui dedicati, sono stati la meta di molti cittadini ceccanesi che, durante tutto l'arco della giornata, hanno voluto ricordarlo  omaggiandolo con un fiore. Come ogni anno l'iniziativa è stata lanciata dal  circolo "5 Aprile" del Partito della Rifondazione Comunista e alta è stata la 
partecipazione. Molti i compagni che si sono ritrovati davanti la targa per  condividere il ricordo del giovane di Cinisi massacrato dalla mafia nel 1978 e che hanno potuto apprezzare le parole di Vanessa Savoni che si è soffermata sulla figura di Peppino e le circostanze del suo omicidio, avvenuto alla vigilia delle elezioni amministrative del suo paese che lo  vedevano, giovane 
antifascista, candidato nelle fila di Democrazia Proletaria, sulla sua sfida  alla mafia contro la mercificazione del voto pagata con la vita, senza  tralasciare l'attualità degli avvenimenti e l'importanza della partecipazione  seguendo il suo esempio. Un momento ricco di emozioni sottolineato dai versi del componimento poetico di Domenico Staccone dedicato al giovane eroe contro 
le mafie.

Beppe Grillo, gli anatemi non bastano...

Redazione di http://www.contropiano.org/

Condanne e anatemi sono state spesso la manifestazione più di invidie e competizione che di un serio tentativo di analizzare, da sinistra, ciò che il ‘grillismo’ rappresenta dal punto di vista politico e sociale.
Boom(ba) o non boom(ba), i grillini arriveranno a Roma. Parafrasando una famosa canzone di ormai qualche decennio fa vogliamo intendere che non basteranno gli anatemi e le condanne che da sinistra sono state rivolte – spesso giustamente – contro Grillo e il suo movimento per bloccare la loro affermazione politica. E per spiegare i motivi di un così travolgende successo.
Dopo l’indubbio boom elettorale delle ultime elezioni amministrative le sinistre dovrebbero cominciare a chiedersi perché il voto di protesta e la crescente indignazione popolare contro una situazione ormai insostenibile abbia preso la via del voto al Movimento 5 stelle e non ai cari e vecchi partiti comunisti o postcomunisti. Dare al Savonarola della politica italiana del cripto fascista non aiuta, anzi forse aumenta la sua popolarità in una società in cui il venir meno di discriminanti ideologiche sembra premiare i soggetti, singoli o collettivi, che esprimono identità e linguaggi forti. Una analisi seria e articolata hanno provato a farla qualche mese fa quelli di WuMing, e ve la riproponiamo, perché mette in fila una serie di elementi che caratterizzano il discorso grillino e caratterizzano alcuni dei suoi esponenti e delle sue manifestazioni.
Alcune, ma non tutte. E qui cominciano i distinguo tra Grillo e i suoi rappresentanti a livello territoriale e periferico, e poi tra ognuno di questi rispetto agli altri. Il movimento di Grillo non è un partito e neanche una organizzazione strutturata, e quindi permette a persone di ideologia, cultura e sensibilità diverse di convivere e di rappresentare nel loro contesto obiettivi e programmi diversificati, a volte addirittura divergenti. Se su un tema così importante come l’immigrazione il vate del movimento ha espresso più volte punti di vista xenofobi o quanto meno qualunquisti, e se alcuni suoi eminenti collaboratori spesso non disdegnano di andare a braccetto con quelli di Casapound o Forza Nuova, in altri casi gli esponenti del grillismo operano in associazioni e realtà di solidarietà con gli immigrati, e la ‘piccola’ differenza di opinione al riguardo non sembra toccarli più di tanto. Anche sulle questioni economiche la schizofrenia è alta: se Grillo nelle ultime settimane ha assunto la parola d’ordine del ‘non paghiamo il debito, fuori dall’euro’ (mossa che molti ‘comunisti’ variamente collocati non riescono o vogliono fare…) altri 5 stelle hanno in merito opinioni assai più accomodanti e compatibili. Ciò che unisce tutti, almeno finora, sembra essere una concezione della democrazia partecipativa  basata sulle relazioni digitali, una visione interclassista della società, una opposizione alla partitocrazia non nuova nei movimenti di protesta italiani – e che in genere ha portato le buone intenzioni dichiarate verso la complicità con il sistema e il degrado della proposta originaria. E, in mancanza di strutture democratiche che possano garantire il dibattito e la decisione collettivi, l’unico e ultimo giudice chiamato a dirimere le contraddizioni interne è lo stesso Belle Grillo. Che finora ha espulso vari esponenti locali a suo dire collusi con la partitocrazia o indisciplinati ma non ha preso provvedimenti contro le sezioni locali che collaborano allegramente con i gruppi neofascisti… E il guru non sembra aver molto da ridire sul fatto che alcuni dei suoi candidati alle elezioni fossero vecchi arnesi della partitocrazia locale.
Ma come abbiamo scritto, più che sul personaggio Beppe Grillo e sul suo carattere di divinità digitale e mediatica conviene soffermarsi sui motivi che stanno portando settori sempre più ampi a prenderlo come riferimento di una domanda di cambiamento che nessun altra forza politica si dimostra capace di rappresentare. Anche perché in questi mesi abbiamo assistito all’emergere di fenomeni simili in altri paesi dell’Europa. I Pirati tedeschi o svedesi sono l’equivalente di quanto il movimento 5 stelle rappresenta in Italia, pur con le loro specificità. Un grillismo senza Grillo, quindi, che dovrebbe far riflettere sul fatto che un certo tipo di organizzazione delle relazioni politiche, un certo linguaggio e una cerca modalità rappresentino delle tendenze sociali comuni a paesi in cui esiste un vuoto di rappresentanza politica.
In molti hanno messo in rilievo il fatto che il movimento di Grillo ha le caratteristiche tipiche dei movimenti carismatici: una base indistinta e composta di singoli non organizzati, un leader supremo incontestabile e spesso contraddittorio, un linguaggio diretto e demagogico. Una somma di specificità non organiche che esprimono la frammentazione di classe e di autocoscienza delle società a capitalismo ‘avanzato’ e che vengono ricondotte ad unità esclusivamente grazie alla copertura da parte di un personaggio carismatico, a tratti dittatoriale, nei confronti del quale si esercita una sorta di culto. Una sorta di Blog sociale nel quale la partecipazione è libera e fluida ma spesso – in mancanza di organizzazione, strutturazione, regole – ininfluente, sostituita dalle insindacabili decisioni del leader e del suo ristrettissimo cerchio magico.
Indubbiamente votare ‘pirata’ è facile: sfuggendo alla classica divaricazione destra/sinistra, non prevedendo forme di partecipazione e organizzazioni particolarmente militanti – se non tramite web – e non richiedendo un’adesione ideologica il movimento è appetibile a persone in fuga da diversi partiti e provenienti da esperienze culturali tra le più diverse. L’elementarietà del programma del movimento di Grillo, e della maggior parte delle esperienze pirata nord europee, è un ulteriore facilitazione per l’aggregazione e la crescita elettorale. Ma se si va a spulciare il “non" (!) programma del Movimento 5 stelle si nota come accanto a proposte sacrosante e nette – no alla Tav, revoca della legge Gelmini ecc –ci ne siano altre caratteristiche di una cultura liberale e ‘modernizzatrice’ che considera lo Stato un nemico. La proposta di abolire il valore legale del titolo di studio – classico cavallo di battaglia delle destre filo anglosassoni – è una di quelle. Per non parlare dell’abolizione delle Province e dell’accorpamento dei piccoli comuni. Anche l’insistenza sul fatto che chi accede alle istituzioni debba essere assolutamente incensurato – illibato, potremmo dire – riflette una concezione culturale e politica che non distingue tra legge e giustizia, che dà per neutra la natura del sistema giudiziario e quindi dello Stato. E’ lo stesso esser stati condannati per reati legati ad una attività di lotta, di contestazione, oppure di corruzione? Evidentemente no. E’ pensabile che un tribunale possa condannare qualcuno ingiustamente? Evidentemente si...
Il ‘non programma’ del Movimento non sembra avere nessuna organicità, non sembra riflettere nessun punto di vista forte sulla società, sull’economia, sul mondo. Il che costituisce una marcia in più per i grillini – essendo appetibile sia a destra che a sinistra – ma anche una fortissima limitazione alla possibilità per il movimento di incidere veramente sulla realtà. Avere a disposizione solo uno sterminato elenco di cose da fare e poter contare su una partecipazione prevalentemente “digitale” al conflitto non aiuterà certo gli esponenti del movimento che si stanno catapultando nelle istituzioni locali e che tra pochi mesi entreranno a Montecitorio. A meno che non si pensi che il giudizio del guru Beppe Grillo possa rappresentare una bussola sempiterna e infallibile che rende innecessaria – o addirittura controproducente – ogni strutturazione del movimento...
Ma i difetti e gli elementi a volte inquietanti che caratterizzano questa nuova manifestazione della critica allo status quo non riducono le colpe di una sinistra che, come dicevamo, si limita alla condanna saccente e spocchiosa del ‘grillismo’. Una condanna che in alcuni casi, dopo i buoni risultati elettorali del Movimento 5 stelle, si sta rapidamente trasformando in invidia o addirittura in corteggiamento… I comunisti e le sinistre critiche hanno da tempo perso ogni capacità di leggere i profondi cambiamenti sociali in corso nelle nostre società, e appaiono sempre più come ininfluenti, stantii rimasugli di un passato inadatto a rappresentare una voglia di cambiamento che cresce e che non trova sfogo nella buona educazione e nel ‘politically correct’ di onesti ma moderati leader politici. E che trova invece rappresentanza in chi appare – non sempre a ragione - più adeguato a modernizzare le forme della partecipazione politica, a modernizzare la società stessa attraverso i progressi della scienza piegati alle necessità degli individui e dell’ambiente (il ‘non programma’ di Grillo è zeppo di suggestioni e proposte in questo senso). 

Ringraziamento agli elettori

Luciano Granieri

Voglio ringraziare sinceramente, di cuore, gli elettori per il successo elettorale che mi hanno tributato. Francamente una performance del genere non me la sarei mai aspettata. Per me, che sono alla prima esperienza elettorale, il risultato ottenuto è importantissimo soprattutto per la sua perentorietà e chiarezza. Il messaggio inviato dagli elettori è incontrovertibile ed è significativo per quanto attiene al mio successo personale nella contesa amministrativa. Un messaggio che è mio dovere non ignorare, non sottovalutare e che mi obbliga ad impegnarmi ancora di più per tutti coloro che mi hanno concesso fiducia.

GRAZIE ANCORA A TUTTI .




mercoledì 9 maggio 2012

La rabbia in piazza

Luciano Granieri.

In questa crisi economia drammatica, alcune persone arrivano a gesti estremi, come il suicidio, perchè la loro dignità di lavoratore, di persona, viene usurpata dal potere della finanza.  Ci sono molti invece che provano a ribellarsi a questo devastante strapotere e scendono in piazza. A Firenze ieri hanno manifestato contro il governo delle banche i sindacati dell'USB. Di seguito alcune  immagini  della manifestazione riunite in una  clip musicale. Il brano è : Interessi Zero dei Modena City Ramblers. Ringraziamo i compagni di Firenze per le foto.


Non lasciamo dominare Ceccano da un bruciatore di libri

Angelino Loffredi

Suonano le trombe, soffiano sui pifferi, intonano una marcia trionfale perché hanno piegato la Stalingrado rossa. C'è qualcosa di vero nello sbandierato successo di Ruspandini in questo primo turno elettorale. Tale esito non va solamente comparato a quanto accaduto durante questo mese perchè è necessario andare più indietro, quando nell'estate passata, un gruppo di persone legate alla sinistra, chiedeva di verificare, alla luce del sole, l'attività amministrativa, in quanto già si coglievano ritardi, divisoni, ambivalenze esistenti nella maggioranza e collegare l'insieme di queste criticità alla campagna per le sempre annunciate primarie, per far scegliere ai cittadini il candidato a Sindaco.

Non abbiamo assistito né a una approfondita ricognizione dell'esistente, né alle necessarie correzioni, e nemmeno alle primarie. I trentatrè cittadini che inviarono un documento ai responsabili di partito mettendosi a disposizione per quella che doveva essere l'apertura di una nuova fase, ancora aspettono un riscontro. Niente primarie, dunque, mentre a gennaio abbiamo visto nascere un brutta e prevedibile contrapposizione fra forze ed esponenti di centrosinistra. In questi mesi si è consumato un equivoco veramente grave: la coalizione elettorale che sosteneva Cerroni nelle critiche, (a volte giuste e veritiere ), alla giunta uscente, dimenticava di far dimettere due suoi assessori dalla stessa. Una situazione di schizofrenia politica.

A fronte di tale sconsolante quadro non me la sono sentito di assegnare ragioni a nessuno.

La coalizione guidata da Ruspantini arriva al 31% , favorita dal silenzio dei due raggruppamenti del centro sinistra, non impegnati a ricordare che la stessa è la fotocopia delle pessime amministrazioni che amministrano la Provincia e la Regione e che lo stesso candidato a Sindaco è quello che bruciò cinque anni fa un libro, sulla piazza del comune di Ceccano contestato vivacemente da esponenti di destra e di sinistra.

In tutta questa vicenda elettorale bisogna dare atto che la novità era costituita dal gruppo di Idee in Movimento che pur con tanti limiti programmatici, primo fra tutto le tematiche sul lavoro, ha assicurato una campagna elettorale accompagnando le critiche alla documentazione, senza strilli e privo di risorse finanziarie.

Vorrei dire infine che sulla Maliziola le critiche ricevute riguardavano una sua presunta debolezza rispetto ai " vecchi marpioni " della politica, anzi di esserne il clone. I fatti dimostrano che i vecchi amministratori, ad esaminar bene, non ottengono grandi successi personali, anzi sono tutti ridimensionati. La stessa Maliziola, se teniamo conto della sua lista, ottiene più voti della coalizione che l'ha sostenuta ed ha caratterizzato con la "farina del suo sacco" la campagna elettorale.

Non mi permetto di dare consigli a coloro che nel centro sinistra hanno responsabilità di partito ma devono sapere che ancora sono nelle condizioni di fare il miracolo: non permettere che un bruciatore di libri arrivi a dominare Ceccano e la sua storia e di riaprire un rapporto nuovo fra tutte le forze politiche.

Ricordo di Peppino Impastato.

Luciano Granieri

Il 9 maggio del 1978, Peppino Impastato moriva dilaniato dal tritolo della mafia. Il nostro blog porta  il nome della sua radio, Radio Aut. Per ricordarlo pensiamo non ci sia modo migliore che ascoltare la sua voce proprio dai microfoni di Radio Aut. In particolare la trasmissione che pubblichiamo di seguito "ONDA PAZZA" aveva come tema le elezioni comunali che si sarebbero tenute a Cinisi di li a pochi giorni. Elezioni a cui Peppino si era candidato ma non ebbe modo di parteciparvi perchè ucciso dalla mafia. La puntata di "ONDA PAZZA" dal titolo "La Commissione Elettorale" diventa, fra l'altro, attuale perchè anche nella nostra città si è appena concluso il primo turno delle elezioni amministrative e sentendo le parole di Peppino forse ci si rende conto che le cose non sono molto cambiate da allora. "CON LE IDEE E CON LA FORZA DI PEPPINO" Signore e signori, da Radio Aut, "ONDA PAZZA" trasmettiamo "LA COMMISSIONE ELETTORALE"


Onda Pazza del 5 maggio 1978: La Commissione elettorale

Il brano cominciava sempre con la sigla di Onda Pazza e con Peppino che al microfono parlava così: Diamo inizio con questa sigla, credo che già la conoscete tutti, questa è Onda Pazza, siamo qui tutti presenti, tutta lequipe è pronta, un pò imbarazzata, un pò confusa perché la fase della preparazione è molto, molto difficile e molto laboriosa. Il brano La Commissione elettorale fu trasmesso il 5 maggio durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative in corso a Cinisi e Peppino raccontava lo svolgimento della riunione clandestina, cioè della Commissione elettorale nel Comune di Cinisi, dove i componenti della Commissione, la maggior parte appartenenti alla Democrazia Cristiana, si dovevano dividere i 45 scrutatori. Peppino dai microfoni di Radio Aut introduceva così il brano: Cuna riunione elettorale a Mafiopolica sa hannu a spartiri tra di iddri, e sa nna pigliari i scrutatori. Anche in questo brano, durante la diretta, venivano inseriti alcuni interventi musicali, come la canzone Quelli che di Enzo Jannacci ; inoltre in questo programma, come in tutti i brani di Onda Pazza, Peppino faceva largo uso del linguaggio dialettale.





Rivolzione e arte quotidiana

di Stefano Tassinari (da una segnalazione di Checchino Antonini)

L'IMPORTANZA DELLA CULTURA NELLA TEORIA E NELLA PRATICA POLITICA DI LEV TROTSKY


Mi sono sempre chiesto come abbia fatto Lev Trotsky, mentre combatteva in prima persona contro le guardie bianche del generale Kornilov o cercava di resistere alla mostruosa macchina repressiva di Stalin, a trovare il tempo e la freschezza mentale per occuparsi di Dante e di Shakespeare, di Byron e di Puškin e poi, via via, di Blok, Esenin, Majakovskj e persino di D’Annunzio e di Silone.

Alla fine mi sono sempre risposto, banalmente, che ci riusciva perché era una persona geniale, ma anche – ed è ciò che ci interessa di più in questo contesto – perché aveva capito, primo fra tutti, che la sfera culturale era decisiva in assoluto (e cioè per la formazione di una diffusa coscienza critica, valore decisivo di per sé) e in relativo (e dunque per consentire uno sviluppo coerente di una rivoluzione che, per essere tale, non poteva restare confinata nella dimensione economica).

Purtroppo, la sistematica cancellazione della sua figura e delle sue opere da parte dei dirigenti stalinisti dei partiti comunisti (particolarmente riuscita nell’Italia togliattiana e anche post-togliattiana) ha fatto sì che intere generazioni di militanti e intellettuali della sinistra non siano state in grado di confrontarsi con posizioni e proposte specifiche - inerenti al cosiddetto “mondo della riproduzione” – attraverso le quali Trotsky aveva seminato un percorso politico che, se intrapreso, forse avrebbe impedito all’utopia comunista di sgretolarsi nelle forme che ben conosciamo, finendo con l’essere sommersa da quelle macerie che appare sempre più difficile rimuovere per costruire qualcosa di diverso.

E’ evidente che stiamo ragionando in termini di ipotesi, perché non abbiamo a disposizione una controprova, ma è altrettanto chiaro che, se le sue teorie sull’autonomia (almeno parziale) della sfera culturale da quella politica, sulla possibilità che proprio nell’agire artistico e culturale si sviluppi la coscienza critica e sul legame tra dimensione collettiva (la rivoluzione) e dimensione individuale (la vita quotidiana) si fossero radicate a livello popolare, quanto meno si sarebbero evitati i disastri del socialismo reale. Ciò non significa che, soprattutto nei primi anni successivi alla rivoluzione d’Ottobre, Trotsky non abbia espresso anche posizioni ambigue e gravi, come quando giustificò la scelta del governo bolscevico di aver mandato in esilio lo scrittore dissidente Arcybašev, in quanto, disse, “il bene della rivoluzione è per noi la legge suprema”, e chi metteva in discussione tale bene era “giustamente” soggetto a misure repressive come l’esilio. Qualche anno dopo, come è noto, lo stesso Trotsky fu vittima di un provvedimento odioso come l’esilio, e anche questo, non vi è dubbio, contribuì ad allargare le sue vedute in materia di dissenso politico. Detto questo, anche nel periodo più controverso – quando, cioè, Trotsky occupava ruoli di grande potere – le sue posizioni sulla cultura furono le più avanzate tra quelle espresse nel mondo bolscevico. Fu lui, ad esempio, a contrastare con forza le idee dei cosiddetti “napostovcy”, secondo i quali era necessario imporre agli autori di seguire i dettami di una presunta “letteratura proletaria”, che Trotsky non solo considerava sbagliata, ma addirittura inesistente (a tal proposito è rimasto il celebre l’intervento sarcastico con cui si rivolse al redattore della rivista “Na postu”, Lelevič, dicendogli: “Siamo pronti ad accettare la definizione di Letteratura proletaria, basta che, oltre alla definizione, ci diate anche la letteratura!”).

In sostanza, per Trotsky non aveva alcun senso piegare la creatività artistica alle esigenze, anch’esse presunte, del partito e/o del governo, così come non ne aveva stabilire quali fossero le giuste linee tematiche e stilistiche della letteratura sulla base di quanto deciso dal Comitato centrale del Partito Comunista (come invece avverrà, purtroppo, ai tempi di Zdanov e di Stalin).

Non a caso, fu l’unico tra i dirigenti bolscevichi a schierarsi apertamente a favore dei cosiddetti “compagni di strada”, invisi ai burocrati – e in primo luogo ai mediocri scrittori che puntavano a consolidare una carriera letteraria potendo vantare, come unico talento, la propria fedeltà all’apparato di partito…. – e al centro di attacchi durissimi, soltanto per via dei loro riferimenti al simbolismo o alla poesia immaginifica. Quando, ad esempio, Sergej Esenin si suicidò, Trotsky – che lo definì “un poeta così splendido, così fresco, così vero” – si domandò, polemicamente, “come fosse possibile gettare un rimprovero dietro al più lirico dei poeti, che noi non siamo stati capaci di conservare?”. Eppure, proprio quel lirismo e quei riferimenti “contadini” così presenti nella sua poesia avevano fatto di Esenin un bersaglio della critica ufficiale, il che testimonia come Trotsky fosse del tutto immune da certe logiche manichee, come aveva già dimostrato anni prima, quando lo stesso fuoco di fila investì Alexander Blok, scomparso a soli quarantun anni nel 1921. Blok, prima amatissimo anche dagli intellettuali di cultura nobiliare e poi odiato da questi stessi personaggi per aver scritto il poema “I dodici” (da loro giudicato “bolscevico”), non fu mai accettato realmente dagli ambienti rivoluzionari in quanto la sua lirica, scritta in gran parte prima dell’Ottobre, venne bollata da chi vagheggiava una letteratura “di partito” come simbolista, misticheggiante e romantica.

Anche in questo caso fu Trotsky a difenderlo (malgrado ritenesse, sbagliando, che la componente più lirica della sua poesia non gli sarebbe sopravvissuta), non solo esaltando “I dodici” ( e fin qui è comprensibile, dato il tema molto politico del poema), ma sposando la tesi di Blok sulla necessità di “raffrontare i fatti di tutte le sfere della vita accessibili al mio occhio in un dato momento”, nella convinzione che “tutti insieme, quei fatti creino un unico accordo musicale.”. Per Trotsky, questa dichiarazione confutava l’idea dell’estetismo autosufficiente, deponendo a favore del legame naturale tra l’arte e la vita sociale, convinzione da sempre alla base del suo pensiero. Per lui, infatti, la giusta autonomia della sfera culturale da quella strettamente politica non ha mai significato indipendenza dell’arte dalla dimensione sociale (cosa ben diversa), ma, casomai, la possibilità di utilizzare la cultura come strumento per mettere quotidianamente in discussione lo stato delle cose (concetto ben espresso dalla sua famosa frase: “l’arte non è uno specchio, ma un martello.”). D’altronde, questa non facile – per il contesto storico – presa di posizione a sostegno dell’idea stessa di “messa in discussione” culturale e sociale (poi sviluppata anche in termini direttamente politici, grazie alla sua teoria della “rivoluzione permanente”) è alla base anche del suo grande interesse nei confronti delle avanguardie e dei movimenti artistici, in particolare del Futurismo prima (pur con qualche perplessità, dato che lo riteneva “piombato” dentro la rivoluzione) e del Surrealismo poi. E se al Futurismo russo riconosceva di rappresentare “la rivolta dell’ala sinistra semipauperizzata degli intellettuali contro l’estetica chiusa e di casta degli intellettuali borghesi”, e di costituire “la lotta contro il vecchio vocabolario e la vecchia sintassi della poesia”, quindi “contro un vocabolario chiuso, artificialmente selezionato in modo che nulla d’estraneo venisse a perturbarlo”, nei confronti del Surrealismo espresse forme di adesione più entusiastiche, al punto da creare un vero e proprio sodalizio con il suo fondatore André Breton, con il quale scrisse a quattro mani il manifesto intitolato “Per un’arte rivoluzionaria indipendente”. In quel manifesto, tra l’altro, si dichiara che “l’arte e la poesia devono rimanere interamente libere”, concetto che, se oggi sembra ovvio (a noi, ma non a tutti, specie a certi dirigenti comunisti che non si sono mai realmente affrancati dallo stalinismo), a quei tempi era assolutamente minoritario.

E’ anche vero che, a un personaggio come Trotsky, il Surrealismo non poteva non provocare una grande simpatia fin dai suoi albori, dato che, se il primo manifesto metteva l’anticonformismo al centro della propria dichiarazione d’intenti, nel secondo manifesto surrealista l’approccio politico è reso ancor più esplicito nel momento in cui si chiarisce di non poter evitare di “porci in modo bruciante il problema del regime sociale sotto cui viviamo”, e quindi “l’accettazione o la non accettazione di questo regime”. Sbaglierebbe, però, chi pensasse a un Trotsky attento alla sfera artistica solo in relazione alla sua “politicità”. Non è così, nel modo più assoluto, e in tal senso è sufficiente leggere qualcuna delle sue tante pagine dedicate alla poesia o all’arte figurativa, per comprendere come fosse fortemente sollecitato dagli aspetti formali ed estetici, la cui innovazione riteneva una conquista.

E infatti, già negli anni Venti, a proposito delle forme usate dai futuristi, scriveva: “La poesia è cosa non tanto razionale quanto emozionale, e la psiche umana, che ha assorbito i ritmi e i nodi ritmici biologici e social-lavorativi, cerca la loro immagine idealizzata nel suono, nel canto, nella parola artistica.

Finché questa esigenza è viva, le rime e i ritmi futuristi, più flessibili, audaci e variati, costituiscono una conquista indubbia e pregevole. Altrettanto indiscutibili sono le conquiste dei futuristi nel campo della strumentazione del verso. Non si può dimenticare che il suono della parola è l’accompagnamento acustico del senso.”. E sempre a proposito del Futurismo e delle polemiche portate avanti nei suoi confronti dalla burocrazia bolscevica – secondo i cui esponenti, il Futurismo andava combattuto perché le opere futuriste erano “inaccessibili alle masse” – Trotsky rispose ancora una volta con l’arma dell’ironia, identificandosi in quei futuristi per i quali “anche Il Capitale di Karl Marx è inaccessibile alle masse”, dato che”le masse, naturalmente, non hanno una preparazione culturale ed estetica e si eleveranno lentamente.”. Anche in questo caso, Trotsky pone con forza la questione della crescita culturale del proletariato, nella convinzione che si tratti di un obiettivo decisivo se si vuole che il potere, dopo aver cambiato mano, non rimanga un affare di pochi.

Purtroppo perderà, anche sotto questo profilo, lasciando però delle indicazioni che oggi sarebbe giusto riprendere, in quanto ancora di stretta attualità (è la Storia ad essere andata così poco avanti o siamo noi ad essere rimasti così indietro?). Non abbiamo spazio, in questa sede, per affrontare le tante polemiche, o le tante riflessioni, dedicate da Trotsky a svariati scrittori ed artisti di diverse epoche (da Cervantes a Wedekind, dall’amato Puškin aTolstoj, da Pil’njak a Kljuev, da Egger-Lienz a Schulda), rimandandovi, per questo, alla lettura del suo fondamentale “Letteratura e rivoluzione” pubblicato da Einaudi, ma qualche riga dobbiamo dedicarla a una specifica diatriba riguardante il giudizio sull’opera di Dante, in quanto emblematica del pensiero di Trotsky sull’arte. Nel suo scontro con i sostenitori della letteratura proletaria, Trotsky riprese un giudizio espresso da Raskol’nikov sulla “Divina commedia”, la quale, secondo lo stesso Raskol’nikov era da “considerare preziosa, proprio perché permette di capire la psicologia di una classe determinata di un’epoca determinata”. Trotsky reagì a questa posizione, dicendo che “ porre così il problema significa semplicemente cancellare la Divina commedia dalla sfera dell’arte (…), trasformandola in un documento storico soltanto, perché come opera d’arte la Divina commedia deve dire qualcosa ai miei propri sentimenti e stati d’animo.”.

Ecco, ci sembra che questa piccola polemica sia in grado di illustrare al meglio la concezione trotskiana della cultura e dell’arte, non dimenticando che per il grande rivoluzionario la cultura è innanzi tutto un fenomeno sociale, che ha bisogno della lingua come strumento più prezioso di comunicazione, ma anche di essere recuperata integralmente da chi non la conosce (“La padronanza dell’arte del passato è una condizione necessaria non solo per la creazione della nuova arte, ma per la costruzione di una nuova società”). Vien da dire che, a parte Gramsci, nessun rivoluzionario di quell’epoca ha sostenuto queste posizioni e che, proprio nella loro marginalità, sta forse la principale chiave di lettura della sconfitta storica del comunismo, per lo meno nella versione con cui siamo stati costretti a fare i conti, e cioè quella staliniana prima e stalinista poi. Dietro la mancanza di dialettica culturale, infatti, c’è stata la mancanza di dialettica politica, prima fonte di creazione dell’autoritarismo che, di per sé, dovrebbe essere la negazione di una società socialista.

Ripartire dalla concezione trotskista della cultura e dall’individuazione della “questione culturale” come priorità può rappresentare un modo (l’unico? Il principale?) per cominciare a ricostruire un pensiero critico, depurato da molte scorie novecentesche e fondato su un assunto che ci pare ovvio e che era già chiaro allo stesso Trotsky quasi un secolo fa: la nostra liberazione, anche culturale, non può dipendere dalla trasformazione economica e strutturale della società, ma deve andare di pari passo con quest’ultima, esprimendosi anche in forme del tutto autonome, quindi come valore in sé.

Per seguire questa strada, però, non bisogna farsi condizionare da quei meccanismi tipici di un certo modo di fare politica, che, paradossalmente, hanno trionfato (entrando nella testa dei più) provocando automaticamente una sconfitta storica. E per farlo, forse, sarebbe utile ripescare le riflessioni e le teorie di quel Trotsky che, un grande pensatore e militante anarchico (dunque lontano dalle sue posizioni), il francese Maurice Joyeux, descrisse con queste parole. “Si possono certo discutere le posizioni politiche di Trotsky, sia riconoscergli una certa responsabilità nell’evoluzione del comunismo in Russia, ma è a mia conoscenza il solo marxista che si sia rifiutato a porre l’espressione letteraria o artistica a rimorchio di un partito.”.

Articolo tratto, su autorizzazione dell'autore, da Nuova rivista Letteraria – semestrale di letteratura sociale – novembre 2010 – edizioni Alegre


Elezioni amministrative. Primo bilancio

di Francesco Ricci  (PdaC)

Si approfondisce la crisi dei partiti borghesi Ma la soluzione verrà dalle lotte, non dalle urne.

Elezioni amministrative. Alcune considerazioni. L'alta astensione, così come il successo delle liste del comico Beppe Grillo, sono un sintomo della crisi acuta del sistema politico della borghesia, che sta perdendo credibilità non solo e non tanto per gli scandali che lo avvolgono, per la corruzione che trasuda da ogni parte, ma soprattutto perché conduce una guerra sociale (i "piani di austerità") per scaricare la crisi del capitalismo sulle masse popolari.
In particolare, come sempre nel sistema dell'alternanza borghese (come si vede nel resto d'Europa), le elezioni penalizzano in primo luogo i partiti che hanno governato per ultimi. In questo quadro va letto il vero e proprio crollo del Pdl berlusconiano e della Lega Nord.
In ogni caso non sarà dalle urne (né queste né quelle delle prossime elezioni politiche) che potrà uscire una soluzione per i lavoratori. Le prossime elezioni politiche, dopo la "parentesi" di Monti, con ogni probabilità, segneranno solo il nuovo passaggio di testimone tra i due schieramenti dell'alternanza, e il prossimo governo nazionale proseguirà l'attacco ai lavoratori per recuperare i profitti padronali, come conferma il fatto che il governo Monti e la sua politica di macelleria sociale godono oggi del sostegno congiunto di Pdl, Pd e "terzo polo".

La crisi dei riformisti, la prospettiva dei rivoluzionari
La sinistra socialdemocratica, Sel di Vendola e Prc (quest'ultimo continua, anche sul piano elettorale, a scivolare sempre più giù), si prepara a sostenere il prossimo governo di centrosinistra: così come in queste elezioni amministrative ha stretto alleanze di governo praticamente ovunque  (a parte Frosinone ndr) col Pd. La logica governista di questa sinistra, l'ossessione per le poltrone e gli sgabelli borghesi che nutrono i gruppi dirigenti burocratici di quella che viene chiamata "sinistra radicale", non sono solo perdenti ma appaiono tanto più grottesche a fronte dell'attacco violentissimo e aperto sferrato dai governi della
borghesia e della nuova situazione di ascesa delle lotte in Europa e nel mondo che apre la strada a una ripresa delle lotte nelle piazze anche in Italia.

Il Pdac e il risultato importante di Verona
L'alternativa vera, di classe, va cercata fuori dalle urne. Come Pdac pensiamo che la scelta di partecipare alle elezioni sia meramente tattica: per questo di volta in volta valutiamo se e come presentarci. In quest'ottica anche a queste elezioni abbiamo partecipato col solo scopo di usare quello che è un gioco truccato della borghesia e delle sue istituzioni: per dare visibilità alle lotte dei lavoratori e delle classi subalterne. A queste amministrative abbiamo presentato liste del partito a Lecce e a Verona. E il nostro risultato era già conseguito prima dell'apertura delle urne perché, in entrambe le situazioni, siamo riusciti a interloquire con centinaia di lavoratori e di giovani, usando la campagna elettorale per fare propaganda su un programma coerentemente rivoluzionario. A Verona attorno alla candidatura di Ibrahima si è coagulato un settore importante di lavoratori e, in particolare, di lavoratori dello strato più oppresso, quello degli immigrati. La candidatura stessa ha avuto una grande visibilità nazionale: essendo nei fatti la cosa di cui più si è parlato a sinistra, nazionalmente.
Pur vedendo nel mero dato numerico una questione secondaria, in quanto siamo interessati a tradurre la battaglia propagandistica in nuove energie militanti per la costruzione del partito rivoluzionario, dobbiamo segnalare, a fianco della percentuale nella media dell'estrema sinistra da noi conseguita a Lecce, il dato significativo raggiunto dal nostro candidato Ibrahima Barry a Verona. Nella città dominata dalla Lega Nord e dalla destra razzista, pur scontando il fatto che molti attivisti e sostenitori del Pdac non potevano votare, in quanto immigrati privi di cittadinanza, pur avendo avviato la costruzione della nostra sezione locale solo da qualche mese, pur avendo potuto investire nella campagna elettorale solo qualche centinaio di euro raccolti in una scatola di cartone ai presidi, Ibrahima Barry prende lo 0,7% e circa mille voti (si noti che Rifondazione e Pdci, nonostante i mezzi superiori e la visibilità mediatica nazionale, prendono, insieme, lo 0,9%). Mille voti a un candidato immigrato, operaio, trotskista, e a un programma rivoluzionario che parla di abbattimento del sistema capitalistico. E' l'evidente riflesso, per quanto proveniente da quello specchio deformato e falsante che sono le elezioni borghesi, perlomeno di una simpatia vasta raccolta in questa difficilissima (e talvolta anche rischiosa) campagna elettorale.

Le lotte sono la prospettiva dei rivoluzionari
Se, come altri a sinistra del Prc, fossimo interessati al grottesco gioco dei numeri elettorali, dovremmo oggi dire che il Pdac prende -e nella città più difficile- il voto più alto, in percentuale e numeri, a sinistra di Rifondazione. E' un fatto. Ma non è a fatti di questo tipo che guardano i rivoluzionari. I fatti che ci interessano sono la costruzione di nuove lotte unitarie, dei lavoratori nativi e immigrati; il rafforzamento di quel partito rivoluzionario che ancora non c'è e che è indispensabile per sviluppare le lotte, su scala nazionale e internazionale, in una prospettiva di rovesciamento di questo sistema sociale e politico.



martedì 8 maggio 2012

Frosinone la città della preantipolitica

Luciano Granieri.


Commento a semifreddo delle elezioni cittadine. Signore e signori, benvenuti nella città della PREANTIPOLITICA. Qualcuno dirà non ci affumicare   il cervello, già si sente parlare dell’antipolitica e non si sa bene cosa sia, adesso ci sbombrilli i maroni (non il leghista)   con la   PREANTIPOLITICA?  Vado dunque a SPIEGARE!!!!! cosa intendo per PREANTIPOLITCA . Partiamo da una premessa doverosa, ovvero  illustrare  cosa per me sia  la  POLITICA. Politica a livello comunale per il sottoscritto  significa redigere un programma ed avanzare delle proposte per il governo della città. Purtroppo zuffe, baruffe, personalismi, veti incrociati   regole di movimento a Frosinone  hanno  prodotto la diaspora  della galassia  alternativa al tripolarismo,  comportando l’espressione di  tre candidate a sindaco  diverse ma con programmi  più o meno simili. Si  è andati alla battaglia contando sulla bontà delle proprie idee e proposte, dunque  una battaglia politica autentica. Guarda caso  le uniche candidate a sindaco  che si sono date la  pena di redigere un programma e metterlo in rete sono state:  la nostra,   Marina Kovari, Enrica Segneri   del  movimento 5 stelle,  e Giuseppina Bonaviri delle liste per Bonaviri sindaco. Non voglio analizzare le proposte nel merito, quello che mi preme sottolineare è che  quantomeno, le menti  a supporto di queste candidate,   lo sforzo di intercettare i bisogni dei cittadini, di  pensare Frosinone secondo  le loro idee di comunità , e  perché no, secondo  i loro sogni,  lo hanno fatto. Dunque non è errato sostenere che i movimenti a supporto delle candidate, Kovari, Segneri e Bonaviri hanno espresso un progetto politico vero, serio,  definito, strutturato. I risultati come sarà sicuramente noto sono irrisori, fallimentari. Se consideriamo il computo  delle tre coalizioni messe insieme il conto fa : voti totali 2.285, percentuale totale: 7,97%.  Passi per la coalizione a supporto della Bonaviri, priva di un aggancio nazionale e diffuso in città,  passi per la nostra coalizione che presenta al suo interno simboli di partito invisi ai più , come Sel e Rifondazione, ma la lista 5 stelle della mia amica Enrica avrebbe dovuto seguire il corso nazionale che ha sancito un successo dei candidati di Grillo. Infatti il comico genovese per far presa sulla gente  impreziosisce i contenuti tematici  , in  gran parte condivisibili,  con  i vaffanculo, le diarree, gli epiteti funerei demagogici che hanno una presa sicura e immediata  sugli elettori non abituati a ragionare su una evoluzione politica di più ampio respiro. Tutto ciò come ha funzionato in gran paste del Paese avrebbe dovuto avere successo anche da noi . Invece niente, elettroencefalogramma piatto.  Qui a Frosinone, città fra le ultime per la qualità della vita, fra le più orrende urbanisticamente parlando, (la definizione  è di Argan), fra le più inquinate d’Italia, nulla distoglie  la maggior parte degli elettori dal consueto tran tran del voto di scambio, anzi dal voto di “SOTTOMISSIONE”. Ne ho avuto testimonianza diretta come rappresentante di lista al seggio n.16,  scuola materna di Via Madonna della Neve. A fronte di una domenica elettorale  passata a marcare stretto il candidato del Pdl - ottantunenne ras assoluto del quartiere , VOLTO NUOVO????? Della politica ciociara,  il quale  non perdeva occasione per intrufolarsi nei  seggi con elettori al seguito, per  indire comizi vicino ai cancelli, del sito elettorale -  ci siamo dovuti sorbire nel corso dello spoglio voti disgiunti   che sono un insulto per la democrazia della città.  Voto al candidato sindaco che  ti ha promesso di asfaltare il  vialetto di casa, e preferenza al candidato consigliere medico di opposta fazione, votato perchè si impegna a curarti con accuratezza, come se questo obbligo non rientrasse nei doveri di un dottore ma fosse una prestazione da svolgere in cambio della preferenza.  Voto al candidato sindaco che ti ha promesso un lavoro per tuo figlio e  preferenza  al consigliere geometra di opposta fazione che ti ha fatto risparmiare un bel po’ di soldi sulla costruzione di un canale entro cui far passare le  tubazioni irrigue. Questi sono alcuni  esempi molto generalizzati, altrimenti rischio una seconda denuncia ,  di antipolitica, anzi di PREANTIPOLITICA. Sono retaggi dell’andreottismo e dello sbardellismo  più spinti  propri  di un’era in cui l’antipolitica clientelare già regnava e  imperava dal dopoguerra,   per questo la definisco   PREANTIPOLITICA  Oggi purtroppo la buona politica dei programmi, del porre al centro dell’azione amministrativa il cittadino, non esiste e a Frosinone non è mai esistita e se neanche il movimento 5 stelle riesce a smuovere le persone così come avvenuto nelle altre città in cui si sono svolte  le elezioni lo scorso weekend , significa che il nostro tessuto sociale è irrecuperabile. Allora occorre porre in essere una azione politica che travalichi il percorso elettorale e inizi ad operare sul territorio già da domani, denunciando i meschini giochetti di scambio con  I GRANDI MURATORI E  BANCHERI DI CAZZUOLA ,  espressione della parte più ricca e privilegiata della città . E’ ora di intraprendere un  percorso che sia attivo ogni giorno oltre gli appuntamenti elettorali. E’ una lotta culturale e sociale, e in quanto tale, molto lunga e faticosa. Mi auguro che noi di Rifondazione, con l’aiuto di Sel e di Frosinone BeneComune, sin da domani, ignorando il risultato elettorale si possa iniziare a ricostruire, nella nostra città, quel minimo di coscienza sociale  e civile devastata da decenni e decenni di potere clientelare dei GRANDI MURATORI che hanno sempre avuto al proprio servizio la PREANTIPOLITICA, evolutasi in antipolitica moderna e antipolitica post moderna. Compagni rimbocchiamoci le maniche. 


domenica 6 maggio 2012

Appello per una manifestazione conto il governo Monti

Fds Roma





MAI COME IN QUESTO MOMENTO LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA RISCHIA DI ESSERE TRAVOLTA A PARTIRE DALL’ARTICOLO 1: “L’ITALIA È UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA FONDATA SUL LAVORO”.
IL VALORE E LA NATURA STESSA DELLA DEMOCRAZIA E DEI DIRITTI DEL LAVORO SONO INFATTI GRAVEMENTE SVILITI DA CONTRORIFORME E MANOVRE ECONOMICHE INIQUE, ESPLICITAMENTE DETTATE DA POTERI POLITICI E FINANZIARI ESTERNI AL SISTEMA ISTITUZIONALE DEL NOSTRO PAESE.
IL GOVERNO MONTI, PUR FORMALMENTE LEGITTIMATO DAL SOSTEGNO DALLA MAGGIORANZA TRASVERSALE DI UN PARLAMENTO AMPIAMENTE LOGORATO NELLA PROPRIA RAPPRESENTANZA E CREDIBILITÀ, A PARTIRE DALLE STESSE MODALITÀ ELETTORALI CHE LO HANNO ESPRESSO, AGISCE AL DI FUORI DI UN MANDATO POPOLARE.
L’INTRODUZIONE DEL VINCOLO DEL PAREGGIO DI BILANCIO SUBORDINA L’ESIGIBILITÀ DEI DIRITTI SOCIALI E ALLA SALUTE, ALL’ISTRUZIONE, ALLA PREVIDENZA E ALL’ASSISTENZA ALLE “SUPERIORI” RAGIONI DEL MERCATO.
LA RIFORMA DEL LAVORO, CON LO SVUOTAMENTO DELL’ARTICOLO 18 E LA SOSTANZIALE LIBERALIZZAZIONE DEL LAVORO PRECARIO, SEGNA UN SALTO DI QUALITÀ NEL DOMINIO E NELLA RICATTABILITÀ DEL LAVORO I CUI DIRITTI SONO GIÀ IN VIA DI DESTRUTTURAZIONE PER L’ATTACCO PORTATO DAL GOVERNO BERLUSCONI ALLA CONTRATTAZIONE NAZIONALE E ALLA DEMOCRAZIA SINDACALE.
QUESTE POLITICHE SONO TANTO INIQUE SOCIALMENTE, QUANTO RECESSIVE E FALLIMENTARI SUL TERRENO ECONOMICO, E STANNO PORTANDO IL PAESE IN UN BARATRO SENZA PRECEDENTI.
OPPORSI A QUESTE POLITICHE E CONCORRERE ALLA COSTRUZIONE DI UN MODELLO SOCIALE ED ECONOMICO ALTERNATIVO È PERTANTO DOVERE DI OGNI CITTADINA E CITTADINO DEMOCRATICI: È IL COMPITO URGENTE CHE ABBIAMO TUTTI NOI IN ITALIA ED IN EUROPA.
UN’ALTERNATIVA CHE CONTRASTI EFFETTIVAMENTE LA SPECULAZIONE, USATA INSIEME AL DEBITO CONTRATTO DAGLI STATI PER SALVARE SPECULATORI ED AFFARISTI, COME UNA CLAVA PER DISTRUGGERE I DIRITTI SOCIALI.
UN’ALTERNATIVA VOLTA A REDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA, A FRONTE DELLA CRESCITA SCANDALOSA DELLE DISUGUAGLIANZE, AD AUMENTARE SALARI E PENSIONI, ISTITUIRE IL REDDITO SOCIALE, RIQUALIFICARE ED ESTENDERE IL SISTEMA DI WELFARE.
UN’ALTERNATIVA CHE SI FONDI SULLA CENTRALITÀ DEI DIRITTI DEL LAVORO, RICONVERTA LE PRODUZIONI NEL SEGNO DELLA SOSTENIBILITÀ ECOLOGICA, INVESTA NELLA CONOSCENZA E NELLA CULTURA, AMPLI LA SFERA DEI BENI COMUNI SOTTRATTI AL MERCATO, RIQUALIFICHI IL PUBBLICO A PARTIRE DA UN NUOVO MODELLO DI DEMOCRAZIA E PARTECIPAZIONE.
UN’ALTERNATIVA ALL’INSEGNA DI POLITICHE DI PACE E COOPERAZIONE CONTRO LE LOGICHE DI GUERRA CON LA DRASTICA DIMINUZIONE DELLE SPESE MILITARI. 

Per queste ragioni, facciamo appello a scendere in piazza il 12 Maggio a Roma.
Contro il governo Monti, le politiche della BCE, della UE e il Fiscal Compact.
Per difendere la democrazia, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, la Costituzione, per l’Europa sociale.


Alcune prime adesioni…
Vittorio Agnoletto, Sandra Amurri, Cesare Antetomaso, Giorgio Arlorio, Glauco Benigni, Paolo Berdini, Marco Bersani, Ciccio Brigati, Benedetta Buccellato, Loris Campetti, Francesco Caruso, Antonio Castronovi, Adelmo Cervi, Alessio Ciacci, Paolo Ciofi, Giorgio Cremaschi, Ciro D’Alessio, Roberto D’Andrea, Walter De Cesaris, Mario Dondero, Riccardo Faranda, Amedeo Fago, Anna Fedeli, Gianni Ferrara, Agostino Ferrente, Alfonso Gianni, Haidi Giuliani, Carlo Guglielmi, Margherita Hack, Beniamino Lami, Mimmo Loffredo, Alberto Lucarelli, Gianni Lucini, Fabio Massimo Lozzi, Magda Mercatali,  Citto Maselli, Ugo Mattei, Dino Miniscalchi, Roberto Musacchio, Loretta Mussi, Giovanni Naccari, Giorgio Nebbia, Carla Nespolo, Nicola Nicolosi, Fulvio Vassallo Paleologo, Valentino Parlato, Ciro Pesacane, Ulderico Pesce, Francesco Piccioni, Vito Francesco Polcaro, Gabriele Polo, Pierpaolo Pullini, Franca Rame, Gianni Rinaldini, Annamaria Rivera, Alessandro Rossetti, Franco Russo, Nino Russo, Patrizia Sentinelli, Adriano Sgrò, Vauro Senesi, Marino Severini, Fabrizio Tomaselli, Vittorio Vasquez e il gruppo consiliare Napoli è Tua