Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 25 marzo 2019

Cosa ci dobbiamo aspettare dal piano regionale dei rifiuti?

Movimento "Rifiutiamoli"





Le linee guida sul futuro piano rifiuti prodotte dalla Regione Lazio, e presentante il 31 gennaio scorso, sono del tutto generiche: i dati sull’andamento della gestione dei rifiuti negli anni passati e le intenzioni di orientarsi verso pratiche che appartengono alla economia circolare, non danno indicazioni, neppure di massima, sulla struttura impiantistica in termini di tecnologie e portata dei processi di trattamento.


Risulta quindi ancora più anomala l’indicazione relativa a un compound industriale da realizzare a Colleferro che dovrebbe essere alimentato da 500.000 tonnellate di materiale provenienti dagli impianti TMB, suddivise in diverse filiere di trattamento. Poco importa capire come si sia arrivati alla definizione di quella quantità, su cui in molti hanno elucubrato. Nell’incontro in Regione, organizzato giovedì 7 marzo, dalla consigliera Marta Bonafoni, le dichiarazioni dell’Assessore Valeriani hanno aggiunto, se possibile, ulteriore confusione a quanto scritto nel documento.

Avendo appreso dalle parole dell’Assessore che la pubblicazione delle linee strategiche sarebbe avvenuta dopo l’indicazione del Comune di Roma riguardo le aree idonee per la collocazione degli impianti di stoccaggio e trattamento, si capisce ancora meno perché solo per il comune di Colleferro si sia data una indicazione puntuale sulla dimensione complessiva e sulle filiere di trattamento degli impianti.
In realtà è noto a tutti che la questione sia legata al futuro della società Lazio Ambiente, i cui conti sono tenuti a galla dalle entrate della discarica di Colle Fagiolara, mentre un qualche investimento dovrebbe far quadrare i conti dopo il mancato investimento negli inceneritori di Colle Sughero.

In merito l’assessore è stato quanto meno poco chiaro: quando ha asserito che “gli impianti attuali sono di nostra proprietà”, si riferiva evidentemente agli inceneritori, di cui è stata decretata la chiusura, dopo di che in un’altra parte del suo intervento ha detto che la realizzazione gli impianti verrà messa a gara. In sostanza resta da capire chi fa che cosa, dove e come.
Sembra che quanto detto nel documento serva soprattutto a tacitare la Corte dei Conti.

Purtroppo allo stato si tratta comunque di una dichiarazione troppo puntuale nella sua genericità per essere tralasciata, quindi ci tocca ribadire la nostra contrarietà assoluta a quel tipo di ipotesi,che non può essere presa in considerazione, su cui non è neppure il caso di aprire una discussione o una consultazione.
Tutto procede con il solito gioco delle parti tra amministrazione regionale e capitolina, in assenza di un reale intervento da parte del Ministero, seguendo regole amministrative del tutto inadeguate ad affrontare una situazione sempre sulla soglia della catastrofe, mentre nulla è previsto sul piano della partecipazione delle associazioni e dei comitati.
Il percorso che dalla giunta regionale, attraverso le commissioni dovrebbe portare alla discussione e alla approvazione in consiglio regionale del nuovo piano dei rifiuti, non può avere valore in assenza di una partecipazione reale di quella rete di associazioni e comitati che in questi anni hanno combattuto l’attuale gestione del ciclo dei rifiuti, portando avanti una propria progettualità. Alla approvazione seguirà la procedura di sottomissione del pian alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica) della durata di sei mesi.
La conclusione di questo percorso arriverà a sfiorare la fine dell’anno. Periodo che a Colleferro coinciderà con quello della chiusura della discarica di Colle Fagiolara, su cui – narrano le cronache- pare abbiano ripreso a volare con maggior frequenza i gabbiani.
Riteniamo necessarie un’ elaborazione autonoma, ed una mobilitazione da parte di tutta la rete di associazioni e comitati territoriali della città di Roma e di tutta la Regione, finalizzate ad ipotecare e vincolare l’elaborazione del piano rifiuti, confermando gli obiettivi particolari che ogni territorio si è dato.

Sulla discarica di Colle Fagiolara ribadiamo la necessità di un controllo trasparente sulla sua attuale gestione, sulla qualità e la quantità del materiale che viene conferito, per evitare le conseguenze che i residenti, con gli studenti ed il personale della scuola superiore IPIA hanno dovuto subire a più riprese.

Il fallimento del M5S non è dovuto solo all’incompetenza

Michele Prospero




Soprattutto nei giornali d’area come il Fatto quotidiano, il coinvolgimento del M5S nel malaffare viene spiegato, in modo alquanto riduttivo, con il problema del reclutamento difettoso dei candidati. Si tratterebbe di una pecca comprensibile per un movimento ancora giovane che non riesce a riconoscere la competenza. Ora che il non-partito dell’onestà-onestà sta rivelando il suo volto poco onorevole negli scandali romani, la sinistra deve saper porre la domanda giusta per accompagnarlo al meritato declino (confermato anche dal voto in Basilicata). Quello che non dovrebbe rimarcare, dinanzi al fallimento pentastellato, è proprio il richiamo alla competenza perduta come rimedio da offrire al governo degli incompetenti che blocca tutto. 
Il volto peggiore del grillismo non è infatti l’incompetenza, che pure abbonda nel personale im-politico arruolato in rete tra un esercito di sconosciuti promosso a colpi di clic a funzioni di governo. Il nodo più rilevante da cogliere è che il M5S rappresenta una scheggia del sistema che ha abilmente occupato anche uno spazio della sinistra con simboli di rivolta per ripristinare l’essenza del bel mondo antico fatto di trame affaristiche e spartitorie. 
A una rivolta di sistema che vede l’alto inventare la ribellione del basso con le passioni del risentimento e della rabbia, secondo uno schema che si può cogliere nel solco di certe raffigurazioni di Shakespeare, non si risponde con una nostalgia della competenza. Al ministro Fornero non mancava la competenza, così come a Monti e ad altri titolari del suo dicastero la tecnica non faceva difetto. Però la dimestichezza con i numeri e il galateo delle istituzioni europee non ha risparmiato l’adozione di politiche antisociali che hanno determinato la grave crisi della democrazia.
Il lato del conflitto sociale, con la lotta alle esclusioni e alla precarietà, non la competenza è il centro di una cultura politica della sinistra da riprogettare. Lo chiariva anche un liberale alla Tocqueville. “Importa senza dubbio al bene delle nazioni che i governanti abbiano delle virtù o dei talenti: ma quello che forse importa di più è che i governanti non abbiano interessi contrari alla massa dei governati; poiché, in tal caso, le virtù potranno diventare inutili e i talenti funesti”. Non la tecnica ma gli interessi sociali antagonisti sono alla base dei progetti politici che se perdono questa matrice della loro azione sono condannati ad essere rigettati come occupazione di un ceto separato.
Il fallimento del governo del non-partito non rinvia solo alle pratiche di abituale incompetenza per cui, per archiviare il tempo dell’improvvisazione, occorre ritrovare un professionismo politico esperto e metterlo di nuovo alla prova per risolvere il malessere accumulato. Il problema vero è che il M5S, con le maschere della rivolta, ha giocato un ruolo di conservazione a tutela di un non-partito a direzione aziendale. Non si tratta perciò solo di una difettosa selezione della classe dirigente imputabile alla giovinezza di un movimento che non sa ancora come scegliere la rappresentanza. 
Come non-partito d’azienda il M5S si è inserito in maniera accomodante dentro le “congiunzioni astrali” del sistema che per sopravvivere nelle antiche consuetudini ha agitato la finzione dello tsunami e del “tutti a casa” come ingannevole cambiamento di tutto. Una classica operazione gattopardesca che ha trionfato perché nel frattempo la sinistra, anche per l’adozione della parentesi tecnica che assumeva “interessi contrari” a quelli della propria parte di società, era evaporata come combattivo soggetto dell’autonomia politica del mondo del lavoro.

Michele Prospero

domenica 24 marzo 2019

Zingaretti e la Costituzione

Coordinamento per la Democrazia Costituzionale




Lettera aperta
Al segretario generale del Pd
Nicola Zingaretti

 Abbiamo guardato con interesse al cambiamento di Zingaretti, soprattutto di fronte alla forte partecipazione alle primarie. Purtroppo  siamo rimasti delusi dalle parole di Zingaretti sul referendum costituzionale.
Non solo ha ignorato che se si è arrivati al referendum lo si deve a Renzi, che prima ha imposto la sua modifica della Costituzione e poi ha chiesto la firma ai suoi parlamentari cercando un plebiscito sulla sua persona, infine sconfitto dalla vittoria del No.
E’ inaccettabile l'affermazione che se l'Italia non funziona la colpa sarebbe dei No al referendum: questa affermazione ricorda quelli che quando hanno la febbre rompono l'incolpevole termometro.
L'Italia ha seri problemi di funzionamento, basta guardare alle Provincie. Il governo Renzi ha dato per scontata l'approvazione della modifica costituzionale che cancellava le Provincie. Modifica che invece è stata bocciata e quindi le Provincie hanno perso ruolo, identità e le risorse necessarie per i loro compiti istituzionali: un pasticcio.
Ma soprattutto Zingaretti non ci spiega come gli può piacere il paese che avrebbe voluto Renzi: in cui la sola Camera elettiva (essendo previsto un Senato composto solo da nominati) sarebbe stata consegnata ai voleri del capo di un solo partito attraverso una maggioranza parlamentare artificialmente costruita da un sistema elettorale come l’Italicum, cui la riforma costituzionale strettamente si legava.
Se è questa l'inclusione a cui pensa Zingaretti è destinata all’insuccesso perché a sinistra lo schieramento per il no è stato massiccio, più o meno i voti che ha preso il Pd il 4 marzo scorso. Inoltre l'intenzione manifestata di riaprire questo capitolo non aiuta a ricostruire uno schieramento ampio come sarebbe necessario per contrastare una destra sempre più agguerrita, che per di più in questa fase propone una autonomia differenziata che è nella sostanza la secessione delle regioni più ricche.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, erede del Comitato per il No, non ha cambiato opinione ed è pronto a riprendere l'iniziativa anche se l'auspicio è che si tratti solo di una tattica, per quanto discutibile, ad uso interno al partito.

p. la Presidenza
Massimo Villone,  Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Domenico Gallo