Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 2 giugno 2018

Pentaleghismo. Una coalizione che non sa nè cantarsela nè suonarsela.

Luciano Granieri




Stiamo curando, insieme all’associazione  culturale “Oltre l’Occidente” ,una rassegna dal titolo “ 68 la politica sulle ali della musica” Abbiamo organizzato  una serie di incontri, due già svoltisi, in cui si dibatte sul come la musica sia stata un elemento catalizzatore di quella, per noi, straordinaria stagione di progresso sociale . Dai cantautori, al progressive rock al jazz, alla musica popolare,  arpeggi, melodie armonie, follie ritmiche, costituivano un flusso  comunicativo incisivo. Un magma creativo  spesso duro  ma senza il quale certi fenomeni socio politici avrebbero perso una  parte importante della loro potenza.

Se  la politica è condivisione di un’idea, e della passione per essa,  non esiste  strumento migliore della musica, per diffondere lo spirito aggregativo    che tale idea esprime  , condivisibile o  meno , giusta  o sbagliata che sia . Infatti al  di la dell’eccezionalità del ’68, tutte le forze politiche hanno dovuto necessariamente stabilire,  nella loro evoluzione , un indissolubile    rapporto con la musica .  Creare melodie evocative  da far risuonare nei comizi, nelle campagne elettorali, nelle feste.  

Prendiamo Forza Italia, i tormentoni  del brano, inoppugnabilmente  scritto dal dominus Berlusconi, "E siamo tantissimi, e siamo bellissimi” e  dal praise song  “Meno male che Silvio c’è”,   hanno avuto il  merito di ravvivare le convention, spesso asfittiche, di militanti in giacca,   cravatta e tailleur  ospiti dei comizi dell’ex cavaliere  e del suo paludato entourage . 

Per i fascisti non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Quelli del primo e del secondo millennio hanno infestato   strade e piazze sulle note di “Faccetta nera”, “Giovinezza”, quelli del terzo s’inebriano   con la cacofonia degli Zetazeroalfa,  gruppo musicale guidato dal gerarchetto Iannone .  Roba raffinata  intitolata, “Cinghia mattanza” o   Nel dubbio mena”. 

Anche    gli scudo crociati,  i  democratici cristiani, o i cristiano democratici , o  post-democratici cristiani, insomma tutto l’armamentario cattolico  che ha imperversato nella prima, e  anche nella seconda   Repubblica,  può attingere ad uno sterminato repertorio  che è quello della chiesa , spesso arricchito da improbabili cover. Come non ricordare il dylaniano “Blowin in the Wind” trasformato nel  liturgico “La risposta soffia nel vento”?  Senza dimenticare”O biancofiore” l’inno ufficiale della DC. 

Per noi comunisti libertari, stalinisti, marxisti leninisti,  ex socialisti (oggi riformisti), anarchici,  la discografia è praticamente infinita copre quasi tre secoli  di storia, da “Addio Lugano Bella” all’”Internazionale”, a “Bandiera Rossa”,  da “Fischia il vento” a “ Bella Ciao” da “Stalingrado” a “Contessa”.  Insomma noi  qualcosa da sonà la rimediamo sempre. (vedi video  qui  sotto) 

Chi invece non sa cosa suonare è la tristissima compagine giallo/verde che sta guidando la  Nazione. E pensare che i colori (giallo e verde) evocano il Brasile, la  samba la bossa nova.  Questi invece che cantano?  La Lega in passato  aveva provato a cavalcare il folklore identitario e localistico di personaggi come Davide Van de Sfroos  o Gipo  Farassino.  Ma adesso il partito che esprime il ministro dell’interno è un’altra cosa. Non è localistico e men che meno folkloristico, dunque quella roba non va più bene, guai a cantarla. Oggi per i razzisti del nuovo millennio regna la più triste delle afasie musicali .  

Per il Movimento 5 Stelle il silenzio è assoluto. Sti' signori  ai comizi  sono stati capaci solo di strillare vaffanculo, senza alcuna intonazione melodica o scansione ritmica  particolare. Del resto a che serve comporre un inno per chi non si fa  problemi  a governare   sia con gli eredi di quelli che cantavano “O biancofiore che con  i fan di “Faccetta nera”? (leggi Fratelli d’Italia) Quale melodia può mai intonare  uno che riduce l’azione democratica ad un clic su un computer senza il bisogno di condividere, anche attraverso  la musica le proprie idee. Già le idee! Ma questi ce l’hanno un’idea?  

Che tristezza! Un po’ di musica ci vuole come si fa a fare politica rimanendo sempre perennemente e costantemente incazzati! “L’uomo  che non ha alcuna musica dentro di se -scriveva William Shakespeare – è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine. I motivi del suo animo sono foschi come la notte: i suoi appetiti neri come l’erebo. Non vi fidate di un siffatto uomo. Ascoltate la musica”. Noi che ascoltiamo la musica, dunque, ci potremo mai  fidare di siffatti uomini?

Fiscal compact e manganello

Marco Bersani


Le speculazioni finanziarie fatte in questi giorni dai mercati, che si alimentano dell’instabilità, vengono narrate come preoccupazione dei mercati, i quali vorrebbero tanto il bene collettivo, se solo noi lo capissimo

Il risultato finale con cui si è conclusa la crisi politica e istituzionale del nostro Paese rappresenta con piena evidenza l’utilizzo del debito come arma di disciplinamento sociale.
Un’arma interamente giocata sul terreno simbolico, in quanto nessuno degli attori principali ne ha mai messo in discussione i fondamenti, aldilà di dichiarazioni di rito buone per tutte le stagioni.
Viene da pensare che il fuoco e le fiamme (fatue), prodotte ed alimentate nell’arco di 48 ore da entrambe le parti, non fossero rivolte agli attori in campo, ma avessero una funzione di alfabetizzazione di massa per tutti quelli che vi assistevano attoniti.
Da una parte, i sostenitori dell’establishment, interni ed esterni, ci hanno detto mai così chiaramente come nell’economia del debito la libertà è solo un contesto apparente: i popoli indebitati rimangono formalmente liberi, ma la loro libertà si può esercitare solo dentro il vincolo del debito contratto, e attraverso stili di vita che non ne pregiudichino il rimborso.
La precarizzazione del lavoro, la privatizzazione dei servizi pubblici, la mercificazione dei beni comuni non sono estrazioni di valore dettate da brutali atti di forza e di potere, ma la “naturale” conseguenza di quel vincolo “liberamente” contratto.
E’ così che le speculazioni finanziarie fatte in questi giorni dai mercati, che si alimentano dell’instabilità, vengono narrate come preoccupazione dei mercati, i quali vorrebbero tanto il bene collettivo, se solo noi lo capissimo.
Dall’altra, i sostenitori del sovranismo ci hanno detto mai così chiaramente come non sia assolutamente in discussione la trappola del debito, bensì solo i luoghi di potere da cui essa dev’essere narrata: “prima gli italiani”, intendendo con questo una gerarchia che vedrà i ricchi sempre più ricchi grazie alla flat tax, e il resto della popolazione con in tasca le briciole di un sussidio di disoccupazione spacciato per diritto al reddito e fra le mani possibilmente un’arma per difendersi dagli stranieri.
Ciò che in realtà i contendenti hanno voluto comunicare al popolo è l’impossibilità di un’altra via fuori dalle due predefinite: il sostegno all’establishment in quanto tale, fiscal compact e pareggio di bilancio compresi, e il sovranismo reazionario, flat tax e razzismo compresi. Dentro il terreno di gioco, più che condiviso, delle politiche liberiste e d’austerità, che non possono in nessun modo essere ridiscusse e che hanno bisogno dello shock del debito per disciplinare la società e quanti dentro la stessa non rinunciano a voler cambiare il mondo.
La pretestuosità del conflitto diventa evidente nel risultato finale, così velocemente conseguito: abbiamo ora un governo che nei ruoli chiave ha di nuovo inserito i “tecnici” (Presidenza del Consiglio, Ministero dell’Economia e Finanze e Ministero degli Esteri) dichiarando nei fatti la totale compatibilità con i vincoli monetaristi, con l’aggiunta dell’odore del manganello che promana dal nuovo Minsitero dell’Interno. Più che “la Cina è vicina”, come si diceva una volta, siamo “all’Ungheria è dietro l’angolo”con la benedizione di Francoforte.
Dentro questo quadro, c’è un’altra possibilità, a patto che si decida di prendere davvero parola collettiva sul tema del debito, ponendo alcune questioni reali: a) è accettabile aver pagato, dal 1980 ad oggi, 3.400 mld di interessi su un debito che, nonostante questo, continua ad essere di 2300 mld? b) è accettabile, per chi paga le tasse, aver dato allo Stato, dal 1990 ad oggi, 750 mld in più di quello che lo Stato ha restituito sotto forma di servizi? E’ accettabile aver ridotto i Comuni sul lastrico, nonostante il loro contributo al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%? Solo la risposta a queste domande può aprire la discussione su quale modello di società vogliamo.
Con una certezza: il loro potere dura finchè dura la nostra rassegnazione.
fonte: il manifesto del 2 giugno 2018

mercoledì 30 maggio 2018

Lo scontro inter-borghese: che se ne vadano tutti!

dichiarazione dell’Esecutivo del Pdac



La scorsa domenica, con una mossa molto discussa, il presidente della repubblica Mattarella ha revocato l’incarico a Conte, presidente del Consiglio indicato da M5s e Lega, dopo uno scontro sul nome proposto per guidare il ministero dell’economia, quello di Paolo Savona, non gradito al Quirinale. Così Mattarella ha assegnato un nuovo incarico a Carlo Cottarelli, già commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica con il governo Letta, che porterà il Paese alle elezioni, non si sa ancora con quali tempistiche, dato che difficilmente potrà trovare una maggioranza in parlamento.

Non ci appassiona il dibattito, anche a sinistra (basta vedere le dichiarazioni del segretario del Prc Maurizio Acerbo), se la decisione di Mattarella sia o meno incostituzionale, o se ci siano gli estremi per una messa in stato di accusa del presidente, anche se questo configurerebbe certamente un approfondimento della crisi istituzionale: il problema infatti non è se la Costituzione sia stata violata o meno, ma è la Costituzione stessa, che è una costituzione borghese che deve servire gli interessi della borghesia. 

È ormai chiaro che in momenti di forte divisione della borghesia, le istituzioni dello Stato borghese difendono gli interessi della grande borghesia finanziaria, e questa è l’essenza di ciò che ha fatto Mattarella. Il dibattito se sia costituzionale o meno ci pare utile solamente alla contrapposta propaganda dei partiti borghesi che stanno ricominciando la campagna elettorale. Noi, come comunisti, abbiamo il dovere di ricordare ai lavoratori e a tutti gli oppressi ciò che già diceva Lenin quasi cento anni fa: cioè che nella «democrazia» borghese le elezioni sono niente e la Borsa è tutto. Se qualcuno avesse dei dubbi, lo stesso Mattarella lo ha detto chiaramente.

Opposizione di classe ad ogni governo borghese

Ribadiamo la nostra opposizione ad ogni governo borghese, a quello Cottarelli così come a quello Conte. Quando sarà il momento continueremo a lottare e a manifestare contro il governo Cottarelli, che si prefigura come un esecutivo in continuità assoluta con quelli degli ultimi anni, da Monti in poi, cioè fedele esecutore delle proposte economiche caldeggiate dall’Unione europea e dalla grande borghesia italiana, quella maggiormente legata al settore finanziario. 

Se questo è chiaro a tutti, anche ai lavoratori, il possibile esecutivo Lega-M5s ha invece generato aspettative tra la classe operaia e tra quei ceti sociali che hanno più pagato il peso della crisi e delle misure di austerità dei vari governi. È quindi bene ribadire alcune cose su questo governo e sul perché riteniamo che i lavoratori non debbano partecipare alle manifestazioni e alle iniziative convocate a sua difesa.

Lungi dall’essere un governo «del cambiamento», l’esecutivo M5s-Lega si sarebbe caratterizzato per l’unione della repressione leghista contro gli immigrati, con Salvini ministro dell’Interno (non a caso formazioni di estrema destra hanno espresso la loro simpatia per questo governo), con la funzione di freno delle lotte sociali che il Movimento 5 stelle ha svolto in questi anni, avendo quindi tutta la possibilità (almeno nelle intenzioni dei suoi creatori) di applicare una serie di misure economiche certo differenti da quelle che applicherebbe Cottarelli, ma non certo favorevoli ai lavoratori. 

Chiarissimo in questo senso è il curriculum di Paolo Savona, che nella propaganda Lega-M5s sembra oggi poter rappresentare una politica economica diversa, di cui citiamo solo due referenze molto significative: Savona è stato direttore di Confindustria dal ’76 al ’80 e ministro dell’industria durante il governo Ciampi. E la classe lavoratrice dovrebbe mobilitarsi per difendere un esecutivo con Salvini ministro dell’interno e un confindustriale come ministro dell’economia? 

Vi è purtroppo anche chi sostiene questo, principalmente piccoli gruppetti stalinisti, anche interni a Rifondazione, che sostengono che bisogna schierarsi con il settore borghese che in questo scontro sarebbe progressivo, cioè quello sovranista contro quello subordinato al capitale europeo, arrivando ad affermare che alcune tematiche sovraniste sono utili anche alla battaglia di classe dei rivoluzionari. 

Noi riteniamo invece che l’uscita dall’euro, quand’anche facesse parte del programma di Lega e M5s, non porterebbe alcun vantaggio alla classe operaia italiana se non fosse accompagnata dalla nazionalizzazione delle principali industrie, dei settori strategici dell’economia e delle banche, al monopolio del commercio estero e alla pianificazione centralizzata dell’economia, nonché alla prospettiva della costruzione di un’Europa diversa, gli Stati uniti socialisti d’Europa. 

Senza queste misure, che solo un governo operaio può attuare, anche l’uscita dall’euro sarebbe solo a favore della borghesia italiana sovranista. Come comunisti siamo per la distruzione dell’Unione europea imperialista e per l’uscita dall’euro, ma non possiamo farlo con Salvini, Di Maio e Savona, né con i loro alleati europei quali Le Pen, Farage e simili.

Nessun cambiamento all’interno del sistema borghese

Per quanto riguarda il Movimento 5 stelle, un partito espressione della piccola e media borghesia, che negli anni ha preso la direzione di una larga parte del dissenso sociale e lo ha incanalato sul binario morto della politica parlamentare borghese, lungi dall’aver «aperto come una scatoletta di tonno» il parlamento italiano, ha contribuito ad evitare in questi anni che un’ampia opposizione sociale potesse saldarsi nelle piazze con le lotte dei lavoratori per far pagare la crisi ai padroni. 
Avendo accettato completamente le regole del sistema politico borghese avevano rinunciato in premessa a qualsiasi reale cambiamento, che può venire solo se sono i lavoratori a trainare dietro di sé gli altri settori maggiormente colpiti dalla crisi. 

E' con i lavoratori che noi vogliamo costruire, nelle fabbriche e nelle piazze, quell’opposizione di classe che sola può porre le basi per un reale "governo del cambiamento": cioè un governo operaio che possa applicare il programma economico di rottura delle compatibilità capitalistiche necessario per assicurare un futuro ai lavoratori italiani e di tutta Europa.

OPPOSIZIONE A TUTTI I GOVERNI BORGHESI: GOVERNINO I LAVORATORI!
CONTRO OGNI NAZIONALISMO XENOFOBO: MAI CON SALVINI E LE PEN!
PER UN PROGRAMMA OPERAIO PER FAR PAGARE AI PADRONI LA CRISI!
CONTRO EURO E UNIONE EUROPEA: PER GLI STATI UNITI SOCIALISTI D’EUROPA!

Perché l'Italia deve rimanere nell'Euro?

Fabrizio Verde
fonte :l'antidipolomatico.it


La stragrande maggioranza del personale politico e media mainstream all’unisono 

tuonano che l’Italia non può permettersi di uscire dalla moneta unica. É quindi giunto il 

momento di rovesciare il paradigma ed evidenziare perché per l’Italia sia 

insostenibile la permanenza nella gabbia monetaria europea.




Le recenti e arcinote vicende che hanno portato allo scontro istituzionale tra il presidente della Repubblica Mattarella e la maggioranza parlamentare M5S-Lega, con il conseguente veto sul nome di Paolo Savona evidentemente sgradito a Berlino e Bruxelles, hanno riportato in auge il mai sopito dibattito sulla permanenza dell’Italia nell’euro. Una forma coercitiva di governo più che una semplice moneta.

La stragrande maggioranza del personale politico e media mainstream all’unisono tuonano che l’Italia non può permettersi di uscire dalla moneta unica. É quindi giunto il momento di rovesciare il paradigma ed evidenziare perché per l’Italia sia insostenibile la permanenza nella gabbia monetaria europea. 

Una situazione dove l’Italia si era già cacciata negli anni del fascismo, quando Mussolini decise che per ragioni di prestigio internazionale la Lira dovesse raggiungere e mantenere la parità con la Sterlina inglese. 

Il 18 agosto del 1926 in un discorso tenuto a Pesaro, Benito Mussolini, annunciò per la Lira una politica di rivalutazione nei confronti della Sterlina, la valuta mondiale di riferimento a quel tempo. Il regime, esclusivamente per motivi di prestigio e credibilità internazionale, adottò una politica di forte rivalutazione della moneta fissando l’obiettivo alla «prestigiosa quota 90». L’obiettivo stabilito e raggiunto nel dicembre del 1927 con l’introduzione da parte di Mussolini del Gold Standard Exchange, fu quello di condurre il tasso di cambio da 153,68 Lire per una Sterlina, a 90 Lire per una Sterlina. Una rivalutazione di ben il 19% per la moneta italiana.

Passano due anni con la Lira sempre attestata sulla fatidica «quota 90», il fascismo arroccato alla strenua difesa della prestigiosa quota e la Grande Depressione del 29′ in arrivo dagli Stati Uniti d’America relegata in qualche trafiletto semi-nascosto, giacché i giornali del regime sono impegnati a narrare agli italiani le mirabolanti conquiste del corporativismo fascista. Intanto il tenore di vita degli italiani peggiora notevolmente. I forti tagli salariali sono stati già definitivamente sanciti attraverso l’approvazione della «Carta del Lavoro». Il costo della crisi e del supposto prestigio derivante dalla moneta forte è scaricato per intero sulla classe lavoratrice.

Quando non si può svalutare la moneta si svaluta il lavoro attraverso i salari.

L’analogia con l’Euro è lampante su questo punto.

La «Lira forte» è una delle bandiere del regime tanto che Mussolini di dichiara pronto a «difendere la Lira fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sangue». Appaiono inquietanti certe analogie con i difensori dell’Euro a spada tratta, costi quel che costi. Inoltre, altra analogia (già richiamata in precedenza) con l’attuale scenario, per sostenere il rialzo della Lira si dovette ricorrere a politiche deflattive sui salari che tra il 1927 e il 1928, e senza soluzione di continuità sino ai primi anni 30′ subirono diminuzioni dal 10% al 20% a seconda delle categorie. Una scure calò sui salari degli operai che videro peggiorare le loro già miserevoli condizioni di vita.

Arriviamo così al 1930: la Lira è sempre arroccata a «quota 90» nei confronti della valuta inglese e la situazione continua a peggiorare, complice anche la Grande Depressione che porta i banchieri privati americani a richiedere indietro i milioni di dollari dati in prestito a comuni, enti e società italiane a partire dal 1925. A pagare il prezzo più alto è sempre la classe lavoratrice: i disoccupati aumentano di 140 mila unità rispetto all’anno precedente, i salari subiscono una stretta ulteriore (25% lavoratori agricoltura – 10% lavoratori industria – forti decurtazioni settore statale), tanto da divenire i più bassi dell’intero continente. Mentre la discesa dei prezzi non fu altrettanto ripida come quella dei salari. Tanto che il Corriere della Sera scriveva, «il salariato fa questo ragionamento molto semplice: se il costo della vita va giù del 5%, ed i miei salari van giù del 10%, chi gode della differenza?».

Oggi come allora: diminuzione dei salari, crollo della produzione, esponenziale aumento della disoccupazione, progressiva proletarizzazione degli strati sociali intermedi, forte crescita della povertà. Quelli appena citati sono gli effetti classici di un processo di aggancio a uno standard nominale forte. 

Lo scenario deprimente a cui assistiamo dall’ingresso nell’eurozona che è equivalso sostanzialmente ad un aggancio della Lira al Marco tedesco.

Alla luce di una siffatta situazione la domanda è: per quale motivo l’Italia dovrebbe restare nell’Euro? 

martedì 29 maggio 2018

Il tema della disciplina giuridica dei partiti politici -legge elettorale- sovranità popolare

Mario Zorzetto



Il tema della disciplina giuridica dei partiti politici venne affrontata dai Costituenti, già nella I sottocommissione, dove, il 20 novembre 1946, fu approvato un ordine del giorno proposto da Dossetti che faceva riferimento alla necessità di affermare il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici.

Costantino Mortati, nella seduta dell’Assemblea del 22 maggio 1947, propose, con il collega Ruggiero, un emendamento, poi respinto, che diceva: « Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale» (La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Camera dei deputati, III, Roma, 1970, p. 4159).


In quella stessa seduta Moro, intervenendo a favore dell’emendamento Mortati, sostenne la proposta di costituzionalizzare il vincolo democratico interno, sulla base della considerazione che «se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del Paese» (La Costituzione, cit., p. 4164). I Costituenti in conclusione erano d’accordo nel riconoscere il ruolo fondamentale dei partiti ma divisi sul fatto di sottoporli a regole e verifiche sulla loro vita interna dando così  legalità ai partiti “di forma padronale o oligarchica” e ad una concezione «privatistica» e «leaderista» del partito, sotto la guida di un segretario o capo politico e di una ristretta cerchia di “amici del capo”  che determinano   l’indirizzo politico del partito e la selezione degli iscritti .

Mentre centralità del Parlamento e sovranità della legge da esso approvata  si fondano sulla  piena attuazione del metodo democratico in Parlamento ai sensi art.67 Cost., i partiti disconoscono nella loro organizzazione gran parte del metodo stesso. E’ un paradosso che la proposta di legge del Coordinamento per la democrazia costituzionale vuole correggere declinando per i partiti  le regole  di appropriatezza  dell’organizzazione interna di  partito a  tale metodo

A convalidare la correttezza delle tesi di Dossetti, Mortati e Moro è stata la storia “politica” della Repubblica.   Infatti  le scelte delle elites di partito ebbero un peso determinante, in senso negativo, per la  nascita delle partitocrazie  dirette dai  leaders.  In esse viene annullata  la selezione democratica dal basso  dell’iscritto e sostituito tale  metodo con l’invito  diretto all’iscritto  a prestare loro il servizio  politico offerto.  Quindi, accantonato il consenso elettorale,  le elites hanno potuto darsi e  continuano a darsi la  sovranità di indicare la loro autogenerazione con liste bloccate di candidati nell’ordine elencato dalle stesse eliminando anche le pluri-preferenze godute dagli elettori e dalle elettrici della 1° repubblica.

A rendere evidenti  gli errori politici delle scelte di  quelle  elites di partito sono venuti gli innumerevoli casi di connivenza politica tra l’organizzazione politica e l’organizzazione economica della società,  l’apertura ai conflitti di interesse e a volte ai circuiti del malaffare: si rammenti il dilagare della corruzione nelle istituzioni, le tangentopoli di Craxi e compagni di merenda (giustificata  in Parlamento  con “così fan tutti”),  fermate temporaneamente da un plebeo di nome Antonio di Pietro ….e i discendenti politici del craxismo, Berlusconi e Dell’Utri fondatori  di macchine (forza italia, pdl, forza italia..)  di occupazione dei posti di potere. 

Anche se  il decaduto e scaduto  direttore di Repubblica, E. Scalfari, afferma che “è sempre stato così”… non dobbiamo né credergli né dargli ragione che la situazione è immutabile: l’imperatore romano aveva diritto di vita e di morte anche sui “ cives” e sui “senatores” e si credeva   di origine divina……ma la storia insegna che gli imperatori  vivevano poco e spesso finivano  morti ammazzati da cospiratori non divini e di stirpe plebea … se poi pensiamo ai Marat e Robespierre ne traiamo conforto. 

La storia insegna, contrariamente a quanto afferma Scalfari,  che democrazia è lotta contro le oligarchie politiche e le caste istituzionali nel nome della sovranità della legge rappresentativa del consenso popolare.
Il consenso popolare può legiferare quando è espresso ai sensi art.71 Cost. e la vita parlamentare repubblicana,  da cui dobbiamo trarre esempio,  insegna da sempre che il voto di un parlamentare pesa quanto il voto di un altro …anche se il votante ha ricevuto la carica di ministro, di presidente della repubblica o il premio Nobel.etc.
Nessuno vota sempre bene e tutti a turno sbagliano….. anche Napolitano quando ha votato la riforma costituzionale e, lo  vedremo presto,  a favore del rosatellum.

 La lacuna di democraticità interna ai partiti ha ricadute negative sul livello di democraticità generale della società con fenomeni di allontanamento degli elettori dalla partecipazione politica (calo vistoso di partecipazione negli eventi elettorali spesso accompagnato dal calo delle iscrizioni al partito), costruisce negli elettori  barriere psicologiche di ripudio a priori della politica e  favorisce la nascita dell’interesse per i  movimenti “populisti” di protesta (nazionale e internazionale, spesso accompagnato da eccessi di sovranismo e da  posizioni xenofobe) .

Nella politica interna la mancanza o i limiti di metodo democratico nei partiti produce  un  rischio di danno democratico per le istituzioni. Questi limiti, che si accompagnano con deficit di responsabilità politica,  diventano evidenti e clamorosi    nella legiferazione in materia elettorale quando i partiti, strutturati nella diseducazione e non rispetto del metodo democratico costituzionale, vengono in conflitto concependo le Assemblee parlamentari come posti di occupazione del potere e non come Assemblee dove esercitare il servizio nell’interesse della collettività e per il bene comune, cioè come rappresentanti della Nazione, art. 67, senza vincolo di mandato.

Essi operano invece nell’interesse prioritario del partito con cadute vistose di costituzionalità  (il “porcellum”  e “l’italicum”, incostituzionali (sentenza Corte Cost.1/2014 e 35/2017) e ancora lo stesso “rosatellum”), e del suo gruppo dirigente, anche a costo di convenire a rapporti, patti o contratti al limite della costituzionalità o incostituzionali e fonte di rischio del bilancio dello Stato.

Le istituzioni sono da anni sotto attacco eversivo di queste oligarchie incapaci di cambiamenti costituzionalmente corretti.

Il capitale finanziario impone il suo governo di rapina Mobilitazione operaia e popolare per far saltare il piano reazionario!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia


Da tre mesi siamo testimoni di una farsa indecente che ha messo in luce il livello di  decomposizione del sistema politico borghese. 
Con il veto posto dal democristiano Mattarella alla nomina di un ministro tiepidamente euroscettico la commedia si è trasformata nella più grave crisi politica e istituzionale dell’Italia repubblicana.
Chiaramente il problema non era il nome di Savona, ma la difesa a spada tratta dell’euro, degli interessi e degli enormi profitti dell’oligarchia finanziaria.
A questo scopo Mattarella chiama Cottarelli, un rappresentante della troika UE-BCE-FMI, per proseguire la macelleria sociale. Altro che difesa dei risparmi e dei mutui!
Il vergognoso colpo di forza accade mentre le ingerenze, le interferenze e le pressioni dei vandali del grande capitale e delle sue istituzioni si sono intensificate, attraverso il ricatto dello spread, del rating, le manovre dei lupi di borsa.
Non bastava un equivoco “contratto di governo” dal carattere antioperaio; non bastava una compagine di ministri pronti a difendere con qualche ipocrita distinguo i profitti, la NATO e la UE. Serviva un governo totalmente “amico dei mercati” perché il capitale monopolistico esige sempre di più e non tollera il minimo scostamento dalle politiche di austerità, neoliberiste e di guerra.
I fatti dimostrano che in un paese capitalista e imperialista come l’Italia non può essere formato un esecutivo contro la volontà dei gruppi dominanti del capitale finanziario che condizionano e determinano la sua designazione e composizione, controllano il suo operato, gli accordano o negano la fiducia ben prima del Parlamento.
Viene alla luce il vero carattere delle “libere” e “democratiche” elezioni borghesi con le quali il potere politico e i capitali rimangono sempre nelle mani di una minoranza di sfruttatori, mentre gli operai vengono torchiati e gettati nella miseria. La democrazia borghese esiste solo per i ricchi e i parassiti, è la loro dittatura!
Da parte loro i piccolo borghesi populisti hanno manifestato tutta la loro impotenza e il loro conservatorismo da servi ambiziosi del capitale. La richiesta di “impeachment” serve solo per gettare olio sulle onde mentre avanza la reazione e l’autoritarismo.
E’ l’intera classe dominante che deve essere messa politicamente sotto accusa dal proletariato per il continuo attentato al lavoro, ai diritti, alle libertà democratiche, alla pace e alla sovranità popolare.
Spetta alla classe operaia sollevare queste bandiere di lotta, senza lasciare spazi ai populisti e agli sciovinisti, alle destre razziste e fasciste, ma ritrovando fiducia nella propria forza.
Mobilitiamoci, protestiamo, scioperiamo e scendiamo in piazza in maniera indipendente, costruiamo nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nel territorio organi di fronte unico proletario, per la difesa intransigente dei nostri interessi e diritti, per aprire la via alla formazione di un Governo operaio, il solo che non si inchinerà ai diktat della oligarchia finanziaria e dei suoi agenti, i tecnocrati dell’UE, ma spezzerà il loro potere per emancipare i lavoratori dall’oppressione del capitale.
Chiamiamo i sinceri comunisti e gli operai coscienti e combattivi ad unirsi in un solo Partito comunista, contrapposto a tutti i partiti borghesi e piccolo borghesi per orientare e dirigere la lotta per una nuova società senza sfruttamento e parassitismo!

Noi non stiamo con Mattarella


Maurizio Acerbo, segretario nazionale Partito della Rifondazione Comunista, coordinamento nazionale di Potere al Popolo 




Noi non stiamo con #Mattarella. Non sta difendendo la Costituzione. Il pilota automatico sta distruggendo democrazia. Mattarella indifendibile 

Le scelte e le parole del Presidente della Repubblica suscitano rabbia e sconcerto. 

Il nostro giudizio negativo su Salvini e Di Maio non ci impedisce di condannare con nettezza la scelta del Presidente della Repubblica. 

Il comportamento di Mattarella ha le sembianze più di un golpe bianco che di una rigorosa difesa della Costituzione. 

Nella Costituzione è previsto il divieto di ricostituire il partito fascista non quello di mettere in discussione i trattati europei o la moneta unica.

La sovranità non appartiene agli "operatori economici o finanziari" e agli "investitori italiani e stranieri" citati da Mattarella.

Il comportamento del Presidente e il suo intervento così pesante sul terreno delle scelte politiche è per noi indifendibile.

Non ci stupisce che a sostegno di Mattarella si siano schierati immediatamente due improbabili campioni del costituzionalismo come Renzi e Berlusconi.

Questa operazione è la prosecuzione delle ingerenze dell'UE ed avevamo già da tempo profetizzato che Cottarelli onnipresente su giornali e tv sarebbe stato il nuovo Monti da imporre a colpi di spread.

Proprio perchè ci siamo sempre schierati in difesa della democrazia costituzionale non possiamo che dire NO a questa operazione e all'incarico a un uomo del Fondo Monetario Internazionale. 

Chi difende la Costituzione non può schierarsi per un'acritica difesa di Mattarella.

Rifiutiamo di dover scegliere tra la peste e il colera, tra Salvini e Di Maio da una parte e Renzi e Berlusconi dall'altra. 

Si tratta di due versioni diverse del neoliberismo. 

Ci schieriamo dalla parte della democrazia e della Costituzione come abbiamo sempre fatto. 

La classe dirigente di centrodestra e centrosinistra che ha condiviso le scelte strategiche dagli anni '90 é ormai delegittimata e trascina nel discredito le stesse istituzioni.

Il Presidente della Repubblica come il suo predecessore assume il ruolo di garante non della Costituzione ma di di uno stato permanente di eccezione.

La richiesta di impeachment non è fondata sul piano costituzionale e il comportamento di M5S e Lega, a partire dalla scelta di un premier inconsistente sul piano politico, ha contribuito a questo esito.

Certo Mattarella ha fatto un gran regalo a Salvini che può ergersi a 
difensore degli italiani e il M5S cerca di competere alzando il volume.

Da sempre denunciamo che il cosiddetto "pilota automatico" non è compatibile con la democrazia e che la mette in crisi sul piano formale e sostanziale. A cosa serve poter votare se le scelte di fondo sono già predeterminate? E come si può rafforzare il legame tra cittadine/i e istituzioni repubblicane se un rigore insensato riduce progressivamente diritti? 

Se Mattarella avesse detto no alla nomina di un demagogo razzista xenofobo come Salvini al ministero degli interni avremmo apprezzato. Ma il suo intervento in nome dell'ordine post-democratico nato a Maastricht nel 1992 non è condivisibile e accettabile. 

Lo ricordiamo come ministro della difesa ai tempi della guerra nella ex-Jugoslavia e ci è ben chiaro che  tende ad anteporre il quadro internazionale alla Costituzione.

Rivendichiamo con orgoglio il nostro voto da sempre contrario ai trattati europei e la nostra lotta per un'altra Europa non in nome del nazionalismo ma della democrazia e della difesa e dell'estensione dei diritti. 

Costruiamo uno schieramento di sinistra popolare antiliberista per l'attuazione della Costituzione e dunque contro i trattati europei e alternativo a tutti i poli esistenti. 

Né con Cottarelli né con Salvini. 

lunedì 28 maggio 2018

Domenica 27 maggio. Una giornata particolare fra Bella Ciao e barbarie

Luciano Granieri




Quella di domenica 27 maggio è stata una giornata surreale, dove  il contrasto fra rivoluzione e restaurazione ha raggiunto vette inaspettate. Si è dispiegato   il   conflitto  fra una  rivoluzione consapevole, quanto sognata , contro la peggiore restaurazione di uno  scenario politico ahimè più che reale. 

Gli iscritti all’Anpi di Frosinone, sono stati invitati   dalla cooperativa di produzione cinematografica “ Baburka Production” a partecipare, come comparse, al cortometraggio ideato e diretto dal regista Indiano, di origine libica,  Faraz Alam  . La storia (dal titolo  provvisorio between the line), è un affresco di liberazione. 

Librazione di una società prigioniera di   paure  indirizzate  contro  entità “diverse” aliene,   ossessionata da uno spirito individualistico misero, ripiegata su se stessa  per proteggere la propria solitudine indotta dall'irrilevanza sociale e dalla  propaganda razzista e fascista. A liberare questa comunità è proprio un soggetto “alieno” una bambina, povera, di colore, l’esatto contrario dell’uomo forte, bianco e ricco. Quell'immagine rassicurante dell'inflessibile comandante in capo   invocata da una moltitudine  prigioniera delle proprie paure. 

Proprio il coraggio di questa bambina nel  voler cambiare un  destino popolato di gente che la rifiuta, la scaccia, riesce a compiere il miracolo. Improvvisamente quella società chiusa capisce quanto sia asfittica un’esistenza  piena di sospetto,   diffidenza, verso ognuno che sia altro da se , e si apre gioiosamente a quella bambina, la accoglie, l’abbraccia.  

Scaglia una irrefrenabile gioia condivisa  contro ogni forma di discriminazione e fascismo. Il miracolo si compie in una piazza piena di militanti  in festa, che danzano, cantano Bella Ciao, pronti ad accogliere lo straniero, il diverso, non solo per etnia, ma per censo e orientamento sessuale. La rabbia di quella piazza è forte solo verso affissioni  di stampo fascista che invocano la purezza della razza, magnificano le doti del dittatore. 

Quei manifesti verranno strappati, ridotti a pezzettini per la gioia di tutti gli astanti  . Domenica mattina noi dell’Anpi  eravamo in Piazza Roma a Trivigliano  per  girare le scene di  questa festa,   insieme ad altri compagni, cittadini del Paese ,  ad Aisha la stupenda bambina che impersonava  “Bella” la protagonista del cortometraggio.  

Avremmo cantato Bella Ciao  centinaia  di volte, agitato bandiere rosse,  gettato rose rosse, esaltato la bellezza della libertà, quella vera,  fondata su democrazia e  partecipazione,  oltre che strappare i manifesti fascisti (parte integrante della scenografia) operazione nella quale mi sono distinto particolarmente. 

Mentre noi godevamo di questa giornata  straordinaria, che ci convinceva  ulteriormente sulla  necessità di lottare per un mondo, d’inclusione, condivisione, giustizia sociale, nelle stanze del Palazzo si consumava uno scontro fra barbarie. 

La barbarie di un esecutivo fondato sull’espulsione degli immigrati, sulla negazione dell’accoglienza, sull’incattivimento dei sistemi repressivi,  naufragava contro un’altra barbarie, quella ancora peggiore della voracità dei mercati, capaci di succhiare sangue e dignità  ad intere popolazioni  a fronte  di un ipertrofico arricchimento di pochi banchieri e lobbisti. Banchieri e lobbisti sono ormai i veri carnefici.  Agiscono esautorando le istituzioni democratiche, costringendole a sottomettersi ai propri diktat.  E’ stato  così che il Presidente della Repubblica, non ha potuto fare a meno    di silurare una proposta governativa  all’interno della quale figurava un ministro  non propriamente gradito alla comunità speculativo-finanziaria che ha nell’attuale UE  la propria mannaia esecutiva. 

Dunque un'ipotesi di governo fascista, razzista, reazionaria, è stata respinta da una dittatura altrettanto fascista, razzista e reazionaria, incarnata dalla sottomissione istituzionale agli squali della speculazione finanziaria. Al di la del giudizio sull’esecutivo proposto dalla compagine Pentaleghista , il messaggio inviato da Mattarella è chiaro. L’espressione popolare non conta nulla e viene rispettata solo se certifica la propria sottomissioni ai giochi speculativi delle banche d’affari.  

Dunque non c’è alternativa? Dobbiamo rassegnarci,  o ad un nazional-fascismo di nuovo conio, o alla dittatura del mercato?  Non necessariamente.  Una risposta di speranza  è venuta proprio da quella piazza di Trivigliano, da una comunità che accoglieva e festeggiava a braccia aperte Bella, una bimba, povera e di colore. Gente festante intonava Bella Ciao, emblema   della lotta partigiana di “Liberazione” . Militanti dell’Anpi, persone  comuni, cittadini di Trivigliano, bambini, donne, anziani, uomini, tutti uniti nell’esprimere la gioia di essere liberi da ogni pregiudizio, razzista e discriminatorio. 

Si stava girando un film è vero ma noi, tutti noi  che eravamo li, ai valori della giustizia sociale, dell’accoglienza, dell’antifascismo crediamo veramente. E allora  fra il nuovo nazional-fascismo, e  l’oppressione dell’ultraliberismo  imposto dalla  UE,  scegliamo la piazza di Trivigliano. Facciamo in modo di trasportare le scene di quel film nella realtà, di coinvolgere quelli come noi, e sono tanti, che hanno dimenticato l’ebrezza di certe sensazioni sopraffatti dal nichilismo,  dal disincanto e dalla delusione. Il miracolo è possibile, basta guardare a Bella, e ad Aisha la straordinaria bambina che l’ha fatta vivere nel film.