Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 14 agosto 2015

Dopo un anno non è cambiato nulla. Buon Ferragosto

Luciano Granieri

Come il rifiuto del neoliberalismo ha salvato l’economia della Bolivia

Federico Fuentes

La piccola nazione andina della Bolivia ha ricevuto lodi da molti   grazie alla sua trasformazione politica che ha sperimentato   nello  scorso decennio.
La curiosità per questa conversione da paese con una difficile situazione economica a economia che cresce con maggior rapidità in tutta la regione, è stata enfatizzata dal fatto che si è verificata con il presidente di sinistra Evo Morales. Comprendere il modo in cui il governo di Morales ha ottenuto questa trasformazione è di grande interesse per coloro che cercano un’alternativa al neoliberalismo tormentato dalla crisi.
Prima dell’elezione di Morales avvenuta nel dicembre 2005, i boliviani avevano sopportato 20 anni di neoliberalismo. Una serie di governi di destra avevano privatizzato le compagnie di proprietà statale e  avevano trasferito il controllo di pezzi dello stato a istituzioni finanziarie.
Quando le entrate pubbliche si sono ridotte, il paese è entrato in un circolo vizioso di deficit e di debito. Ogni nuovo bilancio richiedeva ulteriori prestiti internazionali che erano sempre accompagnati da maggiori condizioni restrittive. I prestiti e gli aiuti internazionali hanno finito per coprire circa metà degli investimenti pubblici della Bolivia.
Tuttavia, da quando hanno eletto il loro primo presidente indio in una nazione con una maggioranza di popoli indigeni che precedentemente venivano esclusi, i boliviani hanno sperimentato tassi di crescita economica maggiori che in qualsiasi periodo compreso negli ultimi 35 anni.
Contemporaneamente, la disuguaglianza è stata molto ridotta e il debito pubblico è stato portato sotto controllo. Questi successi sono il risultato della strategia totale del governo di focalizzarsi sul recupero della sovranità sull’economia e sullo stato.
Nazionalizzazioni
Quando Morales prestò giuramento nel gennaio del 2006, disse: “Dopo aver sentito i rapporti avuti dalle commissioni di transizione, ho visto come lo stato non controlla lo stato e le sue istituzioni. C’è una dipendenza totale.”
Ha descritto la Bolivia come “una nazione transnazionalizzata” e ho trovato che, con il pretesto della “capitalizzazione” – un eufemismo usato al posto di privatizzazione – “il paese è stato decapitalizzato”.
Morales ha detto, perciò, che la Bolivia aveva bisogno di “nazionalizzare le nostre risorse naturali e di mettere in atto un nuovo modello economico”.
Questo nuovo modello, noto come “Nuovo modello economico, sociale, comunitario e produttivo”, ha cercato di ridurre il neoliberalismo:
° Riaffermando la sovranità dello stato sull’economia, particolarmente sulle risorse minerarie della Bolivia;
° Abbandonando la tradizionale posizione della Bolivia come paese esportatore di materie prime industrializzando queste risorse;
° Promuovendo i settori produttivi come la produzione e l’agricoltura;
° Redistribuendo la ricchezza del paese per contrastare la povertà;
° Rafforzando la capacità di organizzazione della classe operaia e delle forze dei campesinos (i contadini) come i due pilastri essenziali della transizione al socialismo in Bolivia.
Secondo il ministro dell’economia Luis Arce Catacora, questo modello economico poggia su due pilastri: i settori strategici, come gli idrocarburi e l’attività mineraria     che producono  rendite   e i settori produttivi, come quello manifatturiero,  il turismo, il settore immobiliare  e l’agricoltura che generano profitti e posti di lavoro.
Per infrangere la dipendenza dell’economia dalle esportazioni delle materie prime, il governo ha usato le rendite prodotte nel settore strategico per industrializzare le risorse naturali e promuovere i settori produttivi, mettendo in risalto le imprese collettive, cooperative e a base famigliare.
Un punto programmatico fondamentale del nuovo modello economico è stata la nazionalizzazione del settore degli idrocarburi. Prima della nazionalizzazione, il capitale transnazionale rivendicava l’82% della ricchezza generata dai diritti sul gas. Nel nuovo sistema, lo stato si tiene circa l’80% della rendita del gas. Questo significa che l’ammontare totale del reddito del gas ricevuto dal governo boliviano durante i primi sei anni di Morales era circa sette volte più grande di quello ottenuto durante i cinque anni precedenti.
La raccolta di entrate è stabilito che aumenti ulteriormente, dato che la Bolivia comincia a esportare gas trasformato che ha un valore aggiunto, come risultato del suo programma di industrializzazione.
Il governo di Morales ha anche realizzato le nazionalizzazioni in altri settori strategici come l’attività mineraria, le telecomunicazioni e l’elettricità. Prese nel loro complesso, queste nazionalizzazioni hanno messo in grado lo stato di diventare il maggior protagonista nell’economia.
Al contrario del capitale transnazionale, la cui sola motivazione è il profitto, lo stato ha diretto le sue attività economiche ad assicurare ai boliviani di avere maggiore accesso ai servizi essenziali.
Nei primi 5 anni del governo Morales, il numero di famiglie che hanno l’allacciamento alla rete del gas è salito all’83%.  La percentuale di famiglie con accesso all’elettricità è aumentato dal  20% al 50%, e il numero di comuni con copertura di telecomunicazioni è salita da 110 a 324 su 339.
I boliviani hanno anche beneficiato di un incremento di spesa per la sanità e per l’istruzione, dell’introduzione di benefici per la sicura    sociale, di aumenti di salari e di controllo sui prezzi degli alimenti di base.
Queste politiche a favore dei poveri hanno contribuito a condurre a  un aumento improvviso della domanda interna. Questa è stata la vera forza che ha spinto alla spettacolare crescita economica della Bolivia. La domanda esterna – colpita dalla crisi economica globale – ha avuto un impatto negativo sulla crescita, ma la domanda interna è cresciuta a una media del 5,2% all’anno tra il 2006 e il 2012.
Anche la redistribuzione dei fondi da parte dello stato ha contribuito ad alimentare un    aumento del numero delle imprese registrate – da meno di 20.000 nel 2005 a più di 96.000 a metà del 2013. Questo a sua volta ha creato posti di lavoro, provocando una grossa diminuzione della disoccupazione.
Per aiutare a favorire il settore “comunitario” (gestito collettivamente), il governo ha fatto sperimentazioni con piccole imprese di proprietà statale per la produzione di  cibo confezionato, con l’oro e con la produzione di cartone.  Il piano è di trasferire queste compagnie alle comunità locali perché le gestiscano.
Inoltre, più di 20 milioni di ettari di terra sono stati trasferiti alle comunità di campesinos come proprietà comunitaria o sono stati messi sotto il controllo diretto dei proprietari indigeni della terra. Piccoli produttori agricoli ora hanno un accesso preferenziale alle attrezzature, forniture, prestiti senza alcun interesse, e mercati sovvenzionati   dallo stato.
Rifondare lo stato
Questi avanzamenti in campo economico sono stati accompagnati da cambiamenti nel settore politico allo scopo di responsabilizzare le classi indigene e popolari della Bolivia.
Il governo di Morales continua a funzionare nella sua struttura di cultura capitalista e di relazioni sociali profondmente radicate. E’ stato però in grado di usare le maggiori entrate provenienti dalla nazionalizzazione del gas per rompere la sua dipendenza dai finanziamenti internazionali e per iniziare a “nazionalizzare” lo stato.
Dato che le tasse  e le royalty   raccolte dallo stato che erano il  28% del PIL nel 2004  sono arrivate al 45% nel 2010, il debito pubblico è crollato dal 90% del PIL nel 2003 al 31,5% nel 2012.
Questa forte posizione economica ha permesso al governo di   dettare  la sua propria politica interna ed estera, libero da imposizioni decise dalle istituzioni finanziarie internazionali.
Oggi non sono i funzionari degli Stati Uniti o del Fondo Monetario Internazionale che sviluppano le politiche governative; sono invece i movimenti sociali della Bolivia che ricoprono questo ruolo. Per facilitare questo processo, nel 2007 il governo ha iniziato la Coalizione Nazionale per il Cambiamento (CONALCAM).
Il CONALCAM mette insieme le principali organizzazioni indigene e  popolari della Bolivia con rappresentanti statali per coordinare e discutere le strategie.
Quando i dibattiti tra il governo e la sua base sociale si sono trasferiti sulle strade, il governo ha cercato il dialogo e il consenso. Ha ceduto dove era necessario, ma ha sempre tentato di continuare a portare avanti il processo.
Il passo più importante fatto dal governo di Morales nella sfera politica è stato di indire un’Assemblea Costituente eletta. Stabilita per riscrivere la costituzione della Bolivia, lo scopo dell’Assemblea era di creare un nuovo stato “plurinazionale” che ha finalmente riconosciuto le “nazioni” indigene precedentemente escluse e ha fornito loro una struttura legale per aiutarle a portare avanti le loro richieste.
Le tradizionali élite della Bolivia hanno cercato di bloccare i cambiamenti spinti dall’Assemblea Costituente. La loro opposizione alla minaccia ai loro interessi da una nuova costituzione ha innescato il loro tentativo di colpo di stato senza successo del settembre 2008. La profonda natura della mobilitazione di classe in questo periodo, unita all’abilità del governo di Morales di espandere e unire la sua base di supporto tra le classi  indigene di lavoratori, i militari e a livello internazionale, è stato il fattore chiave nella sua capacità di sopprimere la rivolta della destra.
Malgrado alcune importanti debolezze, la versione finale della costituzione approvata alla fine del 2008 è generalmente considerata come una conquista importante  dei movimenti sociali. Soddisfa tre richieste fondamentali del movimento sociale: il pluri-nazionalismo, l’autonomia indigena e il controllo popolare sulle risorse naturali.
La nuova costituzione ha facilitato il processo di “decolonizzazione” dello stato. Per esempio, ha preparato la strada per le prime elezioni popolari per eleggere le autorità giudiziarie.
Dopo le elezioni dell’ottobre 2010, un numero record di donne (il 50%) e di indigeni (il 40%) sono arrivati a frotte nella magistratura  l’accesso alla quale in precedenza era ristretto a coloro che avevano legami con i tradizionali partiti dominanti della vecchia élite.
‘Governare obbedendo’
Il governo di Morales ha dimostrato che è possibile un’alternativa al neoliberalismo. Al centro di questa c’è stato il recupero del controllo popolare sullo stato e l’economia. I risultati sono evidenti.  Nessuno di questi è stato facile: il governo ha dovuto fronteggiare  una rivolta della destra che minacciava di diventare un colpo di stato militare. Ha dovuto anche fronteggiare un apparato statale capitalista che aveva ereditato e che è in gran parte  sprovveduto  per attuare riforme progressiste.
Infine ha affrontato proteste da parte dei suoi sostenitori che si sono mobilitati per    le  speciali  richieste dei loro settori.
Malgrado questo, dopo 10 anni, il governo di Morales continua ad avere il sostegno della maggior parte dei boliviani. Questo è stato possibile perché la maggioranza è d’accordo con la strategia e perché Morales è restato fedele alla sua parola di “governare obbedendo” al popolo.
Coloro che cercano di apprendere lezioni dall’esempio della Bolivia dovrebbero anche imparare da questo tipo di approccio al modo di governare.

giovedì 13 agosto 2015

Io salvo le terme romane. Un cartello vi seppellirà

Luciano Granieri



La lotta per la salvaguardia delle Terme Romane dall’asfaltatura degli Unni costruttori - che ha visto un primo round vinto da questi ultimi spalleggiati dal sindaco Ottaviani- si è giocata e si sta giocando sull’esibizioni di cartelli.  Durante il consiglio comunale indetto per approvare i programmi urbanistici utili alla concessione del titolo edilizio agli Unni costruttori, che proveranno  a seppellire sotto 35.000 metri cubi di cemento i reperti archeologici delle terme romane,  furono sequestrati i cartelli di protesta ai cittadini che stavano contestando i provvedimenti. Per contro, una volta che la delibera asfaltatrice fu approvata, altri cartelli furono esibiti con fare denigratorio verso l’uditorio, dal sindaco e dalla giunta gongolante di aver confezionato il bel regalo agli Unni di cui sopra. Dentro il consiglio comunale la legge non è uguale per tutti. Ma fuori dalle stanze del potere c’è un mondo. Un mondo di cittadini frusinati consapevoli che il patrimonio archeologico va salvaguardato e sottratto alla logica devastatrice della speculazione. Quel mondo è armato di cartelli che mostrano la determinata volontà di salvare le terme romane. Manifesti che nessuno potrà mai sequestrare e che finiranno per seppellire coloro i quali vogliono seppellire. Un grazie di cuore a Serena Vona che ha lanciato l’idea di farsi fotografare esibendo il cartello “Io  salvo le terme romane” La speculazione edilizia ha vinto solo il primo round, ma sappiano i contraenti del patto feroce  ordito per distruggere il patrimonio archeologico delle terme, che quel mondo di persone esiste. Guerrieri  armati semplicemente di cartello, che faranno  del tutto, dopo aver perso la prima battaglia, per vincere la guerra.

video a cura di Luciano Granieri.

mercoledì 12 agosto 2015

Esami diagnostici a babbo, mamma, figlia e tutta la famiglia morti.

Simona Grossi  Coord. Prov. Della sanità

La cura Zingaretti-Mastrobuono condivisa e difesa dai vari Buschini, Bianchi e Fardelli per rendere efficiente e funzionale l’organizzazione sanitaria di questa provincia ha dato risultati ottimi, tutti i cittadini sono contenti e i tempi di attesa non ci sono più.
Sono rimasta sconcertata questa mattina, allo sportello del cup, dove mi sono recata per prenotare delle visite di controllo, sono stata invasa dalla rabbia e dalla protesta.
Infatti una mammografia bilaterale la potrò fare a Ferentino soltanto il 10\08\2016, perché mi hanno detto che Alatri è chiuso. Guarda caso mi seguiva da tempo il responsabile del reparto radiologico dello stesso  sopracitato ospedale.
L’altro esame (ecocardiogramma), mi è stato prenotato in data 06\04\2016. Alla faccia della prevenzione e dell’efficienza.
Ma i nostri sindaci, i nostri parlamentari, il presidente della provincia, i nostri consiglieri regionali e provinciali, e i loro rispettivi familiari, parenti stretti ed affini, seguono gli stessi tempi di attesa quando hanno bisogno di cure? oppure con una semplice telefonata risolvono il problema? E quando hanno bisogno di interventi chirurgici, come spesso si è verificato e continuamente si verifica, perché si rivolgono alle strutture private eccellenti e non seguono l’iter dei comuni cittadini inserendosi nelle liste di attesa delle strutture sanitarie pubbliche?
Lo sanno che questo comportamento danneggia fortemente la sanità pubblica, perché è un segno evidente di sfiducia e una grande mortificazione per gli operatori sanitari tutti.
A questo è servito l’accordo tra Federlazio e Asl per la riduzione dei tempi di attesa?

Regno Unito, storia di foto e parole negate.

Hamdi abu Rahma


La prima Nazione a non  rilasciarmi   un visto d’ingresso nel loro paese  a causa del sostegno all’occupazione israeliana al mio paese la Palestina. Hamdi abu Rahma, la tua richiesta di visto per l’ingresso nel Regno Unito è stata rifiutata!.  Dopo oltre tre mesi trascorsi ad organizzare e pianificare il mio viaggio nel Regno Unito allo scopo d i tenere una serie di conferenze in Inghilterra e Scozia e partecipare all’edizione annuale del Fringe Festival di Edinburgo, la mia richiesta di visto è stata respinta. Uno dei più importanti festival d’arte mi aveva invitato ad esporre le mie foto che illustrano la resistenza non violenta, e a descrivere  la vita in Palestina ad un uditorio britannico. Il governo del  Regno Uniti, ha rifiutato di concedermi un visto oggi  e la ragione del rifiuto è stata che io non sarei stato in grado di fornire un conto corrente bancario o altra documentazione a dimostrazione della mia capacità economica di sostenere il viaggio e la permanenza.  Nonostante l’invio della documentazione inerente alle sponsorizzazioni che avrebbero finanziato il mio viaggio, con la specifica della copertura di tutte le spese inerenti a  spostamenti e alloggio la domanda di visto è stata rigettata. Ho viaggiato molto con lo scopo di raccontare la storia della Palestina attraverso le mie foto e il Regno Unito è stato il primo Paese che ha bloccato il mio ingresso per motivi assurdi ed infondati. Ma noi conosciamo bene le ragioni di questo rifiuto. Il Regno Unito conosce  molto bene l’oggetto delle mie conferenze. Non vado nel loro paese per chiedere asilo o chiedere l’elemosina all’angolo della strade. Vado nel Regno Unito per educare il popolo britannico e porre alcune domande. Avete mai chiesto ad Israele perché commettono omicidi e uccidono donne bambini e uomini innocenti in Palestina? Sapete perché Israele occupa illegalmente le terre palestinesi e distrugge le nostre case?  Perché consentono ai coloni di profanare illegalmente le nostre case contro ogni legge internazionale?  L’autorità per il rilascio dei visto, non ha trovato alcuna prova di reati penali da me commessi  per motivare il loro rifiuto a rilasciare il permesso, solo la mancanza di dettagli finanziari che pure sono stati forniti. Un altro atto di ingiustizia contro il Popolo Palestinese e contro la nostra causa. Sono profondamente deluso di non aver potuto raggiungere il Regno Unito questa volta, ma vorrei ringraziare i miei amici nel Paese britannico per il loro supporto e per essersi offerti di ospitarmi nelle loro case. Sono notevolmente triste per questo rifiuto e per la perdita della meravigliosa opportunità di vistare il Regno Unito. Il mio ringraziamento più grande va a Phil Chetwind del Fringe Festival per il grande impegno che ha profuso per  organizzare questo viaggio e a tutte le persone che hanno contribuito economicamente alla realizzazione della mostra. Il mio sincero grazie agli scozzesi  per il loro amore e sostegno alla causa palestinese.

Questa non è la fine.

Traduzione e fotoclip  a cura di  Luciano Granieri

martedì 11 agosto 2015

Dichiarazione politica dei Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti d’America


Nonostante la crisi economica internazionale scoppiata nel 2007 stia lasciando il posto a una certa ripresa dell'economia nelle grandi potenze, principalmente negli USA, ancora si sentono i suoi colpi di coda: la disoccupazione di  milioni di lavoratori in tutti i paesi; i tagli alle spese per l’educazione, la salute e la previdenza sociale; la diminuzione delle pensioni e l'innalzamento dell’età pensionabile; gli attentati ai diritti sindacali e sociali, la flessibilità lavorativa, la precarizzazione; la crescita del debito pubblico nella gran maggioranza dei paesi. Tutto ciò conferma che i monopoli internazionali, la finanza mondiale, le potenze imperialista, le classi dominanti di tutti i paesi continuano a gettare il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori e dei popoli.
Il rallentamento dell'economia della Cina, dell’India, della Turchia e di altre economie dei cosiddetti paesi emergenti, la recessione in diversi paesi dell'Unione Europea, la crescita smisurata del debito pubblico, lo sviluppo incontenibile della corsa al riarmo, i conflitti politici e militari scatenati dai paesi imperialisti, si collocano alle soglie dell’arrivo di una nuova crisi economica.
Gli ultimi avvenimenti della Grecia esprimono chiaramente l'avidità e l’arroganza dei paesi imperialisti dell'Unione Europea per imporre nuove misure restrittive dell'economia e dei diritti dei lavoratori, nuovi debiti per pagare quelli precedenti. In tal modo, assicurano i superprofitti delle banche e affermano, in maniera prepotente e sfacciata, il dominio del capitale e la subordinazione dei paesi dipendenti. La lotta della classe operaia, della gioventù e del popolo di Grecia, nonostante le sue dimensioni massive e la sua persistenza, a causa della mancanza di una corretta guida rivoluzionaria non è riuscita, finora, a fermare il saccheggio degli imperialisti e tanto meno a soddisfare le sue grandi necessità ed aspirazioni. L'elezione di un governo che si è presentato come difensore degli interessi dei lavoratori e del popolo, della sovranità nazionale, il referendum che ha proclamato la non sottomissione ai disegni della Troika non sono stati sufficienti per conquistare un'uscita dalla crisi a beneficio delle masse; si dimostra, un volta di più, che la via delle riforme, nonostante le intenzioni e la disposizione alla lotta delle masse, non porta nemmeno al superamento della crisi e che la liberazione della classe operaia dev’essere opera della stessa classe operaia, e che perciò è indispensabile l'esistenza e la forza del Partito rivoluzionario del proletariato.
II
In America Latina si sono conclusi gli anni di prosperità iniziati nel 2003-2004; le risorse provenienti degli elevati prezzi delle materie prime, del petrolio e dei minerali hanno determinato una crescita economica di tutti i paesi, ma di ciò non hanno beneficiato le masse lavoratrici e nemmeno lo sviluppo dell'economia nazionale; esse sono state usate per avviare un processo di modernizzazione del capitalismo, per ribadire la dipendenza, affermare la dominazione e lo sfruttamento capitalistico. La corruzione è dilagata in questo contesto, trasformandosi in espressione generalizzata nell'amministrazione pubblica. Buona parte di tali risorse sono finite in spese di lusso e inutili.
L'abnorme crescita del debito pubblico, l'apprezzamento del dollaro, le svalutazioni monetarie, la diminuzione dei prezzi del petrolio e delle altre risorse naturali, delle materie prime e dei prodotti agricoli e zootecnici, stanno provocando una netta decelerazione del PIL, così come la diminuzione degli investimenti sociali. In Brasile e in Argentina è tornata di nuovo la crisi e colpisce le masse lavoratrici che sono gettate nella disoccupazione, costrette a sopportare l’aumento del costo della vita, i giovani che non riescono a trovare un lavoro.
Tutti i popoli dell'America Latina sono minacciati dall’esplosione di una crisi economica che colpirà le masse lavoratrici, i popoli, ma che incontrerà nuovi livelli di resistenza della classe operaia.
L'America Latina è attualmente lo scenario di un'intensa disputa interimperialista. Mentre gli USA cercano mantenere il loro dominio e l’egemonia sulla regione, i paesi imperialisti dell'Unione Europea, altre potenze imperialiste come la Cina e la Russia, incrementano i loro prestiti ed investimenti, insediano imprese e banche e concretizzano accordi multilaterali coi diversi governi.
In tale contesto sottolineiamo l’incremento dei grandi investimenti cinesi, e i debiti verso questo paese, in Brasile, Argentina, Venezuela, Nicaragua, Perù ed Ecuador, così come le azioni e le misure promosse dall'OCSE, dai BRICS e dalla NATO che rendono complesso il panorama economico e politico della regione.
III
Dal Rio Grande alla Patagonia le classi lavoratrici, i popoli nativi e la gioventù esprimono il loro dissenso con la protesta e le azioni contro il capitale e l'imperialismo, in opposizione ai tagli dei diritti sociali e sindacali, alla criminalizzazione della lotta sociale e alla repressione. Grandi mobilitazioni e scioperi si sviluppano in tutti i paesi, evidenziando la decisione delle masse lavoratrici di iscrivere le loro lotte in ampi processi unitari e indirizzarle nel processo di liberazione.
La lotta di classe si esprime anche nelle viscere dei paesi imperialisti, negli USA e in Canada, dove i lavoratori, gli afroamericani e i migranti combattono per i loro diritti civili e sociali, affrontano le politiche antipopolari e xenofobe dell'amministrazione Obama.
La risposta di massa alla crisi capitalista, ai fallimenti e all’incapacità che costantemente manifestano l'imperialismo e dei governi dell'America Latina, continua a segnare l'acuto confronto politico che oggi si vive nei nostri paesi. Le politiche che oggi applicano i governi dell'America Latina, seguendo gli indirizzi dell'imperialismo nordamericano e di entità come il FMI e la Banca Mondiale, sono insopportabili per la classe operaia, i lavoratori in generale e i popoli.
L’opposizione cresce e le azioni di lotta si generalizzano rifiutando il pesante fardello costituito dalla disoccupazione, dalla precarietà e dal crescente lavoro nero, dalle pesanti tasse, dal debito esterno, dall’elevato deficit fiscale e dal permanente disconoscimento dei diritti sociali e politici delle masse lavoratrici.
In questa prospettiva l’ascesa della lotta sociale, che si esprime oggi in differenti forme, negli scioperi, nelle proteste e nelle mobilitazioni, continuerà a svilupparsi come risposta all’approfondimento della dipendenza dei nostri paesi nei confronti dell’imperialismo, alla dominazione e allo sfruttamento dei capitalisti, alla crescita della povertà e della disuguaglianza sociale, alla cancellazione dei diritti sociali e delle libertà pubbliche.
IV
Gli avvenimenti dimostrano che i governi apertamente conservatori, come quelli del Messico, della Colombia e del Perù, e i cosiddetti governi alternativi o del "socialismo del XXI secolo", sono interessati a mantenere la proprietà privata dei mezzi di produzione, il potere dei monopoli, così come la difesa degli attuali sistemi politici antidemocratici che favoriscono la dipendenza, perpetuano le disuguaglianze sociali e restringono i diritti politici dei lavoratori e dei popoli.
Il fallimento dei cosiddetti governi progressisti o alternativi, che si sono oggi trasformati in amministratori della crisi, sostenitori e rappresentanti di settori borghesi in ascesa, dei monopoli internazionali e di differenti paesi imperialisti, mette chiaramente in luce che la liberazione dei lavoratori e la vera indipendenza non possono venire da una frazione delle classi dominanti, non saranno il risultato di "nuove" teorie e proposte politiche esibite dai rinnegati del socialismo; al contrario,  affermiamo che la liberazione degli operai e dei popoli dev’essere opera di loro stessi ed una responsabilità ineludibile dei partiti rivoluzionari del proletariato fedeli al marxismo-leninismo.
V
Nei nostri paesi si sviluppano importanti azioni, alle quali esprimiamo e manteniamo il più deciso appoggio.
In Messico, l'impulso dello Sciopero Politico Generale e il consolidamento del Fronte Unico per sviluppare la lotta dalla classe operaia e dei popoli, contro la politica pro-imperialista di Enrique Peña Nieto, per un Governo Rivoluzionario Provvisorio che renda possibile la convocazione di una Assemblea Nazionale Costituente e con ciò una Nuova Costituzione Politica, sono fatti propri da importanti settori sociali della città e della campagna.
In Perù, le azioni che si susseguono contro il governo di Ollanta Humala, il quale insiste nel criminalizzare la lotta popolare reprimendo e limitando al massimo i diritti delle organizzazioni della classe operaia, dei contadini e degli studenti, esprimono l’ascesa della lotta delle masse. Appoggiamo le azioni contro il saccheggio imperialista, le concessioni minerarie ed il super-sfruttamento dei lavoratori della città e della campagna, la costruzione del Fronte Popolare proposto dai rivoluzionari proletari come risposta alla svendita vorace delle risorse naturali e della sovranità, alla fascistizzazione e al deterioramento delle condizioni di vita del popolo peruviano.
In Uruguay, si assiste a un'importante rianimazione del movimento popolare in risposta alle misure  antipopolari prese dal terzo governo del Fronte Ampio, capeggiato da Tabaré Vázquez. La spinta verso modelli salariali che tendono alla riduzione del salario reale, il rifiuto di soddisfare la storica rivendicazioni del 6% del PIL per l'educazione pubblica, la politica di impunità per i crimini di lesa umanità compiuti durante la dittatura fascista, la rivelazione dei negoziati per entrare nel TISA (Accordo per il commercio dei servizi) che pone in pericolo la sovranità sui servizi pubblici, ed i progetti di riforma del sistema educativo e sanitario che favoriscono principalmente le imprese private, sono alcune delle politiche che il popolo affronta nelle strade e che meritano il nostro pieno sostegno.
Nella Repubblica Dominicana la sinistra e i settori democratici e progressisti, profondamente inseriti nella lotta sociale per i diritti sindacali e politici, preparano una campagna politica nella quale cercano di consolidare la loro unità in un progetto di convergenza che si imponga come alternativa politica di fronte al continuismo ri-elezionista del governo neoliberista di Danilo Medina.
In Ecuador crescono il dissenso e gli slogan contro Correa, il movimento popolare si salda in un ampio fronte sociale e politico ed assume il protagonismo nella lotta contro l'autoritarismo e la prepotenza del regime correista, mentre distingue nettamente le sue posizioni dall'opposizione borghese che tenta di presentarsi come alternativa nel post-correismo. Lo sviluppo della lotta sociale si generalizza, e si esprimerà nei prossimi giorni in un grande Sciopero nazionale per rigettare le politiche antipopolari del governo e affermare il cammino indipendente del popolo per i suoi diritti e la conquista di un nuovo domani.
Gli attacchi ai diritti dei lavoratori si susseguono in Brasile a causa della politica di alleanze col grande capitale e i monopoli. Il governo di Dilma Rousseff promuove un gigantesco assestamento fiscale e i suoi risultati sono l’arretramento dei diritti storici dei lavoratori e i tagli agli investimenti nelle aree sociali. Approfittando della perdita di popolarità del governo, un'opposizione rappresentata dall’estrema destra cerca di guadagnare forza e di presentarsi come il nuovo, ma in realtà rappresenta un progetto ancora più aggressivo di eliminazione dei diritti dei lavoratori che iniziò negli anni ’90 nel paese, ed è altrettanto coinvolta in casi di corruzione. Di fronte a questa situazione, la sinistra coerente e rivoluzionaria cresce e cerca di stringere alleanze con gli altri settori popolari, seguendo la linea dell’accumulazione delle forze attraverso la creazione di una grande fronte popolare che permetta ai lavoratori e al popolo di affrontare la grande borghesia e i latifondisti, e di conquistare il potere politico nel paese.
Respingiamo frontalmente la politica interventista dell'imperialismo nordamericano in collusione con l'oligarchia e la destra venezuelane per destabilizzare il governo di Maduro e approfittare a suo beneficio della crisi economica, per ritornare al passato. L'ingerenza imperialista attizza i conflitti territoriali con Colombia e Guyana con il proposito di accerchiare il Venezuela e sollevare la reazione.
Chiamiamo i rivoluzionari e i democratici del Venezuela, di Colombia e di Guyana a non lasciarsi manipolare, a unire le forze per lottare contro gli sfruttatori in ogni paese, percorrendo la via dell’unità dei popoli in lotta contro il nemico comune di tutta l'umanità.
In questi  momenti è chiara l'esistenza di un ampio ed acuto scenario di conflitto sociale e politico, nel quale appoggiamo le iniziative di unità popolare come base per portare avanti la lotta per il completo rivolgimento democratico, per la sconfitta della reazione e del riformismo, così da avanzare lungo il sentiero della rivoluzione e del socialismo, unica opzione per affrontare con successo le difficoltà create dall’offensiva imperialista, dal sabotaggio borghese e dalle concezioni socialdemocratiche.
Appoggiamo in Colombia la lotta del popolo e dei lavoratori per la pace con la giustizia sociale, respingiamo la pace come eliminazione dell’avversario, la pax romana promossa dal governo di Juan Manuel Santos, e in generale tutta la politica che cerca la resa del movimento popolare. Ci uniamo alla protesta popolare che rivendica una vera apertura democratica e con essa riforme democratiche che sbarrino le porte alla fascistizzazione, al neoliberismo e alla svendita del paese ai grandi investitori e monopoli stranieri. Ci uniamo alla proposta di dialogo nazionale senza condizioni e con piene garanzie in cui i partiti politici, le organizzazioni guerrigliere, le organizzazioni sociali e comunitarie e in generale l'insieme dei colombiani discuta le vere cause, le dimensioni e le alternative di soluzione al conflitto economico, sociale, politico ed armato che vive il paese da decenni. Appoggiamo la proposta di un’Assemblea Nazionale Costituente di carattere democratico e popolare, così come la lotta che in generale sviluppano i lavoratori e il popolo colombiano per la conquista da un governo democratico e popolare.
Negli USA la classe operaia sta lottando per migliorare le sue condizioni di vita ed i diritti sindacali, incluso il diritto di organizzazione e di sciopero, in opposizione alle privatizzazioni delle poste, dell'educazione, della sanità e al taglio delle spese sociali. Evidenziamo le lotte contro la brutalità e la repressione che colpiscono particolarmente i giovani afroamericani e latini, gli statunitensi poveri. I lavoratori ed i popoli degli Stati Uniti sviluppano importanti mobilitazioni contro la guerra imperialista e le sue conseguenze.
VI
I nostri Partiti e Organizzazioni, riaffermando la loro adesione ai principi rivoluzionari del marxismo-leninismo, proclamano la loro convinzione di proseguire la battaglia per organizzare e fare la rivoluzione, per l'instaurazione del potere popolare e la costruzione del socialismo.
 
Ci uniamo alle differenti lotte che si registrano nel continente, esprimiamo il nostro abbraccio solidale a tutte le organizzazioni impegnate con il cambiamento chiamandole a rafforzare i legami unitari avanzando nella formazione di una grande fronte di lotta contro l'imperialismo e la reazione nei nostri paesi e su scala internazionale.

PARTITO COMUNISTA RIVOLUZIONARIO - BRASILE
PARTITO COMUNISTA DI COLOMBIA (MARXISTA-LENINISTA)
PARTITO COMUNISTA MARXISTA-LENINISTA DELL'ECUADOR
PARTITO DEI COMUNISTI DEGLI STATI UNITI
PARTITO COMUNISTA DEL MESSICO (MARXISTA-LENINISTA)
PARTITO COMUNISTA PERUVIANO (MARXISTA-LENINISTA)
PARTITO COMUNISTA DEL LAVORO DELLA REPUBBLICA DOMINICANA
ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA 28 FEBBRAIO DI URUGUAY
PARTITO COMUNISTA MARXISTA-LENINISTA DEL VENEZUELA
Quito, luglio 2015
 

lunedì 10 agosto 2015

Jazz Band di Anton Giulio Bragaglia

Luciano Granieri


L’articolo  che segue  probabilmente  non sarà gradito all’intellighenzia frusinate e neanche  a buona parte della cittadinanza, ma ritengo vada svelato un aspetto non proprio  edificante di un mostro sacro della nostra storia culturale e creativa. 

Mi riferisco ad Anton Giulio Bragaglia, spregiudicato e poliedrico fotograto,  regista di teatro e cinema, scrittore e giornalista. Come è noto soprattutto in  città, l’illustre nostro concittadino ( nacque a Frosinone l’11 febbraio del 1890), fu uno dei primi adepti del movimento futurista, archeologo, ma soprattutto culture dell’immagine, o meglio della combinazioni di  immagini con giochi di luce, e colori ,  fu un pioniere della fotodinamica. Fu anche instancabile “agitatore culturale” animatore di discussioni sull’arte e   sulla politica. Direttore di riviste, fondò il “Teatro degli Indipendenti” nel 1923. Teatro sperimentale, ma anche sede di spettacolini più leggeri con l’esibizione di ballerine. avanspettacolo bello e buono, a cui assistevano in incognito, re, ministri, principi e ambasciatori Diresse in alcune   piece teatrali attrici importanti  del calibro di Anna Magnani. La storia di Anton Giulio Bragaglia, insomma è nota a quasi tutti i ciociari e non sto qui a ripeterla. Bragaglia si è occupato di tutto lo scibile culturale, ma avrebbe fatto meglio a tralasciare la musica jazz. 

Nel 1929 infatti il regista  si cimentò nella redazione di una storia del jazz in Italia. In quell’anno, a sua firma,  per le edizioni Corbaccio, uscì “Jazz Band” il titolo potrebbe indurre il lettore a credere che la pubblicazione fosse di esaltazione  della musica jazz, in realtà li libro, smaccatamente reazionario e razzista, è fortemente  denigratorio verso  questa espressione musicale.

 In verità  la musica di cui Bragaglia si occupa non è jazz ,  quello, per intenderci,  diretta emanazione di New Orleans e di New York, ma è ciò    che si ascoltava nei night club più esclusivi , il Casanova, il Quirinetta, l’Hagy.  All’epoca il jazz era solo musica da ballo, tutte le orchestre, e furono molte, che approdarono in Europa  dagli Stati Uniti e quello che si formarono in Italia, con valenti musicisti, accompagnavano spettacoli di ballerini di colore.  Era considerato jazz  quello dell’orchestra commerciale di Paul Whiteman  uno dei tanti a cui fu attribuita la paternità dal jazz.  Bix Beiderbecke, Joe Venuti, Eddie Lang,  Jimmy e Tommy Dorsey, e tutti gli altri improvvisatori di New York  erano artisti sconosciuti ai più, anche per la mancanza di incisioni che arrivarono in Italia a partire dal 1926. 

Solo i  musicisti italiani delle orchestre ingaggiate nei grandi transatlantici come il Conte Grande o il Conte Biancamano che giungevano a New York da Genova, poterono conoscere i jazzisti americani e portare in Italia i loro dischi. Piero Rizza, Carlo Benzi, Potito Simone e tanti altri straordinari jazz man italiani  grazie alle  traversate su queste grandi navi poterono conoscere e divulgare il jazz improvvisato.



 All’epoca del libro di Bragaglia è possibile che i jazzisti improvvisatori, non avessero mai messo piede  e suonato  nei locali descritti  dal regista. Nel 1928  furoreggiava in Europa e in Italia  il mito di Josephine Baker, icona indigesta al regime e quindi da distruggere.

Ma leggiamo qualche passo di “jazz club
Nel capitolo Prodezze del Jazz  Bragaglia scrive:
Musica ammattita e gambe storte, suoni fischianti, arrugginiti, urli di sirene e crepitare di motori, rauchi e assordanti, cui corrisponde la frenesia  di un gestire corbellone e minchionato, avventuroso e truffaldino.

E ancora nel capitolo Danze del Tempo Fascista si legge:
Le pose dello snobismo  anglo-sassone, l’americanismo e le diavolerie dei negri, con il pariginismo  tradizionale, tengono tutt’ora il campo con le orchestre pazze. Nel tempo fascista,  di conseguenza, la degenerazione che offusca ancora una volta il pregio estetico e pedagogico della danza, non poteva essere tollerata. Ed oggi, invocando danze all’italiana, sottinteso sarà che i piedi si muovono in modo urbano, con eleganza e signorilità senza imbestialirsi in nessun modo, neanche imitando le bestie.

Il  capitolo Negrerie è uno dei più odiosi  e razzisti, scrive  Bragaglia:
Dovrebbe esistere anche un “genio negro” (…), Ma questa è una grave panzana, imperdonabile e odiosa. Come uomini , ci sia rispetto umano fra tutti, ma poi che debbano venire i negri a insegnarci cosa è arte o magari semplicemente cosa si deve fare come divertimento , questa è difficilmente accettata, se non già unanimemente respinta e deprecata. I sollazzi, i giochi e trattenimenti nostrani debbono respirare ben più alto. E nel music-hall, nel caffè-concerto, nel teatro d’attrazione o varietà, nei circhi  e nelle rappresentazioni di ogni sorta , la negreria va respinta in nome del buon senso per lo meno. Le solite Black-Follies ci ammorbano  le sale da spettacoli ci avviliscono senza parere nell’atmosfera isteropilettoide  che vengono a costruire, con i modi selvaggi prevalenti. E’ ora di piantarla colla pretesa  di raddrizzare le gambe ai cani, cani-danzatori in ispecie; e in particolare di colore nero….


Al netto del giudizio artistico che è patrimonio soggettivo di ognuno, l’acrimonia con cui Bragaglia inserisce la questione razziale in una trattazione di valutazione artistica  è sconcertante. In realtà, come suggerisce  lo storico del jazz italiano  Adriano Mazzoletti, le ragioni che spinsero Bragaglia a scrivere un libro denigratorio del jazz furono tutte orientate alla carriera politica. Grazia a questo libro il partito fascista iniziò a considerare politicametne  Anton Giulio Bragaglia.  Poco tempo dopo l’uscita di jazz club, il regista scrittore frusinate entrò a far parte del Consiglio Nazionale (segretario  del Comitato Nazionale  sceno-tecnici in seno alla Confederazione  fascista professionisti e tecnici). In seguito il partito fascista gli avrebbe affidato la direzione del nuovo teatro della Arti, creato a Roma nel palazzo della Confederazione stessa. 

Sicuramente Anton Giulio Bragaglia è stato un grande artista, ma denigrare in senso reazionario e razzista una espressione musicale e artistica per meri motivi di promozione politica è francamente squallido.  Per cui , nonostante l’indignazione  che quanto sto ’ per scrivere susciterà presso gli studenti del Liceo Artistico di Frosinone, istituto a intitolato a Bragaglia, ritengo che un personaggio tale, fascista fino alle midolla e in mala fede, non possa dare il nome ad una scuola dalla storia così importante per la nostra città.  Personalmente avrei evitato, come hanno fatto gli studenti dell’artistico di difendere  così a spada tratta colui che da il nome alla loro scuola. Va bene il giudizio artistico ma esiste anche una eredità storica e morale da rispettare.

domenica 9 agosto 2015

Grecia: un dibattito strategico nella sinistra

Eduardo Almeida
Kouvelakis, della sinistra di Syriza

La vittoria elettorale di Syriza e l’accordo fatto dal governo Tsipras con l’Unione europea hanno fatto sorgere una discussione strategica nella sinistra a livello mondiale. Si tratta di una riproposizione del vecchio dibattito tra riformisti e rivoluzionari in pieno XXI secolo.  Ora, dopo l’accordo Unione europea-governo, la polemica si riapre con l’enorme vantaggio della pratica politica come criterio di verità.
Le conclusioni sul governo Tsipras non servono solo per la Grecia, ma anche per altri Paesi con partiti riformisti simili a Syriza come Podemos in Spagna, il Bloco de esquerda in Portogallo, l’Npa in Francia o il Psol in Brasile.
Una parte interessante di questa discussione è rappresentata dall’eccellente dibattito tra Stathis Kouvelakis (della Piattaforma di sinistra di Syriza) e Alex Callinicus (dirigente del Swp della Gran Bretagna).

Un accordo fondamentale
Cominciamo da un punto di accordo fondamentale con Kouvelakis. Egli fa una valutazione assolutamente corretta dell’errore strategico del governo Syriza. Citiamo:
“Credo che quello che sta succedendo in Grecia è il fallimento di una strategia politica, e quando diciamo che una strategia politica fallisce completamente, significa che alla fine della storia ci ritroviamo solamente con opzioni pessime o disastrose… Questa strategia si appoggiava su due pilastri. Da un lato, si basava su una dissociazione della questione del debito dalla questione dell’austerità. Non è necessario dire che, come molti settori della sinistra radicale dentro e fuori Syriza avevano preannunciato, questa strategia si è dimostrata completamente irrealistica e irralizzabile.
Per quanto riguarda il debito, era chiaro che i creditori non avrebbero accettato alcuna discussione, né tantomeno un accenno della parola ‘cancellazione’. Al massimo avrebbero discusso una ristrutturazione che non avrebbe implicato nessuna soluzione reale, poiché attenuerebbe solamente il peso del debito. Per quanto riguarda la messa in piedi di misure anti-austerità del programma di Tessalonica, che si supponeva dovesse essere attuata in ogni caso, si è dimostrata completamente illusoria… i settori dominanti hanno reagito in maniera immediata e brutale, nella forma più violenta che avevano a portata di mano, utilizzando l’arma del denaro, la liquidità monetaria.
Questa ideologia, che attualmente è condivisa dalla maggioranza delle forze della sinistra radicale europea (se mi permettete, la “sinistra europeista”), è la radice del problema. E la sconfitta che stiamo scontando in Grecia ha a che fare con il fallimento di questa strategia”. (Dibattito Kouvalakis-Callinicos – "Verso dove va la Grecia?")
In un altro articolo, Kouvelakis aggiunge:
“Così per questa gente la scelta è tra due cose: o essere ‘europeo’ e accettare il quadro esistente, che in qualche modo rappresenta un passo in avanti rispetto alla vecchia realtà degli Stati-nazione, o essere anti-europeo’ che è uguale a tornare al nazionalismo, un movimento reazionario e regressivo. Questa è un modo molto debole con cui si legittima l’Unione europea: ‘Può non essere ideale, però è meglio di qualsiasi altra opzione sul tavolo’.
Penso che in questo caso possiamo vedere chiaramente qual è la ideologia che si mette in gioco. Nonostante non stiano nel progetto e abbiano seri dubbi circa l’orientamento neoliberale e la struttura gerarchica delle istituzioni europee, ad ogni modo si legano a queste coordinate e non possono immaginare niente di meglio al di fuori di questo quadro.
Credo che questo dica molto sulla sinistra di oggi. La sinistra è piena di gente che ha buone intenzioni, che però sono totalmente impotenti sul terreno della politica reale. Però dice molto anche sul tipo di devastazione mentale che causa un qualche tipo di credenza religiosa nell’europeismo. Questo significa che, fino alla fine, questa gente ha creduto di poter ottenere qualcosa dalla troika, ha pensato che tra i “soci” avrebbero potuto ottenere un qualche tipo di compromesso, che condividevano un qualche nucleo di valori come il rispetto e il mandato democratico, o la possibilità di una discussione razionale basata su argomenti economici”. ("Grecia: la lotta continua”, Sebastian Budgen e Stathis Kouvelakis, 15 luglio 2015).
Citiamo ampliamente Kouvelakis perché si tratta di una discussione strategica, una delle più importanti conclusioni dell’episodio greco. Egli sostiene due conclusioni categoriche con le quali concordiamo completamente.
La prima è che non si può pensare a piani economici all’interno dell’eurozona che non siano piani di austerità. Detto in altra maniera, non si può accettare di essere parte dell’Unione europea, e la conseguente sottomissione all’imperialismo tedesco e francese, e sognare che questi governi accettino un tipo di piani che non siano di austerità. Questi piani garantiscono i guadagni delle banche imperialiste e non possono essere messi in questioni senza una rottura con il proprio imperialismo e l’Unione europea.
La seconda conclusione è che l’ideologia di adattazione all’Unione europea di tutta la “sinistra europeista” è alla radice di questa strategia fallita. Questa visione per cui l’Unione europea è “progressiva” e che può essere “riformata” nei suoi aspetti negativi si scontra apertamente con la realtà. L’Unione europea nasce da un trattato che impone agli altri Paesi europei la dominazione degli imperialismi tedesco e francese.
Non c’è modo di riformare l’Unione europea, così come non c’è modo di riformare lo Stato borghese. È necessario distruggere la dominazione imperialista rompendo con l’Unione europea e la zona euro. Questo non ha nulla a che vedere con un nazionalismo retrogrado, ma con la necessità di una lotta antimperialista. Lasciare questa bandiera nelle mani dell’estrema destra ha come conseguenza la preparazione di nuovi disastri.
La “tragedia greca” ravviva l’importanza di questo dibattito con il complesso della sinistra europea. Secondo Kouvelakis, questa strategia è fallita completamente. Siamo completamente d’accordo. 
Egli potrebbe aggiungere che, oltre alla mancanza di una strategia antimperialista, è mancata anche una posizione direttamente anticapitalista del governo Tsipras in Grecia. Per esempio, è stato un errore non avanzare verso l’espropriazione di settori imprenditoriali come le banche.
Ma analizziamo l’accordo che abbiamo con Kouvelakis, che è molto più importante. Kouvelakis, tuttavia, non trae le conclusioni evidenti da questa affermazione per il resto d’Europa. Fare affermazioni simili dovrebbe condurre a rifiutare anche la piattaforma elettorale di Podemos, che promette di migliorare la situazione del popolo spagnolo senza rompere con l’euro, esattamente come Syriza. Tutta la crescita elettorale di Podemos è stata largamente legata alle aspettative generate da Syriza in Grecia. Ora è tempo di dirlo chiaramente: non si possono ripetere in Spagna gli stessi errori strategici di Syriza. Questo significa dotarsi veramente di un piano anticapitalista in Spagna, di rottura con l’euro e per non pagare il debito alle banche imperialiste. E basta applicare questa stessa conclusione anche alla realtà portoghese per mettere in discussione i piani del Bloco de Izquierda, quasi una replica di quelli di Syriza.
Se analizziamo la situazione attuale dell’imperialismo, giungeremo facilmente alla conclusione che la riproduzione degli stessi piani neoliberali in tutto il mondo non è altro che l’espressione della sottomissione di questi Paesi al capitale finanziario internazionale. Questo impone gli stessi limiti ai progetti riformisti in tutto il mondo.
Il Psol in Brasile punta alla stessa strategia di Syriza. Luciana Genro (della stessa corrente interna del Psol di Pedro Fuentes, il Mes), candidata alla presidenza per questo partito nelle passate elezioni, ha sostenuto esplicitamente due mesi fa, in un dibattito con José Maria de Almeida (Pstu), al II Congresso della Csp-Conlutas, la necessità di ripetere in Brasile l’esperienza di Syriza in Grecia.
Forse Kouvelakis non si è reso conto della gravità della sua conclusione: l’esperienza greca dimostra che la strategia fondamentale dei nuovi partiti riformisti si è rivelata fallimentare. La piattaforma elettorale di base di questi partiti include piani di crescita e di redistribuzione delle rendite senza smettere di pagare i debiti pubblici e senza rompere con la dominazione imperialista. Tra l'altro spesso non possono nemmeno contare su di un periodo di crescita economica come quello che ha avuto il Pt in Brasile. Si limitano pertanto a gestire direttamente la crisi capitalista. Si tratta di un piano tanto illusorio come quello di Syriza in Grecia, un riformismo senza riforme.

Che tipo di “accordo” è stato fatto?
Abbiamo un altro punto d’accordo fondamentale con Kouvelakis: l’“accordo” imposto è stato il più duro accettato dalla Grecia, e ha generato il peggiore piano di austerità applicato in quel Paese. Citiamo:
“L’accordo è, a tutti i livelli, una continuazione completa della ‘terapia d’urto’ applicata consistentemente in Grecia negli ultimi cinque anni. Va anche più in là di tutto quello che era stato votato fino ad ora. Include un pacchetto di austerità che veniva presentato dalla Troika da mesi, con grandi avanzi primari, aumentando le entrate dell’Iva e le imposte eccezionali che sono state create in questi ultimi anni, più tagli alle pensioni e ai salari del settore pubblico, dato che la riforma della scala retributiva implicherà tagli ai salari.
Ci sono anche cambiamenti istituzionali importanti, con gli ingressi finanziari che si rendono completamente autonomi dal controllo politico nazionale, trasformandosi di fatto in uno strumento nelle mani della Troika, e la creazione di un altro consiglio ‘indipendente’ che monitora la politica fiscale, con il potere di introdurre automaticamente tagli orizzontali se gli obiettivi in termini di avanzo primario non vengono raggiunti.
Ciò che è stato aggiunto, e che dà un sapore particolarmente feroce a questo accordo, è questo: in primo luogo conferma enfaticamente che il Fmi è qui per rimanere; in secondo luogo, le istituzioni della Troika saranno permanentemente presenti ad Atene. Terzo, si è impedito che Syriza implementasse due dei suoi più grandi obiettivi, come ristabilire la legislazione lavorativa (ci sono alcuni riferimenti vaghi ad una migliore pratica europea, però è esplicito che il governo non può tornare alla legislazione passata) e, naturalmente, questo è vero anche in relazione al salario minino.
Il programma di privatizzazioni raggiunge un livello incredibile (stiamo parlando di circa 50 miliardi di privatizzazioni) così che tutti i beni pubblici saranno venduti. Non solo, ma saranno anche trasferiti ad una istituzione completamente indipendente dalla Grecia. Si è detto che una parte starà in Lussemburgo (adesso avrà la sede ad Atene) ma sarà completamente spogliata di qualsiasi forma di controllo politico. Questo è tipico del processo Treuhan che ha privatizzato tutti i beni pubblici in Germania dell’est.” ("Grecia: la lotta continua", Sebastian Budgen e Stathis Kouvelakis, 15 luglio 2015)
In sostanza il piano include tagli ai redditi dei lavoratori (in particolare per l’aumento delle tasse), attacchi alle pensioni (l’età passa sa 62 a 67 anni), privatizzerà praticamente tutto quello che rimaneva delle imprese statali (incluso il porto del Pireo), e consegna le statistiche e il controllo del deficit pubblico nelle mani della Troika.

C’è stato o no un tradimento Grecia?
Tenendo presente questi due accordi fondamentali con Kouvelakis, passiamo alle polemiche.
Nel testo citato, Kouvelakis nega che ci sia stato un "tradimento" in Grecia: “In ogni modo, la nozione di ‘tradimento’ significa solitamente che in qualche momento si prende la decisione cosciente di rinnegare i propri impegni. Ciò che penso sia successo realmente è che Tsipras pensava onestamente di potere uscire vincente portando avanti un approccio incentrato sui negoziati e la buona volontà, e per questo dice costantemente che non c’era un piano alternativo.”
Pedro Fuentes sostiene incondizionatamente questa posizione, citando anche lo stesso Kouvelakis: “In questo stesso articolo Kouvelakis dice che, per questa continuità nella linea di negoziato di Tsipras, pensa che la parola ‘tradimento’ sia inappropriata.” (citiamo dall'articolo: "Note sul memorandum imposto dalla Troika e la situazione di Syriza").
Noi, al contrario, affermiamo che c’è stato un tradimento in Grecia. Un tradimento che sarà ricordato per molti anni.
Non siamo per niente d’accordo con quelle sette che vivono accusando costantemente tutti di “tradimento”. La volgarizzazione di questo termine annulla la gerarchia dei veri tradimenti. Si tratta dello stesso errore di quelli che chiamano “fascisti” tutti i governi autoritari, ignorando la precisa caratterizzazione del fascismo come processo politico e sociale che utilizza metodi di guerra civile contro la classe operaia e la mobilitazione della piccola borghesia impoverita come base sociale.
Possiamo parlare di "tradimenti", secondo un criterio marxista, quando un partito o un movimento appoggiato dalla classe operaia si allea con la borghesia e attacca duramente i lavoratori ignorando gli espliciti compromessi precedenti, con effetti duraturi e gravi. Stiamo parlando di episodi storici, come l’appoggio della socialdemocrazia europea alle sue borghesie nella Prima guerra mondiale, la burocratizzazione dello Stato operaio russo da parte della burocrazia stalinista, l’adesione del Poum spagnolo al Fronte popolare nel 1936 e altri episodi dello stesso calibro.
Fatta questa premessa, quello che è successo in Grecia è stato un tradimento. Il governo Syriza è stato eletto sulla base di una piattaforma contraria ai piani di austerità. A causa delle pressioni dei governi imperialisti, ha convocato un referendum che ha detto NO al piano proposto dall’Unione europea. Poco dopo ha accettato un piano di austerità anche peggiore di quello che era stato respinto dalle masse popolari greche nelle elezioni e nel referendum.
Si tratta di un’azione oggettiva assolutamente contraria e opposta a quello che era stato promesso e alla volontà delle masse popolari greche. Kouvelakis e Pedro Fuentes, per sfuggire a questa ovvia contraddizione, fanno appello a una definizione soggettiva di tradimento: “Una decisione cosciente di rinnegare i propri impegni”. Kovelakis dice che Tsipras “pensava onestamente che avrebbe potuto uscire vincente portando avanti un approccio incentrato sui negoziati e la buona volontà”. Quindi, secondo loro, non c’è stato tradimento perché Tsipras non voleva tradire. Con questa prospettiva soggettiva si passa a un errore opposto a quello delle sette che vedono “tradimenti” dappertutto. Secondo Kouvelakis e Pedro Fuentes non c’è nessun tradimento se colui che tradisce non vuole tradire coscientemente.
Con questo tipo di approccio, si lascia completamente da parte qualsiasi valutazione non solo marxista e di classe, ma anche qualsiasi analisi oggettiva, passando a giudicare le intenzioni soggettive. Passiamo dal terreno della lotta di classe a una improvvisazione empirica e superficiale di psicologia.
Stalin aveva già, da quando era ancora bolscevico nella Rivoluzione russa del 1917, l’intenzione di comandare la controrivoluzione burocratica? I dirigenti della socialdemocrazia tedesca, quando ancora erano il riferimento per tutta la sinistra rivoluzionaria agli inizi del XX secolo, avevano già l’intenzione di appoggiare la carneficina della Prima guerra mondiale? 
Se il piano di austerità concordato tra il governo greco e l’Unione europea non fosse un tradimento, sarebbe difficile definire cosa sia.
Non è corretto nemmeno l’atteggiamento di una parte dei sostenitori di Syriza che ignorano la responsabilità del governo Tsipras con l’argomento che “non aveva alternative”. Come non aveva alternative? Questo è lo stesso argomento che usavano i precedenti governi di destra per accettare i piani di austerità.
Nel medesimo senso, quello cioè di tentare di discolpare il governo Tsipras, va l’atteggiamento delle direzioni di Podemos, Bloco de Esquerda e Psol di sostenere che “il principale nemico della Grecia è l’autoritarismo del governo tedesco”. In realtà, il governo Tsipras è il principale punto di appoggio per l’implementazione del piano di austerità dell’imperialismo.  

Syriza è o non è un partito riformista?
Secondo Kouvelakis e Pedro Fuentes Syriza non è un partito riformista. Dice Kouvelakis: “(...) vedo il riformismo come un tipo di progetto politico coerente che cerca di migliorare le condizioni della classe lavoratrice, e ottenere benefici materiali per questa classe nei limiti del sistema capitalista. È un tipo di compromesso con il capitalismo che è parzialmente, ma concretamente, favorevole alla classe lavoratrice. È un progetto che ha funzionato per anni in Europa e in molti altri luoghi. Chiaro, con i suoi propri limiti strutturali: non può andare oltre il capitalismo. Si tratta del riformismo storico. Syriza non ha lo stesso tipo di coesione. Può piacere o no, però l’identità di Syriza è anticapitalista. È un partito che cerca di distruggere il capitalismo attraverso la transizione al socialismo, definendo socialismo come la socializzazione dei mezzi di produzione.” (“Grecia: la lotta continua”, Sebastian Budgen e Stathis Kouvelakis, 15 luglio 2015).
Per contestare la caratterizzazione di Syriza come riformista, Kouvelakis argomenta che il Pasok (socialdemocratico e notoriamente riformista) fece riforme reali, che furono rivendicate dal popolo greco. E che Syriza non sarebbe questo, ma “un partito anticapitalista”.
Non siamo d’accordo con Kouvelakis nel caratterizzare il riformismo della socialdemocrazia del passato come progressivo. Il riformismo ha utilizzato tutte le conquiste parziali dei lavoratori per deviare i processi rivoluzionari. In seguito, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, è stato l’agente diretto dei governi nell’implementazione dei piani neoliberisti che ritirarono quegli stessi diritti. Il riformismo è stato e continua ad essere un pilastro della dominazione borghese tra i lavoratori. Tuttavia, questa non è la differenza maggiore che abbiamo con Kouvelakis in questo campo. La più importante è che egli non caratterizza Syriza come riformista.
È vero che tra Syriza e il vecchio riformismo della socialdemocrazia e dello stalinismo esistono enormi differenze. Cominciando dal fatto che il vecchio riformismo aveva legami organici con il movimento operaio (sindacali e politici) molto più solidi che Syriza. Tanto i partiti socialdemocratici come quelli stalinisti europei dirigevano centrali sindacali importanti, e avevano solide basi politiche ed elettorali di decine di anni nel proletariato. Per arrivare a mettere queste radici, ci furono momenti in cui questi partiti conquistarono riforme per i lavoratori appoggiandosi a situazioni come quella del secondo dopoguerra (il cosiddetto Stato sociale).
Al contrario, Syriza y Podemos (e, a un livello molto minore, il Bloco de Esquerda, l’NPA e il Psol in Brasile) sono fenomeni elettorali, con un radicamento sociale e politico molto più fragile tra i lavoratori. Oltre a questo, devono affrontare un momento differente del capitalismo, con crisi economiche che non danno spazio per riforme né per concessioni ai lavoratori.
Queste differenze rendono molto più fragili questi nuovi partiti riformisti. Il tempo dell’esprienza delle masse con loro è molto minore che col vecchio riformismo. Ma questo non cambia il carattere riformista di questi nuovi partiti. Le loro piattaforme elettorali sono riformiste, per questo propongono piani economici che non siano di “austerità” senza rompere con l’imperialismo.
Questi nuovi partiti riformisti hanno anche avuto una evoluzione nel tempo. Quando nacquero le loro prime versioni, come Rifondazione comunista in Italia, l’Npa (Nuovo partito anticapitalista) in Francia e il Bloco de Esquerda in Portogallo, si definivano come “anticapitalisti”. In quel momento, questa era già l’espressione di una svolta a destra, nella misura in cui alcune di queste organizzazioni avevano origini trotskiste (in particolare nel cosiddetto Segretariato unificato della Quarta Internazionale). Tuttavia, dopo i primi fallimenti di queste esperienze, i partiti riformisti sorti successivamente (come Syriza e Podemos) non si definiscono più nemmeno come “anticapitalisti”. Affermare che Syriza è “anticapitalista” è quasi una calunnia contro Tsipras che in ogni momento ha evitato chiaramente di confondersi con qualsiasi progetto antimperialista e anticapitalista. Il nome “Syriza” (che in greco vuol dire “sinistra radicale”) è tanto illusorio quanto lo era il “socialista” della socialdemocrazia o il “comunista” degli stalinisti.

Che bilancio fare?
L’ala sinistra di Syriza (della quale Kouvelakis è uno dei principali esponenti) ha partecipato al governo Tsipras. Pedro Fuentes, prima dell’elezione di questo governo, aveva sostenuto la possibilità di partecipare a un governo di questo tipo.
E ora che bilancio ne fanno?
Secondo Pedro Fuentes, l’appoggio al governo Syriza è stato assolutamente corretto: “Questo non significa credere che ci sbagliavamo nella nostra politica di appoggio a Syriza. Al contrario, ne siamo orgogliosi. I gruppi di ultrasinistra che, da adesso e per diverso tempo, ripeteranno con una certa allegria ‘Visto? Abbiamo avuto ragione’, e continueranno dicendo che Syriza ‘non è rivoluzionaria come noi’, siano chi siano, non hanno nessuna ragione e nessun futuro, come afferma nella sua ultima ed eccellente nota Statis Kouvelakis. Senza Syriza al governo non ci sarebbe stata nessuna disputa, non ci sarebbe stata nessuna possibilità, questa era e continua ad essere ‘l’unica’ scommessa possibile, perché esprimeva il livello di coscienza e il grado di organizzazione delle masse in questo periodo storico.”
Kouvelakis e Pedro Fuentes riaffermano che avevano ragione su questo. L’argomento fondamentale, secondo Pedro, è che “questa era l’unica” (e continua ad esserlo) “scommessa possibile”, perché esprimeva “il livello di coscienza e il grado di organizzazione delle masse in questo periodo storico”.
Cioè, quello che giustifica l'appoggio e la partecipazione al governo di Syriza è che quest’ultimo aveva il sostegno popolare. Nulla di nuovo. Questo è l’argomento di tutte le correnti che si sono adattate ai governi borghesi diretti da partiti riformisti (come il Pt in Brasile) o nazionalisti borghesi (come quello di Chavez in Venezuela).
Noi partiamo da una valutazione marxista, di classe. Non è casuale che né Kouvelakis né Pedro parlino del carattere di classe del governo Tsipras. Tuttavia, il marxismo (la “teoria” tanto negata da queste correnti) comincia la sua valutazione della realtà esattamente dalla valutazione delle classi sociali.
Nella polemica precedente con Pedro, abbiamo detto che un probabile governo Syriza non si sarebbe potuto interpretare come “la sinistra anticapitalista al potere”. Arrivare al governo con un partito riformista attraverso le elezioni e prendere il potere sono cose molto diverse. Lo Stato borghese con le sue istituzioni fondamentali (incluse le forze armate) sarebbero preservate (nel primo caso). Un governo diretto da un partito riformista, col mantenimento dello Stato borghese, è un governo borghese.
La discussione precedente era sulla partecipazione o meno a un governo borghese. Pedro Fuentes cercò di giustificare la sua posizione dicendo che un possibile governo si sarebbe potuto inquadrare “come un governo anti-austerità” nei criteri dei “governi operai” definiti dalla III Internazionale, ai quali poteva paragonarsi.
Oggi, basta rileggere l’articolo di Pedro per provare la distanza tra le sue previsioni e la realtà del governo Syriza. In realtà, egli compie un funambolismo teorico (molto comune in questa corrente) per tentare di giustificare l’ingiustificabile: far parte di un governo borghese. Kouvelakis si rifiuta di entrare in questa discussione, dicendo cose come: “Credo che anche se in questa situazione sono in ballo temi teorici molto più generali, dovremmo iniziare con l’analisi concreta della situazione concreta.”
Pedro Fuentes e la sua corrente (il Mes) hanno commesso questo stesso errore diverse volte. Per esempio, hanno appoggiato il governo di Chavez in Venezuela e arrivarono anche a concordare con il suo appello alla costruzione di una “V Internazionale”: “(...) Chavez ha fatto una proposta che, a nostro modo di vedere, è progressiva di fronte al vuoto internazionale esistente; un avanzamento che potrebbe trasformarsi in un salto per creare una nuova alternativa alla situazione attuale di crisi capitalista che stiamo vivendo, per dare una risposta alla politica imperialista. La risposta del Psol a questo appello, come quella di tutti coloro che si definiscono antimperialisti e socialisti, come già hanno fatto altre forze socialiste come l’Npa francese, deve essere affermativa e quindi diciamo ‘presenti’: siamo e saremo qui perché vogliamo partecipare alla costruzione di questo processo che sta appena cominciando e che ha come prossima scadenza fissata la riunione di fine aprile a Caracas” (“L’appello di Chávez a formare una V Internazionale e l’attuale situazione mondiale”, dicembre 2009).
Leggendo queste affermazioni e guardando la situazione attuale del governo Maduro si può sentire una distanza tanto abissale come tra la definizione di Pedro su un futuro governo Syriza ("governo operaio utilizzando i criteri della III Internazionale") e la realtà dell’accordo Tsipras-Unione europea.
Da parte nostra, non si tratta di una posizione settaria o dogmatica. Solo la riaffermazione del marxismo come strumento scientifico di interpretazione della realtà in quanto basato sulla valutazione delle classi sociali in lotta. Caratterizziamo l’attuale governo greco come borghese perché non si può definire il carattere di classe di un governo per l’origine di classe di chi lo dirige. Non si poteva caratterizzare il governo Lula in Brasile come “operaio” per l’origine sociale di Lula. Quello che è fondamentale è caratterizzare il governo secondo la classe sociale alla quale risponde.
Il governo borghese di Tsipras ha finito per adeguarsi alla imposizione dell’imperialismo tedesco perché, in quanto governo borghese, non è disposto a rompere con il capitalismo. Per questo si è adeguato alla realtà attuale dell’imperialismo.
Una ulteriore dimostrazione che il governo Syriza si è integrato nella dominazione imperialista è stato il recente accordo militare (26/7) firmato da Grecia e Israele che assicura esercitazioni militari congiunte tra le loro forze armate e protezione legale ai militari di entrambi i Paesi. Israele ha un accordo simile con il suo grande alleato, l’imperialismo statunitense. Con il governo Syriza, la Grecia non solo continua ad essere parte dell’Unione europea ed applica un piano di austerità, ma rimane anche nella Nato (l’alleanza militare imperialista guidata dall’imperialismo statunitense) e firma un accordo diretto con il governo fascista di Israele.
L’ala sinistra di Syriza ha partecipato a un governo borghese, che non era certamente un governo “anti-austerità” come tentava di sostenere Pedro Fuentes. Questo governo ha compiuto un tradimento del popolo greco. Però il bilancio che fa la sinistra di Syriza è che la sua politica è stata “corretta” e Pedro Fuentes arriva a dire che è orgoglioso di questa politica.
L’argomento è ancora più fuori luogo nella realtà greca. Incolpare il livello di coscienza delle masse greche per quello che è successo è un’assurdità. Contro una gigantesca operazione dei mezzi d’informazione, le masse popolari greche hanno detto NO nel rederendum, in una bellissima manifestazione di coscienza contro i piani di austerità. Tsipras, la mattina del giorno seguente, ha cacciato Varoufakis dal ministero delle Finanze per facilitare la ricostruzione del SI', scontrandosi con la coscienza delle masse.
Per questo noi, al contrario, affermiamo che si è confermato un’altra volta il criterio marxista di non partecipare a governi borghesi. L’argomentazione secondo cui hanno l’appoggio delle masse, una volta di più, non giustifica la partecipazione. Come abbiamo già detto in un precedente articolo: “La logica è semplice: siccome questi governi sono ‘popolari’, ci uniamo a loro. Però, in realtà, questa non è una ‘scelta a favore delle masse’, ma una scelta a favore dei governi. Anche quando un governo borghese ha l’appoggio delle masse, è necessario saper rimanere in minoranza. I bolscevichi l’hanno fatto nel 1917 di fronte al governo provvisorio, ‘spiegando pazientemente’ alle masse che quello non era il ‘loro governo’, come queste pensavano. Solo perché seppero restare in minoranza poterono poi trasformarsi in maggioranza quando le condizioni oggettive cambiarono.” (“Su un possibile governo Syriza”).

Il governo Syriza è “in disputa”?
Esiste un altro tema in questo dibattito su questi nuovi partiti riformisti. Tanto Syriza come Podemos, il Bloco de Izquierda e il Psol si basano sul concetto della “unità tra riformisti e rivoluzionari”.
Questo tipo di unità è stata sostenuta teoricamente dalla direzione del Segretariato unificato [l'organizzazione che fino a qualche anno fa era rappresentata in Italia da Sinistra Critica, e oggi da Sinistra Anticapitalista di Turigliatto, ndt] come una delle conclusioni che dovevano essere tratte dagli avvenimenti dell’est europeo (la restaurazione del capitalismo), dato che, secondo questa corrente, le barriere tra riformisti e rivoluzionari si stavano superando.
L’esperienza greca può essere considerata come definitiva anche in questo senso. Dopo che Syriza è arrivata al governo, il settore riformista di Tsipras ha orientato la politica del governo, senza nessuna attenzione a quello che pensavano le correnti della sinistra e i settori rivoluzionari presenti nel suo partito. Succede in questi casi esattamente quello che succedeva con il vecchio riformismo della socialdemocrazia al potere: costituiscono governi borghesi diretti da partiti riformisti. Questi governi applicano la politica determinata dalle necessità della borghesia.
C’è stato un fatto simbolico: il Comitato centrale di Syriza ha votato in maggioranza contro l’accordo con la Troika. Nonostante questo, l’accordo è stato approvato dal governo e dal parlamento, dimostrando che, per dirla con le parole di Kouvelakis, “quello che abbiamo visto chiaramente in questo periodo è che il governo, la direzione, si è resa completamente autonoma dal partito”.
La “unità tra riformisti e rivoluzionari”, quando un partito riformista come Syriza arriva al governo, si rivela ancora una volta come un errore catastrofico.
Tuttavia, per sfuggire a questa realtà, Pedro Fuentes si difende con un altro errore: la tesi del “governo in disputa” (“Se Syriza vince le elezioni che succede con la questione del potere?”). Questa politica ha dimostrato una volta ancora i suoi risultati: non esiste nessuna “disputa”: il settore riformista ha imposto la sua politica e basta. Come ha detto la sinistra di Syriza, nelle parole dello stesso Kouvelakis: “Così è vero che c’è stata una specie di mancanza di realismo elementare e che questo era direttamente legato al problema maggiore che la sinistra deve affrontare oggi, cioè la nostra stessa impotenza”.

E ora?
Il dibattito su quello che potrebbe fare un governo Syriza ha già avuto una risposta dalla realtà. Indipendentemente dal fatto che siamo d’accordo o meno sul fatto che ci sia stato o no un tradimento in Grecia, non si può negare la realtà: Tsipras sta implementando il peggiore piano di austerità applicato in Grecia.
E ora, quale deve essere l’atteggiamento della sinistra rivoluzionaria di fronte al governo Tsipras? La risposta più ovvia dovrebbe essere la rottura con il governo e il tentativo di costruzione di un polo di resistenza contro il piano di austerità applicato da Tsipras. Tuttavia, non è questa la valutazione di Kouvelakis, anche se egli fa una valutazione critica e dura di questo governo: è arrivato a prevedere che sarà “un governo che sappiamo che sarà lentamente digerito dalla logica dell’amministrazione del neoliberismo.”
Tuttavia Kouvelakis si rifiuta di rompere con il governo. Lafazanis è stato ministro di Tsipras in rappresentanza di questa ala sinistra di Syriza e non si è dimesso nemmeno dopo l’accordo. È uscito dal governo perché è stato cacciato da Tsipras per aver votato contro l’accordo nel parlamento. Finora, in tutte le valutazioni della Piattaforma di sinistra non esiste alcuna conclusione di rottura con il governo.
Secondo Pedro Fuentes, si deve continuare con la politica del “governo in disputa”: “Noi pensiamo che si dovrà evitare che ci sia una maggiore frammentazione nel movimento delle masse e una situazione di crisi che porti al caos, un caos politico-sociale che potrebbe anche favorire la destra. Non dobbiamo essere impressionisti. Non è scartata l’ipotesi che il governo ottenga una certa stabilità relativa per alcuni mesi e che questo porti a condizioni nelle quali si prepari l’uscita dall’euro. È una ipotesi e non possiamo scommettere politicamente che si verificherà. L’obiettivo che ci si pone è costruire un piano economico alternativo e una politica capace di portarlo avanti e che per questo possa contrare sul supporto delle masse.”
A nostro modo di vedere, l’ala sinistra di Syriza deve rivedere questa posizione sbagliata. È fondamentale combattere il governo borghese di Tsipras e il suo piano di austerità. Il principale punto di appoggio attuale degli imperialismi tedesco e francese in Grecia è il governo Syriza che applica il suo piano economico. Rompere con il governo Tsipras è un punto fondamentale dell'oggi. Senza questo, la sinistra di Syriza continuerà a compiere il ruolo di “copertura da sinistra” del governo borghese di Tsipras. E per questo è anch’essa responsabile per le azioni di questo governo.
Le conseguenze per le sinistre che hanno percorso questo cammino nel passato sono state disastrose. Basta vedere che non è rimasto niente della sinistra peronista argentina, come attualmente non sta restando niente della sinistra chavista e della sinistra petista brasiliana.
È necessario rompere con il governo Tsipras e costruire un altro polo che unifichi i settori che sono rimasti indipendenti dal governo, come la piattaforma Antarsya. È necessario unire questo polo politico con tutti i sindacati e i movimenti studenteschi che siano d’accordo con un programma di lotta al nuovo piano.
Il NO del referendum greco ora deve essere tradotto in un NO al piano di austerità di Tsipras-Unione europea. Per la rottura con l’euro, per il non pagamento del debito e per un piano anticapitalista in Grecia che includa la nazionalizzazione delle banche e che dia la possibilità al popolo greco di mangiare, vestirsi e avere una casa. Per un vero governo dei lavoratori!
 
 

(traduzione dallo spagnolo di Matteo Bavassano)