Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 5 ottobre 2019

Le stanze segrete del passato futuro. Secondo «Re Cremisi»

Guido Festinese. fonte "Alias" 05/10/2019






Anniversari/«In the Court of the Crimson King», esordio per la band di Robert Fripp, compie cinquant’anni. Ma non li dimostra. Il disco e il gruppo, attivo ancora oggi, sono considerati i capostipiti del genere noto come progressive rock

Qualcuno ha detto che i classici sono tali perché stendono le proprie idee a fondo nel passato, senza esser passatisti, interpretano il loro presente come se già fosse passata tutta la distanza di sicurezza necessaria per avere sguardo d’insieme, e lanciano sonde nel futuro che non rischiano alcun crash. E aggiungeremmo anche che uno scrittore oggi un po’ dimenticato, ma necessario come il marsigliese Jean Claude Izzo, scrisse una volta che è al futuro che bisogna fare domande. Perché senza futuro, il presente è solo disordine. Quanto appena segnalato vale anche per certe incisioni storiche dal mondo della popular music che oggi tutto si possono considerare, tranne che exploit più o meno casuali di effimera creatività giovanile. Parafrasando le citazioni iniziali: erano classici già nel momento in cui nascevano, avevano fatto tesoro di molte schegge di culture musicali (e non solo) precedenti, avevano già impostato sostanziose dosi di domande al futuro. Prendete l’allegorico Selling England by the Pound dei Genesis di Peter Gabriel, il misticheggiante Close to the Edge degli Yes, l’imprendibile e dolente The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. O il labirintico, dolcissimo e feroce assieme In the Court of the Crimson King. Uscito esattamente cinquant’anni fa, il 10 ottobre del 1969, lo stesso anno delle ultime fiammate di buone vibrazioni da Woodstock e del contrappasso del livore assassino di Altamont.



CLASSICO

Primo disco ufficiale e immediatamente «classico» da una formazione che c’è ancora, mezzo secolo dopo. E che ha cambiato così tante mute di pelle e squame rock da ritrovarsi oggi, per logica di paradosso assai consona allo spirito del leader Robert Fripp, identica alle origini, e completamente diversa. I King Crimson ci sono ancora. Sono un settetto di poderoso impatto con tre batterie: inusitato, nel rock. E cinquant’anni dopo, i brani simbolo di In the Court of the Crimson King risuonano ancora nel catalogo infinito di pubblicazioni dal vivo della creatura musicale di Fripp, e dunque pressoché in ogni concerto. Il 25 ottobe uscirà anche un cofanetto speciale di celebrazione. In Live in Mexico, monumentale e recente triplo cd dal vivo, sono presenti quattro brani su cinque del disco del ’69. Evidentemente avevano radici forti, presa saldissima sul loro presente, antenne perfettamente tarate sul futuro. Un futuro che siamo oggi noi, e anche chi verrà dopo di noi. Perché i classici sono scontornati dal tempo, pur sapendoci fare perfettamente i conti.
Dunque potrebbe aver ragione il critico musicale Edward Macan, quando ha scritto che il disco del ’69 «potrebbe essere l’album di rock progressivo più influente mai pubblicato». In the Court of the Crimson King nacque tra il giugno e il luglio del ’69. Non fu una creazione estemporanea, né una benedizione un po’ acida caduta dal cielo, come ama pensare certa critica più sentimentale che mette il progressive rock delle origini su una sorta di altare iperuranio. Prima dei King Crimson ci fu The Cheerful Insanity of Giles, Giles & Fripp: la «allegra punta di follia», dunque, di due Giles, Peter, bassista, e Michael batterista (poi nei Crimson), e del lunatico Mr. Fripp in persona. Psichedelia ineffabile, molto colorata e molto alla «Alice oltre lo specchio», quelle filastrocche sghembe che piacevano tanto anche a Syd Barrett dei primissimi Pink Floyd.


UNA NUOVA CREATURA

La nuova creatura, il Re Cremisi, nasce con altra forza, altra determinazione, altre mete. Intanto Fripp si mette in contatto con un altro bassista e vocalist, Greg Lake: hanno avuto lo stesso insegnante di chitarra, Greg ha talento e una voce splendente. Si porta dietro Michael Giles, che è già un batterista raffinato, con un tocco «jazzy» difficile da trovare all’epoca. Poi c’è Ian Mc Donald, eccellente fiatista e tastierista, che a sua volta porta in dote un ragazzo abilissimo con la scrittura, il poeta Pete Sinfield ansioso di mettere in musica i suoi testi: è lui a dare il nome, King Crimson. Ha studiato la cabala, la simbologia dei tarocchi, il buddismo, la psicologia junghiana, il misticismo sufi. È un pozzo di sapere «altro».
Dopo mesi e mesi di prove in una scantinato, i King Crimson debuttano il 9 aprile allo Speakeasy di Londra, la voce si sparge. Jimi Hendrix li ascolta al Revolution Club, e dichiara: «Sono il miglior gruppo al mondo». E non hanno ancora inciso una nota. La botta finale arriva prima di In the Court quando i Rolling Stones li chiamano ad aprire il loro concerto a Hyde Park per commemorare Brian Jones: si trovano davanti seicentomila persone, e loro scatenano una tempesta di suono intelligente e spiazzante, per quaranta minuti. Registrazione poi saltata fuori, peraltro. Alla fine la gente è frastornata, incuriosita e felice.


IN STUDIO

È arrivato il momento di incidere. Wessex Sound Studios, un mese di session, dal 21 luglio al 21 agosto, dopo aver provato il Morgan Studio: il loro manager per garantire tempo e risultati veri si ipoteca la casa, carta bianca al gruppo. La copertina, iconica e celeberrima, con il faccione grottesco del «re cremisi» urlante la disegna Barry Godber, pioniere della programmazione per computer. Morirà poco dopo averla firmata quattro mesi dopo, a ventiquattro anni: ancora oggi il bozzetto è su una parete di casa Fripp.
La concentrazione in studio è altissima, uno dopo l’altro nascono i cinque brani capolavoro. Fripp, nella sua superbia altezzosa lo sa, e da allora non farà nulla per nascondere il fatto di conoscere esattamente il valore di quanto scrive. Un passo oltre i capolavori colorati finali dei Beatles. Un disco come è stato scritto, bipolare: una prima parte rabbiosa e tesissima, a descrivere l’insopportabile disarmonia del mondo e un futuro piuttosto sinistro a venire, la seconda incantata e lunare. Parte 21st Century Schizoid Man, un riff ascendente ripetuto, con il bending sulle corde sempre più acuto e in dissonanza di Fripp, e la voce filtrata di Lake canta agghiaccianti storie premonitrici: «Un bagno di sangue, filo spinato/la pira funebre dei politici/innocenti stuprati con fuoco al napalm/Uomo schizofrenico del ventunesimo secolo/semenza di morte/l’avidità cieca degli uomini/I poeti muoiono di fame, i bambini sanguinano. L’uomo schizofrenico del ventunesimo secolo non ha nulla di cui abbia veramente bisogno». I Talk to the Wind è un’oasi stranita, una ballad apparentemente semplice che nasconde in realtà complesse stratificazioni ritmiche e accordali, Epitaph un instant classic del rock progressivo sinfonico, una scatola cinese che nasconde molte stanze segrete, con una sorta di ratio superiore che governa le dinamiche in continuo mutamento.
La seconda facciata inizia con il sussurro di Moonchild, quasi una dolcissima parafrasi della gershswiniana Summertime, ma diventa progressivamente una complessa, inusitata improvvisazione jazzistica: un orecchio alle note classiche contemporanee, uno all’avantgarde jazz. Il brano che intitola, con massicce dosi di mellotron a simulare intere sezioni orchestrali e un ritornello che, ascoltato una volta, non si dimentica più, si muove invece in quei territori inquieti e magniloquenti che decenni dopo definiranno «symphonic prog», la via intuita e non portata a compimento da Moody Blues e Procol Harum. Durerà poco, la formazione che incide il disco d’esordio più convincente di sempre. I King Crimson fanno spesso la muta. Ma risuonano ancora, quelle note. Nel Reame del Re Cremisi il passato è il futuro. E viceversa.


Riconversione ecologica, un'utopia necessaria

Luciano Granieri




Il successo ottenuto da Fridays for Future, il modo con cui ha posto all’attenzione  della collettività l’emergenza ambientale è indubbiamente positivo, anche per il richiamo all’urgenza sulla risoluzione di un problema che le oligarchie finanziarie e politiche hanno sempre trascurato e snobbato. Le une perché lesivo delle prerogative speculative del capitale, le altre perché poco spendibile, almeno fin ad oggi, nell’acquisizione del consenso. 

Uno dei meriti di tutti i movimenti ambientalisti sfociati nelle rivendicazioni dei giovani di Fridays for Future è proprio quello di aver imposto  nelle   tematiche di acquisizione del consenso la difesa dell’ambiente. Non è un caso che i movimenti  verdi, in tutti i Paesi europei, ad eccezione dell’Italia, hanno conseguito significativi successi elettorali, e la lotta alla devastazione ambientale è entrata con maggior vigore nei programmi di partiti e governi, compreso il nostro.  

Tutto ciò non può che suscitare soddisfazione, ma una politica contro i cambiamenti climatici così come i vari green deal promessi dai governi europei è veramente realizzabile?  Cominciamo col dire che la golden rule, in base alla quale svincolare dal patto di stabilità investimenti per la  difesa dell’ambiente, è un provvedimento soltanto enunciato. Infatti nello scorso vertice informale dell’Ecofin si è stabilito che ogni stanziamento  orientato alla salvaguardia ambientale deve essere compreso nel  fondo per gli investimenti strategici già a stanziati a suo tempo.  Per l’Italia è di 10,6 miliardi. Se  si vuole, i soldi si prendano li, ovviamente definanziando altri progetti ricadenti nello stesso fondo. Nessun sforamento del patto di stabilità quindi, tanto più che nei 29 miliardi stanziati nel Def, nonostante le roboanti dichiarazioni, nulla c’è per il green deal . 

Ma l’indicazione più significativa su quanto e come si possa  realizzare una rivoluzione verde ci viene dal “Sole 24 ore” . Il  giornale di Confindustria  in un articolo del 21 settembre scorso ribadiva che: “ una violenta decarbonizzazione dei portafogli mondiali rischia di destabilizzare il sistema finanziario internazionale. Quindi sì agli investimenti green, ma con regole chiare su cosa significhi essere “verde” e senza creare scossoni troppo forti nell’abbandono degli asset legati ai combustibili fossili” In poche parole: cari governanti baloccatevi pure col “verde” basta che non intacchiate  i profitti delle multinazionali e rimaniate compressi sotto il giogo del debito. Fine dei giochi. 

Nella pratica  - fino a quando un solo kilowatt prodotto con i combustibili fossili costerà anche mezzo centesimo in meno dello stesso kilowatt prodotto con le energie rinnovabili, fino a quando lo smaltimento attraverso discarica ed incenerimento  di un chilo di rifiuti costerà anche solo mezzo centesimo in meno di uno smaltimento  ottenuto con procedure di riciclo e riuso, fino a quando un’azienda dall’attività impattante riterrà l’uso di impianti di depurazione un costo a detrimento del profitto - nessuna rivoluzione verde potrà mai partire. 

Ma  nella situazione in cui siamo, e la mobilitazione di Fridays For Future, ce lo ha ricordato, non possiamo aspettare oltre. La decarbonizzazione  delle fonti di energia va attuata subito con conseguente ed inevitabile decarbonizzazione dei portafogli mondiali .   Chi  se ne frega di destabilizzare il sistema finanziario internazionale se bisogna salvaguardare la salute nostra e del pianeta. Perché in fin dei conti questi famigerati portafogli appartengono solo a pochi individui i quali stanno accumulando enormi  profitti  operando in quelle 100 grandi aziende (compagnie petrolifere, energetiche, estrattive di carbone e gas) che da sole sono responsabili del 70% delle emissioni globali. 

Quindi ciò che bisogna fare è una rivoluzione vera. E’ cioè necessario trasformare tutti i settori economici esistenti  e crearne di nuovi. Bisogna smantellare gli impianti di estrazione dei combustibili fossili, chiudere le discariche, spegnere gli inceneritori, modificare i prodotti tecnologici eliminando l’obsolescenza programmata, ripensare gli imballaggi e il packaging verso soluzioni completamente riciclabili. 

Un’operazione distruttiva certamente ma che apre alla nuova strada. La via che prevede l’implementazione e l’efficientamento delle fonti energetiche rinnovabili , l’incremento della produttività e dell’affidabilità delle centrali eoliche e solari attraverso modelli informatici avanzati. Occorre  realizzare  reti informatiche di coordinamento e ottimizzazione  della  filiera di smaltimento dei rifiuti, fra raccolta differenziata, trattamento a freddo e riuso. 

Tutto ciò bisogna farlo ora e non aspettare   i comodi dei detentori dei portafogli finanziari. Ma per iniziare questa rivoluzione è fondamentale  togliere dalle mani dei privati tutta la materia. E’ un processo  che non deve prevedere profitti, ma gli investimenti devono essere finalizzati esclusivamente alla piena funzionalità del sistema. Non un solo Kilowatt di energia rinnovabile, non un solo chilo di immondizia riciclata, deve creare guadagni privati , ma deve assicurare ai cittadini un mondo ed una vita più sana. 

Servono tanti soldi è vero, (la Cina ad esempio nel piano quinquennale 2010-2015 per l’energie rinnovabili ha stanziato 1.500 miliardi di dollari il 5% del Pil). Non siamo la Cina ma ipotizzando investimenti pari al 5-6% del  nostro Pil le risorse potrebbero essere significative. La domanda è sempre la stessa:  dove trovare tutta questi  soldi? 

Ad esempio con  l’istituzione di banche pubbliche per gli investimenti. Attraverso la quale raccogliere finanziamenti a tasso zero e a lungo termine. Non c’è nulla di strano già la Bce acquista titoli pubblici a lungo termine a tassi negativi, quindi  non si vede perché sia così peregrina l’idea di acquistare titoli verdi a tasso zero. Certo una tale massa di denaro "aggratis" andrebbe a finanziare progetti  importanti di riconversione ecologica   anziché alimentare la speculazione finanziaria delle banche private, ma è un aspetto del tutto secondario, anzi è cosa buona e giusta . 

In più una robusta tassazione delle rendite finanziarie, dei grandi patrimoni immobiliari, un’armonizzazione del sistema contributivo  uguale per tutta Europa con l’eliminazione dei paradisi fiscali, potrebbe aiutare. 

Al di la dell’aspetto finanziario sarebbe auspicabile che anche i cittadini, attraverso comitati civici, con la collaborazione del mondo scientifico, partecipassero fattivamente alle decisioni in materia di riconversione ecologica, in modo da essere coprotagonisti dei provvedimenti che interessano direttamente il proprio benessere.

 E’ utopia? Forse, ma come ci ricorda tutto il mondo scientifico e i giovani di  Fridays for Future  è un’utopia necessaria alla nostra sopravvivenza e a quella del pianeta.

Il taglio dei Parlamentari è un errore





Questo taglio dei parlamentari è un errore. Sappiamo che la riduzione dei parlamentari è un impegno dell'accordo di governo, ma il testo già votato dalla precedente maggioranza, respinto da una parte di quella attuale, non è migliorato solo per questo.
Il testo di questa legge costituzionale nasce da un'iniziativa che punta al taglio dei parlamentari essenzialmente per risparmiare e in realtà scarica sul parlamento tutte le responsabilità degli innegabili difetti di funzionamento del sistema democratico italiano, sottovalutando che nella nostra Costituzione il parlamento ha un ruolo fondamentale, pena la crisi del sistema istituzionale che caratterizza la nostra democrazia. Questa legge dovrebbe essere respinta e i parlamentari dovrebbero usare la loro autonomia nel voto, garantita dalla Costituzione, per votare contro
Non è stato possibile discutere di alternative a questa scelta. Lo stesso accordo di  maggioranza prevede altre modifiche costituzionali per riequilibrare gli effetti del taglio. In realtà queste modifiche non correggono gli errori di questa legge e ad oggi non è chiaro se siano frutto di un reale accordo politico, né si comprende come si intenda modificare la legge elettorale attuale.
Chiediamo al parlamento di rinviare la decisione, anche per poche settimane, e di aprire un tavolo di confronto politico e scientifico per consentire un esame delle alternative a questa riduzione dei parlamentari, scelta che resta non necessaria in rapporto al rapporto rappresentanti/rappresentati nel resto d'Europa.
Chiediamo di accelerare la riforma del sistema elettorale vigente. Dopo il porcellum, dichiarato incostituzionale, anche il rosatellum ha dato pessima prova e la nuova legge elettorale, voluta dalla Lega, ne esalta i difetti in presenza del taglio dei parlamentari ed è palesemente incostituzionale.
La Lega ha forzato nelle regioni dove è al governo per promuovere un referendum che ha l'obiettivo non solo di tagliare la parte proporzionale della legge elettorale ma di preparare le condizioni per introdurre l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, vagheggiata addirittura per il 2029. Legge elettorale ipermaggioritaria e presidenzialismo sono i due obiettivi centrali della Lega, sembra con il sostegno del resto della destra. Contro questa pericolosa iniziativa referendaria - pur probabilmente inammissibile secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale - è necessario mettere in campo una alternativa forte e chiara che, tanto più dopo l'eventuale taglio dei parlamentari, porti a una legge elettorale proporzionale, senza sbarramenti e con il diritto degli elettori di scegliere direttamente i loro rappresentanti. E' centrale puntare sulla ricostruzione di un rapporto di fiducia tra parlamentari e elettori sulla base del capovolgimento della tendenza degli ultimi lustri che ha portato i parlamentari ad essere di fatto scelti per fedeltà al capo e nominati dall’alto e non dagli elettori. La crisi di fiducia ha portato ad un parlamento che ha subito decreti legge a raffica, non motivati dall'urgenza, a voti di fiducia come strumento di costrizione della libertà dei singoli parlamentari, a dure sanzioni contro i singoli. Il risultato è stato un capovolgimento del rapporto tra il governo e il parlamento, che è oggi subalterno al punto di approvare leggi che non solo non può modificare ma neppure leggere. Si giunge ora a proporre l'introduzione di un vincolo di mandato che la nostra Costituzione esclude in radice.
Si conferma così che l’obiettivo è un parlamento obbediente ai capi.
La centralità del parlamento, se la Camera il 7/8 ottobre deciderà il taglio dei parlamentari, è seriamente a rischio e potrebbe essere l'inizio di una deriva centralizzatrice e autoritaria, di cui è coronamento il presidenzialismo.
Per questo occorre un forte impegno per approvare rapidamente una legge elettorale proporzionale con le caratteristiche citate.

La Presidenza del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
5/10/2019       

lunedì 30 settembre 2019

Dalla marcia per i diritti del rifugiato arriva un solo messaggio: Siamo tutti sulla stessa barca.

Luciano Granieri Cittadinanzattiva Tribunale per i diritti del Malato





Si tendono  ad attribuire  le crescenti derive razziste alla grande quantità di odio inoculato nella società civile dalla comunicazione propagandistica fascio leghista . E’ indubbio che questa abbia avuto un enorme incidenza sul deterioramento dei rapporti sociali nei 14 mesi di governo giallo-nero-verde, ma è altrettanto vero che la narrazione del “prima gli italiani” ha trovato terreno fertile in una popolazione resa incattivita e rancorosa da una grave aumento  della povertà e delle diseguaglianze

Fenomeno ancora più rilevante nell’accesso alle cure sanitarie. Da decenni ormai assistiamo al progressivo smantellamento della sanità pubblica a favore della sanità privata. Un fenomeno che aumenta sensibilmente la spesa viva a carico dei cittadini bisognosi di prestazioni terapeutiche e diagnostiche.  Nell’ultimo rapporto Censis Rbm risulta che la popolazione ha  speso, nel 2017, 37,3 miliardi di euro per curarsi nelle strutture private. 

Purtroppo la scelta di ricorrere alle prestazioni del privato è  spesso obbligata dalla lunghezza delle liste d’attesa,   dalla  carenza organizzativa degli ospedali e da innumerevoli altre situazioni che rendono le prestazioni sanitarie pubbliche sempre più difficili da ottenere, si calcola che nel 2019 un paziente su tre non avrà garantiti i livelli essenziali d’assistenza . Resta forte il dubbio che il depotenziamento della sanità pubblica sia una strategia precisa per indurre i pazienti a rivolgersi al privato.   

Devono comunque per forza  ricorrere alle cure private anche le persone più povere,  una parte delle quali (7 milioni circa) rinuncia a curarsi. Risulta evidente che più il reddito è basso, più la spesa sanitaria diventa gravosa, quasi insostenibile. Nel 2017 le famiglie con redditi fino a 15.000 euro annui hanno dovuto rinunciare ad altri beni di prima necessità, oppure hanno dovuto indebitarsi, altri  hanno dovuto cedere anche la propria abitazione per pagarsi le cure . E’  facile da capire, quindi, come la difficoltà ad  accedere ad un diritto  sacrosanto come quello sancito dall’art.32 della Costituzione determini  forti  impulsi  d’odio e rancore

Rancore  che, disgraziatamente, si rivolge verso chi subisce le stesse angherie, cioè gli immigrati, ma   che la campagna d’odio imperante addita come nemici usurpatori di  pezzi di Stato Sociale. In realtà  questi  hanno le stesse difficoltà degli italiani   a pagarsi le cure. E’ inutile dirlo ma molti immigrati versano in una drammatica precarietà economica, soprattutto gli irregolari o i regolari insidiatisi da poco nel nostro territorio. Inoltre l’estrema povertà e l’emarginazione sociale fa crescere la domanda di assistenza sanitaria  per problemi di salute legati a stili di vita e alimentazione insalubri o a retaggi  di un percorso migratorio logorante da un punto di vista fisico e psicologico.  

Dunque il problema non è un’offerta sanitaria pubblica limitata da scarsi finanziamenti -   giustificati da pretestuose ragioni di bilancio - per cui  l’immigrato viene a contendere  quel poco che rimane di  un diritto importante come la  tutela  della salute ai pazienti italiani, ma il fatto che la sanità   stia diventando sempre più  un affare di profitti  privati  da realizzarsi sulla pelle delle persone. E allora non è l’immigrato il nemico, bensì quei potentati finanziari che intendono arricchirsi a dismisura  sulla disperazione della gente  che sta male la quale , nera, piuttosto che gialla,  rossa, o bianca, è  costrette a sacrificare tutto pur di accedere alle cure.  

A questo proposito  anche l’Oms  nel nuovo rapporto di monitoraggio  sulla copertura sanitaria universale,  rileva come rispetto a 15 anni fa l’impoverimento generale, dovuto all’aumento delle spese sanitarie presso i privati, sia notevolmente aumentato in tutto il mondo. Circa 925 milioni di esseri umani spendono oltre il 10%  del loro reddito familiare per spese sanitarie, mentre altri 200 milioni vedono decurtato il proprio reddito del 25% per  curarsi dalle malattie. La stessa  Oms esorta i Paesi ad investire molto di più in sanità pubblica, altrimenti, nel 2030, 5 miliardi di persone, indipendentemente dal colore della propria pelle, non potranno più curarsi

In questo caso, più che in altri,   non esiste diversità, di colore della pelle o di genere.  Mai come nel settore sanitario  siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo tutti insieme remare verso l’ottenimento di un diritto universale come quello della tutela della salute. 

Da questa stessa barca rivolgo un appello alle forze politiche che guidano l’attuale governo. Per restituire un minimo di umanità alla nostra comunità, per dare un segno tangibile sulla determinazione di estirpare la barbarie, è necessario e ineludibile abrogare totalmente e subito i decreti sicurezza. Non ci si può limitare a recepire i rilievi del Capo dello Stato.  Sarebbe  anche un segnale di sensibilità costituzionale forte  ottenere il risultato abrogativo prima della Corte Costituzionale che comunque li eliminerà in risposta all’eccezione d’incostituzionalità già sollevata dai tribunali di Milano e Ancona.