Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 23 maggio 2020

Riaprire l'ospedale di Anagni per gestire l'assistenza sanitaria nella Fase 2



L’ emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha dimostrato abbondantemente le inadeguatezze del Servizio Sanitario Nazionale che, tuttavia, nel suo complesso ha retto alla  violenza
dell’ impatto della  pandemia.  La  nostra  regione non ha dovuto far fronte ai “ picchi “ registrati  in quelle zone d’Italia dove il virus ha picchiato più duramente,  altrimenti  le  conseguenze sarebbero state disastrose.

Sarà stata l’ondata improvvisa del Coronavirus che ha colto tutti di sorpresa, ma  non si è visto un sufficiente e adeguato coinvolgimento del Distretto socio-sanitario della Asl, attraverso il Piano di zona (Comuni, Sindacati e Terzo settore) per assicurare i servizi assistenziali ai cittadini, come peraltro previsto proprio nei decreti governativi.

Con l’ avvio della   “fase 2 “ della  ripartenza è stato  stabilito per i luoghi di lavoro autorizzati  l’obbligo di fornirsi dei dispositivi necessari per garantire la sicurezza  di  tutti i lavoratori. Anche  gli insediamenti industriali presenti nell’area di Anagni hanno dovuto, ovviamente,  adeguarsi.

Se non fosse  arcinoto, ricordare lo sfascio della  Sanità nel nostro territorio potrebbe  sembrare un’eccessiva insistenza, ma la drammatica emergenza causata dall’ epidemia  rappresenta la conferma delle  conseguenze nefaste dovute alla mancanza di strutture  sanitarie  territoriali, stabili ed organizzate, capaci di  rispondere non soltanto a situazioni emergenziali ma ai protocolli  richiesti dalla  presenza di un alto numero di attività industriali, come  accade appunto per il territorio di Anagni, gravato oltretutto da pesanti problemi di inquinamento.

Nel contempo, la presenza di una rete sanitaria territoriale  capace di garantire ai cittadini il livello essenziale  di assistenza ( LEA ) e le urgenze,  oggi è riconosciuta indispensabile  dai massimi responsabili del sistema sanitario che  denunciano come la debolezza o l’ assenza di una rete di presidi territoriali, di Ospedali di prossimità  siano  state tra le  principali cause della  diffusione  dei contagi da Covid 19 e dell’elevato, tragico, numero delle  vittime.

L’ ex-Ospedale di Anagni, che dispone di spazi e servizi riattivabili in breve  tempo può offrire posti letto per le terapie sub intensive, le quarantene post-guarigione e altre necessità legate non soltanto all’ attuale  situazione di emergenza Covid  ma indispensabili per  assicurare tutti i servizi di prevenzione  e  assistenza, istituendo un  Centro di screening  di prevenzione Covid,  (tamponi,analisi e test sierologici )  a servizio  della popolazione.

Infatti, al momento attuale, le  ricerche  e le acquisizioni di  medici  ed epidemiologi  sembrano attestare che questa pandemia  lascerà ad un certo numero di malati guariti  dal virus possibili  complicazioni  a carico dei polmoni, e non solo, e ciò comporterà necessariamente un nuovo  modello di  sanità per assistere  questi eventuali  pazienti e per fronteggiare una  possibile  nuova emergenza. Ciò significa, realisticamente, provvedere ad aumentare il numero dei posti letto e  degli ambulatori  specialistici.

Esattamente nella  direzione di riaprire e riutilizzare i reparti disponibili dell’ ex-Ospedale  sembrava  volesse andare la richiesta  presentata  dal Sindaco di Anagni alle  sedi  competenti.
Ma  su questa, come  su altre  analoghe  richieste, è calato un pesante  silenzio, mentre  urge la  necessità di agire per richiedere alle  istituzioni, provinciali, regionali e nazionali gli interventi   per  ricostruire  e  potenziare  la rete  territoriale  assistenziale e di prevenzione in tempi rapidi, anche perché  Il Ministero della  Salute dovrebbe emanare un provvedimento  teso proprio a rafforzare  i Dipartimenti di  Prevenzione  distrettuale  delle Asl, oltre che gli Ospedali.

A maggior  ragione, ora con il D.L.  “ Rilancio”e il finanziamento di oltre  3mld  che  il Ministro della Salute  intende utilizzare per  pianificare il  riassetto del Sistema  Sanitario Nazionale, OCCORRE MUOVERSI CON DECISIONE E VERO IMPEGNO per restituire anche  all’ ex -Ospedale di Anagni un ruolo e una  funzione di autentico  servizio ai cittadini dell’ intera area  Nord della  Provincia.
               
               COMITATO “ SALVIAMO L’ OSPEDALE  DI ANAGNI
 Associazione Quartiere Cerere. Anagni Scuola Futura, Anagni Viva,  Comitato Ponte del Papa, Associazione Diritto alla Salute, LegAmbiente Circolo di Anagni, Comitato Residenti Colleferro, Re.Tu.Va.Sa.,


Per info telefonare al  n.:  3930723990.
mail: info@dirittoallasalute.com.
Per aggiornamenti: www.anagniviva.org
www.dirittoallasalute.com



venerdì 22 maggio 2020

Il digiuno di Danilo Dolci


Oggi  si celebra la giornata della legalità .  Si commemorano  i  cosiddetti eroi antimafia, Falcone, Borsellino, Chinnici, La Torre, Dalla Chiesa e, da qualche anno a questa parte. Peppino Impastato. Quest'ultimo non era un membro delle forze dell’ordine né un magistrato. Era un militante politico, una figura di quell'antimafia  che ha dispiegato la sua forza di contrasto impegnandosi sul fronte della  giustizia sociale. Proprio il raggiungimento della giustizia sociale era, ed è, il vero antidoto contro la criminalità organizzata. Un antidoto molto più potente di qualsiasi azione repressiva. Come Peppino Impastato, ci sono state altre  figure preminenti della cosiddetta antimafia sociale. Fra questi,  Mauro Rostagno, Placido Rizzotto,  Danilo Dolci. Proprio di Danilo Dolci vorrei qui riproporre una piccola-grande  storia  tratta dal sito  https://www.balarm.it/e raccontata da Lucio Forte. 

Un’ultima considerazione: Giovanni Falcone diceva che per sconfiggere la mafia è necessario seguire i soldi. Oggi questa pratica è diventata molto difficile, se non impossibile,  visto che  è legale spostare con un click miliardi di euro da un conto corrente all'altro in banche di paradisi fiscali.  . E'  legale fare profitto sulle malattie e le disgrazie  delle persone. E'  legale, da un lato  distribuire  dividendi milionari ad un accolita di spietati e voraci azionisti, dall'altro licenziare e ridurre i lavoratori   in balia della povertà più nera,  alla mercè di una  stato sociale parallelo e criminale quale quello assicurato proprio  della mafia. 

E allora quando si celebra la giornata della legalità è bene sottolineare che spesso molte attività legali sono più illegali delle attività criminali. E' bene ricordare che l'illegalità più odiosa  la  compie chi con l'accumulazione e la speculazione   riduce  in povertà il 90% della collettività.  
Buona Lettura


Luciano Granieri

Danilo Dolci Peppino Impastato

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Quando Danilo Dolci digiunò per Palermo

Lucio Forte

 «I nostri figlioletti non han pane, e chi sa? forse moriran domani / invidiando il pranzo ai vostri cani, e noi falciamo le messi a lor signori». Con questi versi il poeta etneo Mario Rapisardi si pose al fianco dei contadini, degli operai isolani e degli zolfatai di Lercara, di Enna e di Caltanisetta che avevano dato vita ai Fasci Siciliani dei Lavoratori. Un movimento di massa d’ispirazione democratica che era stato fondato ufficialmente a Catania il primo maggio del 1891 per protestare contro i latifondisti collusi con la mafia che da anni – lo avevano ufficialmente accertato le inchieste di Franchetti e Sonnino – si era infiltrata nello Stato postunitario.



Ma quando nel 1952 Danilo Dolci era giunto in Sicilia aveva dovuto rendersi conto che, più di mezzo secolo dopo l’intervento di Rapisardi, quei versi non avevano, per così dire, un senso per i contadini di Partinico privi come essi erano perfino di un padrone con cui prendersela dato che restavano disoccupati per la maggior parte dell’anno. E che perciò, come accadeva in parecchie altre comunità della provincia palermitana, andavano a infittire le schiere degli ultimi della terra che lo stesso sociologo triestino con dolente ironia indicava come i suoi cari “industriali”. Quelli che per sfamare le famiglie si industriavano, appunto, a inventarsi le più dimesse attività. Come facevano i cenciaioli al Cortile Cascino oggi fortunatamente raso al suolo, i raccoglitori delle foglie di palma nana che servivano a fare i pesanti mazzi di scope da rivendere per strada.



E i cacciatori di rane, note anche come “i pisci cantanti” e che opportunamente private della pelle e delle teste dagli occhi sporgenti comparivano sui banchi più sguarniti di periferia. Mentre i figli dei pescatori di Trappeto e Balestrate morivano di fame perché il tritolo dei bombaroli mafiosi uccideva e stornava i pesci dalle coste o squarciava le reti che a rischio della vita, con qualunque tempo, venivano calate lungo quei litorali. Né, come abbiamo accennato, la situazione era migliore perfino in certe sacche di povertà del capoluogo regionale. Dove il posto simbolo del malessere sociale era l’accennato cortile cui si accedeva da alcuni vicoletti che si aprivano su corso Alberto Amedeo – a due passi dalla Cattedrale – e scendevano nel fondo della depressione del Papireto e Danisinni dove decine di stamberghe affondavano nel fango e sulle fogne a cielo aperto lungo la ferrovia Palermo-Trapani.


Una realtà della quale Danilo Dolci e i suoi collaboratori avevano dato notizia in tutta Europa. E fu dunque inevitabile che lo stesso apostolo della non violenza, una decina di giorni prima del Natale 1956 - reduce da un altro estenuante digiuno a Trappeto - scegliesse una baracca di cortile Cascino per effettuarvi lo stesso genere di protesta. Una manifestazione che però nella città già in parte in mano ai giovani turchi democristiani ebbe un drammatico effetto domino di grande risonanza. Dato che gli altri disperati della provincia decisero che il 23 dicembre e per 24 ore avrebbero rinunciato anch’essi al loro vergognoso cibo d’accatto, costituito prevalentemente di verdure ed erbe selvatiche nemmeno condite da un cucchiaio d’olio.



Protestando perciò, col più assoluto digiuno, oltre che nelle stamberghe palermitane di Sant’Antoninello ‘u Siccu – dove un tempo si scavavano le fosse comuni degli indigenti – anche nei pagliai piantati sulla creta umida nei feudi di Tudia, Arcia e Turrumè. In quell’occasione Danilo Dolci ebbe la solidarietà anche dei ragazzi che qui frequentavano i vicini licei tra corso Vittorio e la salita Montevergini oltre a quella di molti intellettuali arrivati da ogni parte d’Italia ma anche dall’estero. E naturalmente non gli venne meno il sostegno del giornale “L’Ora” diretto da Vittorio Nisticò. Sulle cui pagine lo stesso sociologo – prima di tornarsene dai suoi “banditi” analfabeti del quartiere Madonne di Partinico – scrisse: «E’ necessario che tutti sappiano in quale soggezione vive la gente sotto il dominio di un pugno di mafiosi, da Bisacquino a Caccamo, da Sciara a Polizzi e qui dal Borgo Vecchio alla Kalsa e a Danisinni. Dove diversi bambini sono morti perché morsicati dai topi. Non ho, non abbiamo mai creduto che i siciliani siano meno figli di Dio di qualsiasi altra popolazione del mondo».


martedì 19 maggio 2020

Prima gli italiani? No prima i paradisi fiscali

Mario Zorzetto



Il  nostro Paese non sta ponendo attenzione alle decisioni da cui dipende il futuro: non quello delle prossime settimane, ma dei prossimi vent’anni. E il debito al 135 per cento del Pil è uno schiaffo alla giustizia intergenerazionale. Non vogliamo uno Stato elemosiniere che grava sulle future generazioni .

Tra i fattori che producono deficit ha rilievo notevole il dumping fiscale tra i Paesi UE. Ad esempio i Paesi Bassi sono tra i paesi che si avvantaggiano molto del contributo delle imprese italiane. Perché molte grandi imprese che pure hanno i principali stabilimenti in Italia e ricavano i maggiori profitti nel nostro Paese poi beneficiano della legislazione fiscale olandese, molto più conveniente. 

I problemi creati dal dumping di questi "paradisi fiscali neoliberisti" (Lussemburgo, Paesi Bassi, Irlanda etc) sono imputabili almeno a due tipi di natura economico e fiscale:
Il primo riguarda il diritto societario che attraverso un meccanismo maggioritario moltiplica i diritti di voto degli azionisti con quote superiori al 20% del capitale. In questo modo si garantisce al primo azionista della società il controllo dell’azienda – fatto essenziale per le holding – e lo mette al riparo da scalate ostili e da manovre di disturbo di fondi attivisti. Pensare una riforma neoliberista del genere in Italia, con l’obiettivo di attrarre e concentrare capitali esteri non è impossibile, ma è sicuramente molto difficile e discutibile riguardo lo stesso progetto Europa unita e solidale. 

Eppure è la motivazione principale per cui grandi società hanno scelto di spostare la sede fiscale nei Paesi Bassi: l’ultima italiana in ordine di tempo è stata la Campari, ma lo ha fatto anche Mediaset, Fca, Cementir e molte altre. Si noti bene quale amore per il Paese ITALIA , quale Forza all'ITALIA, esse vogliano realmente dare al di là delle fanfaronate e ipocrisie politiche dei loro leaders imprenditori ….. Prima gli italiani? …...NO prima i privilegi godibili nei Paradisi fiscali? .

Il secondo aspetto è quello fiscale: dividendi e capital gain versati dalle controllate estere non concorrono all’imponibile, mentre interessi e royalties non sono tassati. Insomma una combinazione di fattori che piace molto soprattutto ai fondi internazionali che investono nelle grandi società. Come a dire che una sede nei Paesi Bassi serve da biglietto da visita per attrarre capitali freschi. 

Come rimediare a tutto ciò: si deve costruire un pilastro fiscale omogeneo in UE ... è molto semplice e l'UE , il progetto Europa, ne trarrebbe beneficio politico, giustizia fiscale ed economica….anche il neoliberismo ha bisogno di regole che i ministri dei vari MEF dei Paesi UE devono darsi e rispettare secondo il principio "le tasse sono da pagare secondo criteri di progressività  dove si produce ricchezza con il lavoro".

JOHN ELKANN PRESIDENTE FCA, UN LIBERISTA D’ASSALTO CHE NON ACCETTA IL RISCHIO DI IMPRESA !

Umberto Franchi




PERCHE’ LA FCA HA CHIESTO 6,3 MILIARDI DI PRESTITO BANCARIO CHIEDENDO ALLO STATO ITALIANO DI GARANTIRE UNA EVENTUALE INSOLVENZA ?

QUESTI I MOTIVI:
- PRIMO : Il Gruppo ex FIAT , dall’ottobre 2014 con l’accorpamento della Chrysler (Usa) diventa FCA, e sposta la sede legale e fiscale a Amsterdam . Il gruppo è quotato in borsa a New York Milano, Parigi. Il presidente si chiama JOHN ELKANN (FAMIGLIA AGNELLI), L’AMMINISTRATORE DELEGATO Mike Manley, NEL 2019 HA FATTURATO 108 MILIARDI E DIVISO UTILI PER BEN 6,6 MILIARDI DI EURO NELL’ANNO 2019. La FCA ha 198.000 dipendenti IN TUTTO IL Mondo ... mentre in Italia sono rimasti circa 60.000 dipendenti ma fino a 30 anni fa la Fiat in Italia aveva oltre 120.000 dipendenti in 75 stabilimenti


- SECONDO : Quando nel 2014 , è nata la FCA , il fisco Italiano ha aperto un contenzioso con l’accertamento sull’amministrazione fiscale che verrà chiuso “bonariamente” con un accordo che vedrà la FCA dare al fisco Italiano 730 milioni di euro... e grazie all’accordo la FCA eviterà di pagare sanzioni ed interessi per ben 670 milioni.

- TERZO: La Holding FCA ha spostato la sede fiscale nel “Paradiso fiscale” Olandese come ha fatto anche Berlusconi con Mediaset ... perché là il fisco è quasi inesistente , TOGLIENDO ALLE CASSE ERARIALI DELLO STATO Italiano milioni di euro l’anno. Da considerare inoltre che nel passato la Fiat ha sempre ottenuto dallo stato Italiano aiuti diretti o indiretti come quelle delle CIG ai dipendenti nei “periodi di crisi”


- QUARTO: ORA E’ IN QUESTO CONTESTO che la FCA ha chiesto 6,3 miliardi di euro (pari al 25% del fatturato) alla banca Italiana Intesa Sanpaolo con l’80% a garanzia del prestito da parte dello Stato Italiano. Ossia se FCA Italy non fosse in grado di ripagare il debito (come di norma avverrà) l’erario italiano dovrebbe restituire alla banca che ha fatto il prestito alla FCA ben 5 miliardi di Euro.


- Cioè il 44 enne John Elkann designato dal nonno Agnelli a Presidente del gruppo ex Fata ora FCA, ha capito che in Italia , può fare tutto quello che vuole ... e dopo aver sostenuto che se i giovani non trovano lavoro e perché stanno bene a casa... (sic) ha indicato anche ai giovani come si fa a fare i soldi senza accollarsi il rischio della propria impresa ! non perché lui non può.. ( ha un patrimonio calcolato di circa 24 miliardi di dollari ) ma perché non vuole rischiare niente, essendoci lo Stato che lo farà per lui ( sic.)

- Da considerare infine che nel novembre 2019, è stata annunciata una possibile fusione tra la FCA con la PSA Francese che darebbe vita al quarto gruppo mondiale , con John Elkann Presidente ed il Francese Carlos Tavares Amministratore Delegato... una fusione da 50 miliardi di dollari ... una società paritetica al 50%, che produrrà circa 9 milioni di veicoli con 170 miliardi di fatturato . Prima della fusione FCA distribuirà ai propri azionisti 5,5 miliardi di euro, Inoltre quando verrà realizzata la società PSA dovrà pagare ai soci FCA un premio di 7 miliardi che verranno divisi tra i soci... mentre la garanzia dello Stato andrebbe a premiare anche la nuova fusione .


- Insomma io credo che se il governo Italiano accetterà di garantire il prestito bancario chiesto dalla FCA , FARA’ UN GRAVE TORTO NON SOLO A TUTTI GLI ITALIANI CHE LAVORANO, MA ANCHE ALLA PROPRIA INTELLIGENZA .



domenica 17 maggio 2020

Non contano le sedi legali conta la voracità del capitalismo nazionale ed internazionale.

Luciano Granieri





Fiat Chrysler Automobiles, con sede fiscale a Londra e sede legale ad Amsterdam , ha deciso di chiedere un prestito di 6,3 miliardi di euro, a tasso irrisorio,  presso banca  “Intesa San Paolo” garantito  all’80%  dallo Stato Italiano, attraverso Sace (gruppo Cassa depositi e prestiti controllato dal Ministero dell’Economia Italiano ovviamente). Ciò usufruendo delle opportunità   offerte  dal  decreto liquidità approvato dal governo, Italiano anch’esso, per aiutare le aziende penalizzate dal lockdown.

 Dure reazioni da parte del Pd. Il vice segretario  Andrea Orlando pretende il ritorno della sede Fca in Italia, prima di concedere l’autorizzazione alla procedura, dimenticando che l’operazione del trasferimento delle sedi Fca all’estero, avvenne sotto il governo Letta,  esecutivo in  cui lui stesso era ministro. Operazione difesa a spada tratta dall’allora presidente del consiglio il quale ai membri dell’opposizione (Lega e Forza Italia) che  lo invitavano  a riferire in Parlamento sull’operazione rispose: “La sede legale è secondaria, contano i  posti di lavoro” Del resto anche dalla   destra, nonostante le chiacchiere da gioco delle parti, Marchionne, colui che mise in piedi l’operazione del trasferimento della sede legale, era un personaggio venerato.” Per il centrodestra punto su Sergio Marchionne. Tra non molto gli scade il contratto negli Stati Uniti, e se ci pensate bene sarebbe l’ideale…”,  così dichiarava Berlusconi  nel luglio 2017. 

Ma c’è poco da scandalizzarsi. La famiglia Agnelli, oggi Agnelli Elkan, ha sempre usato i  governi,  variamente colorati,     come zerbini.  Dalla contrattazione diretta dei regimi tributari  - in barba ad ogni principio di progressività fiscale - all’acquisizione per un tozzo di pane dell’Alfa Romeo, alle migliaia di miliardi ottenuti in contributi e   cassa integrazione, necessari   a socializzare le perdite delle varie crisi aziendali, spesso dovute a cattivo management o voracità speculativa,  è stato sempre ed un continuo  prendere senza dare  nulla in cambio. 

Dunque niente di nuovo sul fronte aziendale. Piuttosto bisognerebbe entrare maggiormente nel merito perché i requisiti richiesti dal decreto liquidità potrebbero non essere completamente soddisfatti. 

Le garanzie concesse da  Saci sono destinate alla imprese con fatturato individuale superiore o uguale a 1,5 miliardi con numero di dipendenti  in Italia superiore o uguale a 5.000. E qui ci siamo perché Fca Italy, succursale italiana della Fca soddisfa questi criteri . Anche la condizione  di congelare il pagamento dei dividendi azionari  per il 2019 è stata soddisfatta . Infatti, con una pomposa e unanimemente apprezzata  campagna mediatica, Fca  comunicava che,  per attutire l’impatto della crisi da Covid,   il millardo e cento di dividenti per il 2019 non sarebbe stato corrisposto ai soci, facendo passare il tutto come un’iniziativa umanitaria. In realtà dopo pochi giorni si sono scoperte le reali finalità dell’operazione: aderire al decreto liquidità.

 Ma il problema è un altro. A molte   aziende che hanno richiesto il prestito garantito dallo Stato, anche quello minimo di 25mila euro,  è stato imposto di esibire il piano industriale triennale. Sarà preteso anche da  Fca? E’ fondamentale saperlo perché il piano industriale che Fca potrà produrre arriverà, si e no, all’inizio dell’anno prossimo, periodo in cui andrà in porto la fusione con il colosso francese Psa. Da quel momento cambieranno tutti gli assetti societari.  In  pratica ad  usufruire di quel prestito sarà un’altra entità proprietaria,  fra i cui soci ci sarà sempre la famglia Agnelli attraverso il suo gruppo finanziario Exor, ma comparirà anche la  Stato francese azionista di Psa. 

Fatemi capire;  una norma atta ad aiutare   un’azienda privata , diciamo così, italiana  andrà a favorire uno Stato estero  sovrano?  Accadrà questo?  Una cosa è certa da  quella fusione nel 2021 i soci (fra cui Exor)   ricaveranno dividendi per 5,5miliadi di euro.  E così si giustifica anche il sacrificio del 2019. A fronte dell'iniziale rinuncia a 1,1 miliardi si ottiene denaro fresco, a tassi irrisori, garantito dallo Stato, per 6,3 miliardi, più i 5,5 miliardi di dividendi del 2021. Ci si può stare.  

Al di la dei paradossi. Fca giustifica la richiesta del prestito con la necessità portare avanti   il piano   di 5 miliardi per investimenti sui nuovi  modelli, da produrre negli stabilimenti italiani,   la cui copertura  sarebbe dovuto arrivare dal mercato automotive bloccato dal Covid.  Perché  Exor anziché sborsare soldi per colonizzare  defintivamente  Repubblica (l’articolo sul prestito pubblicato dal quotidiano è un’ esercitazione di servilismo di rara bellezza ), non ha  impegnato quelle  sostanze per dare esecuzione alla pianificazione di 5 miliardi?  

Ma alla luce dell’imminente fusione,  che ne sarà del  piano?  Gli stabilimenti dove predisporre  le catene per i nuovi modelli  saranno quelli previsti, e i modelli saranno quelli pianificati? Quei pochi stabilimenti ancora attivi in Italia  al 70% della produttività pre-covid, (il resto a cassa integrazione)  rimarranno aperti, ci saranno ulteriori delocalizzazioni? E’ previsto un’ulteriore ricorso alla cassa integrazione? 

In un Paese normale prima di garantire un prestito di 6,3 miliardi lo Stato dovrebbe essere a conoscenza di tutti questi “PICCOLI” particolari. Perché se, puta caso, il nuovo assetto societario decidesse di non restituire, magari solo l’80% del prestito, l’onere toccherebbe a Sace, quindi a Cassa Depositi e Prestiti, quindi allo Stato Italiano. Con conseguente aumento de debito pubblico, e le attivazioni delle stringenti politiche di austerity imposte dall’Europa. Le cui conseguenze, come è noto, sono tagli al sistema sanitario, alla scuola, e a tutti i servizi di pubblica utilità. 

In effetti ha ragione Letta, non contano le sedi legali.  Quello che conta, con tutta evidenza,  è il continuo e reiterato scempio del diritto di sopravvivenza della collettività operato dalle grandi multinazionali e in particolare, per l’Italia dalla famiglia Agnelli. Questo bisogna combattere, anche se, a quanto sembra, pochi ne sono consapevoli.