Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 6 maggio 2017

Massimo Urbani il fragile genio

L'8 maggio Massimo Urbani avrebbe compiuto 60 anni. Pubblichiamo di seguito un ricordo di Enrico Rava







Era tenero, dolce, irritante, inaffidabile, fragile. Era geniale. Massimo  Urbani, il mio fratellino.
Non riesco neppure ad immaginarlo sessantenne. Nella mia mente rimane la sua immagine di sedicenne, come quando l’ho conosciuto, a Roma, nel ’73. Un sedicenne un po’ cicciottello che mi venne a cercare al teatro delle Muse dove avevo appena terminato l’ultimo concerto del tour con quartetto che avevo portato da New York dove vivevo in quegli anni. Amici musicisti mi avevano parlato di questo giovanissimo  sassofonista. Se ne dicevano meraviglie.
Quando un paio di giorni dopo, lo sentii suonare in jam session ne rimasi stregato. Massimo quella sera non si limitava a suonare benissimo. Volava. Letteralmente volava con una leggerezza incredibile, come se la gabbia degli accordi e del tempo non esistessero. Come se avesse superato i limiti della conoscenza per entrare in un’altra dimensione, al di là della forma e delle convenzioni musicali. Aveva solo sedici anni ma sembrava avesse assorbito un secolo di storia del jazz per potersi spingere ancora più in là. Stupefacente. Un paio d’anni dopo lo feci venire da me a New York. Con lui, Calvin Hill al basso e Michael Carvin alla batteria. Un paio di apparizioni in televisione e due settimane in un club. Il Saint James Infirmary. A quei tempi l’usanza (peraltro faticosissima) era di fare tre  set di un’ora. Si era sparsa la voce che nel corso del terzo tempo invitavo a salire  sul palco con noi,  musicisti che lo desiderassero. Ovviamente si era anche sparsa la voce che c’era questo ragazzino italiano che suonava come un pazzo, per cui tutte le sere si presentava una fila di saxofonisti  bellicosissimi , pronti a sfidare Max. Alcuni di loro avevano già un certo nome nel giro, c’era chi suonava con Art Blakey, chi con Horace Silver ecc. Massimo non faceva neanche una piega  e con un aplomb incredibile li faceva fuori  uno dopo l’altro, come ai tempi eroici di New Orleans. Ero così fiero di lui.
Poi però si finiva di suonare e si andava a casa. Stavamo all’angolo dell’ottava strada con la quinta Avenue, a pochi  metri da Washington Square. E li cominciavano i problemi perché Massimo, che aveva questa straordinaria agilità per quanto riguardava le chiavi del suo strumento, era privo della più elementare manualità per tutto il resto. Aprire un pacchetto di sigarette era una specie di lotta che normalmente terminava con la vittoria del pacchetto e con metà delle sigarette distrutte. Per non parlare di cambiare le pile di una radiolina, per esempio. Cosa che bisognava assolutamente impedirgli di fare per non ritrovarsi con una radio a pezzi e inutilizzabile. Come successo a un mio mangiacassette che incautamente avevo lasciato nelle sue mani. O l’uso delle posate. Insomma qualunque cosa ipotizzasse l’uso delle mani.

GALLINE E TACCHINI.
Anche camminare insieme non era facile perché continuava a canticchiare,anzi , a mugolare, una specie di motivetto informe al tempo del quale regolava il passo, per cui improvvisamente accelerava per alcuni metri, per poi rallentare e poi ancora riaccelerare. Passeggiare con lui era un’esperienza stressantissima. Era un personaggio bizzarro. Aveva delle fissazioni peculiari. Una di quelle era il terrore dei pennuti. Tutti i pennuti , ma in particolare  le galline, i tacchini  ecc. Insomma i pennuti da cortile. Chiuderlo da qualche parte con uno di questi animali poteva causargli un infarto.
Oddio, un po’ lo capivo dato che anch’io da piccolo ero terrorizzato dalle oche. Ma questa è un’altre storia. E poi sapeva tutto di Roma. Chissà come mai, dato che se tutto va bene era arrivato alla terza media. Bastava chiedergli qualunque cosa , che so, ad esempio “chi  era Manlio Publio Nasone?” e lui partiva in quarta e ti snocciolava qualunque dettaglio sulla vita di questo personaggio. Così  come sapeva tutto su strade statali e autostrade. Era un tom tom (ambulante) ante litteram. “Max come facciamo per arrivare nel tal posto?” E lui senza esitare “ prendi la ss 14 e poi esci per la ss3  ecc.”. Non ci siamo mai riusciti a spiegare come facesse e soprattutto perché.

IL TAXI
Dicevo inaffidabile. Sì, perché da un certo punto in poi non si poteva più avere la certezza che si sarebbe presentato. Ma non era il mio caso: in tutti gi anni in cui abbiamo suonato insieme non mi ha mai fatto il bidone. E’ sempre arrivato in tempo per il concerto a costo di viaggiare in autostop, o come quella volta che è arrivato dalla Sardegna clandestino a bordo del traghetto dormendo nella scialuppa di salvataggio, per poi continuare in autostop fino a La Spezia dove aveva luogo il concerto.
O un’altra volta  che lo aspettavo a Sanremo (c’era un festival di jazz a quei tempi). Cominciavo ad essere nervoso si faceva tardi e Max non si vedeva quando finalmente arriva e mi fa: “me puoi prestà qualcosa che devo da pagà er taxi?” “Certo” faccio io e gli allungo un deca. “No man” fa lui “So dugentomila lire”. Perché avendo pochissimi soldi in tasca, era andato in stazione , aveva mostrato quel poco che aveva al bigliettaio “Fin dove posso arrivare con questo?” “A Pisa”, e lui si era comprato un biglietto per Pisa e lì aveva preso un taxi per Sanremo.
E dire che all’epoca guadagnava bene, ma tra le sostanze e tutto il resto finivano quasi immediatamente . Anche perché era una delle persone più voraci che abbia mai conosciuto. Vorace di tutto: delle sigarette, delle sostanza, dell’alcol, del sesso, della musica, dell’amore. Della vita, che ha divorato senza pietà.
Chiamava tutti Man anche sua mamma. “Stai tranquilla man!” le diceva. La nonna la chiamava grandfather. Passare una giornata con lui poteva essere una fatica pazzesca, ma era anche così divertente….  E poi quando suonava, che gioia, che emozione.
Purtroppo come si sa , certe abitudini dopo un po’ cominciano a tirare fuori il peggio delle persone. Per non parlare di tutti gli avvoltoi che si presentavano non appena Max suonava da qualche  parte. Per cui si faceva un primo tempo strepitoso poi, durante l’intervallo, i rapaci lo cooptavano e molte volte non si presentava per il secondo, ma, se lo faceva,  sembrava una caricatura di se stesso. Poco per volta il lavoro per lui cominciava a diradare.
Io stesso , benché  da un paio d’anni fossi immerso in un progetto musicale diverso, provai di nuovo a chiamarlo a suonare con me, ma dopo un po’ di esperienze veramente pesanti, avevo dovuto a malincuore rinunciare malgrado il grandissimo affetto che avevo per lui. Per un paio d’anni non lo vidi più. Ogni tanto mi arrivavano notizie. Quasi sempre preoccupanti perché il declino era inarrestabile. Poi una brutta, bruttissima mattina di giugno, ero a Vienna per una registrazione, compro un giornale italiano e nella pagina degli spettacoli leggo “il sax di Massimo Urbani non vola più”. Una tristezza infinita. Era il 24 giugno 1993. Aveva 36 anni.
Gone too soon.

Enrico Rava.

fonte "alias" del 6 maggio.

venerdì 5 maggio 2017

Francia, secondo turno elettorale Ni patrie (Le Pen), ni patrón (Macron)

Dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale
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Parigi, scontri al corteo del primo maggio.

Macron, ex banchiere ed ex ministro di Hollande, ha ottenuto una esigua vittoria nel primo turno delle elezioni presidenziali francesi, passando così al secondo turno che disputerà con Marine Le Pen, leader dell'estrema destra xenofoba del Front National.
Queste elezioni presidenziali aprono una nuova fase nella politica francese. La sconfitta al primo turno dei gollisti e del Partito socialista (Ps), cioè delle due forze che hanno retto il regime per più di 50 anni e sono stati l'asse delle controriforme del grande padronato e della Unione europea (Ue), segna un punto di non ritorno nella crisi della V Repubblica.
La sconfitta è stata in particolare pesantissima per il Ps, che ha ottenuto un misero 6,3% dei voti e che soffre un processo di scomposizione rapida, in parallelo con la crisi generalizzata dei vecchi partiti socialdemocratici europei.
Tuttavia anche i due vincitori del primo turno, Macron e la Le Pen, hanno ottenuto un numero assoluto di voti molto basso, dato che la somma dei due non supera il 34% degli aventi diritto al voto. C'è da aggiungere, inoltre, che c'è stata una massiccia astensione, di oltre 10 milioni e mezzo di persone, con particolare incidenza tra gli operai e i giovani di età compresa tra 18 e 25 anni. Nel caso della colonia francese della Guyana, l'astensione e il voto nullo hanno superato l'80% dell'elettorato.
Il voto per l'estrema destra alla Le Pen e il voto a Mélenchon, identificato come "estrema sinistra" dai mass media, riflette una forte e crescente polarizzazione della società francese.
Chiunque vincerà il secondo turno, Macron o la Le Pen, godrà di una base di appoggio debole e anche le prossime elezioni politiche di giugno non daranno nessuna maggioranza stabile e la crisi politica crescerà, al calore della risposta sociale all'offensiva anti-operaia che il prossimo governo, insieme all'Unione europea, sarà obbligato a sferrare su richiesta del grande capitale francese.
La crisi della V Repubblica francese è anche la crisi dell'Unione europea
I risultati, per quanto deformati dal velo elettorale, mostrano anche il processo irreversibile di discredito della Ue tra i lavoratori europei, in questo caso quelli francesi. La Ue appare in forma sempre più chiara per quello che è: una macchina da guerra contro i lavoratori e le masse popolari d'Europa.
La legge sul lavoro di Hollande e Macron mostra come l'offensiva della Ue, lungi dal limitarsi ai Paesi periferici, sta colpendo con forza anche i Paesi centrali e, in particolare, la Francia, la cui decadenza in relazione alla Germania continua ad approfondirsi da quando è nato l'euro.
La crisi del capitalismo francese e del suo regime riguarda il nucleo della Ue, il futuro del progetto strategico del capitalismo europeo avviato dopo la Seconda guerra mondiale.
L'estrema destra del Front National
Il Front National di Marine Le Pen (21,53% di voti) è arrivato al secondo turno approfittando della crisi acuta del capitalismo francese e del suo regime politico, esibendo un programma nazional-imperialista e xenofobo, ammantato di demagogia sociale. Il Fn ha approfittato del discredito della Ue contrapponendo a essa la "patria francese" e promettendo anche di organizzare un referendum per l'uscita dall'euro.
Però, a una settimana dal secondo turno, la Le Pen sta precisando le sue vere intenzioni quale partito del capitalismo francese. Ha annunciato che, se vince, metterà un gollista, Nicolas Dupont-Aignan (sesto classificato al sesto turno), come primo ministro. E ora già non parla più di abbandonare la Ue ma piuttosto di rinegoziare il patto con il capitalismo tedesco. Il suo programma economico ha così già finito di essere "incompatibile" con l'euro. Ora la Le Pen specifica che "ci sarà un grande dibattito di mesi, forse di anni, prima che si prenda una decisione sull'euro."
La "Francia indomita" di Mélenchon
Mélenchon, ex ministro del "socialista" Lionel Jospin, si è fermato sulla soglia del secondo turno con un 19,64%. Ha raccolto una buona parte del voto operaio e popolare. E' arrivato primo in città come Marsiglia, Tolosa, Lille, Montpellier, Grenoble o Le Havre e secondo in molte altre zone urbane.
Però il programma della "Francia indomita", dai tratti marcatamente nazionalisti, non mira a colpire la proprietà delle grandi imprese e le banche, né pone la rottura della Ue, piuttosto parla di negoziare "una modifica dei trattati". E nemmeno rompe con la politica imperialista francese. Propone una uscita dalla Nato e una assemblea costituente per rifondare la Repubblica.
Qual è l'alternativa?
Durante il primo semestre dello scorso anno, la classe lavoratrice francese ha animato un poderoso movimento di manifestazioni e scioperi contro la riforma del lavoro di Hollande (la legge El Khomri). La classe operaia ha dimostrato che può paralizzare la Francia, con i lavoratori delle raffinerie, i portuali, i ferroviari e i netturbini alla testa. Purtroppo, però, il movimento non è stato né unificato né centralizzato in uno sciopero generale che imponesse il ritiro della legge e sconfiggesse il governo: ciò a causa della strategia di "logoramento" sostenuta dalla direzione della Cgt. Hollande ha potuto così approvare per decreto la controriforma del lavoro, anche se non è riuscito a imporre una sconfitta al movimento, come prova il fatto che gli scioperi e le lotte continuano a svilupparsi anche adesso in varie parti del Paese.
Il discredito delle istituzioni e dei partiti della V Repubblica, e la sfiducia in altre vie che non siano quella di costruire una forza indipendente basata sulla mobilitazione, hanno dato spazio a una iniziativa inedita in una elezione presidenziale: il "primo turno sociale", che si è svolto il 22 di aprile riunendo migliaia di lavoratori e attivisti in place de la République, convocato da federazioni e sindacati di settore e da strutture locali della Cgt, da Sud-Solidaires, dalla Cnt, da studenti, disoccupati e movimenti sociali. Lì hanno avuto visibilità le lotte in corso e si è fatto appello a unificarle, si è rivendicata l'abrogazione della legge sul lavoro e la scarcerazione dei manifestanti arrestati, la fine delle violenze poliziesche. Si è gridato "a voce alta e forte che noi contiamo, noi decidiamo, saremo una forza ineludibile."
L'alternativa passa per l'organizzazione di questa forza sociale, perché possa imporre le sue rivendicazioni. Passa per il rafforzamento del sindacalismo combattivo e dell'autorganizzazione delle lotte, per porre fine alla V Repubblica e alla politica imperialista francese. Per aprire la via a un nuovo regime politico e sociale basato sulla democrazia operaia e sulla proprietà sociale dei grandi mezzi di produzione. Passa per la rottura con la Ue e con l'euro, per la costruzione, insieme alle masse popolari degli altri Paesi europei, di una Europa unita dei lavoratori, gli Stati uniti socialisti d'Europa. Tutto ciò richiede che si avanzi nella costruzione di una direzione rivoluzionaria in Francia e in Europa.
Cosa votare il 7 maggio?
Al primo turno come Lit-Quarta Internazionale abbiamo fatto appello al voto per Poutou, operaio della Ford candidato dal Npa, convinti che fosse questo il voto più progressivo di fronte alle candidature borghesi e alla candidatura di Mélenchon.
A questo secondo turno facciamo nostra la frase scritta sulla statua di place de la République di Parigi: "Ni patrie, ni patron": né patria (Le Pen) né padroni (Macron).
Siamo dalla parte degli studenti che manifestano contro Macron e contro la Le Pen. Ci identifichiamo con i lavoratori della Whirlpool di Amiens che stanno lottando contro la delocalizzazione della fabbrica e che dicono: "non votare né Macron né la Le Pen, scheda bianca".
Operai e operaie e giovani non possono appoggiare Macron, candidato del grande capitale e favorito della Ue, né la Le Pen col suo programma sciovinista, razzista e xenofobo.
"Ni patrie (Le Pen), ni patron (Macron)!"
Costruiamo le lotte sociali!
Costruiamo una alternativa dei lavoratori, indipendente e comunista!

Spari

Luciano Granieri




Un'inedita  convergenza si è realizzata fra Salvini e Renzi. Denominatore comune la necessità di sparare. Non sparare cazzate quelle sono all’ordine del giorno per i due Mattei. No, i due hanno convenuto sull’urgenza di una legge che permettesse di fare il tiro a segno libero  contro  eventuali ladri che dovessero entrarti  in casa. 

Renzi ha sparato questa cazzata in occasione della campagna elettorale per le primarie, sostenendo che la sicurezza non è né di sinistra né di destra, ma è un’impellente richiesta  dei cittadini. Personalmente ritengo che  chi si introduce nelle ville a rubare un po’ d’argenteria e preziosi non fa altro che mettere in atto una sorta di forzosa redistribuzione del reddito. Questo si è un concetto di sinistra! Per il Matteo leghista, lo sappiamo, sparare sugli intrusi, sui migranti, su quelli dei centri sociali e, al  limite anche su De Magistris è la massima aspirazione. 

Dopo che Renzi è tornato sul trono dem a tiranneggiare i suo scagnozzi,  la  legge finalizzata a immunizzare   da procedimenti penali, chiunque facesse il tiro alla quaglia contro eventuali maramaldi intenti ad entrargli in casa, è approdata in Parlamento, alla Camera per la precisione. Ai deputati   del Pd pareva troppo liberalizzare così brutalmente la legittima sparatoria , quindi  si sono inventati, in accordo con l’illuminato Alfano, la giustizia fai da te by night. Cioè se spari ad un ladro di notte, e se lo prendi, vinci un  cagnolino di peluche, se gli spari di giorno, potresti incorrere in qualche guaio con la giustizia. 

Salvini, leghisti, fascisti e affini hanno gridato all’imbroglio invocando il cagnolino di peluche anche di giorno. Ma pure  Renzi si è incazzato, soprattutto con i suoi camerati, pardon…deputati , rei di non aver capito che se il popolo vuole più pallottole bisogna dargliele, sia di notte che di giorno, altrimenti  col piffero che si vincono le elezioni. 

Meno male che la proposta di legge dovrà passare al Senato, dice il Presidente dei Senatori, Grasso, dove potrà essere modificata.  Ma il Senato non era inutile? Non doveva occuparsi di quisquilie? Mi pare che ci fosse una riforma costituzionale a confermarlo. Quella riforma brutalmente cestinata  dagli italiani, fortunatamente…… 

Però se le teste di rapa  che hanno partorito un tale aborto costituzionale si stanno industriando per concepire una legge sullo sparo libero, bisogna stare molto preoccupati. Secondo me sparare dovrebbe essere vietato sempre, sparare pallottole, ma anche sparare cazzate, Quindi  mettete i fiori nei vostri cannoni  sperando che vi spunti un fiore in bocca……

giovedì 4 maggio 2017

Brasile: dopo lo sciopero del 28 che ha paralizzato il Paese Ora occupiamo Brasilia e prepariamo uno sciopero generale di 48 ore!

Direzione del Pstu
(sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale )

pstu
Lo sciopero generale del 28 aprile ha bloccato il Brasile da nord a sud. È stato il più grande sciopero generale di tutta la nostra storia.
La classe operaia ha aderito in massa: metallurgici, chimici, tessili, settore calzaturiero, alimentaristi, vetrai, edili, operai agricoli e trasporti: tutto fermo! Il 28 aprile, dallo spillo all'aeroplano, la produzione si è fermata!  
Un ruolo importante hanno svolto i lavoratori dei trasporti, autobus, treni e metro, che hanno bloccato praticamente tutto il Paese, con rare eccezioni. E questa volta la stampa non è riuscita a trovare persone ammucchiate nelle stazioni delle metro o alle fermate degli autobus che cercavano di andare al lavoro, né a strumentalizzare eventuali lagnanze in qualche settore. Semplicemente, la popolazione non è uscita di casa perché era in sciopero o appoggiava lo sciopero.  
Docenti del pubblico e del privato, lavoratori del settore sanitario, bancari, impiegati pubblici dei tre livelli [federale, statale, municipale, ndt] hanno incrociato le braccia. Anche i commercianti in molti posti si sono fermati. I movimenti popolari hanno aderito con forza, hanno partecipato in maniera organizzata costruendo un sciopero attivo, bloccando ponti e autostrade, realizzando manifestazioni e picchetti: i disoccupati, le masse povere delle periferie, neri e nere, lgbt, indigeni, pensionati, movimenti femminili, movimenti per l'abitazione, senza-terra e quilombolas [discendenti degli schiavi che fuggivano dalle piantagioni]: tutta la classe lavoratrice ha aderito.
Questo governo e questo parlamento di corrotti, banchieri e grandi imprenditori, che dispongono dell'appoggio di appena il 4 percento della popolazione, hanno sentito il colpo. Abbiamo mostrato loro la forza dell'unità della classe lavoratrice e delle masse popolari di questo Paese. Senza di noi non funziona nulla, tutto si ferma.
Ma questo governo di ladri e capitalisti sta dicendo che non intende fermare le riforme in atto. Con grande sfacciataggine dice che lo sciopero è stato un fallimento, ci ride in faccia, credendo così di demoralizzare la classe lavoratrice. La grande stampa, da parte sua, con Rede Globo [rete televisiva brasiliana; ndt] per prima, dopo avere nascosto che ci sarebbe stato lo sciopero, si è vista poi obbligata a mostrare le immagini dello sciopero generale del 28 aprile.
Il giorno dopo, vergogna generale, al contrario delle televisioni e dei giornali stranieri che, avendo degli inviati qui, hanno parlato del peso del nostro sciopero in tutto il mondo, le tv e i giornali filopadronali brasiliani hanno cercato nuovamente di innescare la loro macchina della menzogna, sminuendo la forza e le dimensioni dello sciopero generale in Brasile.
La verità è che questo governo adesso è ancora più debole, e noi, i lavoratori, più forti; e se loro non arretrano, dobbiamo essere noi a fermarli e a mandarli via. Per questo motivo, non dobbiamo accettare che qualcuno patteggi emendamenti su quelle riforme in nostro nome, e dobbiamo dimostrar loro che se non arretrano continueremo la lotta con forza sempre maggiore.
Perciò, adesso, il prossimo passo dev'essere occupare Brasilia [sede del governo federale, ndt] e preparare un nuovo sciopero generale: questa volta di 48 ore.
Continuiamo a riunire, organizzare, ampliare e diffondere i comitati nei posti di lavoro, di studio e nei quartieri, nelle campagne e nelle città; costruiamo assemblee ed organizziamoci dalla base nei sindacati. Raccogliamo denaro ed organizziamo carovane da tutto il Brasile, in ogni settore, città, quartiere, scuola, per occupare Brasilia.
E prepariamo un nuovo sciopero generale. Stavolta di 48 ore. 


Via Temer! Via tutti!

Potere agli operai e alle masse oppresse!

mercoledì 3 maggio 2017

Frosinone. Elezioni Comunali. Appello ai candidati sindaco.

Luciano Granieri





APPELLO AI CANDIDATI A SINDACO  SULLA SITUAZIONE ECONOMICA DELL’ENTE.

Il Comune di Frosinone è gravato da un debito complessivo  pari a 42.397.395 milioni di euro: 14.676.605 a seguito della  situazione economica  deficitaria  accertata dalla Corte dei Conti nel 2012,  e  27.720.720 derivanti dall’inesigibilità di crediti ormai non più riscuotibili dall’ente, come da riaccertamento straordinario  dei residui attivi e passivi operato dal comune di Frosinone nel 2015. Ciò  in ottemperanza del D.Lgs  N.126 del 10/08/2014. 

In conseguenza della prima partita debitoria relativa ai 14milioni e seicentomila, la giunta Ottaviani  ha concordato  un sistema di ripianamento finanziario  con la Corte dei Conti, che impone sacrifici di risanamento  fino al 2022, coinvolgerà quindi anche la prossima consiliatura indipendentemente da chi sarà a guidarla. In particolare, oltre a pagare ratei per 546mila euro ogni 6 mesi, l’ente s’impegna realizzare saldi attivi fra entrate tributarie e spese per servizi pari a: 2.144.082 per il 2018 – 2.207.085 per il 2019 – 2.270.517 per il 2020 – 1.543.393 per il 2021 – 1.598.727 per il 2022. In pratica in cinque anni di gestione l’ente dovrà fare in modo che le entrate in tasse eccedano di quasi dieci milioni le spese per servizi. In relazione alla seconda partita debitoria, di quasi 28miloni, l’ente dovrà versare un rateo annuo di 990mila euro che avrà termine nel 2045. Mediamente ogni anno il Comune fra tasse e debiti dovrà sottrarre alla disponibilità dei cittadini 4 milioni di euro. 

 E’ evidente come ,in presenza della disastrata situazione finanziaria appena descritta, i programmi che voi  candidati state predisponendo per la città rimarranno  eteree promesse, perché non esiste copertura economica  nemmeno per otturare una buca. Si può  scegliere di operare  come ha fatto  la giunta uscente cedendo a privati  anche il più piccolo servizio utile alla città,  opzione  prevista, anzi auspicata, dalle logiche di potere finanziario  globali  che ambiscono ad impossessarsi della ricchezza pubblica, ancora nella disponibilità dei Comuni, quantificata da Deutsche Bank in 571 miliardi. 

Si può assumere del personale a patto che a pagarlo siano degli sponsor privati. A  questo punto la funzione del sindaco   rimane solo  quella di fare lo sceriffo in ottemperanza al decreto Minniti, incaricarsi cioè di cacciare derelitti, barboni ed extracomunitari della città. E’ questa la vostra aspirazione cari candidati  sindaci? 

Se non volete ridurre le vostre funzioni a semplici mansioni esattoriali  e persecutorie verso i più deboli, lasciando che la città vada in malora avete una sola strada. 

Non pagare questa enorme mole di debiti. 

A tal proposito mi appello a voi affinchè inseriate nel vostro programma, i seguenti punti inerenti il bilancio.

1) Moratoria sul pagamento delle rate semestrali pari a 540mila euro relative al prestito di 10milioni ottenuto dalla Corte dei Conti nel 2013.

2) Non riconoscimento, e quindi rifiuto a  corrispondere i 27.720.720 di  euro  rateizzati in quote annuali da 990 mila euro con scadenza 2045,  derivanti dai crediti non più esigibili. Tutta l’operazione è il frutto di un complesso artificio  contabile che in nome delle quadrature di bilancio colpisce  i cittadini nei loro bisogni primari.

3)Interrompere il finanziamento del fondo svalutazione crediti, imposto dalla spending review del 2012. Fondo in cui vanno allocate risorse per coprire il 25% dei crediti esigibili dall’ente ancora non riscossi dopo 5 anni. Denari che sarebbero meglio utilizzati  per soddisfare le   necessità della città.

4)Rigettare totalmente gli obiettivi di bilancio imposti dal piano di riequilibrio economico e finanziario  per gli anni 2018-2022.  Realizzare  10milioni di attivo di esercizio in 5 anni significa imporre ai cittadini un programma lacrime e sangue con imposte ancora più elevate e azzeramento totale dei servizi sociali.

5)Non rispettare le norme soffocanti insite nel patto di stabilità interno, per cui i Comuni non possono spendere per assumere personale ma, viceversa, possono sperperare nell’affidare ad aziende private i servizi di pubblica utilità.


E' vero, si tratta di trasgredire la normativa vigente sul  pareggio di bilancio, ma un tale programma ,  finalizzato a porre gli interessi dei cittadini innanzi alle ragioni della finanza  è auspicato dalla dichiarazione universale  dei diritti umani. E’ ribadito  da sentenze della Corte Costituzionale, vedi  il giudizio di  incostituzionalità  deliberato dalla Consulta su una   norma  nella quale la  Regione Abruzzo bloccava  il finanziamento per l’acquisto di pulmini ai  disabili inducendo ragioni di rispetto del bilancio.

 Lo stesso sindaco di Napoli De Magistris  non si è curato dei vincoli di bilancio imposti dal patto di stabilità e ha proceduto all’assunzione di 185 docenti fra insegnanti di sostegno e maestre per le scuole comunali partenopee.  

Cari candidati a sindaco, prendete seriamente l’ipotesi di fare politica piuttosto che diventare   sceriffi ed  esattori. La cittadinanza ve ne sarà grata.

Grazie per la vostra attenzione
con osservanza
Luciano Granieri

Frosinone 3 aprile 2017

martedì 2 maggio 2017

Il primo maggio visto da Matteo Renzi

Luciano Granieri





Quel che Renzi pensa ma non osa dire.


"Meno male anche quest’anno è passata.  Dopo il 25 aprile, il  1 maggio, care zecche rosse, comunistucoli inconcludenti, riponete le vostre bandierine rosse, che fortunatamente sono sempre meno, e tornate a rintanarvi nella vostra irrilevanza. La ricreazione è finita. Mentre voi stavate a baloccarvi con le vostre elucubrazioni sulle lotte di liberazione, ce la stavate smenando con i diritti dei lavoratori, io mi sono costruito un nuovo trionfo. Sono riuscito a far passare delle primarie farlocche,   sapientemente  acchittate, con la scelta di finti avversari, come una nuova incoronazione. Un plebiscito contrabbandato  per universale, in realtà ce la siamo cantata e suonata da soli senza che nessuno se ne accorgesse. Sappiate cari comunistucoli con la fissa della redistribuzione del reddito, che stavolta non ce ne sarà per nessuno. Avete osato umiliarmi mettendomi contro il popolo sulla riforma costituzionale, mi avete fatto fare una figura di merda  con banchieri e multinazionali, ma ora pagherete caro,  pagherete tutto. Il partito di Renzi, sappiatelo è un partito di destra che tiene in pugno i sindacati. Già proprio colori i quali credete stiano al vostro fianco. Certo anche la CGIL dovrà cambiare registro. Di errori ne ha fatti e pure tanti. Il primo, quello di mettersi contro di me sulla riforma costituzionale. Hanno poi cercato di riparare  non proferendo fiato sulla buona scuola, una controrivoluzione che avrebbe spinto qualsiasi sindacato con un minimo di spina dorsale e schierato in difesa degli operatori scolastici,  a mobilitare tutti, insegnanti, studenti, personale ausiliario. Hanno messo in piedi la pantomima del referendum contro il jobs act, e qui devo ammetterlo,  si sono mostrati degni dei miei insegnamenti. Vi hanno fatto ingoiare la più devastante riforma sul lavoro mai architettata convincendovi a non andare in piazza   con la promessa che l’avreste potuta abrogare attraverso  il referendum.  Salvo poi proporre un quesito referendario,sonoramente bocciato dalla consulta perchè palesemente inammissibile.  Noi vi abbiamo tolto anche il piacere di sconfiggerci  sui voucher. Ve li abbiamo aboliti, tanto poi li rimetteremo sotto altro nome.Certo  ancora  il lavoro da fare sui sindacati è tanto. Dovrò limare i loro eccessi di zelo. La vicenda di Alitalia è emblematica, al fine di  compiacere i padroni e noi che li rappresentiamo, la triplice  ha organizzato  un referendum per chiedere  il consenso dei  lavoratori su  un piano lacrime e sangue senza pretendere  in cambio uno straccio di progetto industriale.  Infatti la proposta  al limite del masochismo è stata bocciata. Però pure voi comunistucoli da quattro soldi, non siete molto scaltri.  Un  partito di destra come sarà il mio spazzerà via le vostre quattro bandierine rosse, sempre pronte ad imbarcare il falso consenso  di quei sindacati che vi stanno fregando da anni senza che voi ancora ve ne rendiate conto. Ma si, cantate!, ballate!  al primo maggio, va bene così, perché dal 2 maggio per voi sarà peggio di prima. Grazie al mio partito di destra ultra liberista  il lavoratore sarà sempre più schiavo e gli studenti anziché studiare faticheranno da McDonalds aggratis, Buon Primo Maggio postumo".

Ciao saggio amico comunista.

Luciano Granieri 



Ci ha lasciato oggi Valentino Parlato. Il fondatore de  “il manifesto” insieme a Rossana Rossanda e Luciana Castellina, si è spento a Roma all’età di 86 anni. Già il manifesto. Il quotidiano che ho iniziato a leggere dalla fine degli anni ’70 e il vecchio “comunista anomalo” Parlato  ne era il direttore. Un personaggio da cui ho provato ad apprendere le dinamiche politiche e sociali che hanno chiuso il secolo breve e ci hanno proiettato verso la società liquida del 2000. Spesso non sono stato d’accordo con le  sue posizioni e quelle del “manifesto”. Ma non posso negare come molti suoi articoli siano  stati per me importanti  anche come crescita personale. Vorrei ricordarlo pubblicando un piccola intervista che rilasciò al sottoscritto, l’umile redattore di un blog di provincia, nel marzo del 2011. L’occasione fu la grande manifestazione in difesa della costituzione, allora messa in pericolo dal governo Berlusconi, organizzata da movimenti sociali  e semplici cittadini a Roma. Valentino Parlato partecipava come tutti noi srotolando un grande drappo della pace. Abbiamo scambiato  due battute riguardanti non solo la Costituzione, ma i sommovimenti in Egitto,  che  allora non lasciavano presagire gli esiti nefasti di oggi.

Ciao vecchio amico comunista.

lunedì 1 maggio 2017

La sinistra che vorrei sta nel blues

Luciano Granieri


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Sabato scorso, 29 aprile, ho partecipato all’iniziativa “La sinistra che vorrei”. L’incontro, organizzato a Sora da  Sinistra Unita Sora, era finalizzato al confronto fra  cittadini e  movimenti civici  provinciali,  alcuni costituitisi in occasione  delle ultime elezioni locali,  altri in corsa   alle  prossime amministrative di giugno. Il denominatore comune di tali formazioni  è  la presenza, al loro interno,  delle  diverse forze,  poste a sinistra del Pd, presenti in Provincia. Frosinone in Comune, ad esempio, è una di queste.  La lista, formata da membri di Possibile, Sinistra Italiana,  Rifondazione Comunista,  Partito Comunista Italiano, sosterrà il candidato a sindaco Stefano Pizzutelli nelle elezioni del Capoluogo. 

Altro obiettivo  ambizioso  dell’evento  era, cito testualmente,”  rivolgersi a tutte le Compagne e i Compagni che hanno perso la voglia di svolgere politica attiva perché delusi da una sinistra spaccata, litigiosa e autoreferenziale e ai giovani che sognano una politica diversa e una rappresentanza che dia risposta ai loro bisogni”.  Probabilmente nella prima categoria avrebbe potuto rientrare anche il sottoscritto. 

Presso l’auditorium De Sica di Sora, sono convenuti tutti i maggiorenti dei gruppi provinciali alla sinistra del Pd, da Articolo 1 (quelli di Bersani, per capirci) a Sinistra Italiana, a Possibile, al Partito Comunista Italiano, a Rifondazione Comunista. Addirittura quest’ultima calava l’asso  del segretario nazionale Maurizio Acerbo appena eletto al congresso di Spoleto. In effetti il parterre de roi era  nutrito. Gli interventi si sono succeduti, con il contributo di dirigenti provinciali, regionali, fino alla relazione , attesa ed acclamata dai militanti di Rifondazione,  del neo segretario Acerbo. 

I temi squadernati sono stati i soliti: redistribuzione del reddito, lotta alla disoccupazione e alla povertà, migrazione, populismi variamente declinati : Lega,  M5S, (Partito di Renzi aggiunta mia). Si sono affrontate tematiche locali concentrate sul governo dei Comuni. I problemi sociali è  noto sono enormi e almeno il loro riconoscimento    è risultato  comune a tutte le forze presenti, così come  l’appello all’unità della sinistra. 

Devo essere sincero? Il dibattito non mi ha entusiasmato. L’approccio riformista e keynesiano alla crisi non mi ha convinto e non mi convince. La lotta al capitalismo non si può condurre  accettando le regole del gioco determinate dal capitalismo stesso. Se l’ambito è ostile, la partita è perdente, lo ha dimostrato la Grecia. Dunque l’atto di coraggio vero sarebbe quello di cambiare il campo della contesa , trasferirlo dal terreno riformista a quello socialista. Non ha senso mettere Lenin sulla tessera  del partito se poi si rinnegano gli insegnamenti delle tesi d’aprile, almeno le principali ovvero: non appoggiare i governi borghesi perché è impossibile che essi possano conciliare i loro interessi con quelli del proletariato, o anche, riferito all’oggi, nazionalizzazione delle banche e delle realtà produttive più importanti. Questa è la visione generale  che dovrebbe animare un’azione di sinistra, , il quadro ideologico  in  cui comprendere la risoluzione   dei  problemi, dalla disoccupazione, alla redistribuzione del   reddito, all’immigrazione. Ma non mi sembra che una tale posizione  sia stata ribadito  nel dibattito.

E, quando si  sono affrontate  le problematiche sul    governo delle città, non mi pare  di aver sentito qualche consigliere o aspirante sindaco, impegnarsi a non pagare i debiti,   illegalmente caricati dalla speculazione finanziaria, sui  propri enti. Debiti usati come grimaldello per consentire alle multinazionali di acquisire i 510 miliardi e passa di ricchezze pubbliche , oggi ancora  nelle disponibilità delle città. Vorrei  ricordare che negli oltre  2.000 miliardi di debito nazionale solo il 2% è a carico dei Comuni. 

Unità è stata la parola più invocata e evocata. Ma unità su che cosa non si è capito.  La stessa unità che ho apprezzato  invece qualche ora più tardi, al “Coma White” locale in  cui i miei amici musicisti del gruppo  Mojo Coffee Blues hanno profuso groove a pieni accordi. Che c’entra il blues con la politica e con l’unità? C’entra. Innanzitutto è  forte  lo spirito unitario che lega  chi suona e chi ascolta nel bearsi di quell’effluvio di armonie sdruciole proprie delle scale pentatoniche. Certo per cementare la coesione è necessario un minimo di collante alcolico. 

Se si va alla storia del blues, si nota come questo sia stato uno dei primi potenti veicoli di condivisione delle problematiche, diciamolo pure, del proletariato. Nei  treni merci, che agli inizi del ‘900  davano rifugio   clandestino a disoccupati e derelitti  in viaggio da uno Stato all’altro in cerca di lavoro, suonavano i primi bluesman. Si trattava di  vagabondi  dalla vita precaria come  Blind Lemon Jefferson, Leadbelly, Howlin’ Wolf. 

La  loro musica denunciava, per tutta l’America, le condizioni misere ed inaccettabili cui era costretta a vivere una moltitudine di disperati.  Così come i primi race record, i dischi della razza destinati ad un pubblico di colore, rivelarono che gli stessi drammatici problemi coinvolgevano persone sfruttate lontane  migliaia di chilometri tra di loro. Quando si incisero i dischi di blues, blues popolari, per la prima volta questi soggetti poterono ascoltarsi l’un l’altro. Donne e uomini  addetti ai lavori più umili espressero le loro speranze, condivisero  le loro ansietà, raccontarono le vicende della loro vita in canzoni che venivano incise su dischi. 

Insomma potremmo dire che il blues è stato un potente mezzo unitario  di condivisione  di una vera coscienza di classe. Ecco la sinistra che vorrei dovrebbe trovare la sua unità tornando a viaggiare nei treni dei vagabondi e dei disoccupati, diffondendo la coscienza di classe attraverso la sua musica, quella in cui la melodia principale descrive una società in cui il governo è gestito dalle classi subalterne.

 Propongo di invitare, ad un prossimo convegno, se ci sarà, tre o quattro blues band, compreso i miei amici Mojo. Sono sicuro che l’unità si troverà in un battibaleno senza se e senza ma. 

Black brown and white, di Big Bill Broonzy è uno dei blues più emblematici in cui si descrive l'impossibilità assoluta per un nero disoccupato di trovare uno straccio di lavoro.
Good Vibrations!


domenica 30 aprile 2017

Comuni fra debiti, sponsor e sceriffi

Marco Bersani dal "manifesto" del 29 aprile 2017


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Illustrazione di Jacopo e Luciano Granieri
L’attacco alla funzione pubblica e sociale degli enti locali prosegue senza soluzione di continuità. D’altronde, è nella disponibilità dei Comuni la ricchezza sociale cui da tempo mirano i grandi interessi finanziari e immobiliari: territorio, patrimonio pubblico, beni comuni e servizi.
Una ricchezza, quantificata a suo tempo dalla Deutsche Bank in 571 miliardi di euro, da mettere sul mercato attraverso la trappola del debito e la gabbia del patto di stabilità e del pareggio di bilancio.

Che il debito per i Comuni sia una trappola risulta evidente da un dato: nonostante l’apporto degli stessi al debito complessivo del paese non superi il 2% (dati Anci 2017), il contributo richiesto ai Comuni -tra tagli ai trasferimenti e patto di stabilità- è passato dai 1.650 Mld del 2009 ai 16.655 Mld del 2015 (dati IFEL 2016). Ovvero, si utilizza lo shock del debito per scaricarne i costi sugli enti locali e sulle comunità territoriali allo scopo di costringerle alla privatizzazione dei beni comuni.
Un dato è ulteriormente significativo: la spesa per il servizio al debito –gli interessi- copre in media il 12% della spesa corrente dei Comuni, con punte del 25% negli enti locali medio-piccoli. Si riducono drasticamente i servizi, in particolare alle fasce deboli della popolazione, per onorare con inusitata efficienza le date di scadenza degli interessi sul debito.
Senza porsi almeno due domande fondamentali.
La prima: perché gli interessi sul debito continuano a essere così alti quando il costo del denaro per il sistema bancario è a tasso quasi negativo? Si dirà: sono mutui contratti molto indietro nel tempo e dunque con tassi di interesse non attuali. Logica dunque vorrebbe che gli enti locali, invece di pagare interessi da usura sottraendo risorse agli abitanti delle comunità, si ribellassero collettivamente e chiedessero una drastica ristrutturazione dei mutui contratti.
La seconda: perché se la grandissima parte dei mutui è stata contratta con Cassa Depositi e Prestiti, non si richiede con forza un intervento del governo che riporti Cdp alla sua vecchia funzione, ovvero quella di utilizzare il risparmio postale per finanziare gli investimenti degli enti locali a tassi agevolati? Si dirà: perché Cdp nel frattempo è diventata una società mista pubblico-privata (con all’interno le fondazioni bancarie) ed opera come un soggetto di mercato. Logica dunque vorrebbe che si rivedesse radicalmente quella scelta nefasta.
Niente di tutto questo sta avvenendo. Al contrario, ecco la grande novità contenuta nella “manovrina” in discussione in Parlamento: arrivano gli sponsor.
I Comuni non possono assumere personale? Bene, se trovano uno sponsor privato che ne paga lo stipendio potranno farlo. Naturalmente, “senza pregiudicare le funzioni primarie degli enti locali, ma solo per prestazioni aggiuntive” si precisa. Ora, a parte l’utilizzo della funzione lavorativa pubblica come operazione di marketing commerciale, sappiamo bene come, abbassata anche questa asticella della soglia d’ingresso ai privati, sarà un attimo saltarla e privatizzare la gran parte delle prestazioni lavorative comunali.
Viene spontanea una domanda finale: se tutti i servizi pubblici sono stati privatizzati attraverso le Spa e se si iniziano a privatizzare persino le prestazioni lavorative comunali, a che serviranno i sindaci? Niente paura, a loro hanno già pensato Minniti e Orlando: una stella sul petto, un vigile urbano con pistola nella fondina al fianco, e via per la città alla ricerca di mendicanti, marginali, profughi o semplicemente poveri. D’altronde, è il “decoro” la vera funzione pubblica e sociale dei Comuni. Finché non tornerà a soffiare, territorio per territorio, la ribellione delle comunità locali.

1 MAGGIO ISOLA DEL LIRI

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Il Partito della Rifondazione Comunista della Federazione di Frosinone parteciperà al corteo del 1° Maggio ad Isola del Liri.
Partecipare al corteo per il nostro Partito ha un grande valore ideale e politico. Questa manifestazione si svolge da tanti anni nella città simbolo delle lotte operaie, città-fabbrica patria dei Cartai, degli Stampatori e dei Tessili. Una città e un territorio in cui una Classe Operaia valorosa e forte ha saputo essere il motore del progresso della società e della difesa dei diritti delle classi subalterne.
Le trasformazioni dei modi di produzione e le delocalizzazioni delle fabbriche hanno determinato una riduzione della massa operaia con la conseguenza di insterilire la dialettica sociale, l’aumento dei ricatti di chi continua a occupare un posto di lavoro e amplificando i livelli di disoccupazione. In una espressione: la destrutturazione della società.
Di fronte a questo scenario, il Primo Maggio, come festa che celebra il Lavoro, assume un significato ancora più forte, di richiamo dell’attenzione delle persone nei confronti del lavoro, sia di quello svolto e smpre più bisognoso di tutele e sia di quello negato, fonte di un disaggio sociale vieppiù pesane ed intollerabile.
Il PRC ha questa tematica come nucleo, come baricentro della propria piattaforma politica. Riteniamo di spingere al centro della sfera pubblica, della cosiddetta agenda dell’informazione, il tema drammatico del lavoro. Pe noi questo significa parlare di cose vere, pesantemente concrete. Si vuole, da parte nostra, ridare un senso profondo al compito della politica.
Siamo  convinti e forti delle nostre idee,  grideremo con forza che và ribaltato lo stato delle cose, i diritti dei Lavoratori non possono essere solo dei ricordi di un passato ormai andato; la previdenza sociale non può essere rappresentato come un problema contabile e scordare che per la stragrande maggioranza dei giovani la pensione sarà una chimera. Il futuro deve essere costruito a partire da oggi.
Bisogna organizzarsi e lottare per cambiare lo stato delle cose, la Federazione di Frosinone ha in programma un grande appuntamento pubblico dove metterà al centro un’importante riflessione sul Lavoro. Questa nostra provincia non brilla nel panorama nazionale, dilaniata da una disoccupazione i cui numeri, questi si, sovrastano quelli delle altre provincie italiane. Come pure è da primato nazionale il ricorso massiccio all’uso di ammortizzatori sociali. Prova questa che i vari management sono poco capaci e che scaricano sulla collettività gli effetti delle loro inettitudini. E nessuno ne parla.
Il PD, partito di governo nazionale regionale e provinciale che esprime tutte le cariche istituzionali più importanti in questa provincia (deputato, senatore, assessore regionale, presidente di provincia), è intento ad alimentare il teatrino mediatico della politica, ingolfando la cronaca dei rotocalchi con notizie di composizioni, scomposizione , rimescolamenti di vari personaggi e gruppi di cordata intorno alle tematiche di politica politicante fatta di intrighi elettorali e spartizioni da poltronificio.
Noi abbiamo un obbligo: agire per fare la nostra parte per far sì che il popolo rialzi la testa e che i giovani tornino ad essere protagonisti del loro futuro senza più paure.
W il Lavoro, W la Classe Operaia , W il 1° Maggio!!!

                         
  Giuseppe Di Pede, dipartimento lavoro PRC         

Paolo Ceccano, Segretario provinciale Prc