Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 30 dicembre 2021

Piloti automatici

Luciano Granieri



L'attivatore di piloti automatici per antonomasia  è il  Presidente del consiglio Mario Draghi. 

Il pilota automatico della UE

La prima volta che l’ex banchiere  fece riferimento  al pilota automatico fu nel 2013. Quando gli fu chiesto, da presidente della BCE,  di valutare se il successo alle elezioni del M5S, partito allora smaccatamente antieuropeista, avrebbe potuto innescare una maggioranza contraria alle riforme europee, Draghi si disse certo che l’Italia avrebbe rispettato il cammino tracciato dalla Bce a prescindere da chi avrebbe guidato la compagine governativa. Perché a determinare la rotta c’era un pilota automatico il quale avrebbe scongiurato qualsiasi deviazione dalla ferrea linea stabilita . 

Si riferiva al fatto che, qualora il programma di austerità avesse preso una china indesiderata, la Bce avrebbe sospeso il massiccio piano di acquisto titoli pubblici italiani (quantitative easing) e lasciato il debito del Paese in balia della speculazione finanziaria, con il conseguente innalzamento degli interessi a livelli insostenibili. Avete presente la Grecia? Peggio. Giova ricordare che quelle riforme imposte dalla Bce, comprese nel patto di stabilità, con il senno di poi, non si sono rivelate così salutari, visto che la loro attuazione è stata sospesa perché ritenuta dannosa nella cura della pandemia.

Il pilota automatico nazionale

 La figura del pilota automatico si è riproposta il 22 dicembre scorso quando Draghi, di fatto, non escludeva, anzi avanzava,  la propria candidatura al Quirinale. “E’ essenziale che la legislatura vada avanti…...per il rilancio della crescita, l’attuazione del PNRR, il piano con cui abbiamo creato le condizioni perché l’operato del governo continui indipendentemente da chi ci sarà”. Queste le parole del presidentissimo. Non ha citato chiaramente la figura del pilota automatico, ma il senso è precisamente quello. E come dargli torto. Per ottenere le 20 tranche dei finanziamenti del PNRR, da oggi, e fino al 2026, il governo italiano deve assicurare 528 condizioni, pena l’interruzione del flusso di denaro. 

Riforme orientate alla definitiva privatizzazione dei servizi pubblici, compresa l’erogazione dell’acqua, alla definitiva alienazione di ogni forma di stato sociale e ad un piano di finanza sostenibile, ossia rientro dal debito (il patto di stabilità uscito dalla porta della sospensione europea, rientra dalla finestra del PNRR) . Dunque chiunque guiderà il governo fino al 2026 avrà già la rotta segnata e guai a deviare da quel percorso. 

Il pilota automatico negli enti locali

E se nessuno ancora se ne fosse accorto il pilota automatico guiderà anche gli enti locali, Comuni compresi. Infatti qualora dovesse servire assumere, da parte degli enti,  personale per gestire i piani del PNRR, ciò dovrà avvenire attraverso contratti a tempo determinato. Ma, soprattutto, i Comuni dovranno dismettere quel poco di pubblico che ancora hanno nella propria disponibilità. Nel decreto concorrenza vengono stabilite tali e tante restrizioni per la gestione pubblica di un servizio, a fronte dell’estrema semplificazione concessa ai privati, che di fatto i sindaci vengono costretti a privatizzare tutto. A questo quadro aggiungiamo che i decreti attuativi approvati per far funzionare Legge 8/2020, nella quale lo Stato si accolla i debiti dei Comuni con l’obiettivo di ridurre i tassi d’interesse, cosa in se buona e giusta, condizionano quest’azione ad un più stringente piano di avanzi di bilancio, per cui, a tassi d’interesse più bassi, corrisponde un’ulteriore restrizione dei servizi ai cittadini. Risulta evidente, quindi, come anche per i comuni il pilota automatico è bello che innestato. 



Il pilota automatico a Frosinone

A proposito della Legge 8/2020, la richiesta dei decreti attuativi, poi realizzatisi in modo del tutto contrario allo spirito della norma, era uno dei punti di un Odg che come Rigenerare Frosinone presentammo al Comune di Frosinone attraverso l’ex consigliere Daniele Riggi. Testo snobbato sia dai consiglieri di maggioranza, di centro destra, che da quelli di minoranza, (centro sinistra + M5S). Nell,Odg, oltre al punto citato, si chiedeva l’impegno del sindaco a richiedere iniziative governative volta alla sospensione del patto di stabilità per gli enti locali, alla possibilità di accedere a prestiti a tasso zero presso la Cassa Depositi e Prestiti, all’apertura di un Fondo nazionale di solidarietà per i Comuni. Doveva essere la risposta al sindaco Ottaviani che lamentava la difficoltà a soddisfare le condizioni del Piano di Riequilibrio Economico e finanziario proprio per la continua distrazione di risorse da parte del governo centrale, dimenticando gli effetti nefasti creati della sua, diciamo così, finanza creativa. Era un documento politico che avevamo messo a disposizione delle opposizioni, anche per mettere in difficoltà il sindaco.  Non è stato capito? Non è stato voluto capire? Mistero. 

Resta il fatto che a Frosinone il pilota automatico è presente dal 2013. Dall’anno in cui il sindaco, allora appena insediato, Nicola Ottaviani ha dovuto concordare con la Corte dei Conti un piano di rientro di un debito di 14 milioni di euro accumulato dalle amministrazioni precedenti, per lo più derivato dalla mancata riscossione degli oneri di urbanizzazione. Ad esso si sono aggiunti ulteriori 5 milioni di prestito contratti nell’ambito della definizione del piano  stesso. In più aggiungiamo che nell’accertamento dei residui attivi e passivi elaborato nel 2015 sono usciti altri 27 milioni di debito da ripianare in 30 rate annue da 940 mila euro, operazione incostituzionale, così come ribadito dalla Consulta in una sentenza relativa ad altri enti. Nell’ultima verifica semestrale dei giudici contabili, nella  deliberazione 7/2020, risultava che dal 2013 al 2019 la situazione debitoria rimaneva la stessa . Anzi,  dopo un’ulteriore controllo dell’amministrazione, sono spuntati altri 8 milioni di debiti. Ciò, nonostante la puntuale liquidazione da parte della giunta Ottaviani di servizi e proprietà comunali verso i privati secondo una deriva smaccatamente antisociale, andando oltre i protocolli del miglior pilota automatico possibile. 

Non sarà stata colpa di quella finanza creativa già richiamata a cui la cui minoranza ha saputo opporre solo qualche post sarcastico ma indolore sui social media? A tutto ciò dobbiamo aggiungere 6milioni e settecento mila euro da restituire in dieci anni a partire dal 2020 per venire in possesso del palazzo della ex Banca d’Italia, che lo ribadiamo,  non è in possesso dell’ente e forse non lo sarà mai. Si è in attesa del pronunciamento definitivo della Corte dei Conti sul risultato del Piano di riequilibrio economico e finanziario, conseguito dalla giunta Ottaviani. Non crediamo che in tre anni dal 2019 al 2022 si siano potuti recuperare 55 milioni e passa di disavanzo, per cui il giudizio non potrà che essere negativo. 

Si rinnoverà dunque il pilota automatico con effetti quanto mai mefitici per la cittadinanza. La prossima giunta non potrà far altro che eseguire i diktat dei giudici contabili, magari sottoscrivendo un ulteriore programma decennale  di devastazione sociale per evitare il dissesto del Comune. Dissesto che nessuno vuole, non i debitori e men che meno i creditori, ben felici di usare la trappola del debito come strumento coercitivo per procedere alla definitiva alienazione di ogni bene o servizio comunale in favore della speculazione privata . Tutti coloro che oggi si acconciano ad accomodarsi al tavolo del campo largo del centro sinistra, queste cose le sapevano, lo avevamo fatto presente,  come Rigenerare Frosinone, a loro come alla cittadinanza, ma nessuno ci ha ascoltati. 

Ora c’è poco da fare programmi, su giustizia sociale, conversione ecologica, ed altro ancora. Come e quando dovranno essere spesi dei soldi lo deciderà la Corte dei Conti, non certo il prossimo sindaco, sia esso del Pd, del Polo Civico, di Art-1, o ancora di destra. A meno che non si faccia un atto di coraggio e si persegua il bene dei cittadini in spregio agli interessi dei grandi speculatori finanziari e fondiari. Si abbia il coraggio di costituire insieme ad altri sindaci un fronte condiviso per rifiutare le regole del patto di stabilità interna che stanno strozzando i comuni. Noi, come già detto, avevamo proposto un Odg che andava in quel senso ignorato da tutti, maggioranza e opposizione.

 Visto che, come direbbe il vecchio compagno, amico e maestro, Francesco Notarcola “le ciocche so’ chelle” . Chi andrà a guidare la prossima consiliatura cittadina non potrà fare altro che affidarsi all’ennesimo devastante Pilota Automatico.

venerdì 17 dicembre 2021

COMUNICATO STAMPA DEL COLLETTIVO RIGENERARE FROSINONE

 


In vista delle prossime elezioni amministrative di Frosinone, il Collettivo “Rigenerare Frosinone” ritiene opportuno comunicare alle forze politiche e ai cittadini quanto segue:

1) Indifferenti e poco appassionati alle dinamiche di stampo elettoralistico, ma concentrati sui contenuti, siamo interessati a confrontarci con chiunque voglia prendere in considerazione il nostro contributo che, nel corso dell'anno, si è esplicitato nell'affrontare, operativamente, i temi sensibili della città: bilancio, rifiuti, ambiente, sanità, cultura.

2) Non ci interessa, almeno in questa fase, fare accordi con chicchessia. Le eventuali alleanze avverranno esclusivamente di fronte a precise proposte programmatiche, partecipate e condivise, che rispecchino la nostra visione della città.

3) Nel gennaio 2020 il Collettivo lanciava un appello alle forze politiche e sociali che si oppongono alla Giunta attuale, nel quale concludeva << Dobbiamo cambiare pagina; è necessario mettere insieme tutti coloro che si battono, senza tornaconti, per ritrovare l'anima di questa prostrata città e di coloro che la popolano >>. A questo appello Rigenerare Frosinone ha fatto seguire le iniziative politiche, sociali e culturali sui temi già elencati al punto uno. Al contrario, le forze politiche, giova dirlo a chiare lettere, non hanno fatto la loro parte: soltanto qualche sporadica apparizione di qualche Consigliere dell'opposizione alla quale nessuna azione di nessun tipo è seguita!

4) Tutto ciò considerato, Rigenerare Frosinone fa appello a tutti coloro che lavorano per una città diversa, politici e cittadini, per trovare forme di incontro e modi comuni per affrontare un percorso di reale cambiamento. Particolare attenzione, infatti, Rigenerare Frosinone pone sull'associazionismo, che in questi anni ha svolto un'azione di grande efficacia a sostegno dei bisogni dei cittadini. Spesso questo operare è stato ignorato, se non ostacolato, dalle maggioranze consiliari che si sono succedute, attente ad altri interessi, alla guida del capoluogo. E' venuto il tempo di mettere fine a questo modo di governare, agli accordi di potere e agli uomini buoni per tutte le stagioni. Il futuro del Capoluogo deve essere costruito sulla capacità di realizzare “ il nuovo”, in una rinnovata sintonia di cittadini e di politici nei quartieri e nelle contrade. Un centrosinistra come quello attuale, tristemente noto, portatore quasi esclusivamente di politiche neoliberiste, non ci interessa affatto.


lunedì 13 dicembre 2021

Sciopero generale: sì, ma come?

 Dichiarazione del Comitato centrale del Pdac



La principale confederazione sindacale italiana, la Cgil (5 milioni di iscritti) e la Uil (2 milioni di iscritti) pochi giorni fa hanno deciso di proclamare lo sciopero generale per giovedì 16 dicembre. È stato, quindi, annullato lo sciopero dei metalmeccanici della Fiom del 10 dicembre che convergerà sulla giornata del 16. La Cisl, il secondo sindacato per numero di iscritti, ha invece deciso di sfilarsi: il segretario generale Sbarra ha definito la proclamazione dello sciopero una scelta «sbagliata, esasperata e distorta» (sic!): parole che si commentano da sole.

Una proclamazione non scontata
Quello del 16 dicembre è uno sciopero proclamato in pochi giorni, senza l’adeguata preparazione che sarebbe necessaria e che, soprattutto, vedrà esclusi molti settori lavorativi: oltre alla scuola (che ha mantenuto lo sciopero il 10 dicembre) e alla sanità, probabilmente – su richiesta della Commissione di garanzia degli scioperi – saranno esclusi anche i trasporti, le poste, le pulizie, alcuni comparti del pubblico impiego. Per ora, il sindacalismo di base non si è pronunciato rispetto allo sciopero: è probabile che solo alcuni settori decideranno di proclamare sciopero lo stesso giorno, mentre altri opteranno per una scelta settaria.
Iniziamo col sottolineare gli aspetti positivi di questa proclamazione. Anzitutto, non era affatto scontata. Sempre che le direzioni di Cgil e Uil non decidano di ritirarlo in cambio di qualche vuoto contentino da parte del governo – ipotesi da non escludersi – va evidenziato che hanno fatto di tutto per evitarne la proclamazione. Da mesi è in corso una campagna, animata dalle realtà più combattive del Paese, per chiedere a gran voce la proclamazione dello «sciopero generale e generalizzato» per contrastare gli attacchi del governo Draghi e dei padroni. Per mesi gli appelli sono rimasti inascoltati, anche se, soprattutto nella base della Cgil, la pressione per lo sciopero ha iniziato a crescere e diffondersi, a partire dai metalmeccanici: la Fiom aveva infatti già deciso di proclamare una giornata di sciopero nazionale il 10 dicembre con manifestazioni regionali (sciopero poi ritirato per convergere sul 16 dicembre).
Se fino ad oggi Landini ha evitato accuratamente di porre all’ordine del giorno lo sciopero generale il motivo è presto detto: la burocrazia Cgil, per i suoi legami con settori del Pd e della sinistra (Leu) che sostengono il governo, non aveva alcune intenzione di alzare lo scontro con il «governo amico». Poco importa che questo governo stia, da mesi, sferrando attacchi pesantissimi ai lavoratori e ai proletari: dallo sblocco dei licenziamenti (non a caso sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil) all’allentamento delle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro (col pretesto del green pass).
Il livello dello scontro lo ha, in realtà, alzato lo stesso Draghi che, annunciando un’ulteriore stretta sulle pensioni, ha deciso di abbandonare il tavolo con i sindacati confederali (tra l’altro più che accondiscendenti a una revisione di quota 100). Ecco, allora, che la necessità di battere un colpo è diventata obbligata. Ma come si proclama uno sciopero generale degno di questo nome?

Azione incisiva o arma spuntata?
Ciò che è avvenuto in altri Paesi negli ultimi anni – dalla Francia alla Catalogna al Brasile – ci dimostra che, per costruire un’azione di lotta incisiva contro gli attacchi dei governi, è necessario costruire lo sciopero generale con un’adeguata preparazione. Lo sciopero generale, in Italia, andava messo all’ordine del giorno mesi fa, preparato nei luoghi di lavoro con assemblee, riunioni, appelli all’unità e alla mobilitazione. Non basta segnare sul calendario una data all’ultimo minuto e, voilà, lo sciopero generale è fatto. I lavoratori, in Italia, hanno subito per anni umiliazioni e attacchi violenti. Le loro direzioni – sindacali e politiche – anziché chiamarli alla lotta li hanno, spesso, convinti della necessità di rassegnarsi: gli interessi burocratici e il sostegno ai governi Conte e Draghi sono sempre stati più importanti degli interessi dei proletari (persino della loro necessità di sopravvivere, si pensi ai protocolli sicurezza, una farsa pericolosa).
Dopo che gli apparati sindacali hanno spiegato per mesi che «scioperare non serve», disabituando i lavoratori alla lotta, ora li chiamano a mobilitarsi… con una settimana di anticipo! Chiamare allo sciopero generale in questo modo, tra l’altro alla vigilia delle feste, rischia di essere un’arma spuntata. E, probabilmente, è proprio questo l’obiettivo delle burocrazie sindacali di Cgil e Uil: trasformare il 16 dicembre in un’innocua passeggiata romana, magari tra i fiocchi di neve, per giustificare, ancora una volta, l’ennesima capitolazione al governo borghese. È anche improbabile che i segretari di Cgil e Uil non sapessero che le leggi antisciopero – da loro stessi rivendicate – avrebbero impedito a molti settori cosiddetti «essenziali» di scioperare: l’intento delle burocrazie è quello di depotenziare al massimo la giornata del 16 dicembre. Le dichiarazioni dello stesso Landini, del resto, sembrano proprio andare in questo senso: «per quello che ci riguarda il dialogo non è interrotto, si può riprendere a dialogare in ogni momento». Un po’ come prepararsi a una battaglia rassicurando il nemico sul fatto che non si intende procurargli alcun danno. Altrettanto paradossale è il tentativo, da parte del segretario generale della Cgil, di presentare Draghi come un premier «sensibile alle richieste sindacali» ma ostaggio della propria maggioranza che lo costringerebbe a innalzare lo scontro «contro la sua volontà».
È inoltre vergognosa la capitolazione delle direzioni di Cgil e Uil ai diktat della Commissione di garanzia degli scioperi: se volessero, Cgil e Uil (che raggruppano milioni di lavoratori e hanno bilanci milionari) avrebbero la forza per ignorare questi diktat e proclamare sciopero anche nei settori sottoposti alle leggi antisciopero (coprendo economicamente eventuali multe che dovessero arrivare ai lavoratori). Va aggiunto che la stessa esclusione consapevole della sanità dallo sciopero – il settore più in sofferenza e che più di tutti avrebbe bisogno di scioperare per contrastare il disastro in corso – rende l’idea di come le direzioni sindacali vogliano dare al governo garanzie di «responsabilità».

Un possibile punto di partenza?
Se lo sciopero generale a metà dovesse essere mantenuto, sono due i possibili scenari che si aprono. Il peggiore è che questa giornata si trasformi in un’azione meramente dimostrativa, totalmente controllata dalle direzioni sindacali che mirano a traghettarla verso un nuovo accordo col governo padronale. Ma c’è anche la possibilità che questo sciopero si trasformi nell’inizio di un’azione prolungata di lotta. Tutto dipenderà dalla capacità che avranno le realtà operaie nelle fabbriche più combattive di andare oltre le intenzioni delle loro direzioni sindacali. Gli scioperi operai del marzo 2020 ? così come le più importanti pagine della storia del movimento operaio in Italia ? ci dimostrano che questo è possibile. A tal fine, sarebbe importante che, nonostante tutti i limiti burocratici dello sciopero, anche i sindacati di base e conflittuali, anziché limitarsi a criticare (giustamente) le modalità di proclamazione, decidessero di incrociare le braccia lo stesso giorno con una piattaforma alternativa, provando a dare a questa giornata un significato diverso, cioè conflittuale e di lotta. È quello che fanno i sindacati di base di altri Paesi – da Solidaires in Francia alla Csp-Conlutas in Brasile – che, pur attaccando le direzioni sindacali concertative, non disertano le piazze e gli scioperi proclamati dai sindacati burocratici per costruire un’azione unitaria con la base di tutti i sindacati e innalzare il livello dello scontro di classe.  
Alternativa comunista non fa sconti alle burocrazie della Cgil e della Uil (né tantomeno a quelle della Cisl): li riteniamo complici del massacro in corso e invitiamo i lavoratori e le lavoratrici a non riporre in loro nessuna fiducia. La stessa piattaforma dello sciopero, assolutamente inadeguata, conferma il ruolo nefasto svolto da questi apparati. Ma il 16 dicembre saremo in sciopero e in piazza al fianco dei lavoratori che incroceranno le braccia: ci batteremo perché lo sciopero diventi l’inizio di un’azione prolungata che arrivi a cacciare il governo Draghi e per porre all’ordine del giorno la costruzione di un governo dei lavoratori che espropri le fabbriche che chiudono e licenziano, aumenti l’assegno pensionistico abbassando l’età pensionabile, dia finalmente dignità e sicurezza al lavoro.

 

giovedì 9 dicembre 2021

A night in Tunisia e una serata con "Bird" a Piazza Garibaldi

 Luciano Granieri


Domenica scorsa, 5 dicembre, si è tenuta da Spazio Arte Rigenesi, in Piazza Garibaldi a Frosinone il secondo appuntamento della rassegna “
Metti un disco, storie dal giradischi di musica&jazz”. Dopo Oscar Peterson e Stephane Grappelli, stavolta a girare sul piatto è stato il disco “Jazz series 4000 FC Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Bud Powell, Charlie Mingus Max Roach” Il titolo del vinile, edito dalla Fonit Cetra, non dice nulla. In realtà si tratta dell’edizione italiana, del più noto “Jazz at Massey Hall, The quintet”

 Parliamo dunque di una gran “BOTTA” di Be Bop, suonato dai suoi profeti Bird, Gillespie, Powell, con l’aggiunta di Mingus e Roach. Il bello di questi incontri è, a mio giudizio, il piacere di condividere una passione, in questo caso la musica jazz, con tanti altri amici, non tutti appassionati di jazz, ma sicuramente affascinati dalla bella musica in generale. Ed è proprio questo uscire dalla casta, un po’ chiusa e autoincensatoria di noi jazzofili, per cui Parker è un semi Dio, l’elemento più affascinante dell’incontro. 

L’apparente trasgressione formale, tipica del Be Bop, l’esuberanza delle esecuzioni giudicate mere esibizioni di virtuosismo fine a se stesso, hanno lasciato un po’ perplessi soprattutto colori i quali nel precedente incontro avevano apprezzato l’accuratezza delle interpretazioni di Peterson e Grappelli. 

 Altri invece si sono lasciati coinvolgere ed ammaliare dal magma sonoro che ci ha investiti, con tutte quelle note sparate alla velocità della luce. Ne è sortito un bel confronto che si è allargato a tutta la musica, fra classica, rock e prog. Comunque per me Charlie “Bird” Parker è un Dio.

Voglio ringraziare tutto gli intervenuti, Riccardo e Fabiana che hanno messo a disposizione “Rigenesi” e …...il giradischi, Maria Lucia che ha scattato le foto.

L’ALBUM

Il disco contiene le incisioni del concerto tenuto al Massey Hall di Toronto il 15 maggio del 1953 da,  Charlie Parker al Sax alto, Dizzy Gillespie alla tromba, Charlie Mingus al contrabasso e Max Roach alla batteria. La registrazione fu effettuata dalla Toronto New Jazz Society, con dei risultati estremamente modesti. Charlie Mingus chiese ed ottenei nastri. L’obiettivo era quello di utilizzare quel master al fine di realizzare un disco per la nuova casa discografica che il contrabbassista aveva appena aperto con Max Roach, la Debut. Tornati a New York, Mingus e Roach cercarono di migliorare la qualità del materiale sonoro. Reincisero le linee di basso, totalmente impercepibili, modificarono l’assolo di contrabbasso in “All the Thing You Are”. La prima produzione Debut era dunque pronta. 

Nacque un album doppio, dal titolo “Jazz at Massey Hall” in cui nel primo vinile erano raccolti i brani in quintetto, con Parker e Gillespie, nel secondo quelli in trio solo con Mingus, Powell e Roach . Nella primissima edizione non figurava il nome di Parker ma di Charlie Chan, pseudonimo scelto da “Bird” impossibilitato ad usare il suo nome per motivi di diritti discografici. La scelta fu ispirata ad un famoso personaggio di film gialli e al nome della moglie di Parker, Chan appunto. 

Purtroppo la Debut, ebbe vita breve. Nel 1957 dovette chiudere i battenti. L’intero catalogo venne prima acquisito in affitto da un libraio danese, che ripubblicò i dischi sotto la denominazione Danish Debut, poi nel 1960 Mingus cedette l’intera produzione al compagno della sua ex moglie Clelia, Saul Zaentz, futuro capo della Fantasy Record . Del resto i soldi per aprire la Debut provenivano in gran parte dalla madre di Clelia. Fu proprio la Fantasy ripubblicare il catalogo ex Debut. 

 Nel 1973 il materiale sonoro del concerto canadese venne rilevato dalla Prestige che riprodusse il doppio album. Nel 1978 la Fonit Cetra acquisì i diritti per l’Italia proprio dalla Prestige, e distribuì il primo vinile, quello con il quintetto al completo, nella Jazz Series 4000 FC, indicando semplicemente i nomi dei musicisti e il titolo dei brani, senza note di copertina. Nel 2004 la casa discografica Spagnola Jazz Factory ha rimasterizzato tutto il materiale raccolto in due Cd dal titolo “Complete Jazz at Massey Hall”.

COME VENNE REALIZZATO

L’esibizione al Massey Hall ci rivela un Charile Parker illuminato da uno dei suoi ultimi sprazzi di lucidità creativa. Era un periodo in cui Bird, era ormai sprofondato quasi definitivamente nel limbo della droga. Ma quando, come in questo caso, riusciva a emergere dall’abisso della dipendenza le sue straordinarie doti di strumentista e improvvisatore eruttavano prepotentemente come da un vulcano che si risvegliava in modo deflagrante. 

In realtà leggenda vuole che durante l’esibizione canadese, sia Parker che Gillespie fossero completamente ubriachi. Non solo, ma, e questa è più’ che una ipotesi, Bird ha suonato con un sassofono di plastica scovato all’ultimo minuto in sostituzione del suo Selmer impegnato per comprarsi la droga. Mingus, aveva cercato di rimediare a Parker qualche esibizione in un periodo in cui il sassofonista di Kansas City era sempre più schiavo della droga, forse per riconoscenza verso colui il quale lo aveva tirato fuori dall’ufficio postale in cui era finito a lavorare dopo le prime esperienze musicali negative passate a New York. 

 Un primo tentativo operato da Mingus di procurare una scrittura a Parker, accompagnato da Bud Powell fu per un concerto al Birdland, in cui anch’egli doveva essere della partita. Bird e Powell entrarono in scena inebetiti, incapaci di suonare, stravolti dalle sostanze e Mingus, dovette pubblicamente dissociarsi dalla performance. 

Il successivo tentativo al Massey Hall si rivelo’ invece un successo, nonostante la sala, fosse mezza vuota (non piu’ di 700 persone) perchè quella stessa sera l’attenzione popolare era calamitata dall’incontro di boxe per il titolo mondiale dei pesi massimi fra Rocky Marciano e Jersey Joe Walcott. Inoltre è da rimarcare che quella fu l’ultima occasione in cui Gillespie, Parker e Powell suonarono insieme. Il disco, quindi, segna una sorta di passaggio di testimone dalla generazione Bop (Parker-Gillespie-Powell) alla generazione Hard Bop con prodromi free (Mingus-Roach).



LATO 1

Perdido: E’ un brano scritto nel 1941 da Juan Tizo trombonista e arrangiatore dell’orchestra di Ellington. Guarda caso proprio a Tizol si deve l’esperienza fallimentare di Mingus nella formazione del Duca, ruolo quanto mai desiderato dal contrabbassista cresciuto in ghetto alla periferia di Los Angeles. Accadde che nel gennaio 1953, Mingus riuscì ad ottenere l’agognata scrittura nell’orchestra di Ellington dove ad arrangiare i brani era Tizol, un portoricano con la puzza sotto il naso e diffidente nei confronti dei musicisti neri. Il trombonista affidò al nuovo arrivato un assolo scritto da eseguire con l’archetto. Mingus lo traspose all’ottava superiore per renderlo piu’ cantabile e fare bella figura. Tizol non gradì e avendolo preso da parte sotto il palco lo apostrofò asserendo che “non sapeva leggere bene la musica come il resto dei negri della banda”. Mingus, in un moto di rabbia, prese a calci il trombonista portoricano fin sopra il palco, quindi si accomodò nella sua postazione. Ma nel momento in cui Ellington fece partire la musica, Tizol si avventò su Mingus con un truce coltellaccio. Questi, per evitare il colpo, saltò sul pianoforte con tutto il contrabbasso. Apparve chiaro che la carriera di un tale ribelle non poteva continuare nella elegante e rassicurante orchestra ellingtoniana. L’esecuzione del brano presenta un Assolo di Parker un po’ controllato, nonostante si senta Gillespie sollecitarlo con la voce. Dizzy riprende la sequenza melodica dell’ultimo chorus di Parker, sprigionando dei sovracuti spaventosi. Preziosa la poliritmia di Roach, affascinante i contrappunti finali di Parker e Gillespie che introducono l’assolo di Roach.

SALT PEANUTS: Classico del repertorio Be Bop, pezzo, non a caso, scritto da Gillespie e Kenny Clarke i padroni di casa del Minton’s dove il Be Bop era nato. Salt Peanuts, ovvero, noccioline salate, punta a prendere in giro i gestori di locali che offrivano agli avventori noccioline salate, con lo scopo di fargli venire sete ed indurli a comprare bevande per lenire l’arsura, in particolare alcolici. L’esecuzione è al fulmicotone, con il tema sparato in alternanza con le parole ‘’Salt Peanuts’’ gridate da Dizzy. Sontuosi gli assoli di Powel e quello di Max Roach che con i tamburi imita l’intonazione vocale della frase “Salt Penauts” .L’uso della cassa di Roach durante la sua sortita anticipa figurazioni ritmiche che saranno usate , in futuro, da batteristi prog e rock, come Karl Palmer e Ian Paice. A giudicare dai rumori di fondo, il pubblico sembra divertirsi come non mai.

ALL THE THINGS YOU ARE . L’esecuzione del classico composto da Jerome Kern e Oscar Hammerstein, scritto nel 1939 per il musical Very Warm for May, e’ il tipico esempio di come Parker e Gillespie si impegnavano  a stravolgere le linee melodiche, a partire dall’esecuzione del tema suonata in alternanza. Gli assoli successivi chiariscono meglio il concetto con arpeggi velocissimi su un giro armonico moderato. Particolare la performance di Gillespie con la sordina. Particolari gli scambi, fra Parker e Gillespie, all’unisono, che lanciano l’assolo di Mingus prima del tema finale. Tema che presenta un’inaspettata quanto improvvisa coda velocissima.

LATO 2

WEE: Scritto da Gillespie e’ il manifesto del Be Bop, armonizzazioni blues, improvvisazioni velocissime, se stavano ubriachi nessuno se ne era accorto.

HOT HOUSE: Classico Bop composto dal pianista Tadd Dameron sfruttando la struttura armonica dello strandard di Cole Porter ‘’What is this thing called love” Degno di attenzione il growl di Parker in assolo. L’accompagnamento di Roach è assolutamente futuristico. L’assolo di Mingus viene un po’ penalizzato da una registrazione non perfetta, e comunque mette in risalto le straordinarie doti del contrabbassista.

A NIGHT IN TUNISIA: Composto da Gillespie nel 1941 quando militava nell’orchestra di Earl Hines. Come co-autore viene indicato Frank Paparelli. Ma Gillespie ha sempre rivendicato la paternita’ totale del pezzo perche’ Paparelli ne ha solo curato la trascrizione per l’orchestra. Bellissimo lo stacco nel tema fra la parte in tempo di rumba, qui Gillespie è alla tromba con sordina, e l’esplosione in quattro a piena sonorità. La struttura stessa di Night in Tunisia è assolutamente magnetica. L’introduzione di Parker senza accompagnamento e bellissima. Così come la performance di Powell. Se posso permettermi un rilievo personale, direi che questo è il brano che preferisco del disco.

Di seguito HOT HOUSE


lunedì 22 novembre 2021

Metti un pomeriggio in compagnia di Stephane Grappelli e Oscar Peterson

 Luciano Granieri



Si è tenuto domenica 21 novembre,  presso Spazio Arte Rigenesi in Piazza Garibaldi a Frosinone il primo appuntamento della rassegna “Metti un disco, storie dal giradischi di Musica & Jazz” L’audizione del doppio album “Oscar Peterson-Stephane Grappelli quartet” è stata preceduta dalla presentazione del libro “In viaggio con il mio violino” tratto dall’autobiografia di Stephane Grappelli, scritto da Joseph Oldhenove e Jean Marc Bramy, tradotto in italiano da Paola Rolletta che era presente all’evento. 

E’ stato un viaggio affascinante attraverso la storia e la musica di Stephane Grappelli, violinista, pianista, compagno di avventure del grande Django Reinhardt, Violinista da strada, Stefano, poi Stephane  ha anche frequentato  il conservatorio, figlio di Ernesto Grappelli nato da Alatri  e da qui partito  per Parigi in cerca di fortuna. 

L’audizione dell’album doppio con Grappelli al violino, Oscar Peterson al pianforte, Kenny Clarke alla batteria, e Niels Henning Orsted Pedersen, al contrabbasso, è stata un’eccellente occasione per apprezzare del buon jazz e per confrontarsi sulle origini di questa musica, incardinata su molteplici culture musicali generatrici, attraverso la loro contaminazione, di un linguaggio musicale completamente nuovo.

 E’ stata un’occasione per entrare, senza tecnicismi, nelle modalità esecutive dei musicisti e di come le loro origini abbiano influenzato il loro stile. Insomma una bel pomeriggio di musica e cultura, per dirla con Peppino Impastato. Un pomeriggio dove ascoltando “due dischi” si sono condivise emozioni e riflessioni. 

Ringraziamo tutti coloro che sono intervenuti. Un grazie particolare va a Paola Rolletta per aver descritto, attraverso il libro “In viaggio con il mio violino” l’affascinante mondo di Stephane Grappelli e il suo rapporto con la terra da cui discende, Alatri.

L'ALBUM

Oscar Peterson-Stephane Grappelli quartet è un doppio album registrato il 22 e 23 febbraio del 1973 a Parigi per la Disque Festival, una etichetta satellite della francese Musidisc Europe. Nel 1979 esce una nuova edizione a cura dalla Decca Rercords of France (la Decca è stata la casa discografica di Grappelli). La veste grafica rimane la stessa ma con l’aggiunta di note di copertina, praticamente assenti nella pubblicazione precedente. Nel 2000 il materiale inciso viene raccolto in due Cd distinti,Jazz in Paris Vol 1, Jazz in Paris Vol 2”, pubblicati dalla Universal e distribuiti anche in Italia. Rispetto alle incisioni originarie mancano i brani: “My heart stood still” e “Let’s Fall in Love”

COME VENNE REALIZZATO 

Siamo agli inizi del 1973.  Stephane Grappelli si accingeva a compiere  i 50 anni di carriera. Bernard Lion, all’epoca direttore artistico della ORTF, la TV francese, aveva in animo di dedicare al violinista un programma televisivo celebrativo. L'idea  prevedeva il coinvolgimento  di Duke Ellington, Bill Coleman, e del violinista classico Yehudi Menhuin. Purtroppo gli impegni di questi musicisti non consentirono  di programmare con certezza le date della trasmissione. Venne in aiuto di Bernard Lion Oscar Peterson, il quale fu contentissimo di partecipare alla festa per i 50 anni di carriera dell’amico Stephane. Fra l’altro Lion aveva sempre sognato di avere il pianista canadese ospite di un suo spettacolo. Peterson arrivo a Parigi accompagnato dal fido il contrabbassista Niels Henning Orsted Pedersen, fatto venire apposta  dalla  Danimarca.  Per la batteria non ci furono problemi,  Kenny Clarke risiedeva in Francia già dal 1965  e fu felicissimo di essere della partita. In tre giorni fu realizzata la trasmissione ed incise le tracce per l'album.

I DISCHI SUL PIATTO

Furono registrati quindici brani distribuiti nei due vinili. Alcuni di essi sono reinterpretazioni di canzoni presenti in musical scritti fra la fine degli anni '20 e l'inizio dei '30,  come Makin’ Whopee, Thou Swell, Looking at You.  Altri sono brani di colonne sonore:  The Folks Who Live on The Hill, ad esempio. Una bellissima ballad in cui si esibiscono in duo Peterson e Grappelli. Non manca un blues improvvisato per l’occasione, Blues for Musidisc, a cui si aggiungono degli standard,  Autumn Leaves e If I Had You . Molto particolari sono,  l’altra esecuzione in duo, Flamingo,  brano composto da Ted Grouya per l’orchestra di Duke Ellington, e Il pezzo di apertura, Them There Eyes, un classico del repertorio del  Django Reinhardt et le Quintette du Hot Club de France. Il mitico gruppo di soli strumentisti a corde, fondato dal chitarrista manooche di origine belga, con l'amico  fraterno  Stephane,  che spopolò in tutto il mondo. Ensemble  composto,  oltre che da Grappelli, dagli  altri due chitarristi Joseph Reinhardt, fratello di Django, e Roger Chaput, poi sostituito da Eugène Vèes,  e dal contrabbassista Roger Grasset.

L’ascolto di questi quindici brani sorprende, non tanto per la straordinaria tecnica emergente nei brani veloci, il fraseggio di Peterson e quello di Grappelli sono proverbiali in questo senso, ma soprattutto per la coinvolgenre sensibilità armonica e finezza esecutiva delle ballad. Un chiaro esempio di come Oscar Peterson sia pianista eccelso non solo negli arpeggi velocissimi e nelle tambureggianti pressioni ritmiche della mano sinistra, ma anche per le affascinanti armonizzazioni che riesce ad imbastire nel corso delle sue improvvisazioni più introspettive.  Ugualmente Kenny Clarke, il batterista inventore del drumming al fulmicotone caratterizzante la ritmica Be Bop, qui mostra tutta la sua finezza  cromatica nell’uso delle spazzole, così come acquisito  in anni di frequentazione dei gruppi cool, dal nonetto di Miles Davis, con il quale, per l’appunto, ha inciso  The Birth of The Cool, al Modern Jazz Quartet di Milt Jackson e John Lewis. Grappelli  è immenso  nelle linee melodiche che riesce ad intrecciare con Peterson,  sia nelle ballad che nei pezzi velocissimi dove non credo sia esagerato intravedere un precursore del fraseggio Be Bop di Parker e compagni. Il tutto viene tenuto insieme dall’incedere swing e metronomico di Niels Pedersen, incisivo, come sempre anche negli assoli e nei rientri mozzafiato in quattro.  

Di seguito pubblichiamo il brano  Them There Eyes nella versione  del Quintette du Hot Club de France ed in quella che apre il disco di Oscar Peterson e Stephane Grappelli. Vi assicuro che il confronto è molto stimolante.

Buon ascolto. 

martedì 9 novembre 2021

La Certosa di Trisulti torna ai cittadini.....forse

 Luciano Granieri





La Certosa di Trisulti è tornata al Popolo. Viva la Certosa, viva il Popolo.

 E’ il coronamento dell’impegno di associazioni e cittadini che hanno lottato affinché quel bene dello Stato, patrimonio di tutta la Ciociaria, e di tutto il mondo, fosse tolto dalle mani dei sovranisti di Bannon. Mani, in realtà, pronte ad accogliere il regalo che l’attuale esultante ministro della Cultura gli aveva incautamente consegnato nel giugno del 2017. 

Per questo un po’ si giustifica qualche mal di pancia sofferto da alcuni componenti delle associazioni che si sono visti scippare l’onore della ribalta da ministri, presidenti di regione e altri alti funzionari, saliti sul carro dei cittadini vincitori, appropriandosi di meriti non loro,  anzi, dimentichi che proprio loro quel danno avevano arrecato.

 Ma non c’è da stupirsi.  E'  sempre accaduto che le conquiste ottenute con le lotte dei cittadini poi siano state cavalcate, strumentalizzate, dai politici questuanti. Accadde anche all’indomani della vittoria , ottenuta interamente dai cittadini , sul referendum per l’acqua pubblica. Ricordo una trasmissione della Berlinguer, andata in onda la sera dopo il plebiscito contro la privatizzazione dei servizi pubblici, quando a parlare di grande conquista di civiltà fu il Bersani sbagliato: non Marco, coordinatore dei movimenti per l’acqua pubblica che avevano condotto e vinto la battaglia,  ma Pierluigi, l’allora segretario del Pd, partito che non si era speso granchè per l’acqua pubblica ma che si intestava un bel po’ di meriti per il risultato raggiunto. 

Tornando a Trisulti la buona notizia è che la Rete delle Associazioni Trisulti Bene Comune è stata ammessa ad un tavolo composto dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio e dal Comune di Collepardo per elaborare un “progetto condiviso” inerente la gestione del bene che ricordiamo è dello Stato. 

Non vorremmo però che la vicenda finisca come per i referendum, quando la gestione dell’acqua, non solo non è diventata pubblica, ma anzi, per rispettare le condizionalità imposte dalla UE al nostro Paese, in cambio di quei quattro spulciosi soldi che ci presteranno da qui al 2026, nel PNRR è proprio sancito che i servizi di monopolio naturale, compresa l’acqua, dovranno essere obbligatoriamente gestiti dalle multinazionali private . In barba a quanto deciso  dai cittadini nei referendum del 2011.

 Per scongiurare che anche la vicenda di Trisulti abbia gli stessi infausti esiti, esortiamo coloro i quali, fra i rappresentanti delle associazioni, siederanno al tavolo progettuale con il Ministero e la Regione, a fronteggiare con forza la consolidata politica del Ministro Franceschini contraddistinta da una concezione mercenaria dell’arte e della cultura, sottesa all’ossessione del pareggio di bilancio. A fronteggiare cioè la logica perversa per cui ogni aspetto dell’arte e della cultura dovrà essere ceduto alla gestione dei privati. 

Non vorrei che alla scuola di formazione per sovranisti si sostituisca la scuola per supermanager, advisor borsistici, organizzata da una qualche fondazione bancaria che avrà vinto il bando per finanziare la gestione della Certosa. Vorrei ricordare quanto è scritto nell’art. 9 della Costituzione: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura…….tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". La Repubblica appunto, non le multinazionali, o le banche. Ma questo coloro che per le associazioni si accomoderanno di fronte al ministro lo sanno bene. Spero.

DDL Concorrenza: privatizzazioni su larga scala

 Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua



            Una dichiarazione di guerra all’acqua e ai beni comuni

Era il 5 Agosto 2011 quando l’allora Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, insieme al Presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet, scrisse la famigerata lettera al Presidente del Consiglio Berlusconi in cui indicava come necessarie e ineludibili "privatizzazioni su larga scala" in particolare della "fornitura di servizi pubblici locali".

Uno schiaffo ai 26 milioni di italianə che poco più di un mese prima avevano votato ai referendum indicando una strada diametralmente opposta, ossia lo stop alle privatizzazioni e alla mercificazione dell’acqua.
Oggi Draghi, da Premier con pieni poteri, ripropone in maniera esplicita e chiara quella stessa ricetta mediante il DDL Concorrenza approvato dal Consiglio dei Ministri giovedì scorso.
La logica che muove l'intero disegno di legge, oltremodo evidenziata nell'art.6, è quella di chiudere il cerchio sul definitivo affidamento al mercato dei servizi pubblici essenziali.

Un provvedimento ispirato da un’evidente ideologia neoliberista in cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile nonostante la realtà dei fatti dimostri il fallimento della gestione privatistica, soprattutto nel servizio idrico: aumento delle tariffe, investimenti insufficienti, aumento delle perdite delle reti, aumento dei consumi e dei prelievi, carenza di depurazione, diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza di democrazia.
Questa norma, di fatto, punta a rendere residuale la forma di gestione del cosiddetto “in house providing”, ossia l’autoproduzione del servizio compresa la vera e propria gestione pubblica, per cui gli Enti Locali che opteranno per tale scelta dovranno “giustificare” (letteralmente) il mancato ricorso al mercato.
Nel DDL emerge chiaramente la scelta della privatizzazione. Gli Enti Locali che intendano discostarsi da quell'indirizzo dovranno dimostrare anticipatamente e successivamente periodicamente il perchè di altra scelta, sottoponendola al giudizio dell’Antitrust, oltre a prevedere sistemi di monitoraggio dei costi".  
Mentre i privati avranno solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del servizio e sugli investimenti effettuati.

Inoltre, si prevedono incentivi per favorire le aggregazioni indicando così chiaramente che il modello prescelto è quello delle grandi società multiservizi quotate in Borsa che diventeranno i soggetti monopolisti (alla faccia della concorrenza!) praticamente a tempo indefinito. Tutto ciò in perfetta continuità con quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Ed è proprio dal combinato disposto tra PNRR, DDL sulla concorrenza e decreto semplificazioni (poteri sostitutivi dello Stato) che il Governo intende mettere una pietra tombale sull’esito referendario provando così a chiudere una partita che Draghi ha iniziato a giocare ben 10 anni fa dimostrando, oggi come allora, di fare solo gli interessi delle grandi lobby finanziarie e svilendo strumenti di democrazia diretta garantiti dalla Costituzione.

L’art. 6 è un proditorio attacco alla sovranità comunale: i comuni da presidii di democrazia di prossimità ridotti a meri esecutori della spoliazione della ricchezza sociale.  
E’ il punto di demarcazione tra due diverse culture, quella che considera un dovere il rispetto e la garanzia dei diritti fondamentali e quella che trasforma ogni cosa, anche le persone, in strumenti economici e merci.

Noi continueremo a batterci per la difesa dell’acqua, dei beni comuni e dei diritti ad essi associati e della volontà popolare.
A questo scopo, nelle prossime settimane, a partire dalla manifestazione nazionale in programma il 20 novembre a Napoli in cui chiederemo con forza anche lo stop alla privatizzazione delle partecipate della città partenopea (tra le quali l'azienda pubblica “Acqua Bene Comune”) paventate in questi giorni, metteremo in campo una rinnovata attivazione per ottenere il ritiro di questo provvedimento al pari del DDL Concorrenza e dei famigerati intendimenti in esso contenuti.

Facciamo appello alla mobilitazione generale, rivolgendoci alle tante realtà e organizzazioni sociali che in questi anni hanno saputo coltivare e arricchire un dibattito e una mobilitazione sui servizi pubblici locali e sui beni comuni per ribadire insieme che essi sono un valore fondante delle comunità e della società senza i quali ogni legame sociale diviene contratto privatistico e la solitudine competitiva l’unico orizzonte individuale.

mercoledì 3 novembre 2021

Post Covid: nulla sarà come prima. Per la sanità pubblica è peggio di prima.

 

Luciano Granieri

Operatore volontario Cittadinanzattiva Tribunale per la Difesa dei diritti del Malato



Alla direzione generale della Asl di Frosinone

Al Sindaco di Frosinone

Al procuratore della Repubblica di Frosinone

Epc

Agli organi d’informazione



Il 26 ottobre 2021 ho accompagnato mia madre di 89 anni alla visita nefrologica di controllo, come da terapia necessaria al trattamento di una insufficienza renale cronica, presso l’ambulatorio specialistico della asl di Frosinone (palazzina Q). Il piano diagnostico-terapeutico prevede una visita nefrologica a cadenza trimestrale, con rinnovo del piano terapeutico per il farmaco Aranesp, se necessario, la pianificazione della successiva visita di controllo e prescrizione di nuove analisi.

Mia madre si muove con il deambulatore perché ha difficolta a camminare ed , in particolare, i giorni precedenti la visita, la malattia la rende particolarmente debole. L’ambulatorio è al quarto piano e l’ascensore era rotto. Si utilizzava una sorta di monta-carichi, di solito in uso al personale di servizio che però, considerato il sovrautilizzo determinato dalla rottura dell’ascensore normale, non era mai disponibile. Quando lo era, bisognava fare in modo di entrare in pochi, massimo due o tre persone, per non creare assembramento. Passata circa mezz’ora d’attesa, con tutti i disagi del caso, abbiamo intercettato la corsa giusta. Dopo un’ora la visita. A conclusione del controllo la dottoressa ci informava , desolata, che non risultavano al computer i codici esenzione: visita, analisi e farmaco, avrebbero dovuti essere pagati. La specialista trascriveva le prescrizioni sulla ricetta bianca personale, e ci consigliava di far riportare il tutto sulle ricette dematerializzate dal Medico di Base, sospettando che la mancanza dei codici fosse un problema del sistema informatico della Asl . Mia madre andava nel panico temendo di dover pagare prestazioni oltremodo costose. Ho cercato di rassicurarla. Di fatto la mancanza della ricetta dematerializzata, non mi consentiva di prenotare la visita in mattinata.

Avevo già potuto constatare, entrando nella palazzina Q, come la zona del Cup fosse molto affollata, determinando un pericoloso assembramento, in barba alle norme anticovid. Mi ricordai, anche, che la stessa deprecabile situazione sussisteva già del 31 agosto scorso quando prenotai la visita nefrologica del 26 ottobre. Mi domandai perché era così difficile, come noi del Tribunale dei diritti del Malato abbiamo da sempre proposto, pianificare che la prenotazione delle seconde visite avvenisse direttamente dal computer dello specialista senza l’inutile passaggio al Cup.

Nel pomeriggio mi sono recato presso l’ambulatorio del medico curante il quale mi confermava che le esenzioni erano a posto, e mi spiegava che ogni tre mesi il computer di ogni soggetto prescrittore deve essere aggiornato, altrimenti i codici esenzioni si perdono. Evidentemente l’ambulatorio di nefrologia non aveva il computer aggiornato. La prenotazione della visita slittava al giorno dopo, così come la somministrazione delle iniezioni slittava a due giorni dopo, dovendo queste essere ordinate, e ciò era molto grave, considerando che mia madre ne aveva bisogno subito.

Con le ricette dematerializzate il 27 ottobre mi recavo al Cup. Andai nel primo pomeriggio, in un orario in apparenza decongestionato, per evitare di aspettare molto tempo. Invano. Ritiravo il numeretto alle 14,54. Lo sportello mi chiamava alle 17,03 dopo più due ore. Dovevo anche discutere con l’operatrice la quale mi diceva che non poteva confermare la data della visita della nefrologa perché’ la ricetta era stata emessa dal medico generico. Raccontavo tutta la storia dei codici di esenzione senza convincere la solerte sportellista, fino a quando un’altra operatrice, presumo la responsabile, autorizzava a confermare la data prescritta perché’ da alcuni giorni si registrava confusione nella gestione delle esenzioni. Ad onor del vero sia sul display dei numeri di prenotazione e su cartelli affissi alle pareti, si leggeva un avviso nella quale la Asl si scusava con i pazienti per possibili disservizi dovuti a lavori necessari a migliorare il ReCup. Disagi persistenti, per quanto ho potuto verificare, almeno dal 31 agosto. Mi sono quindi chiesto quali siano i criteri di scelta delle società private che si occupano di manutenzione e aggiornamento delle strutture, ma soprattutto, chi controlla lo svolgimento del lavori, perché una operazione di miglioramento del servizio non può provocare disagi per così lungo tempo.

Morale della favola, per una semplice visita di controllo, da evadere al massimo in una mattinata, mi sono trovato a dover sottrarre due giorni al mio lavoro .



mercoledì 20 ottobre 2021

Storia non conforme con morale

 Luciano Granieri


Maria Lucia ed io non possiamo negarlo, Siamo affascinati dal Parco Nazionale d’Abruzzo. Ci piace addentrarci in boschi da favola i cui colori, soprattutto d’autunno, diventano surreali e fanno volare la fantasia verso lidi fantastici, inimmaginabili. Ci piace anche camminare per le vie di Pescasseroli, un paese dove caratteristici vicoli tipici di un borgo, si connettono con un tessuto urbano discreto ma razionale. 

LA RICERCA

Proprio all’ultima nostra visita nella capitale storica del Parco Nazionale d’Abruzzo si riferisce la storia che voglio raccontare. Dopo una mattinata passata fra i boschi di Forca d’Acero e della Val Fondillo decidiamo di mangiare un boccone proprio a Pescasseroli e aspettare la sera passeggiando per quei vicoli così belli e ordinati. Eravamo anche alla ricerca di un negozietto di saponi e creme cosmetiche, realizzati con latte di capra, che avevamo scoperto nella nostra ultima visita fatta nel borgo. Non ricordavamo dove fosse, e dopo aver piacevolmente cercato, girovagando in un atmosfera surreale fra silenzi d’altri tempi, balconi agghindati con i fiori, intravedendo tende intessute a tombolo far capolino dalle finestre, decidiamo che forse è meglio chiedere indicazioni circa la posizione del negozietto di saponi. 

LA NOSTRA GUIDA PERSONALE

In un fresco e assolato primo pomeriggio d’autunno di un giorno feriale trovare qualcuno a cui chiedere non sembrava impresa semplice. In un vicolo ci appare una signora intenta a spazzare meticolosamente l’ingresso della stradina. Chiediamo con una certa timidezza, temendo di disturbare, se conoscesse l'ubicazione  del negozio. La signora, riponendo la scopa, non mostrando alcun fastidio, con molta cortesia e giovialità ci indica la strada. A quel punto chiediamo anche se, per caso, conoscesse anche l’orario di apertura. La risposta è stata veramente inaspettata. Non lo sa esattamente, ma si offre di accompagnarci presso l’abitazione della padrona del negozio, che è li vicino, in modo da ottenere una giusta informazione. Sopraffatti da tanta gentilezza Maria Lucia ed io la seguiamo. Giunta sull’uscio la gentile signora prima suona il campanello, poi non ricevendo risposta, bussa in modo energico sul legno del portone.

CONSULTAZIONE DI QUARTIERE

 Si avvicina un anziano, molto cortese, da cui apprendiamo che la padrona del negozio è fuori. Non c’è problema, la nostra gentile guida suona il campanello della  porta accanto chiedendo alla vicina se ha il numero di cellulare  della persona che stiamo cercando. La vicina, non solo ha il numero, ma si offre di chiamare lei stessa. Dall’altra parte del telefono  la gestrice del negozio risponde confermando che aprirà di lì ad un’oretta. Io e Maria Lucia ci guardiamo stupiti perché non eravamo più abituati a vedere delle persone, mai conosciute, adoperarsi in modo così cortese e solerte con noi che, fra l’altro venivamo da fuori. Roba di altri tempi e di altri luoghi. Ringraziamo tutti per la loro cortesia e decidiamo di avviarci verso il negozio, che è anche il laboratorio dove vengono prodotti i saponi, per verificare esattamente dove sia, in modo di tornarci, all’ora indicata dopo aver passeggiato ancora un po’. 

LA SIGNORA DEI SAPONI AL LATTE DI CAPRA

Arrivati davanti al laboratorio, la porta è aperta e la signora dei saponi era già li ad attenderci. Dopo averci illustrato le proprietà dei suoi prodotti ed averci consegnato ciò che avevamo chiesto, ci invita a rimanere ancora un po’ .”Tanto è presto” dice. Ci racconta quasi tutta la sua vita. Ci dice dei figli, del marito, di come è nata l’idea di produrre saponi e creme con il latte di capra. Rimaniamo a conversare amabilmente e piacevolmente di tanti argomenti almeno per un’altra oretta fino a quando fa capolino una cliente. A questo punto ci sembra corretto non rubare altro tempo alla gentile signora dei saponi. Lasciamo il negozio, diciamolo pure, contenti, sollevati di sapere che una diversa convivenza sociale è possibile. 

MORALE

Spesso discettiamo sulla rovina a cui sta portando un’ acredine diffusa che rende le persone particolarmente astiose, diffidenti verso gli altri, quando non ostili. Assistiamo impotenti all’estremizzazione di un individualismo imposto dal vecchio adagio “divide et impera” , che obbliga ad una vita precaria, schiava di un tempo contratto e di un ansia per la difesa di non si sa bene cosa (forse un diritto scambiato per privilegio) e non si sa bene da chi, (l’immigrato, il vicino, chiunque sia “altro” da noi). Ebbene il prodigarsi senza scopi reconditi, l’attenzione regalata a persone sconosciute, che semplicemente necessitano di un’informazione, mostrate da quelle cittadine di Pescasseroli, ci restituisce la speranza che non tutto è perduto e che quando parliamo di condivisione sociale, abbiamo ancora qualche punto di riferimento preciso. Sta a noi non far deflagrare tutto, tenendo ben presente certi esempi virtuosi e porli alle fondamenta di una società fondata su condivisione e solidarietà sempre auspicata ma mai praticata.