Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 11 febbraio 2017

Foibe, la dignità di un dolore corale

Tommaso di Francesco – il manifesto


Il Giorno del ricordo. A dieci anni dalla sua istituzione, un bilancio dello scrittore Predrag Matvejevic
«Certo che biso­gna tor­nare sulle foibe, ogni volta, ogni anno». A dieci anni esatti dall’istituzione del Giorno del Ricordo (il 10 feb­braio), il bilan­cio di Pre­drag Mat­ve­je­vic è ancora una volta cri­tico e insi­ste a «ricor­dare tutti i ricordi». Nel 2004 un’iniziativa revi­sio­ni­sta sto­rica della destra post-fascista, rici­clata e diven­tata di governo ed elet­to­ral­mente can­di­da­bile gra­zie a Sil­vio Ber­lu­sconi, portò a buon fine la sua bat­ta­glia nega­zio­ni­sta del pas­sato di cri­mini ita­liani nell’ex Jugo­sla­via. Cen­trando l’obiettivo di ridurre la pro­spet­tiva all’ultimo, infau­sto periodo, delle respon­sa­bi­lità slave.
A que­sto punto di vista tutto l’arco costi­tu­zio­nale s’inchinò. Favo­rendo negli anni pro­cessi cosid­detti cul­tu­rali — fic­tion, ceri­mo­nie, opere tea­trali — di rimo­zione della verità sto­rica. Su que­sto abbiamo voluto ancora una volta ascol­tare per il grande scrit­tore dell’asilo e dell’esilio, l’autore di Bre­via­rio medi­ter­ra­neo — per citare solo una delle sue opere — che ama ancora defi­nirsi jugo­slavo.
«A pro­po­sito di sto­ria, che ver­go­gna che qui, in Croa­zia, la Chiesa che ha così gravi respon­sa­bi­lità nella con­ni­venza con il nazi­fa­sci­smo e con l’ideologia usta­scia, abbia pra­ti­ca­mente diser­tato due set­ti­mane fa le cele­bra­zioni del Giorno della Memo­ria» ci dichiara subito Pre­drag Marvejevic.

Sono pas­sati dieci anni dall’istituzione di que­sta Gior­nata da parte delle isti­tu­zioni ita­liane, che ha sem­pre visto la pro­te­sta dei nostri sto­rici demo­cra­tici. Che bilan­cio va fatto?
Intanto che non biso­gna smet­tere di rac­con­tare la verità. André Gide diceva: «Biso­gna ripetere…nessuno ascolta». Ognuno, soprat­tutto in que­sta epoca sem­bra chiuso nella pro­pria sor­dità. Il bilan­cio non è posi­tivo, se a cele­brare il Giorno della memo­ria alla Risiera di San Sabba, il lager nazi­sta al con­fine tra due popoli, accor­rono anche post-fascisti abili a can­cel­lare i cri­mini del fasci­smo ita­liano nelle terre slave. E ogni anno abbon­dano fic­tion e rap­pre­sen­ta­zioni che invece di rac­con­tare il pathos col­let­tivo che riguarda almeno due popoli, ridu­cono tutto, nella forma e nei con­te­nuti, alla sola tra­ge­dia delle vit­time ita­liane. Ho scritto sulle vit­time delle foibe anni fa in ex Jugo­sla­via, quando se ne par­lava poco in Ita­lia.
Ero cri­ti­cato. Ho avuto modo di soste­nere gli esuli ita­liani dell’Istria e della Dal­ma­zia (detti “eso­dati”). L’ho fatto prima e dopo aver lasciato il mio paese natio e scelto, a Roma, una via “fra asilo ed esi­lio”. Con­ti­nuo anche ora che sono ritor­nato a Zaga­bria. Con­di­vido il cor­do­glio ita­liano, nazio­nale e umano, per le vit­time inno­centi. Cre­devo comun­que che le pole­mi­che su que­sta tra­ge­dia, spesso uni­la­te­rali e ten­den­ziose, fos­sero finite. Invece si ripe­tono ogni anno, sem­pre più strumentalizzate.

C’è qual­che epi­so­dio par­ti­co­lare di stru­men­ta­liz­za­zione che ricorda?
Voglio ricor­dare il caso del 2008 dello scrit­tore di con­fine, il grande Boris Pahor. Ecco uno scrit­tore che ha fatto della cora­lità del dolore la sua mate­ria, e infatti ha rac­con­tato la tra­ge­dia dei cri­mini com­messi dai fasci­sti in terra slava e il lascito di odio rima­sto. Di fronte all’onorificenza che gli offriva il pre­si­dente della repub­blica Gior­gio Napo­li­tano, insorse dichia­rando che avrebbe detto no, l’avrebbe rifiu­tata, se dalla pre­si­denza ita­liana non arri­vava una chiara presa di posi­zione con­tro i silenzi sugli eccidi per­pe­trati da Mussolini.

Che cosa fu in realtà il cri­mine delle Foibe?
Sì, le foibe sono un cri­mine grave. Sì, la stra­grande mag­gio­ranza di que­ste vit­time furono pro­prio gli ita­liani. Ma per la dignità di un dolore corale biso­gna dire che que­sto delitto è stato pre­pa­rato e anti­ci­pato anche da altri, che non sono sem­pre meno col­pe­voli degli ese­cu­tori dell’ “infoi­ba­mento”. La tra­gica vicenda è infatti comin­ciata prima, non lon­tano dai luo­ghi dove sono stati poi com­piuti quei cri­mini atroci. Il 20 set­tem­bre 1920 Mus­so­lini tiene un discorso a Pola (non certo casuale la scelta della loca­lità). E dichiara: «Per rea­liz­zare il sogno medi­ter­ra­neo biso­gna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, infe­riore e bar­bara».
Ecco come entra in scena il raz­zi­smo, accom­pa­gnato dalla “puli­zia etnica”. Gli slavi per­dono il diritto che prima, al tempo dell’Austria, ave­vano, di ser­virsi della loro lin­gua nella scuola e sulla stampa, il diritto della pre­dica in chiesa e per­sino quello della scritta sulla lapide nei cimi­teri. Si cam­biano mas­sic­cia­mente i loro nomi, si can­cel­lano le ori­gini, si emi­gra… Ed è appunto in un con­te­sto del genere che si sente pro­nun­ciare, forse per la prima volta, la minac­cia della “foiba”.
È il mini­stro fasci­sta dei Lavori pub­blici Giu­seppe Caboldi Gigli, che si era affib­biato da solo il nome vit­to­rioso di “Giu­lio Ita­lico”, a scri­vere già nel 1927: «La musa istriana ha chia­mato Foiba degno posto di sepol­tura per chi nella pro­vin­cia d’Istria minac­cia le carat­te­ri­sti­che nazio­nali dell’Istria» (da “Gerar­chia”, IX, 1927). Affer­ma­zione alla quale lo stesso mini­stro aggiun­gerà anche i versi di una can­zo­netta dia­let­tale già in giro: «A Pola xe l’Arena, La Foiba xe a Pisin», che ha fatto bene a ricor­dare,  nei giorni scorsi, Gia­como Scotti nel suo sag­gio. Le foibe sono dun­que un’invenzione fasci­sta. E dalla teo­ria si è pas­sati alla pra­tica. L’ebreo Raf­faello Came­rini, che si tro­vava ai “lavori coatti” in que­sta zona durante la seconda guerra mon­diale ha testi­mo­niato nel gior­nale trie­stino Il Pic­colo (5. XI. 2001): «Sono stati i fasci­sti, i primi che hanno sco­perto le foibe ove far spa­rire i loro avver­sari». La vicenda «con esito letale per tutti» che rac­conta que­sto testi­mone, cit­ta­dino ita­liano, fa venire brividi.

Come è vis­suto il Giorno del Ricordo nell’ex Jugo­sla­via, quali “ricordi” reali va a risvegliare?
La sto­ria (con la S maiu­scola) potrebbe aggiun­gere alcuni altri dati poco cono­sciuti in Ita­lia. Uno dei peg­giori cri­mi­nali dei Bal­cani è cer­ta­mente il duce (pogla­v­nik) degli usta­scia croati Ante Pave­lic.
E il campo di Jase­no­vac è stato una Ausch­witz in for­mato ridotto, con la dif­fe­renza che lì il lavoro mici­diale veniva fatto “a mano”, men­tre i nazi­sti lo face­vano in modo “indu­striale”. Aggiun­giamo che quello stesso cri­mi­nale Pave­lic con la scorta dei suoi più abietti seguaci, poté godere negli anni trenta dell’ospitalità mus­so­li­niana a Lipari, dove rice­ve­vano aiuto e corsi di adde­stra­mento dai più rodati squa­dri­sti. Le “cami­cie nere” hanno ese­guito nume­rose fuci­la­zioni di massa e di sin­goli indi­vi­dui.
Tutta una gio­ventù ne rimase fal­ciata in Dal­ma­zia, in Slo­ve­nia, in Mon­te­ne­gro. A ciò biso­gna aggiun­gere una catena di campi di con­cen­tra­mento, di varia dimen­sione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud dell’Adriatico, fino ad Arbe, di fronte a Fiume. Spesso si tran­si­tava in que­sti luo­ghi per rag­giun­gere la risiera di San Sabba a Trie­ste e, in certi casi, si finiva anche ad Ausch­witz e soprat­tutto a Dachau. I par­ti­giani non erano pro­tetti in nes­sun paese dalla Con­ven­zione di Gine­vra e per­tanto i pri­gio­nieri veni­vano imme­dia­ta­mente ster­mi­nati come cani.
E così molti giun­sero alla fine delle guerra acca­niti: “infoi­ba­rono” gli inno­centi, non solo d’origine ita­liana. Sin­gole per­sone esa­cer­bate, di quelle che ave­vano per­duto la fami­glia e la casa, i fra­telli e i com­pa­gni, ese­gui­rono i cri­mini in prima per­sona e per pro­prio conto. La Jugo­sla­via di Tito non voleva che se ne par­lasse. Abbiamo comun­que cer­cato di par­larne. Pur­troppo, oggi ne par­lano a loro modo soprat­tutto i nostri ultra-nazionalisti, una spe­cie di “neo-missini” slavi. Ho sem­pre pen­sato che non biso­gne­rebbe costruire i futuri rap­porti in que­sta zona sui cada­veri semi­nati dagli uni e dagli altri, bensì su altre espe­rienze. Ad esem­pio cul­tu­rali… Per que­sto auspico la pro­cla­ma­zione con­giunta de “Il giorno dei ricordi”. E que­sto mi sem­bra il nuovo inten­di­mento che emerge e per i quale dob­biamo batterci.

Riportiamo questa intervista, ancora di grande attualità in questi giorni, uscita sul manifesto solo tre anni fa il 9 febbraio 2014

venerdì 10 febbraio 2017

La lotta dei disoccupati contro la miseria e la divisione di classe

Piattaforma comunista


Dal primo di gennaio, ai licenziati per crisi o maggior profitto aziendale spetta la nuova indennità di disoccupazione universale, la “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego” (NASpI).
Non sono i risultati della nuova beneficenza quelli che devono interessare i lavoratori, perché essi già sanno quanto scarsi ne siano i frutti.
La NASpI viene presentata come l’assicurazione contro la disoccupazione estesa a tutto il lavoro dipendente, pur se in verità ne vengono esclusi oltre ai dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato e i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale.
La NASpI lusinga con i requisiti contributivi e lavorativi ammorbiditi, ma la durata dell’erogazione del sussidio potrà essere al massimo pari alla metà delle settimane contributive dei 4 anni precedenti (quindi 2 anni), e a regime, dal 2017, non potrà superare le 78 settimane (un po’ più di 19 mesi). L’importo, parametrizzato al 75% del salario medio degli ultimi 4 anni (falcidiato dai vari ammortizzatori sociali) per i primi tre mesi, poi scalerà del 3% ogni mese.
Ma la NASpI pone per il suo ottenimento la condizione che il rapporto di lavoro si sia concluso senza contenzioso.
La particolarità più significativa di questa NASpI è dunque l’estensione della platea di beneficiari e l’introduzione della clausola della risoluzione senza contenzioso: sono questi i due aspetti che la collegano alla possibilità di licenziare con indennizzo e all'estensione di questa nuova disciplina anche ai licenziamenti collettivi.
La NASpI non è solo l’ennesima arma a disposizione dei capitalisti e degli sfruttatori, i quali minacceranno i lavoratori di non ricorrere contro il proprio licenziamento perché, a fronte di un indennizzo misero, perderebbero il sussidio.
Con la NASpI è la funzione del sindacato come istituzione proletaria ad essere ancora più compromessa agli occhi dei lavoratori.
La NASpI sottrae all'azione sindacale i campi sui quali poteva esercitare la sua attività più generale: i lavoratori saranno costretti ad accettare singolarmente risoluzioni “consensuali” del rapporto per presentare la loro domanda per accedere alla NASpI.
I lavoratori sindacalizzati si troveranno presto a dover fare i conti, nonostante tutta la prosopopea e l’arroganza dei capi sindacali, con l’infradiciamento delle radici del sindacato, che conduce alla sua più rovinosa caduta.
I capitalisti continueranno nello stillicidio dei sussidi insignificanti, con la volontà di avere a propria disposizione una manodopera assolutamente indifesa, e quindi in loro completa balia.
Ma non ci si illuda: anche un sistema prolungato di sussidi finisce per rinviare solo di poco quella condizione di esaurimento, di disperazione in cui i capitalisti vogliono trascinare i lavoratori per far precipitare le condizioni del mercato del lavoro.
La classe dei capitalisti ha sempre perseguito con chiarezza uno scopo: impedire il collegamento tra disoccupati e quelli che non lo sono, cercare che sul terreno dell’offerta della forza-lavoro si combatta solo una serie di tenzoni tra il singolo disperato e la fame, privare di forza l’organo tradizionale della difesa degli interessi dei lavoratori, il sindacato.
Il fenomeno della disoccupazione è strettamente connesso alla crisi del regime capitalistico, nell'economia capitalista le oscillazioni della produzione e le crisi continueranno sempre e ad esse corrisponderà un nuovo fluire di disoccupati.
È necessario affermare con insistenza, instancabilmente, che il problema della disoccupazione non ha soluzione nell'ambito dell’economia capitalista e tale considerazione deve ispirare l’azione concreta quotidiana sospingendola verso il suo sbocco logico rivoluzionario.
I capitalisti preparano licenziamenti di massa, nuovi attacchi alle condizioni di lavoro della classe operaia occupata e disoccupata.
Rinunziare a portare l’azione sul terreno concreto della difesa dell’operaio disoccupato vorrebbe dire perdere il contatto con la vita operaia per quello che oggi ne è l’aspetto più espressivo, più tragico, più sentito.
La richiesta di portare il sussidio verso il limite del salario integrale, a spese dei padroni e dello Stato borghese, deve figurare di buon diritto tra le parole d’ordine lanciate dal fronte unito sindacale e deve trovare i suoi sostenitori in tutti gli organismi e le sedi della lotta proletaria, contro ogni resistenza alla sua diffusione tra le fila dei lavoratori.
L’assistenza ai disoccupati e l’azione in loro difesa è squisitamente classista, poiché tende a impedire l’isolamento dell’operaio e del salariato, il suo allontanamento dai compagni che hanno la fortuna di lavorare. Inserire il diritto alla vita dell’operaio nel bilancio dell’economia borghese significa portarvi un elemento contraddittorio insanabile, significa lavorare per creare una situazione rivoluzionaria, poiché nella società capitalista, quando si inasprisce la lotta di classe, che costituisce la sua base, non vi può essere nessuna via di mezzo: o la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato.
Inoltre, poiché la disoccupazione colpisce non più i singoli, ma gli stessi lavoratori organizzati nei sindacati, la ripresa di un’attività generale su questo terreno porrà i lavoratori di fronte ai risultati più insopportabili dell’unione dei capi sindacali con la borghesia capitalista.
L’accusa che occorre muovere ai capi sindacali espressione dell’aristocrazia operaia e della piccola borghesia è di impedire con la forza lo sviluppo dell’iniziativa sindacale di classe per un’azione di più vasta portata.
Il disoccupato per questi capi riformisti e socialdemocratici non è altro che l’operaio “povero” che non può pagare le quote al sindacato.
I capi dell’aristocrazia operaia vogliono ridurre il disoccupato all'oggetto di un’azione di assistenza, di conseguenza impediscono che venga considerato come soggetto di azione politica sindacale. Il riformismo, con la democrazia piccolo borghese, vuole ridurlo a materia di provvedimenti legislativi, per impedirgli di diventare attore, propulsore di un movimento che partecipa alla lotta per l’affermazione dell’ordinamento socialista che lo liberi dalla sua triste situazione. 
L’unica garanzia che i disoccupati hanno oggi di non cadere in preda ai capitalisti non è nei sussidi o in questo o quel provvedimento di carattere particolare, ma nella forza del movimento di massa che svolge la sua azione per strappare i provvedimenti stessi, quando è la sua forza ad imporli, a controllarli, a far sentire la sua presenza dietro di essi.

Restituire la sovranità agli elettori!

Petizione popolare  PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE



 Al Presidente del Senato
Al Presidente della Camera dei Deputati

Il risultato straordinario del referendum del 4 dicembre segna una svolta nella storia del nostro Paese.
Con questo referendum il popolo italiano non solo ha respinto la deformazione della Costituzione contenuta nella proposta Renzi- Boschi ma ha anche rifiutato l'Italicum, un sistema elettorale disegnato a misura della riforma costituzionale, espressione dello stesso disegno neoautoritario ed accentratore.
La Corte Costituzionale il 25 gennaio ha cancellato il ballottaggio demolendo un pilastro dell’Italicum, ma sono rimasti in piedi altri due pilastri che tendono a svilire le elezioni riducendole ad una mera procedura per l’attribuzione del potere di Governo ad un ristretto gruppo, attraverso il controllo del Parlamento, a scapito della rappresentanza.
Per rendere omogeneo e coerente il sistema elettorale nelle due Camere, come richiesto dal Capo dello Stato, sarebbe inaccettabile la soluzione di estendere al Senato i meccanismi dell’Italicum. Al contrario è indispensabile che, con un sussulto di dignità, il Parlamento intervenga per cancellare gli aspetti inaccettabili non rimossi dalla sentenza della Corte costituzionale.

Riteniamo
che due interventi di fondo siano assolutamente necessari per ripristinare il modello di democrazia costituzionale che le elettrici e gli elettori hanno solennemente riconfermato con il voto del 4 dicembre.
Occorre:
- assicurare con le elezioni la piena rappresentatività del Parlamento, delle province e delle aree metropolitane, ripristinando l’eguaglianza del voto dei cittadini;
- garantire la possibilità per i cittadini di scegliersi i rappresentanti, oggi designati dai capi partito.
Il premio di maggioranza rimane inaccettabile, anche con la soglia del 40 % dei voti, in quanto comporta l'attribuzione alla lista "vincitrice" di oltre 90 seggi in più rispetto ai voti ricevuti, sottraendoli agli altri partiti, dando vita ad una profonda divaricazione fra la volontà espressa dagli elettori e la composizione del Parlamento.
Ugualmente inaccettabile è il sistema dei capilista bloccati che, combinato con collegi di dimensioni ridotte, porterebbe al risultato che la stragrande maggioranza dei deputati sarebbero nominati dai capi dei partiti senza che gli elettori possano concorrere in alcun modo alla scelta dei loro rappresentanti.
In questo modo rimarrebbe confermato il carattere oligarchico dei partiti e l’impermeabilità del Parlamento alle domande che vengono dalla società e alle ragioni della giustizia sociale e dell’uguaglianza (lavoro, sanità, scuola, previdenza, ambiente).
Per questi motivi, prima che si giunga allo scioglimento delle Camere è indispensabile che siano approvate profonde modifiche alla normativa elettorale vigente.

CHIEDIAMO

che la riforma delle leggi elettorali in discussione nel Parlamento sia informata ai seguenti principi.
Il sistema elettorale deve ripristinare la rappresentanza, garantire l’eguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto di voto, restituire ai rappresentati il diritto di scegliere i propri rappresentanti, ricondurre i partiti alla loro funzione costituzionale di canali di collegamento fra la società e le istituzioni, piuttosto che di strutture di potere autoreferenziali.
Questi risultati possono essere ottenuti con modelli diversi, a condizione che venga garantita l'elezione proporzionale sulla base dei voti di lista.
Per questo chiediamo fermamente:
che si rinunci ad ogni forma di premio maggioritario;
che si rinunci ai capilista bloccati;
che si rinunci alle candidature multiple.

Non esistono formule magiche, ed è possibile valutare sistemi misti (come quello tedesco, per esempio): quello che conta è che sia raggiunto l’obiettivo di rendere il Parlamento realmente rappresentativo.
Occorre ripristinare la piena credibilità e rappresentatività del Parlamento perché i cittadini debbono tornare ad essere protagonisti del voto ed artefici, con il concorso dei partiti, della scelta delle rappresentanze parlamentari, come richiede il principio fondante della Costituzione che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo.

Rivendichiamo sulla base della vittoria del No, che ha confermato la validità della Costituzione, una legge elettorale in grado di eleggere Camere pienamente rappresentative, che rispondono agli elettori del loro operato.

Roma, 9 febbraio 2016.

 

Primi firmatari: Alessandro Pace, Massimo Villone, Anna Falcone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Domenico Gallo, Mauro Beschi, Antonello Falomi, Tommaso Fulfaro, Felice Besostri, Sandra Bonsanti, Tomaso Montanari, Pietro Adami, Vincenzo Vita, Antonio Pileggi, Antonio Caputo, Paolo Maddalena, Claudio De Fiores, Enzo Palumbo, Gaetano Azzariti, Francesco Baicchi, Lorenza Carlassare, Alfonso Gianni, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Mauro Sentimenti, Livio Pepino, Giovanni Palombarini, Cesare Antetomaso, Carlo Di Marco, Sergio Caserta, Mauro Volpi, Pancho Pardi, Agostino Carrino, Maria Agostina Cabiddu, Roberto Zaccaria, Franco Astengo, Vittorio Bardi, Nico Cerana, Francesco Rampone, Antonio Di Pietro, Guido Mastelotto, Gerardo Labellarte, Andrea De Pietri, Walter Pirracchio, Gianni Ferrara, Bia Sarasini

giovedì 9 febbraio 2017

Il primo disco di jazz compie cent'anni

Luciano Granieri




Cent’anni fa in quel di New York, nasceva il jazz. Fra  il 31 gennaio e il 26 febbraio del 1917, l’Original Dixieland Jass Band incise per la casa discografica Victor Talking  Machine Company (in seguito Rca Victor),   4 brani fra cui il primo e più famoso fu Tiger Rag,  Chi erano i componenti del gruppo?  C’era tale, Domenico Nick La Rocca alla cornetta,  poi Antonio Tony Sbarbaro alla batteria,  Alcide Nunez al clarinetto, Henry Ragas al pianoforte , Eddie Edwards al trombone. Come si potrà notare la presenza di nomi italiani era importate. 

Non  si trattava di un gruppo nero, ma di un ensemble guidato da due  immigrati siciliani. L’esodo dalla Sicilia a New Orleans, verso la fine dell’800, fu imponente. Interi nuclei familiari arrivarono in Louisiana partendo   da  Ustica, Termini Imerese, Cefalù, Trabia, Campofelice di Fitalia, Ventimiglia Sicula, Bivona, Agrigento, Sciacca, Corleone, Contessa Entellina, Piana dei Greci, Monreale, Trapani e Poggioreale .  Da Salaparuta (Trapani), nel 1876 ,arrivò Girolamo La Rocca con la moglie Vittoria Di Nino. 

Girolamo a Salaparuta era calzolaio e suonatore di cornetta  nella banda del paese.  Aveva fatto il militare come caporale trombettiere nei bersaglieri del generale La Marmora. A New Orleans aprì una  bottega di calzolaio. In Louisiana i coniugi La Rocca ebbero quattro figli  Rosario, Nick (Dominick James), Antonia e Maria, tutti musicisti. In particolare Nick, come il suo genitore, coltivò una vera e propria passione per la cornetta. Papà  Girolamo avrebbe voluto per il figlio una carriera da medico, ma il destino di Nick era segnato, e lo portò a diventare il primo musicista di jazz ad  aver inciso  un disco. 

In realtà non è vero che il jazz nacque negli studi della Victor in quegli inizi del 1917. Accadde semplicemente che per   la prima volta   la musica afroamericana venne incisa su disco . Il corso della nuova espressione musicale,  era iniziato ben prima, in una New Orleans  dalla variegata popolazione immigrata, ribollente di musica. Neri, creoli, portoghesi, spagnoli, tedeschi, irlandesi,  ma soprattutto italiani, condividevano uno stato di emarginazione dato dal loro essere “immigrati” in terra straniera. Ciò portò anche la borghesia creola e bianca europea a sopportare sulla propria pelle, discriminazione povertà.  Non è un caso che lo stesso Girolamo La Rocca, padre di Nick, fu  costretto, per arrotondare il salario, ad affiancare alla professione di calzolaio, quella di “musicante”.  

Un tale   crogiolo di etnie diede origine ad una forma di musica  completamente originale. A New Orleans si realizzò  il fenomeno per cui un uomo si era  deciso a cantare e suonare le musiche di un altro uomo, o di un altro popolo, dando vita, inconsciamente, sia a un’azione rivalutativa per la propria comunità, o per la propria razza, sia a un’istintiva forma di vera e propria lotta sociale. Si compì   nello stesso tempo il primo passo sulla strada che sempre le razze oppresse hanno percorso: adattare cioè, a propria immagine,  le caratteristiche  delle razze dominatrici per introitarle e modificarle , immettendo in esse nuovi e innovatori stilemi artistici, culturali, sociali. 

Fu un altro oriundo siciliano  Jack “Papa” Laine, (Vitale era il suo cognome), un batterista nato a New Orleans nel 1873,   il primo  a costruire una  band jazzistica (tromba, trombone, clarinetto, contrabbasso e batteria)  . La prima delle sue orchestre nacque nel  1903 suonava rag-time. Nel  1905, Laine costituì la “Reliance Brass Band”  con lui c’erano Yellow Nunez al clarinetto, Dave Perkins al trombone, Johnny Lala e Manuel Marlow alle cornette. Verso il 1910 le orchestre bianche attive si moltiplicarono. Una di queste fu quella di Tom Brown che debuttò nel 1913 con il nome di Tom Brown’s Band from Dixieland” per poi passare  nel 1915 al “Lamb’s Cafè di Chicago usando per la prima volta il temine jazz. 

Lo scrittore Fred Ramsey  scrive:”…venne a New Orleans  da Chicago Harry James  - non il famoso trombettista dell’epoca swing ndr  – ad ingaggiare un’orchestra dixieland  per il Booster di Chicago. Al  Ranch 102, nel cuore di Storyville, c’era un trio con Alcide “Yellow” Nunez al clarinetto, Henry Ragas al piano e Johnny Stein alla batteria.  Poiché James cercava un quintetto, non un trio,  e Stein non volle partire per Chicago, il gruppo venne completato con Antonio “Tony” Sbarbaro alla batteria, Eddie Edwards al trombone e “Nick” La Rocca alla cornetta…” Era nata insomma la Original Dixieland Jass Band

Il successo nel ghetto nero di Chicago, fu straordinario, ma non altrettanto la paga. Accadde quindi  che La Rocca decidesse, nel gennaio 1917, di  trasferirsi nella Grande Mela. Qui  l’Original Dixieland Jass Band incise Tiger Rag. Un tema jazzistico universalmente conosciuto,  nato dalla quadriglia francese Praline

Si noterà che ho sempre citato Il nome “Original  Dixieland Jass (e non jazz)  Band, per indicare il nome del gruppo. La sostituzione della doppia “s” con la doppia “z” avvenne in seguito.  Infatti qualche buontempone si diverti  a cancellare dalle locandine del complesso la “j” davanti a jass, la parola che si leggeva, monca della prima lettera, era “ass” un termine volgare. Subito  jass divenne jazz e ogni volgarità fu evitata. 

Questo fu uno dei tanti aneddoti che hanno arricchito la storia del jazz e che hanno reso l’avventura iniziata a New Orleans alla fine dell’ 800 affascinate, straordinaria, unica.


good vibrations


Lettera aperta al ministro…della salute?

Francesco Notarcola



Oggi, Lei torna a Frosinone, tre anni dopo, per partecipare ad un incontro sulle polveri sottili che tanto danno hanno recato e recano alle nostre popolazioni.

E’ noto all’universo intero ed anche a Lei, che Frosinone e la provincia sono, ormai, un territorio che nulla ha da invidiare alla terra dei fuochi, vantando  primati di tutto rispetto. Infatti siamo primi per l’avvelenamento dell’aria (PM10-2.5 – nano particelle), del territorio (Valle del Sacco e bassa Valle del Liri), di tutti i corsi d’acqua, divenuti ricettacoli di ogni scarico industriale e domestico per mancanza di depuratori, di  reti fognarie non costruite da Acea Ato 5 e per il continuo rilascio, da parte degli organi competenti,  di autorizzazioni  in deroga per lo scarico di rifiuti industriali, nei corsi d’acqua e nell’atmosfera.

Lei sa, meglio di ciascuno di noi, che ciò ha determinato, documenti alla mano,  un aumento notevole di tumori e di altre patologie con particolare riferimento  all’’apparato respiratorio e a  quello uro-genitale. Frosinone, insieme a Udine detiene il primato dei tumori alla vescica ed alla prostata.

Ai turisti che vengono in Ciociaria possiamo offrire fettuccine alla diossina, latte, formaggi, agnelli, al beta-esaclorocicloesano (B-HCH) verdura al nerofumo. Il tutto condito con una spruzzatina di metalli pesanti ricavati dalle polveri sottili che ricadono. Potremmo aggiungere acqua minerale all’arsenico, profumi nauseabondi eccezionali e quanto altro ci viene da inceneritori e discariche che, da Colleferro a San Vittore del Lazio, si susseguono come: “I cipressi che a Bolgheri, alti e schietti, van da San Guido in duplice filar”. E si continua a rilasciare autorizzazioni per centrali a biogas,  biodigestione, biocompostaggio, ecc. in una Valle orograficamente chiusa. Tutta questa roba che ha di bio?

Tutto questo ben di Dio,  ha contribuito a distruggere, nel giro di qualche lustro, un apparato industriale ed economico di rilievo nazionale, nella completa indifferenza dei governi nazionale e regionale e di una classe dirigente locale, inetta. Da qui la crescita della disoccupazione, della povertà, della disgregazione sociale  e del dilagare di ogni illegalità e della corruzione, con infiltrazioni mafiose e camorristiche.

A fronte di un quadro così drammatico e disarmante abbiamo un’organizzazione sanitaria precaria e insufficiente, che mette a rischio continuo la salute e la vita dei cittadini.

Tre anni orsono (24 gennaio 2014),  nella sala conferenze della ASL, dopo aver esposto le problematiche terribili della nostra sanità e delle nostro territorio, Le chiedemmo, a nome dell’associazionismo frusinate,  un Suo autorevole intervento, nel tentativo di  invertire la rotta e   di costruire una sanità moderna ed efficiente, che potesse contribuire anche al rilancio della nostra economia e dell’occupazione. Lei fece un bel parlare senza assumere impegni. Della Sua sensibilità, esaltata e richiamata dal sindaco del capoluogo e da altri, non abbiamo avuto alcun segno.

Nella prima Repubblica, gli incontri delle associazioni con i  Presidenti del Consiglio, con i ministri, i sottosegretari ed i presidenti  della Regione, erano quasi quotidiani e non si  parlava a a vuoto.

 A conclusione di ogni incontro si assumevano impegni precisi con scadenze concordate e processi di verifica. Questo modo di essere della politica ha risolto problemi di grande portata: lavoro, case, mobilità e trasporti, servizi sociali, sanità, ecc. Per la prima volta, negli anni settanta, il Consiglio regionale del Lazio tenne una riunione a Cassino, aperta alle organizzazioni sindacali ed agli amministratori locali.

Le chiediamo, ancora una volta, Signora ministro  di non ripetere solo un bel discorso  ma di assumere impegni precisi, concordati con le associazioni e con gli amministratori locali, con scadenze e verifiche periodiche. Delle parole non sappiano che farcene.

La situazione richiede provvedimenti straordinari ed urgenti. Altrimenti i decessi dovuti all’avvelenamento ambientale e i drammi di tante famiglie ricadranno sulla coscienza di  tutte quelle persone che potevano fare qualcosa ma sono rimaste in attesa, senza muovere un dito, soddisfatte del loro apparire, delle loro ambizioni e del loro bel parlare.

video di Luciano Granieri.


Per leggere l'articolo sulla  prima visita della ministra  Lorenzin clicca QUI


Sevel: operaio costretto a farsela addosso. Questo è il totalitarismo aziendale di Marchionne

Marco Fars, Segretario regionale PRC Abruzzo

Maurizio Acerbo, segreteria nazionale PRC


L'altro ieri un lavoratore alla SEVEL di Atessa (Ch) è stato costretto a urinarsi addosso perché gli è stato vietato di andare in bagno. Questo accade nello stabilimento più grande in Italia del gruppo FCA (ex-Fiat).

Spremere i lavoratori fino al divieto, ripetuto e continuato, di poter andare in bagno, è un fatto di una gravità inaudita, da condannare senza mezzi termini. Da molti anni nel gruppo FCA si assiste all’incremento di ritmi e carichi di lavoro al limite del sostenibile. Troppo spesso gli aumenti di produttività sono stati salutati come un fatto positivo, senza chiedersi come fossero possibili, ogni anno, aumenti produttivi da record.

Nei giorni scorsi la risposta è arrivata, di nuovo, dalla palese manifestazione delle condizioni che i lavoratori, loro malgrado, sono troppo spesso costretti a subire. L’arroganza aziendale si è spinta fino a costringere un lavoratore ad urinarsi addosso, dopo che per troppo tempo gli è stato vietato di recarsi in bagno. La produzione viene prima di tutto e perciò i lavoratori non possono permettersi nemmeno il "lusso" di espletare bisogni fisiologici normali per qualsiasi essere umano.

La capacità produttiva di un impianto come quello SEVEL, se non fosse in mano ad un arrogante finanziere come Marchionne, potrebbe essere utilizzata per redistribuire ricchezza alla collettività. Invece, arricchisce azionisti e Marchionne che investe negli USA e delocalizza in Serbia e Polonia. Ai lavoratori, invece, costretti a carichi e ritmi di lavoro insostenibili, non viene riconosciuta nemmeno la dignità umana.

La vicenda SEVEL ci ricorda l’importanza e la necessità di riportare la democrazia reale dentro e fuori le fabbriche: questo totalitarismo aziendale è il prodotto di anni di "riforme" del lavoro che hanno sottratto ai lavoratori diritti e tutele e accordi sindacali capestro accettati da sindacati "firmatutto".

Questi sono i risultati della cancellazione dell'art.18 di cui porta la responsabilità il Partito Democratico, prima con il governo Monti, poi con il Jobs Act di Renzi.

Al lavoratore che ha subito questo grave episodio di fascismo aziendale manifestiamo la incondizionata solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista, che si unisce alla lotta dei sindacati per l’affermazione dei diritti di tutti i lavoratori.

mercoledì 8 febbraio 2017

La deriva inarrestabile del Movimento 5 stelle

Mauro Buccheri

Dai proclami xenofobi al supporto a Trump ed Assad.
Dalle disavventure romane alla celebrazione della povertà

Il Movimento 5 stelle chiede da tempo il ritorno degli italiani alle urne. Il suo stato maggiore scalpita, infatti, perché intravede la possibilità di fare il grande salto: quello verso Palazzo Chigi (1). Ai giornalisti che chiedono con quale programma il movimento pentastellato si presenterebbe oggi alle elezioni politiche, Di Battista risponde che la priorità va data alle piccole e medie imprese (2). Una risposta per nulla imprevedibile, data la natura piccolo borghese del M5s. Il programma grillino, oggi come ieri, si pone come orizzonte ultimo la lotta (almeno a parole) ai privilegi della casta politica e alla “corruzione”, ma non mette minimamente in discussione il sistema capitalista, cioè un sistema strutturalmente fondato sullo sfruttamento e sull'oppressione della maggioranza dell'umanità.
Infinite volte in passato, mettendo in guardia quanti a sinistra ripongono speranze nel grillismo, abbiamo rimarcato la natura reazionaria del progetto politico a cinque stelle. E ogni giorno si hanno nuove conferme di questa verità per noi scontata. Ci soffermiamo qui di seguito sulle ultime posizioni espresse da Grillo, Di Battista e soci, a partire da quanto hanno dichiarato in merito alla questione dei migranti. Nello specifico, Dibba dixit: “I profughi con diritto di asilo devono essere accolti in Europa e distribuiti uniformemente in tutti i paesi membri. Chi è privo di diritto d'asilo in questo momento storico deve essere espulso”. Specificando subito dopo, da bravo grillino, che “il termine espulsione non deve essere ricondotto alla destra, alla sinistra, o alla xenofobia”. Sulla stessa linea si è espresso Beppe Grillo che con tono perentorio ha aggiunto: “Adesso è il momento di proteggerci, rimpatriare subito tutti gli immigrati irregolari”! (3) Posizioni che, come spesso abbiamo rimarcato, pongono di fatto il M5s sullo stesso piano della Lega e dei gruppi neofascisti, convergenza del resto rimarcata da parecchi attivisti e sostenitori dello stesso Movimento 5 stelle (4).
Le uscite xenofobe dei leader pentastellati fanno il paio con esternazioni altrettanto reazionarie e riguardanti un vecchio cavallo di battaglia grillino, cioè l'attacco ai “sindacati”. Un concetto ribadito giorni fa da Di Maio il quale ha commentato la vicenda Almaviva, che ha visto il drammatico licenziamento di oltre 1600 lavoratrici e lavoratori, scrivendo su facebook che “l'epoca della rappresentanza è finita” e che ognuno dovrà iniziare a “rappresentare se stesso” (5). Becero populismo che avallando la deriva atomistica della società capitalistica fa un grosso favore al padronato che sulla divisione della classe lavoratrice costruisce le sue fortune.
 
Le capriole in Europa e il supporto a Putin, Trump e Assad
Il cambiamento di linea maturato negli ultimi mesi dal M5s in merito all'Europa (ieri “euroscettico”, oggi europeista) ha avuto ripercussioni anche nella pratica politica internazionale dei pentastellati, che hanno provato – col benestare del voto democratico virtuale del popolo grillino – ad uscire dall'Efdd, eurogruppo composto da forze nazionaliste e xenofobe, per entrare nel gruppo liberale dell'Alde, aperto difensore dell'Europa delle banche e del capitale (6). In realtà, il cambio di gruppo, ratificato dal voto online dei grillini, non si è mai concretizzato, e Beppe Grillo ha incolpato del nulla di fatto il capogruppo dell'Alde Verhofstadt, accusandolo di essere “piegato all'establishment”. La capriola grillina, consumatasi nell'arco di poche ore, ha portato insomma il M5s al punto di partenza: cioè all'Efdd. La fuoriuscita dei pentastellati avrebbe messo a serio repentaglio l’esistenza stessa di questo eurogruppo, che si sarebbe ritrovato con appena 27 membri, appena due sopra la soglia minima di 25: motivo per cui Farage ha riaccolto a braccia aperte il M5s (7).
E mentre oscilla a livello europeo, il M5s a livello extraeuropeo prende nettamente posizione a favore dello zar russo Putin e del neopresidente americano Donald Trump. Già all'indomani delle elezioni presidenziali negli Usa, Beppe Grillo aveva celebrato la vittoria del tycoon a stelle e strisce (8). Successivamente, la posizione è stata ribadita da Di Maio, che ha rimarcato come il M5s sia pronto a collaborare col neopresidente statunitense, e dallo stesso Grillo, che ha tessuto le lodi di Putin e Trump, definendoli uomini forti di cui il mondo ha bisogno per per procedere verso la pace (9)... Esternazioni surreali, tanto più se si considera che sono riferite a un miliardario fascistoide, che sin dall'insediamento ha dichiarato guerra agli immigrati, applicando nell'immediato delle gravissime misure discriminatorie verso i musulmani e promettendo la costruzione di un muro alla frontiera col Messico, e a uno dei principali responsabili del genocidio che si sta consumando in Siria!
E proprio a proposito di Siria, il M5s ha preso posizione a supporto del regime di Damasco, che pur ha sulla coscienza 500000 morti e la devastazione del Paese (10). Il parlamentare grillino Di Stefano, in particolare, ha salutato il bagno di sangue di Aleppo come una “liberazione”, sulla base del solito assioma complottista, che largo seguito ha avuto ahinoi anche a sinistra, secondo cui tutti coloro che si ribellano al regime di Assad sarebbero terroristi al soldo delle potenze occidentali e delle monarchie del golfo. Anche a proposito della questione siriana, dunque, riscontriamo la pressoché totale convergenza fra grillini, gruppi neofascisti e settori della sinistra riformista fagocitati nel gorgo campista e interclassista (11).
 
Le vicende paradigmatiche della giunta grillina romana
Anche le posizioni espresse dai grillini sulla Siria dimostrano quanto costoro contribuiscano alla diffusione dell'ignoranza politica e, più in generale, del pensiero borghese dominante. Sebbene infatti Grillo strilli contro la disinformazione altrui e accusi la stampa avversaria di fabbricare notizie false – al punto da suscitare le ire, con conseguenti querele, del direttore del Tg7 Mentana  - lui stesso ha sempre dimostrato di non essere da meno e di riuscire talvolta anche a battere i suoi rivali in quanto a sparate (dalle scie chimiche ai “pomodori antigelo”, i grillini sono sempre stati una fucina di bufale e una fonte d'ispirazione inesauribile per i complottisti).
E anche a livello di coerenza politica, i grilli dimostrano di essere sullo stesso livello dei loro competitori. Le vicende della giunta grillina romana, che abbiamo seguito nel loro evolversi e su cui ci siamo già soffermati di recente, sono in tal senso paradigmatiche. La sindaca Raggi risulta oggi indagata sulla base di gravi ipotesi di reato: falso e abuso d'ufficio (12). Ma il "codice etico" varato recentemente da Grillo le viene incontro: una volta, infatti, i grillini strillavano che i politici anche soltanto indagati devono dimettersi, mentre oggi iniziano a scoprirsi "garantisti"... (13)
Ad ogni modo, le acque sono sempre più agitate per la sindaca di Roma e negli ultimi giorni la storia infinita si è arricchita di un nuovo elemento, cioè la polizza da 30 mila euro sottoscritta da Salvatore Romeo, promosso dalla Raggi a capo della sua segreteria con stipendio triplicato, di cui la beneficiaria, ignara, sarebbe la stessa Raggi (14). Episodio che ha alimentato ulteriormente il malcontento interno al M5s, oltre agli attacchi della stampa di sistema ostile ai pentastellati.
Nonostante il leader maximo Beppe Grillo la difenda pubblicamente, la Raggi è sotto un fuoco incrociato, proveniente anche dal suo stesso (non) partito, nel quadro di una faida fra bande che da tempo logora il M5s laziale. Indicativo, a tal proposito, e allo stesso tempo esilarante, l'attacco subito dalla Raggi da parte di Annalisa Taverna, sorella della senatrice Paola e attivista del M5s romano, che con profondità di argomenti e stile forbito le ha gridato: “hai rotto er cazzo”, “smettila de fa’ la bambina deficiente”, “non rompere i coglioni altrimenti t’appendemo pe le orecchie ai fili dei panni sul balcone” (15)! Il tutto mentre alcuni sondaggi, negli ultimi giorni, fanno registrare un calo di consensi per la sindaca grillina di Roma.
Tirando le somme, la Raggi ha dunque buoni motivi per piangere: e non ci riferiamo certo ai poveri, che non si è fatta scrupolo in passato di sgomberare per motivi di decoro, sebbene ipocritamente - seguendo il modello Fornero - la sindaca romana sembra dedicar loro le lacrime alla Caritas (16)! Non ci lasciamo infatti ingannare da certe sceneggiate. A Beppe Grillo, che fa l'elogio pubblico della povertà (di quella altrui ovviamente) dall'alto dei suoi miliardi, e ai suoi accoliti rispondiamo che i lavoratori e le masse subalterne possono porre fine al pianto e alla povertà: la soluzione sta nell'abbattere il sistema economico disumano che li tiene col cappio al collo, cioè nell'edificazione di una nuova società, socialista, la cui premessa indispensabile è l'esproprio dei ricchi apologeti della povertà altrui. Per questo motivo continuiamo a lavorare alla costruzione del partito internazionale dei lavoratori e delle masse oppresse, strumento indispensabile per porre le basi di una nuova umanità.


Note
5) Quello dell'attacco generico ai sindacati è un motivo ricorrente nel repertorio di Grillo già da alcuni anni:
Così come attacca genericamente i "partiti", definendosi "movimento" e "non partito", ed essendo ciononostante un partito di sistema a tutti gli effetti, il M5s attacca in maniera qualunquista i sindacati, senza fare alcuna distinzione ed alcuna analisi di classe. Attacchi che tuttavia non hanno impedito ad alcuni sindacati, che pur si autodefiniscono "di base" e, sia pure a corrente alternata, "di classe", ad esempio l'Usb, di sostenere – elettoralmente e non – il movimento reazionario a cinque stelle. Sui rapporti fra sinistra e M5sconsultare:
Singolare, a tal proposito, che uno dei blog italiani più attivi nella propaganda filoPutin e filoAssad, L'Antidiplomatico, cui attinge a piene mani la sinistra riformista e castrochavista, sia diretto da AlessandroBianchi, uomo vicinissimo a Di Battista.
 

Che fine ha fatto la delibera sull'ospedale di Anagni?

COMITATO “ SALVIAMO L’ OSPEDALE DI ANAGNI “


Per il Comitato “ Salviamo l’Ospedale di Anagni “, è necessario prendere atto della  situazione attuale della  struttura che, ridotta al funzionamento del Punto di primo intervento, del Reparto di nefrologia-emodialisi  e di alcuni servizi ambulatoriali e di diagnostica, esiste e resiste ancora.
L’anno iniziato registra l’ impegno costante del Comitato, affinché non venga  assolutamente  meno l’ attenzione alle  esigenze di assistenza di base dei cittadini di Anagni e dei paesi limitrofi, da parte dei responsabili politici, amministrativi e aziendali.
Raggiunto faticosamente un impegno  condiviso i  9  Sindaci dei Comuni  maggiormente interessati ai servizi sanitari di base e di emergenza della  struttura di Anagni,  nel mese di agosto, hanno approvato una Delibera da presentare  alla Regione Lazio, nella quale si chiede l’ attuazione di  quanto previsto dall’ Atto Aziendale del 2015, e nella  successiva  revisione del 2016, per l’ Ospedale di Anagni.
                 Che  fine  ha  fatto  questa  Delibera ?
C' è poi da  aggiungere  quanto dichiarato  dal Commissario della ASL di Frosinone dott. Luigi Macchitella  per il ripristino dei  servizi necessari  a rispondere agli interventi di Pronto Soccorso: “.. è evidente che la rete ospedaliera, a mio avviso, andrebbe rivista. L' Ospedale di Anagni, ad esempio, se ripristinato, oggi potrebbe essere un' ottima soluzione.”
A questo punto si pone un interrogativo che esige una risposta seria e responsabile perché ci troviamo di fronte ad una contraddizione palese. Si assumono impegni per il rilancio della struttura di Anagni, per il rinnovo di alcuni  macchinari,  addirittura per l’acquisto di avanzatissima e costosissima strumentazione (tomosintesi per le mammografie),  si avviano lavori per l’ adeguamento  dei  locali alle  norme di sicurezza e per gli impianti per l’ ossigeno.
               
A che  cosa debbono  servire  e  che  cosa si vuole realizzare ?

Si  annunciano anche iniziative  di politici locali,  ma….non si vedono fatti  e alle  ripetute e  precise domande non è stata mai data risposta.

Questo vuol dire che:
C’ è una indifferenza reale per il problema e una conseguente  scarsa o assente  volontà di affrontarlo, in primo   luogo dall’ Amministrazione cittadina.
C’è una effettiva, anche se non dichiarata, impotenza a rappresentare e tutelare le ragioni sacrosante del Diritto all’ Assistenza  sanitaria  di migliaia di persone.
Situazioni analoghe di altri ospedali nella  regione  sono state risolte grazie all’ impegno politico dei parlamentari del  territorio i quali, qui da noi, nonostante le continue richieste dei loro circoli di base (PD,Sel), continuano a disinteressarsi totalmente della  drammatica realtà di Anagni.

Nel frattempo i medici del sindacato ANAO hanno denunciato l’ estrema difficoltà nella  gestione dei Pronto Soccorso e, il sindacato dei medici di base, il fallimento delle  Case della  Salute.
Ribadiamo che il potenziamento del Punto di Primo Intervento di Anagni alleggerirebbe di molto  il cronico affollamento del Pronto Soccorso di Frosinone, soprattutto per i codici bianchi, verdi e  gialli che potrebbero essere trattati adeguatamente nella nostra struttura.
Convocheremo a breve un’Assemblea pubblica per  informare i cittadini sulla  situazione e sulle responsabilità politiche che ostacolano le soluzioni possibili.


Colleferro, in attesa della decisione del Tar del Lazio sull'opposizione alla sopraelevazione della discarica raccontiamo i fatti.

Retuvasa e Comitato Residenti Colleferro


Nei giorni scorsi è stato pubblicato da alcuni organi di stampa un comunicato che dà per respinto il ricorso al Tar del Lazio presentato da Retuvasa e Comitato Residenti Colleferro. Attraverso un uso scaltro delle parole il comunicato evita accuratamente di fare menzione del motivo del ricorso - “la sopraelevazione della discarica di Colleferro” - al punto da non permettere nemmeno di poterlo dedurre dal testo!

Con tutta probabilità il comunicato è stato pubblicato così come inviato presumibilmente dagli uffici di Lazio Ambiente SpA, con le dichiarazioni del Dott. Gregorio Narda, Amministratore Unico della società, attuale gestore della discarica di colle Fagiolara.

E’ doveroso quindi un chiarimento da parte nostra affinché venga ripristinata la verità dei fatti. 

L’associazione Rete per la tutela della valle del Sacco e il Comitato residenti Colleferro con l’intento di continuare a portare avanti la loro azione di tutela del territorio hanno impugnato, con richiesta di sospensiva dell’atto, la Determinazione con la quale la Regione Lazio ha ultimamente disposto una “provvisoria”  sopraelevazione di 7 metri della discarica di colle Fagiolara, nel Comune di Colleferro, discarica, forse unica al mondo, dove, oltre alle alte colline di rifiuti (da ora in poi e non si sa fino a quando arrivano a 287 m slm), ci sono anche alcuni tralicci di alta tensione all’interno della stessa.

Atteso che la Regione Lazio ha emesso il provvedimento autorizzativo di sopraelevazione dopo solo 8 giorni dalla relativa richiesta presentata da Lazio Ambiente spa (tempismo  incredibilmente celere, considerato che i tempi normalmente sono molto più lunghi),  abbiamo voluto vederci chiaro e in particolare capire se la Regione Lazio ha approfondito l'impatto ambientale che una sopraelevazione di rifiuti alta come un palazzo può avere sotto il profilo dei possibili smottamenti, delle mutate pendenze e delle interazioni con i cavi ad alta tensione (vi ricordate gli incendi che ogni tanto si sviluppano nella discarica?)

Alla nostra richiesta di accesso ambientale per visionare l'istruttoria effettuata la Regione Lazio non ha dato alcuna risposta, violando le disposizioni di legge che regolano la materia.

Possiamo quindi ritenere che 8 giorni di istruttoria dalla richiesta all'emissione del provvedimento siano evidentemente troppo pochi per approfondire questi aspetti!

Studiando le carte abbiamo altresì scoperto che per la discarica di colle Fagiolara non è nemmeno stato adottato a suo tempo un provvedimento di rinnovo dell'AIA e che la Regione ha deciso di emettere un provvedimento di modifica non sostanziale di una autorizzazione (AIA) che non pare essere più operativa. 

Si badi bene, che l'AIA non sia stata oggetto di un provvedimento di rinnovo, è una circostanza che la Regione Lazio non ha nemmeno smentito in giudizio.

Secondo Lazio Ambiente spa, però, il rinnovo dell'AIA starebbe nel provvedimento della conclusione della Conferenza di servizi, nonostante in quel provvedimento la Regione affermi che sarebbe stato emesso in seguito un “provvedimento finale” nel quale recepire tutte le osservazioni delle Amministrazioni partecipanti alla Conferenza dei servizi, “provvedimento finale” che non è mai stato emesso.

La notizia è che il TAR ha aderito alla tesi difensiva della Lazio Ambiente SpA e ha respinto l'istanza di sospensiva. La causa comunque non finisce qui e verrà decisa nel merito.

Noi però siamo convinti delle nostre ragioni e andremo avanti in tutte le sedi opportune.