Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 11 agosto 2012

Resisti Angelo

Simonetta Zandiri

L'11 agosto Angelo si è dato fuoco davanti a Montecitorio e ora è in gravi condizioni, con ustioni sull'85% del corpo. Un corpo del quale voleva disfarsi, avendo provato per troppo tempo quel senso di frustrazione e di inutilità che vive chi è disoccupato, pur continuando ad essere attivo e impegnato nelle lotte contro le ingiustizie. Il gesto di Angelo è stato taciuto da tutti i telegiornali, troppo impegnati a darci consigli per le "partenze intelligenti". Non lasciamolo solo.In Tunisia quando un giovane fruttivendolo-laureato si diede fuoco iniziò la rivolta....e in Italia? Angelo ha sempre lottato, e l'ha fatto anche adesso, con un gesto estremo, perché darsi fuoco davanti a Montecitorio non è semplicemente mettere fine alla propria esistenza, è un grido disperato a quei tanti che continuano a fingere che vada tutto bene, è un segnale per chi resta semplicemente indifferente a tutto.... è questo, forse, che Angelo non ha più retto.....

Angelo Di Carlo la notte scorsa, all'una del 11 agosto si è dato fuoco davanti a Montecitorio, ora è in gravi condizioni con ustioni su 85% del corpo. Angelo è di Forlì, disoccupato, sempre attivo nelle lotte contro le ingiustizie. Telegiornali e giornali non ne stanno dando notizia, forse per non disturbare le vacanze dei parlamentari. Non lasciamolo solo. Forza Angelo resisti, c'è ancora bisogno di te!

Class Action

Simontta Zandiri

"Passano i minuti. In un silenzio surreale, dalla testa del treno, si levano imprecazioni irripetibili indirizzate a tutto il panteon cristiano. Il capotreno scende scagliando con violenza il cellulare di servizio per terra. Il cellulare va in pezzi. Ma il capotreno cammina deciso per prenderne i resti a pedate, come se fossero le teste dell’Idra e lui volesse assicurarsi che da nessuna di esse possa mai più levarsi una voce. Poi si prende la faccia fra le mani, e si mette a piangere.
Stiamo assistendo al tracollo nervoso di un uomo il cui immaginario non sa più cosa inventarsi per arginare il cedimento strutturale del materiale. Scendono tutti. Una signora etnochic approfitta dell’occasione per dire la cosa che teneva in serbo da tutta una vita: “facciamo una class action!”. E invece arriva l’ambulanza, altro che class action. Due uomini accompagnano sottobraccio il capotreno." Tutta la mia solidarietà al capotreno. Che, temo, verrà indicato come "responsabile" del guasto, perché Trenitalia non può certo ammettere errori...

ILVA: UNA VITTORIA DELL'OPERAIO O DEL PADRONE ?

Marco Ferrando - Partito Comunista dei Lavoratori.

Colpisce non tanto il diffuso plauso che si respira a sinistra verso la sentenza sull'Ilva, ma l'atteggiamento subalterno verso la proprietà che l'intera vicenda rivela. Lo dico non dal versante di un ambientalismo ideologico indifferente al lavoro ( “sussidi” al posto della fabbrica). Ma proprio dal versante delle ragioni dei lavoratori, del loro posto di lavoro e della loro salute. Che sono un riferimento centrale per la stessa battaglia ambientalista.

A me pare che la sentenza del tribunale del Riesame non tuteli né il lavoro, né la salute. Tutela clamorosamente gli interessi della proprietà: dietro la foglia di fico di innocue raccomandazioni ambientali e col patrocinio di un governo Monti infarcito di “amici” dell'azienda.

Guardiamo in faccia la realtà. Nel '95 lo Stato regala Italsider al “rottamaio” Riva a prezzi stracciati. Diciotto anni dopo lo Stato socializza i costi dei crimini del padrone, mettendo la miseria di 300 milioni di denaro pubblico ( ossia dei contribuenti) nella cosiddetta “bonifica”. Il padrone Riva non mette un euro. I 90 milioni di investimento “ecologico” nell'area Ilva che l'ex prefetto Ferrante sbandiera, se mai fossero veri, riguardano il passato. Ed evidentemente sono stati senza effetto. Sul futuro la proprietà si tiene le mani libere. Continua a battere cassa per ottenere altri soldi pubblici. Si riserva di scaricare sui lavoratori eventuali spese aziendali per la “messa a norma degli impianti” dichiarando in quel caso una “possibile riduzione della produzione con possibili effetti sul personale” ( Ferrante su Sole 24 ore dell'8/8). Infine lo stesso Ferrante figura, in rappresentanza di Riva, come controllore della messa a norma degli impianti “sequestrati”: il padrone controlla se stesso. In altri termini: posti di lavoro e salute restano nelle mani e sotto il controllo di una proprietà e di un padrone che la stessa magistratura, con decenni di ritardo, ha dichiarato “criminali”.

Ciò che stupisce, tuttavia, non è la brutalità del profitto e dello Stato che lo tutela. Ma la subordinazione al padrone ( e allo Stato) di chi dovrebbe tutelare gli operai e la loro vita. In altri termini, capisco l'esultanza dell'”unità nazionale montiana” a sostegno della “soluzione” trovata, col coro immancabile di Confindustria e banchieri. Ma perchè l'esultanza di Nichi Vendola e persino di Paolo Ferrero?

C'è una cosa che accomuna tutte le sinistre sindacali e politiche in questa vicenda, al di là delle loro diverse collocazioni. Che nessuno ha rivendicato e rivendica l'esproprio di una proprietà criminale. Che tutti considerano normale- nel nome della “difesa del lavoro”- che resti al suo posto un padrone che assassina operai e loro familiari nel nome del profitto. Nel migliore dei casi gli si chiede, con scarso successo, di pagare i costi del proprio crimine e della sua continuità.

E' una posizione subalterna.

Il PCL si è schierato da subito, come sempre, al fianco degli operai dell'ILVA e della difesa del lavoro, contro ogni posizione che in nome dell'ambiente chiede la chiusura della fabbrica. Ma la difesa del lavoro è inseparabile dalla difesa della vita del lavoratore e dei suoi figli. Un padrone che si fa scudo del diritto al lavoro per negare il diritto alla vita, dev'essere espropriato e senza alcun indennizzo. L'azienda nazionalizzata va posta sotto il controllo degli operai. Gli enormi utili realizzati dal padrone Riva ( oltre 3 miliardi di euro nei soli ultimi due anni) vanno requisiti e investiti nella riorganizzazione della produzione, nel cambiamento degli impianti, nella bonifica dei territori. Il tutto sotto il controllo vigile dei lavoratori e dei comitati di quartiere della città. Questa è l'unica vera soluzione di svolta, capace di difendere insieme lavoro e salute, produzione e ambiente.

Perchè non battersi unitariamente a sinistra per questa rivendicazione elementare? Perchè non raccogliere e tradurre attorno a questa rivendicazione il punto di vista di una parte importante della stessa classe operaia dell'Ilva, che non è disponibile a piegare la testa al padrone?

Si dirà che questa soluzione è “irrealistica” perchè è incompatibile col capitalismo. E' una verità mal posta. E' il capitalismo ad essere incompatibile col lavoro e con la vita. Conciliare lavoro e vita significa mettere in discussione i fondamenti su cui il capitalismo si regge. A partire dal “sacro” diritto di proprietà.

Il caso ILVA è solo la drammatica metafora di un bivio generale che interroga il movimento operaio: o si riconduce ogni lotta sociale e ambientale alla prospettiva anticapitalista e dunque rivoluzionaria, o ci si subordina ai miasmi velenosi di un capitalismo fallito e dei suoi odiosi ricatti. In altri termini: o un governo dei lavoratori, o il governo del capitale. “Irrealistica” ,quella sì, è l'eterna pretesa della conciliazione degli opposti. Magari presentando come “vittoria” una soluzione benedetta dal padrone

venerdì 10 agosto 2012

Immagina una storia. immaginala adesso. (questo è quanto...)

Laura Jurevic

Questa è una storia immaginata che non andrebbe scritta. Perchè spesso si sa immaginare ma non scrivere. Anche immaginarle le storie è difficile. Magari le hai dentro ma son come i contorni dietro la nebbia, cazzo che non li distingui nemmeno a impegnartici. A volte incontri anche un palo e quello si che lo vedi. Dopo. E lo vedi bene bene a quel punto. Colore, materiali, imperfezioni... Ma anche questa è un'altra storia. Torniamo alla prima storia, quella che è immaginata... ma mica tanto. Perchè questa è una storia che non vuole lasciarsi immaginare. Continua a puntare i piedi sui personaggi e sui fatti e ripete, "o mi vivi o niente". Già, perchè le storie, più che immaginate andrebbero vissute. A riuscirci sarebbe un'altra storia. E si avrebbero due storie, una vissuta e una immaginata senza calcolare poi quella che si saprebbe scrivere ma non immaginare, la classica storia fatta di clichè insomma, senza cavalli fuxia o lampadine turbosorridenti... e siamo già alla terza storia. Troppe per un momento solo!

Torniamo alla prima e diamole anche un nome, sia perchè, beh insomma, se lo merita anche, e poi per non confonderci con le altre due. E qui si parte con la ricerca di un nome e le maledizioni per aver avuto l'idea di dare un nome senza averlo. Malsane idee di scrivere una storia immaginata che non vuole farsi immaginare ma vivere e che non andrebbe scritta. Solo che ormai è nata. E' qua. Strilla e calcia. Pure bisbetica è venuta fuori! Bei tempi di quando c'erano le storie che stavan li e davan retta a chi le immaginava. I promessi sposi mica han fatto macelli si sono messi li e si son fatti scrivere. E l'autore gliene ha combinate di tutti i colori ma non è che Lucia o Renzo abbiano indetto uno sciopero. “ il personaggio è mio e lo gestisco io!” No. Ecco, io ho una storia ancora da immaginare e fondamentalmente ribelle. D'altronde D'annunzio era una persona normale mica come me che dò retta alle rivendicazioni sindacali di una storia immaginata. Fermi che mi sta passando qualcosa. Eh?Comunicato di rivendicazione? Ossignore!!! Evabè... Dunque... si si leggo, stai buona però! Si te lo presto il costumino nuovo. Oh!! allora! vuoi la rivendicazione o fare la fanatica? No non sei ingrassata... allora, butto il comunicato??? Bene, fammi leggere.
“noi, storie immaginate di ieri e di oggi! Chiediamo e rivendichiamo il diritto e la bellezza di farci uscire, di smetterla di sognarci o di colorarci con pennarelli di seconda mano e con colori improponibili, senza sfumature e senza macchie. Per paura che si possa uscire dai contorni previsti. Rivendichiamo il diritto di uscire nella realtà, e di non essere solo lì nel vostro cervellino che settarizza tutto in categorie, o rosa o giallo, di non essere relegate in ruoli “commedia o drammi” ma di poterci invadere ed incontrare l'una con l'altra, di uscire dalla parfezione immaginata e poter essere sorprese da un acquazzone o dal caldo torrido, di poter far nascere sorrisi veri e lacrime autentiche e non asettiche sensazioni. Regalare un palloncino ad un bimbo non è la stessa cosa che raccontargli di averglielo regalato, lo sapete! Quindi noi, storie immaginate di tutti i tempi, vogliamo che voi, adesso, insieme a noi, scendiate tutti nella realtà e ci viviate, come meglio vi viene, esattamente come ci state immaginando e smettiate di immaginarci. Di vita non è mai morto nessuno!”
La storia immaginata rifiuta compromessi. Niente non c'è mediazione che tenga. E io son d'accordo con lei, la mia piccola storia ribelle, non ho intenzione di immaginarmela. Se sarà, sarà vissuta.


(ve l'avevo detto che sarebbe stato meglio se fossi andata a dormire... per il TSO, abito a milano io, mandateli lì.)

L'Europa mal-trattata

http://www.sbilanciamoci.info

Dopo il “Manifesto degli economisti sgomenti” che in Francia ha venduto 80 mila copie – in Italia tradotto da Sbilanciamoci! come e-book "Finanza da legare" e stampato da Miminum fax – il gruppo di economisti francesi ha pubblicato L'Europe mal-traité (a cura di Benjamin Coriat, Thomas Coutrot, Dany Lang e Henri Sterdyniak, Les liens qui libèrent, 2012)


Il testo analizza i cambiamenti nelle regole europee e gli effetti del “Fiscal compact” in via di introduzione in questi mesi. Presentiamo qui le conclusioni del volume, che chiede di rifiutare il “Fiscal compact” – che sarà votato nelle prossime settimane dal parlamento francese – e propone alternative. È in preparazione l'edizione italiana del volume a cura di Sbilanciamoci!  PER INFORMAZIONI

Col “Fiscal compact” siamo arrivati all'”Europa post-democratica”, come afferma il filosofo tedesco Jurgen Habermas? La nostra analisi lo conferma. Il nuovo trattato europeo marginalizza ancora di più parlamenti e popoli. Radicalizzando la logica istituzionale liberista che ha condotto l'Europa in un vicolo cieco, porterà a una disarticolazione della zona euro rispetto all'insieme della costruzione europea. Il caos economico e sociale che ne risulterà avrà conseguenze incalcolabili, confrontabili solo con la crisi degli anni trenta. Gli effetti politici saranno senza dubbio una crescita irreversibile dell'estrema destra (…).

Il “Fiscal compact” avrà effetti depressivi così massicci che non potranno essere compensati da semplici “misure correttive” a scala europea. Tali misure saranno per forza insufficienti, viste le ridottissime dimensioni del bilancio europeo, fermo all'1,2% del Pil dell'Unione (…). Non c'è alternativa alla ricerca di una vera alternativa.

L'eurozona non uscirà dalla crisi attraverso una successione di piani di austerità che puntino a “rassicurare” i mercati finanziari. Una strategia di uscita dalla crisi, per essere efficace e sostenibile, richiede politiche diverse. Gli interventi che proponiamo qui non pretendono di essere una panacea; vogliono mostrare che alternative sono possibili e possono concretizzarsi in misure concrete.

1. Disarmare i mercati finanziari vietando le transazioni speculative (in particolare sui prodotti derivati detenuti senza contropartite reali, in modo che non sia più possibile scommettere sul fallimento degli stati).

2. Far garantire il debito pubblico dalla Banca centrale europea (Bce), in modo che tutti i paesi euro possano finanziarsi con titoli a dieci anni al 2%, il tasso senza rischi. Se necessario, far intervenire la Bce per l'acquisto di titoli di stato in modo da mantenere bassi i tassi d'interesse, come fanno ora le banche centrali di Usa e Regno Unito.

3. Rinegoziare i tassi eccessivi a cui alcuni paesi hanno dovuto indebitarsi a partire dal 2009 e ristrutturare il debito pubblico manifestamente insostenibile. Rimettere in discussione l'assunzione dei debiti delle banche da parte degli stati; in questa logica, non rimborsare i crediti accumulati attraverso l'evasione fiscale.

4. Mettere fine alla concorrenza fiscale tra paesi e avviare una vasta riforma fiscale per far pagare il costo della crisi tassando la finanza, le transazioni finanziarie, i redditi più alti, le imprese multinazionali e i patrimoni gonfiati dalle bolle finanziarie e immobiliari.

5. Vietare alle banche e alle imprese europee di avere attività e filiali nei paradisi fiscali.

6. Riformare profondamente il sistema bancario, concentrando le banche sulla distribuzione del credito, vietando loro le attività speculative, separando le banche di deposito dalle banche d'affari e costituendo un forte polo finanziario pubblico europeo, con un controllo sociale e democratico.

7. Creare Banche pubbliche per lo sviluppo sostenibile che raccolgano il risparmio delle famiglie.

8. Mettere fine alle politiche di austerità, rilanciare l'attività economica e avviare la transizione ecologica anche attraverso fondi raccolti dalle Banche pubbliche per lo sviluppo sostenibile.

9. Costruire un vero bilancio europeo, finanziato in particolare dalla tassazione delle transazioni finanziarie e da una fiscalità ecologica, in modo da assicurare i trasferimenti di risorse necessari alla convergenza delle economie reali.

10. Avviare una strategia di crescita sociale ed ecologica in quattro direzioni: una rivalorizzazione della Politica agricola comune, una forte regolamentazione della finanza, una politica industriale che organizzi l'indispensabile transizione ecologica, la costruzione di un'Europa sociale solida e condivisa.

11. Assicurare un vero coordinamento delle politiche macroeconomiche e una riduzione concertata degli squilibri commerciali tra i paesi europei. In questo quadro, i paesi con forti surplus commerciali dovranno finanziare i paesi in deficit con investimenti diretti o prestiti a lungo termine.

12. Elaborare in modo democratico un vero trattato per il coordinamento delle politiche economiche dei paesi Ue. Questo richiederà obiettivi in termini di convergenza reale delle economie, occupazione, sostenibilità ecologica. Dovrà avviare una strategia economica che utilizzi le politiche monetarie, fiscali, di bilancio, sociali e salariali, oltre alla politica del cambio della zona euro, per avvicinare i paesi alla piena occupazione.

Va da sé che queste dodici proposte non sono l'ultima parola e dovranno essere integrate. Sono però sufficientemente chiare e coerenti per aprire un indispensabile dibattito pubblico sul futuro dell'Europa e della zona euro. Noi, Economisti sgomenti, non possiamo che constatare la ripetuta, esasperante cecità delle élite europee, chiuse nell'autismo neoliberista, che concepiscono la politica economica solo come continua soppressione dei compromessi sociali e delle scelte democratiche. La nostra speranza è in un sussulto collettivo dei popoli europei. L'euro, nonostante la sua architettura distorta e insostenibile nel lungo termine, dà oggi ai popoli europei un interesse comune ad agire: un interesse comune a riappropriarsi delle istituzioni – in particolare della Banca centrale europea – che hanno in mano il loro destino. Il crollo – assai possibile – dell'euro negli anni a venire rischia di portare a un caos economico e politico dalle conseguenze incalcolabili.
È in un percorso comune di rifondazione dell'euro su basi di solidarietà e democrazia che sarà possibile evitare il peggio in Europa. Questo percorso dovrà fondarsi sulle mobilitazioni sociali europee, in quanto i responsabili che sono oggi ai vertici delle istituzioni europee appaiono immobili nei loro dogmi, lontanissimi dalle esigenze attuali. Con questo libro, mettendo queste analisi a disposizione dei cittadini, in collegamento con i nostri colleghi economisti critici di altri paesi europei, vogliamo contribuire, da parte nostra, a illuminare le strade possibili per l'urgente e indispensabile rifondazione di cui l'Europa ha oggi bisogno.



Italia vendesi

fonte : Rivista Indipendenza

L'Italia precipita sempre più in una spirale di tipo greco. Anche da noi, ormai, si parla di passare ad una (s)vendita in grande stile del patrimonio pubblico e degli "asset" strategici molto più di quanto si sia fatto sinora. Peraltro è da.rilevare, ammessa e non concessa questa ricetta predatoria dell'ideologia euroatlantica dominante, che le massicce privatizzazioni avviate da un ventennio non hanno modificato l'ammontare del debito estero italiano, che anzi ha continuato a crescere nel tempo raggiungendo il suo massimo storico in questi giorni. Tutte le misure euroatlantiche, imposte al nostro paese e messe in atto dai ceti politici servili di riferimento avvicendatisi all'amministrazione di questo paese, hanno in modo specifico aggravato la situazione economica e sociale. La perdita dei residui margini di sovranità politica del nostro paese (moneta, liberalizzazione dei movimenti di capitale, ecc.) ha trasformato il debito/credito pubblico (che è problema molto relativo...) in debito estero (che è una condizione capestro determinata per vincolare permanentemente un paese). Il debito estero che si è prodotto con i Trattati Europei e l'imposizione della moneta coloniale (euro) è un'arma imperialista collaudata in Africa ed America latina, che negli anni ha portato a un colonialismo a tutto campo e a miserie generalizzate. Chi ne è uscito, lo ha potuto fare per via politica, riprendendo in mano la rivendicazione della sovranità della propria nazione e lottando.

Oggi ci troviamo in una fase avanzata di un processo di indebitamento, strutturalmente insolvibile, in cui il federalismo demaniale ha rappresentato un passaggio significativo nell'appropriazione privata e/o estera dei beni pubblici e collettivi ( 27 luglio 2010 : http://indipendenza.lightbb.com/t629-federalismo-e-svendita-dei-beni-pubblici ). L'economista e (geo)politologo Edward Nicolae Luttwak, una delle voci del padrone (anche) di questo paese (gli Stati Uniti), che sovente trova spazio su giornali e trasmissioni radiotelevisive, più volte ha parlato della necessità e inderogabilità di una massiccia ed estesa dismissione del patrimonio pubblico italiano. Significativa una sua dichiarazione del gennaio scorso: «L’Italia ha un patrimonio immobiliare immenso, penso allo Stato, ma anche a Comuni, Province e Regioni. L’Italia dovrebbe affidare tutto ad una gestione professionale privaty-equity. E le cose cambierebbero davvero. Insomma, non basta svendere Telecom. Vendi Pompei a Disneyland e incassi tanti di quei milioni di euro per cui quell’immenso patrimonio ti rende e non diventa una passività. Vendi Villa Rosebery. Vendi l’Eni».

Niente di nuovo, comunque. Senza farne parola sui grandi mezzi di comunicazione –solo per fare degli esempi– nei mesi scorsi una porzione dell’Isola di Santo Stefano è stata venduta all'asta. Con 90mila euro, anziché comprare dei box, il solo imprenditore presente all'asta ha comprato alcuni ettari di macchia mediterranea, ivi connesse rocce di granito e spiaggia privata. Poco più di un anno fa era stata la volta di diversi ettari dell'isola di Spargi, autentico angolo di Paradiso inserito nel Parco Nazionale de La Maddalena, finita in mani private per 127mila euro. A fine 2010 (vedi "Indipendenza" n. 29, versione cartacea) erano migliaia e migliaia i beni pubblici messi in vendita dall'Agenzia del Demanio. Un elenco via via aggiornato ( http://www.agenziademanio.it/export/demanio/index.htm ) di immobili vari, porti, aeroporti, parchi, acquedotti, isole, montagne, messi sul mercato.

In queste ore è un accavallarsi di proposte di (s)vendita del patrimonio pubblico (piano Amato-Bassanini, piano Ceriani, piano Giavazzi, piano Grilli, piano Alfano-Berlusconi e via banchettando) dietro cui si muovono appetiti economico/finanziari e interessi geopolitici che, in ultima istanza, mirano all'acquisizione degli ultimi "asset" strategici del Paese. Defraudare un Paese degli snodi decisivi di sovranità politica, economica, finanziaria che possano consentire di costruire una qualsivoglia politica indipendente è l'obiettivo strategico –di ieri, di oggi, di domani– di ogni potenza coloniale e/o imperialista. E' interesse delle classi dominate di questo paese impugnare la bandiera della sovranità nazionale, costruire resistenza conseguente, attrezzarsi come movimento di liberazione. Altrimenti la macelleria sociale, che con i suoi "stop-and-go" stanno attuando, proseguirà sino a riportare l'Italia ad una "espressione geografica" e le sue genti a condizioni da colonia africana.

Autocelebrazioni dell'assessore alle politiche socialli di Cassino

PRC. Circolo di Cassino

L’assessore alle politiche sociali di Cassino non perde occasione per autocelebrarsi. Nell’ennesimo COMUNICATO STAMPA, viene descritto l’operato del proprio assessorato. L’articolo fa riemergere alcune provocazioni precedenti lanciate da Fausto Pellecchia agli amministratori di Cassino che manifestano una sorta di “dissonanza cognitiva”. Fa tenerezza l’assessore quando parla di centralità della persona facendo riferimento alla Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo. Come se scoprisse solo ora quali fossero i principi ispiratori di un assessorato così importante per le persone più esposte di questa società cioè le persone che per varia natura risultano essere svantaggiate rispetto ad altre. Cara assessore, mi dispiace deluderla ma uno dei motivi perché il PRC si è collocato all’opposizione è proprio per il suo operato che ha disatteso proprio la centralità della persona che era ed è il nervo del programma di Bene Comune sulle politiche sociali. Lei parla di rete è non ha ancora realizzato in rete un progetto individualizzato di reinserimento per persone svantaggiate previsto al punto 7 del programma – politiche sociali. Anzi il progetto 7 adulti, l’unico progetto in rete già esistente fatto insieme al SERT ed al CIM di Cassino è stato letteralmente stracciato dall’agenda politica. A noi risulta il mancato coinvolgimento dei servizi sociali del territorio ed il Centro per l’impiego. Bastava ricomporre la struttura delle UTI già previste con l’ambizioso progetto Nautilus. Si parla di progetti per detenuti e si dimenticano le misure alternative alla detenzione ed i lavori socialmente utili previsti per chi incorre in infrazioni del codice della strada. Progetti che possono qualificare anche il Tribunale di Cassino. Però, in attesa che si costituisca la Consulta sociale prevista nel regolamento e statuto comunale, finalmente abbiamo, dopo diverse denunce, visto inserire le Organizzazioni Sindacali nell’Osservatorio sociale. L’unica cosa che si dimentica è chiedere loro cosa ne pensano sui singoli provvedimenti adottati, a partire dai voucher. A noi risulta che le OO.SS. sono contrarie ai voucher lavorativi. A partire dalla FP CGIL che a più riprese ha cercato di evidenziarne le criticità ad iniziare dall’assessore al Bilancio, del Personale e dal partito di Vendola che nella commissione servizi sociali è ben rappresentato. La posizione del sindacato è chiara perché i voucher sono svuotati da qualsiasi progettualità individuale e perché mettono a dura prova gli interessi dei lavoratori del comune di Cassino che sono stati appena ringraziati pubblicamente dal sindaco per il loro operato. Peccato che il sindaco e la Di Russo dimenticano che la copertura finanziaria dei voucher viene presa dal capitolo di bilancio di spese del personale, ciò significa che più spese vanno per i voucher meno soldi vanno nelle tasche dei dipendenti comunali sempre per tornare al tema della centralità della persona. L’assessore parla di trasparenza ma qui sono state escluse persone dai voucher solo perché già un componente del proprio nucleo familiare ne fosse fruitore senza che il regolamento ne preveda l’esclusione. Si parla di trasparenza quando invece a più riprese abbiamo chiesto di provvedere a verificare il gradimento di soddisfazione delle persone coinvolte per la misurazione della qualità del servizio per individuare appunto il grado di soddisfazione della persona che usufruisce dei voucher come qualità percepita. Manco a parlarne. Ma di quale centralità della persona si parla quando è stato appena deliberato dal consiglio comunale il regolamento dei Centri diurni di socializzazione per disabili “Arcobaleno senza prevedere il coinvolgimento di una importante e specifica associazione che opera sul territorio (Associazione “Nei Giardini che nessuno sa”) che in tempi non sospetti (2009) aveva già consegnato all’assessorato ai servizi sociali una proposta di regolamento sicuramente diversa da questa votata. Ed eccoci a sbagliare di nuovo dimenticandoci della centralità della persona. Infatti a parte che si viola il programma perché è prevista l’esternalizzazione della struttura invece della internalizzazione ma anche nei contenuti risulta essere scadente. Infatti il regolamento proposto non diversifica le disabilità fra gravi e lievi, non prevede la possibilità di utenza in età scolare ma solo ultradiciottenni con obbligo scolastico assolto. Il numero di disabili ammessi sono 30 senza indicare i criteri di selezione. Per il personale da impiegare al centro non è indicato il criterio di selezione dettagliato, i requisiti del responsabile, del coordinatore e degli operatori con i titoli di studio necessari. E che dire sull’insensibilità dimostrata per non aver ancora dato luogo ad un indagine sanitaria sulle sedi di via Zamosh dell’Università di Cassino visto i diversi decessi di lavoratori tra i quali anche il ns. compagno Antonio Capaldi colto anchegli da neoplasie. Di questo il nostro consigliere Vincenzo Durante ha già presentato una mozione specifica e già deliberata dal consiglio comunale. Insomma di quale trasparenza, partecipazione e di quale centralità della persona si parla?

Cassino 10 agosto 2012                                                    PRC Circolo Cassino

giovedì 9 agosto 2012

Nasce il Collettivo Ciociaro Anticapitalista

C.C.A (Collettivo Ciociaro Anticapitalista)


Nasce a Frosinone il Collettivo Ciociaro Anticapitalista. Il movimento promosso dai fuoriusciti dal Circolo di Rifondazione Comunista di Frosinone “Carlo Giuliani”, e altri compagni, si pone l’obbiettivo di attuare politiche anticapitaliste che dallo scenario internazionale si trasferiscano  all’interno delle dinamiche amministrative  locali . La prima azione da svolgere è quella di attuare  percorsi di contro informazione  allo scopo di sensibilizzare e informare    la popolazione sulla vera natura del  debito che origina dalla speculazione finanziaria  e non, come si vuol far credere, da uno stato sociale esoso e dissennato.  Lo strappo costituzionale provocato dall’inserimento  nella Carta del pareggio di bilancio,  i patti scellerati che obbligano tutti gli Stati dell’Unione Europea  a  mettere in atto devastanti  misure anti sociali necessarie  a raggiungere  il pareggio di bilancio  (fiscal compact), il patto  di stabilità che obbliga i Comuni a non investire nel welfare, ma a privatizzare i propri servizi pubblici, contravvenendo al risultato del referendum,  sono  misure che hanno il solo e unico scopo di dirottare le risorse da lavoro verso i profitti della speculazione finanziaria. Il processo di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite  è ormai estremamente diffuso anche nel nostro territorio, si veda ad  esempio la vicenda della Videocon che è la più eclatante ma non è la sola.  E’ obbiettivo primario del collettivo rimettere al centro della vita dei cittadini il diritto sacrosanto al lavoro, schierandosi sempre a  fianco di lavoratori , precari e disoccupati  che stanno progressivamente  e inesorabilmente perdendo questo dritto.  Il collettivo, inoltre, vuole impegnarsi con forza, nella difesa della scuola,  della sanità pubblica di qualità e dell’ambiente , in particolare promuovendo la partecipazione dei  cittadini sulle deliberazioni   amministrative e il  controllo della cittadinanza stessa  sulla corretta attuazione di tali deliberazioni, il tutto a partire dalle vertenze locali.  A tale scopo è intenzione del collettivo collaborare con  associazioni e movimenti  impegnati in singole questioni locali il cui obbiettivo rispecchi  lo spirito del collettivo stesso.  La prima azione concreta del Collettivo Ciociaro Anticapitalista sarà quella di aderire al movimento nazionale “NOI NO DEBITO” .  Riteniamo che una formazione in grado di inserire  le singole lotte cittadine  in un più ampio quadro conflittuale al capitalismo sia oggi assolutamente indispensabile. E’ per questo che saremmo lieti se singoli soggetti, movimento o associazioni potranno unirsi alla nostra lotta. 




Frosinone laboratorio chimco-elettoralistico

Luciano Granieri


Chi sostiene che Frosinone sia una città arretrata, sempre negli ultimi posti in tutte le classifiche relative alla qualità della vita, all’incidenza dell’inquinamento e ad altre disparate graduatorie , non ha preso in considerazione la politica. Con buona pace dei detrattori del Capoluogo ciociaro la nostra città è sempre stata un laboratorio politico  molto avanzato finalizzato soprattutto alla sistematica distruzione della sinistra .  Qui si sono sperimentate, anticipate alchimie e legami fra le varie forze, che hanno trovato pronta applicazione anche a livello nazionale. Giova  ricordare che tali esperimenti poi sono finiti male  per gli innovatori ,tanto in città che in  Parlamento, ma vuoi mettere la soddisfazione di diventare un vero e proprio laboratorio,  unica  fonte di sperimentazione politica? Cominciamo con il primo esperimento.  In occasione delle tornate  amministrative del 2007, che elessero sindaco Michele Marini, allora esponente margheritino dell’Ulivo , la Federazione dei Verdi, con i Comunisti  Italiani, e Rifondazione Comunista dette vita ad una lista detta “Lista la sinistra” . Questa lista vinse le elezioni come ruota di scorta della coalizione che supportava il sindaco, oggi Pd, Michele Marini. Il risultato consentì al raggruppamento di ottenere un assessore e un consigliere.  Tanto fu apprezzato il successo che di li a pochi mesi ( dicembre 2007) , Giordano, Diliberto ,Pecoraro Scanio e Fabio Mussi,  leader rispettivamente di, Rifondazione, Comunisti Italiani,  Verdi  e Sinistra Democratica, decisero di riprodurre l’esperimento ciociaro in ambito nazionale. Nacque  “La Sinistra l’arcobaleno” che sbandierando  la rinnovata unità della sinistra, si presentò alle elezioni politiche del 2008. I risultati furono  disastrosi.  i nuovi sinistri ecologisti, rimediarono  un milioncino di voti sia alla Camera che al Senato,  ponendo i  partiti promotori della sciagurata congrega al di fuori del parlamento e dando inizio a quel buio periodo della sinistra extra-parlamentare (cioè al di fuori del parlamento) , che dura ancora oggi.  Per tornare a Frosinone, pur nell’esaltazione della vittoria la lista la Sinistra Ciociara nel corso della consiliatura, cui era forza di maggioranza,  rimase  dormiente , votando acriticamente tutto ciò che la giunta e la maggioranza proponevano. Non incidendo mai veramente nelle politica della città, rimase  praticamente silente  anche quando fu  chiamata a votare i provvedimenti più indigesti come l’ultimo bilancio.    Il risultato di questa politica eterea  determinò  la disgregazione della “Lista la sinistra”  consumatasi definitivamente con la fine della consiluatura Marini e l’apertura dei giuochi per la campagna elettorale del 2012.  I verdi praticamente scomparvero  e, confluiti nel Pd,  perseverarono nel loro impegno a supportare il sindaco uscente Marini  , I Comunisti italiani si buttarono  a destra  formando una coalizione con dentro anche i fascisti di Storace, in appoggio  all’altro candidato  Domenico Marzi.  Rifondazione Comunista, insieme a Sel, tentò  coraggiosamente la via dell’alternativa al bipolarismo  appoggiando la candidata Marina Kovari.  Le amministrative 2012 come è  noto sono stata un disastro. In un ‘Italia, che praticamente schifava  il Pdl, a Frosinone ha vinto un sindaco di Berlusconi, Nicola Ottaviani. Ma la vocazione sperimenti sta  frusinate proprio in questa disfatta trovava altra  linfa per riproporre una nuova “COSA POLITICA” .   Analizzando al microscopio la coalizione a supporto del sindaco uscente ( ormai uscito)  Marini, troviamo queste formazioni: Il  Pd, l’Udc, Fli, L’Api.  Iniziava dunque l’ardito (termine gradito a Fini) esperimento dell’unione dei  riformisti con i moderati. E quando al primo turno gli elettori promossero al ballottaggio il   democratico-moderat-liberista   Marini  contro il piddiellino Ottaviani, la sperimentazione  divenne ancora più spinta. I vendoliani di Sel,  pur non sancendo un vero e proprio apparentamento con la sperimentale coalizione di Marini, invitarono vivamente, con un comunicato stampa perentorio, i propri elettori a votare per la strana formula Pd-Udc-Fli-Api, entrando  di fatto come ulteriore elemento nella strana aggregazione. Per amor di verità a questo appello si unì anche la segreteria provinciale di Rifondazione, provocando veri e propri conati di vomito a molti militanti frusinati i quali , disgustati,  uscirono dal partito determinando lo scioglimento del circolo cittadino.  Nonostante questa sperimentazione frusinate sia risultata indigesta e fallimentare , ecco che la politica nazionale immediatamente la fa sua e la ripropone in vista delle probabili elezioni anticipate in autunno .  Nulla ancora di ufficiale, ma i giochi sembrano fatti  con Vendola che rompe gli indugi e promette fedeltà incondizionata a Bersani e i suoi, disposto anche ad ingoiare il rospo Udc. Il Pd benedice questa folgorazione vendoliana , butta a mare Di Pietro e comincia, grazie anche ai buoni uffici di D’Alema,  a corteggiare  Casini. Dal canto sui il leader, ex democristiano, si dice lusingato per l’interessamento ,  ma sta lavorando alla grande casa dei moderati, per cui, se  ci si vuole alleare con l’Udc  bisogna accettare la convivenza con Fini (Fli), Api (Rutelli).  Traduciamo in formula chimico -elettoralistica  il tutto e avremo : Pd+Sel+Udc+Fli+Api. Ecco riproposto il miscuglio frusinate pronto a fare  danni  anche a livello nazionale.  In realtà rimane un’ incognita,  ma si sa un esperimento  necessita di prove continue. A  Frosinone  si era aggiunto  il simbolo del Prc, provocando la sollevazione gastrica di molti militanti. A livello nazionale Ferrero avrà lo stesso coraggio della sua segretaria provinciale frusinate Ornella Carnevale?  Aggregherà  l’elemento “Rifondazione” a tale  mefitica mistura? E  i militanti tutti, a seguito di questa eventuale decisione, avranno gli stomaci deboli dei  loro compagni di Frosinone, o riusciranno a mandare giù questo  ennesimo blob letale  seppellendo definitivamente  il partito?   

mercoledì 8 agosto 2012

V.S.O.P.

Luciano Granieri


Nella torrida estate frusinate non si trova uno straccio di concerto interessante neanche a pagarlo oro. Diciamo pure che la prima esperienza dell’intrattenimento estivo  gestito dalla nuova giunta Ottaviani è stata un fallimento.  Al di la del cinema all’aperto che ha avuto inizio con diversi patemi, e che presenta una programmazione  del tutto scadente, nulla si  è mosso sotto le stelle frusinate.  A dire il vero anche in provincia le cose non sono andate meglio. Oltre ai due appuntamenti consolidati di Liri Blues e  Atina  Jazz  la programmazione musicale non ha offerto molto, i concerti  organizzati  ad Alatri dall’amico e maestro del sassofono Mauro Bottini, e qualche rassegna di musica etnica qua e là. Sono spariti appuntamenti come Musicalmonte  e soprattutto Colfelice blues . La kermesse organizzata da Marco Mammoliti  dedicata in particolare alla batteria che in questi anni ha visto suonare nelle piazze di Colfelice, Alatri, Monte San Giovanni Campano fior di batteristi: da Billy Cobham a Karl Palmer, da Dave Weckl  a Virgli Donati.  Ma  Aut Frosinone non può lasciar passare l’estate senza proporre un bel concertine. E allora se questo manca nelle piazze ciociare  ce lo andiamo a cercare in rete. Con un viaggio nel tempo  torniamo indietro di venti anni e torniamo al 1992 sobbarcandoci migliaia di chilometri ci trasferiamo in Germania.  A Monaco  precisamente. Qui troviamo all’opera il V.S.O.P  quintet di  Herbie Hancock. Il gruppo fu fondato nel 1970 dal pianista di Chicago  e da quei musicisti che accompagnarono Miles Davis negli anni ’60 dal ’64 in poi per la precisione. Ci riferiamo al grande sassofonista Wayne Shorter , al batterista Tony Williams, e al contrabbassista Ron Carter. Al posto di Davis  ormai migrato verso i lidi sperimentali  del free jazz rock, suonava la tromba nel V.S.O.P. lo straordinario Freddie  Hubbard.  Il gruppo si esibì fino ai primi mesi degli anni ’80 per poi sciogliersi a seguito delle attività solistiche dei propri membri .  Il V.S.O.P  group si ricompose nel 1992 per una breve parentesi di altri due anni ma alla tromba in luogo di Freddie Hubbard , Hancock, Shorter, Carter e Williams, presentarono il giovane Wallace Roney. Un trentaduenne trombettista di Philadelphia,  ennesimo talento sfornato  dai   Jazz Messengers del  batterista Art Blakey , così come i suoi predecessori Terence Blanchard e Wynton Marsalis, che perfezionò i suoi studi proprio al fianco di Miles Davis. Una delle ragioni  per cui il quintetto V.S.O.P si ricompose fu purtroppo per celebrare Miles scomparso nel settembre del 1991. Infatti il concerto che andiamo pubblicare diviso in cinque clip si intitola proprio “TRIBUTE TO MILES DAVIS”.   E’ un esibizione straordinaria in cui Roney  sfoggia una personalità straripante. Nel suo fraseggio c’è tutto il linguaggio di Davis, lo si apprezza soprattutto in All Blues, dove con la sordina alla sua tromba sfoggia arpeggi da pelle d’oca, ma le improvvisazioni di Roney  spaziano , vi si ritrovano echi gillespiani , inoltre la tecnica è sopraffina e si apprezza quando spara sequenze armoniche su registri acuti degni del grande Cat Anderson,  il trombettista dell’orchestra di Duke Ellinghton che era maestro nel suonare su toni altissimi. Sugli altri componenti del V.S.O.P, non c’è molto da dire, c’è solo da ascoltare. Siamo di fronte a giganti della musica jazz. Hancock è straripante ora il suo pianismo raggiunge vette di lirismo impensabili, ore è martellante veloce. E’ lui che detta i tempi al gruppo, dal suo piano partono idee e proposte improvvisative immediatamente colte ed elaborate dai suoi compagni di viaggio. Wayne Shorter, immenso con il soprano su “Pinocchio”  regala  sequenze di note molto particolari sempre tese alla ricerca di nuove  soluzioni  timbriche. Tony Wlliams alla batteria sfoggia il suo drumming robusto, presente con  sequenze ritmiche di spessore.  Forse è uno dei batteristi che picchia di più su pelli e cimbali. Ma l’intensità non penalizza l’agilità le sue soluzioni ritmiche sono sempre sorprendenti soprattutto nell’utilizzo del charleston e della cassa, sempre in controtempo. Infine Ron Carter un gigante del contrabbasso. Non si limita a marcare il tempo ma costruisce vere e proprie sequenze armoniche che si intrecciano mirabilmente con i fraseggi dei sui compagni di palco.  Come già detto c’è poco da dire e molto da ascoltare
Good Vibrations








martedì 7 agosto 2012

CON GLI OPERAI IN LOTTA DELL'ILVA DI TARANTO

Intervista a un protagonista della lotta


 a cura di Michele Rizzi Coord. reg. Pdac Puglia

Il 2 agosto a Taranto un corteo di alcune centinaia di operai dell'Ilva, precari, attivisti dei centri sociali, esponenti del sindacalismo conflittuale ha contestato le burocrazie di Cisl, Uil e Cgil.  Bonanni, Camusso e Angeletti sono stati costretti a interrompere i loro interventi. Lo stesso Landini, leader della Fiom (e strettamente legato al progetto politico di Vendola, quello di un nuovo centrosinistra subalterno al Pd), è stato interrotto e, in varie interviste rilasciate alla stampa, ha criticato i contestatori, da lui accusati di aver "rotto l'unità sindacale": evidentemente per Landini è più importante l'unità con chi ha sostenuto per anni le politiche di Berlusconi e oggi mima una opposizione di facciata a Monti (Cisl e Uil) rispetto all'unità con gli operai vittime di decenni di disastri ambientali. Di questi disastri è colpevole anche il governatore della Puglia Vendola che ha elargito finanziamenti pubblici a Riva, il magnate dell'Ilva che si è arricchito distruggendo la salute di migliaia di persone. A differenza di quello che i mass media e i dirigenti sindacali di Cgil, Cisl e Uil hanno tentato di far credere, la protesta di Taranto non è stata opera di "uno sparuto gruppo di manifestanti estranei al corteo": si trattava di operai dell'Ilva, anzitutto, che quando hanno interrotto l'ipocrita comizio dei burocrati sono stati applauditi da migliaia di lavoratori lì presenti. Oggi chi ha organizzato quella contestazione è vittima di pesanti denunce: ai denunciati va la solidarietà di Alternativa comunista.
Il Pdac pensa che l'unica soluzione a favore dei lavoratori sia l'esproprio (senza indennizzo) dell'Ilva sotto controllo operaio, con una riconversione della produzione che tuteli posti di lavoro, salute e ambiente.
Per riportare i fatti così come sono avvenuti, di contro alle falsificazioni mediatiche, abbiamo intervistato Cataldo Ranieri, tra i leader della contestazione alle burocrazie sindacali. Aldo è anche uno dei 41 denunciati per la manifestazione e anche a lui va la nostra solidarietà.

Aldo, c'è un motivo per il quale non avreste dovuto contestare i burocrati sindacali?
Sono in quella fabbrica da 15 anni ed ho conosciuto la sottomissione, l’annullamento dei diritti, le minacce, le persecuzioni, le umiliazioni e ogni forma di soppressione dell’orgoglio e della dignità di uomo e lavoratore. Non è stato difficile raccogliere gli applausi. Io parlo con i miei colleghi e su 12000 lavoratori sociali, in Ilva, troverete poche persone che vi diranno che il sindacato di Taranto è un sindacato rappresentativo dei bisogni dei lavoratori. In 15 anni, la sicurezza e l’ambiente non hanno mai prodotto nemmeno un’ora di protesta. C’è da dire che ho militato nella Fiom, ma questa è un’altra storia e il mio era un altro modo di fare sindacato. Ero coordinatore dell’Esecutivo di Fabbrica, ho rinunciato alla mia carriera per non essere come loro. La contestazione però non è solo ai sindacati e all’azienda, ma è anche alle istituzioni locali assoggettate e allo Stato Italiano, sempre assente e sordo alla disperazione di una intera città, ma subito presente quando sono a rischio gli interessi derivanti dal profitto.
Perché lasciasti la Fiom e cosa pensi dell'intervista di Landini che vi attacca per aver interrotto la manifestazione dei sindacati confederali?
Non c’era Landini nel 2007 quando amareggiato e deluso lasciai la Fiom, era Rinaldini il segretario nazionale, al quale inviai una lettera firmata dalla maggioranza del direttivo di Taranto, nella quale chiesi di sostituire il segretario provinciale di Taranto Franco Fiusco dal quale non ci sentivamo rappresentati. A nostro avviso era colpevole di aver impostato il suo mandato sull’accentramento delle decisioni, l’annullamento della democrazia e, successivamente, "inspiegabili" decisioni sottoscritte con l’azienda. Rinaldini venne a Taranto e invece di attuare quanto richiesto con tanto di firme maggioritarie del direttivo, all’attivo programmato chiese tempo per decidere. Nel giro di pochi giorni, molte di quelle firme vennero ritirate, non capisco ancora perché e passammo in netta minoranza. Decisi che se non potevo cambiare il sistema, allora non potevo farne parte, presentai le mie dimissioni. Vi prego di domandare ai lavoratori il consenso e la fiducia che avevano in noi che rappresentavamo la Fiom in quel momento, perché se domandate a qualcun altro, che abbia cariche più alte, sappiate che a loro, noi, non piacevamo affatto, per loro, eravamo un problema, io Massimo Battista e Francesco Rizzo. Per quanto concerne il signor Landini, di seguito parlo rivolgendomi direttamente a lui e spero che mi legga: “Caro signor Landini, è bene che Lei parli di meno di cose che non conosce, oppure, faccia una cosa, venga a giustificare i soldi che il sindacato di Taranto prende dall'azienda Ilva. Caro Landini, non ha voluto confrontarsi con me che sono un semplice lavoratore su Radio onda d’urto qualche giorno fa; io avrei parlato senza timori con Lei che è il segretario nazionale della Fiom, forte delle mie, anzi, delle nostre ragioni e lo avrei fatto senza problemi, senza timori. Lei ha rifiutato. Ora parla quando chi può rispondere non ha la stessa risonanza? Perché? Non ha risposte? Se le invio la copia integrale dell’intervento che ho fatto nella “nostra” piazza della Vittoria, che non ci avete consentito di portare a termine perché la piazza cominciava le ovazioni e gli applausi scroscianti prendevano il posto dei fischi raccolti fino ad allora, è in grado di dare risposta a quei temi Sacrosanti che volevo porle? Quando lei si limitava a contarci o ad affiliarci a correnti politiche o movimenti sindacali non confederali, non sarebbe stato più opportuno rispondere ai nostri quesiti? Io mi assumo sempre le responsabilità di ciò che dico, senza inventarmi nulla, non ho astio verso la base della Fiom, né sono spinto da vendette personali. Dal 2007, quando (lo ribadisco a lettere maiuscole) HO DATO LE DIMISSIONI RINUNCIANDO ALLA MIA CARRIERA, sono rimasto iscritto fino a marzo 2012, perché la Fiom rappresentava ancora quei valori che mi hanno spinto ad aderirvi e a rappresentarla. E' tutto chiarito nella lettera che ho mandato alla sua attenzione, non l’ha letta? Ne vuole una copia?
Per Alternativa comunista l'Ilva deve essere gestita dai lavoratori e Riva deve essere espropriato senza indennizzo (a differenza di quanto sostiene Cremaschi che parla di esproprio... salvo indennizzo! Il che significherebbe regalare altri miliardi al padrone). Ritieni anche tu che una volta tanto debba essere il padrone a pagare per il disastro ambientale creato a Taranto e per lo sfruttamento ai danni dei lavoratori Ilva?
Se non lo ritenessi, allora dovrei pagare per tre volte… Come lavoratore, come cittadino e come contribuente, oppure dovrei aver paura di dirlo? Mi auguro di no. Sarei d’accordo ad una fabbrica al minimo regime di produzione, giusto il necessario per garantire gli stipendi fino all’attuazione delle alternative che non rendano questo città un territorio da sacrificare per la ricchezza di pochi. Fare un programma certo di chiusura programmata e, credetemi, la mia città ha risorse, uomini e cervelli che saprebbero rivalutarle, con i giusti finanziamenti che questo Stato e quell’azienda devono garantire al fine di bonificare gli inimmaginabili danni che hanno causato a questa città, Taranto potrebbe esprimere una ricchezza incredibile. In 60 anni 4 mostri sputaveleno, Ilva, Cementir, Eni e Marina militare, hanno fatto arricchire lo Stato e hanno usurpato il territorio tarantino ed i suoi abitanti, hanno prodotto malattie e morte, fuori e dentro le fabbriche. Non mi invento nulla, è tutto documentato. In cambio di quei mostri, hanno restituito al nostro territorio un tasso di disoccupazione che va oltre il 30%. Gli stessi mostri impediscono ai miticoltori di raccogliere i mitili inquinati, mitili che hanno rappresentato la mia città in tutto il mondo; hanno mandato in rovina gli allevatori costretti a sopprimere migliaia di bestie infette di diossina! E i nostri corpi allora? Non sono pieni di diossina? Vogliono abbattere anche noi? A Taranto non c'è una famiglia che non piange la sua vittima, abbiamo pianto, poi abbiamo urlato, ora siamo incazzati.
Avete costituito a Taranto un Comitato di lavoratori indipendente che sta producendo un forte risveglio delle coscienze operaie e non solo, in ottica antipadronale e antisistema. Descrivici questa nascente esperienza e dicci se ritieni che possa essere un punto di partenza per unificare le lotte dei lavoratori in Puglia soprattutto contro la crisi economica capitalista e lo sfruttamento.
E’ bene precisare che non è un comitato di soli lavoratori. Fino ad oggi, l’azienda e i sindacati hanno sempre manipolato i lavoratori, sfruttando il ricatto occupazionale che opprime le coscienze e le menti. E così, da un lato c’era la città, che subiva i veleni, divisa tra ambientalisti e famiglie che mangiano pane e veleno, sottoposti alla terribile condizione di dover scegliere tra la vita e lo stipendio, dall’altra il potere, forte di quel ricatto e deciso ad andare avanti senza curarsi di nessuno. il comitato cittadini lavoratori liberi e pensanti nasce per contrastare l’appartenenza di tanti lavoratori a questa vergognosa condizione, che permette ogni volta di contrastare chiunque si azzardi a contrastare il profitto, l’azienda mostra i muscoli con noi, come è successo giovedì, quando è stato detto bugiardamente che gli impianti erano già chiusi e che eravamo in libertà. Si negozia col ricatto del posto di lavoro, sulla nostra pelle e quella dei nostri figli. Erano tanti i lavoratori che avevano capito questa condizione, ma erano soli ed avevano da seguire, anche se a malincuore, l’unica corrente esistente, ovvero quella dell’azienda e del sindacato. Noi stiamo unendo questi lavoratori in un nuovo pensiero da seguire, abbiamo avuto il “coraggio” di spezzare le catene e ora pretendiamo che, con o senza Ilva, i lavoratori e la città di Taranto abbiano un ambiente salubre e un lavoro senza ricatti e oppressioni.

RIPRENDIAMOCI LA NOSTRA VALLE !

Rete per la Tutela della Valle del Sacco.


Il 6 ottobre 2012 sarà l’inizio di un percorso, la prima grande tappa per riprendersi, per rinvigorire il proprio territorio. Si tratterà di un momento di mobilitazione che nasce dalla necessità di contrastare il “saccheggio“ ambientale della Valle del Sacco.

L’intera Valle attraversata da un fiume che scorre lento e porta con sé i disastri dell’inquinamento che in sessant’anni ha messo in ginocchio l’essenza di interi paesi, avvelenando la terra, i suoi prodotti e i suoi abitanti.

Il C.V.S. ( Coordinamento Valle del Sacco), organizzazione territoriale che racchiude realtà locali di ogni genere, si fa promotore di questa grande manifestazione a Colleferro, fulcro del disastro ambientale, protagonista e vittima di scelte scellerate che minano, ancora oggi, la salute di tutta la comunità della Valle del Sacco.

Il 6 ottobre, i cittadini dei diversi paesi della zona scenderanno per le strade di Colleferro per ribadire il proprio dissenso alla gestione insostenibile incentrata su un’industrializzazione fuori controllo, dai parametri di sostenibilità sia economica che ambientale.

Nel tempo si sono rubate braccia e menti utili ad un territorio a vocazione agricola, con il miraggio di una sicurezza economica a lungo termine, dettata dal sogno industriale; oggi ci accorgiamo che questo sogno è svanito nel nulla, lasciando macerie alle sue spalle e precludendo in parte un percorso “all’inverso”.

Sarà un giorno di protesta per dimostrare che i cittadini non sono più disposti ad accettare decisioni calate dall’alto che devasteranno ulteriormente il loro territorio.

Verrà gridato con fervore il NO al piano rifiuti regionale.

Dopo anni di sversamento in discarica (Colleferro) e inceneritori di rifiuti (Colleferro), di pneumatici e di biomasse (Anagni) è giunta la seconda fase di questa obsoleta gestione dei rifiuti, con l’ipotesi degli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (Colleferro) e a Castellaccio (Paliano). Le indicazioni della Commissione Bicamerale sul traffico illecito dei rifiuti, gli studi internazionali che si moltiplicano con valutazioni sconcertanti, interi territori che insorgono sull’eventualità di vedere tonnellate di rifiuti interrati, non sono sufficienti per chi, nel nome dell’emergenza, vuole invadere la Valle del Sacco con l’arrivo di una quantità enorme di immondizia romana.
Risuonerà forte l’opposizione alla costruzione di impianti progettati per alimentare gli inceneritori e che prolungheranno la vita alla discarica di Colle Fagiolara.

Un’intera giornata per far germogliare un momento di discussione, di divulgazione, al fine di riempire la manifestazione di contenuti, di testimonianze locali e di proposte verso un cambiamento virtuoso.

I membri del  Coordinamento prepareranno assemblee pubbliche, incontri nei quartieri e iniziative nei vari comuni per informare adeguatamente la cittadinanza verso una manifestazione che inaugurerà la strada della partecipazione, in modo da costruire con i mattoni del buonsenso e del bene comune, una Valle più salubre e più vivibile da lasciare ai nostri figli.

Fiat di Cassino è allarme rosso

Per l’associazione 20 ottobre
Oreste Della Posta

Noi crediamo che sia necessaria una considerazione sullo stabilimento Fiat di Cassino dove ci sono stati incontri a Torino cui hanno partecipato alcuni sindacati. Io non condivido l'ottimismo di facciata di qualche sindacalista conosciuto perché da sempre venduto all'azienda, che usa metodi mafiosi per la gestione quotidiana degli affari sindacali, quest'ottimismo esternato non ha nessun riscontro nelle fasi produttive del mercato dell'auto la considerazione fondamentale che dobbiamo fare è che la Fiat in una strategia lucida è stata data dagli azionisti quando si insediò come amministratore delegato è quella di farli uscire dal produrre auto in Italia e lui sta seguendo da anni questo mandato abbandonerà i siti produttivi in Italia. Le parole dell'amministratore delegato della Fiat hanno poca credibilità in quanto i 20 miliardi di euro investimenti previsti non sono stati fatti, i nuovi modelli previsti per i vari stabilimenti non se ne vede ancora uno di certo aumenterà la cassa integrazione per un ulteriore danno al già misero salario degli operai. La domanda è che cosa bisogna fare?
  1. il governo deve immediatamente convocare la Fiat e chiedere il piano industriale per i siti produttivi italiani
  2. il governo deve farsi parte attiva per la ricerca di eventuali partner industriali che vogliono produrre auto in Italia
  3. occorre una mobilitazione generale di tutte le forze sociali e politiche perché l’Italia non può perdere in modo assoluto la produzione di auto.
  4. Occorre che le forze sindacali e politiche che hanno appoggiato il progetto fabbrica Italia che si sta dimostrando un fallimento completo facciano una profonda autocritica su queste scelte sbagliate che stanno portando il sistema industriale al disastro.
Ai lavoratori dello stabilimento di Cassino deve andare tutta la vostra solidarietà. La nostra volontà di lotta perché i mesi che verranno saranno peggio di quelli passati e soltanto una vicinanza di tutti alle loro esigenze può salvare il loro posto di lavoro. Noi esprimiamo forti dubbi che l'attuale governo abbia la volontà e le capacità di intervenire sulle politiche industriali in quanto il signor Monti ha dichiarato che Marchionne può fare quello che vuole, e il governo non ha nessuna politica industriale degna di questo nome: questo è allarme rosso questo governo prima va via e meglio è per tutti.

domenica 5 agosto 2012

Cremaschi - Vendola : Polo della speranza? E' un imbroglio

fonte: www.libera.t

Il portavoce del comitato NO DEBITO Giorgio Cremaschi risponde alla proposta di Vendola di costiuire un nuovo centrosinistra come polo della speranza.

L'Estate secondo Un architetto con la passione per il teatro

Luciano Granieri


Nell’estate del 1976, le elezioni consegnarono  Roma  ad una giunta rossa. L’insignificante, fino ad allora, assessorato alla cultura e allo sport venne assegnato ad un militante del Pci,  architetto con la passione del teatro,  Renato Nicolini. La città era reduce  dalla stagione dei palazzinari che avevano  ipertrofizzando la periferia isolandola sempre più dal centro della città. Imponenti palazzoni definivano   i  ghetti dove paura, angoscia  e solitudine erano  sempre più ricorrenti  fra la popolazione.  Il quadro nazionale non era migliore, le lotte operaie, la deflagrazione delle rivolte sociali che avrebbero trovato il culmine nel 1977, con il protagonismo dell’autonomia, le  Brigate Rosse e ancora più tardi il rapimento Moro, avrebbero portato all’apice il terrore  degli anni di piombo alimentato dalla contro rivoluzione statale . Per tutti questi motivi Roma stava diventando  una città grigia, dove la paura e la diffidenza verso gli altri strava trasformando il tessuto urbano in una moltitudine di solitudini. Inaspettatamente fu proprio quello stravagante architetto a rivoluzionare il quadro  politico e sociale della città. Renato Nicolini capì che la sola possibilità di ricostruire una speranza di convivenza serena era quella di distruggere quegli steccati che la paura, per lo più indotta, stava creando fra un cittadino e l’altro. La sua speranza divenne realtà. L’intuizione fu quella di usare proprio la cultura, un bene effimero,  per sopperire a ciò che la politica non riusciva realizzare;  la mediazione fra le esigenze e le aspirazioni dei diversi ceti sociali, ma soprattutto dei ceti più deboli. Capi che la massa non era solo un entità da educare me era essa stessa veicolo di cultura da apprendere. La classica famiglia romana delle gite fuori porta  con nonni, provviste e vino al seguito ,  poteva benissimo dialogare e condividere le stesse aspirazioni dei giovani con lo spinello e dei militanti dell’autonomia.   Per questo in un periodo così buio nell’estate del 1977, Nicolini  decise di fissare un grande schermo nella basilica di Massenzio, tremila posti disponibili ogni sera con un’alternanza di film di alto e basso livello, senza steccati. Visconti insieme alle Fatiche di Ercole. In città iniziarono a sorgere palchi a Piazza Farnese, Come a Primavalle, in centro come in periferia, lungo il Tevere fino Castelporziano. Fu così che i romani fra una mostra di Cezanne e un’esibizione circense o di artisti di strada tornarono a popolare la vie e le piazze  a scrollarsi di dosso la paura a socializzare, a  tornare i veri padroni della propria città. Erano gli effetti della cosiddetta “Estate Romana”.  Dal 1976 fino agli inizi egli anni ’80  quello stravagante architetto con la passione per il teatro  passò attraverso le giunte rosse di Argan, Petroselli, Vetere, e inventò questo nuovo sistema di fare politica con la cultura l “estate romana”, appunto.  Come scrive oggi Sandro Medici su “il manifesto” : “l’esperienza romana di quegli anni resta nell’immaginario della sinistra un brillante modello di governo delle grandi città, un ancor valido riferimento di amministrazione intelligente ed innovativa.” E’ per questo che la scomparsa di Renato Nicolini lascia un vuoto insostituibile in chi aveva avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzarlo, ma anche in chi alimentava, grazie a lui, la speranza  di riproporre nelle nostre città quelle politiche di inclusione capaci  di abbattere gli  steccati e sconfiggere  la  paura da solitudine. Nicolini ci mancherà. Oggi ci sono le  ronde, gli sgomberi di Alemanno e le periferie sono diventate discariche sociali e terreno fertile per la criminalità organizzata.