Colpisce non tanto il diffuso plauso che si respira a sinistra verso la sentenza sull'Ilva, ma l'atteggiamento subalterno verso la proprietà che l'intera vicenda rivela. Lo dico non dal versante di un ambientalismo ideologico indifferente al lavoro ( “sussidi” al posto della fabbrica). Ma proprio dal versante delle ragioni dei lavoratori, del loro posto di lavoro e della loro salute. Che sono un riferimento centrale per la stessa battaglia ambientalista.
A me pare che la sentenza del tribunale del Riesame non tuteli né il lavoro, né la salute. Tutela clamorosamente gli interessi della proprietà: dietro la foglia di fico di innocue raccomandazioni ambientali e col patrocinio di un governo Monti infarcito di “amici” dell'azienda.
Guardiamo in faccia la realtà. Nel '95 lo Stato regala Italsider al “rottamaio” Riva a prezzi stracciati. Diciotto anni dopo lo Stato socializza i costi dei crimini del padrone, mettendo la miseria di 300 milioni di denaro pubblico ( ossia dei contribuenti) nella cosiddetta “bonifica”. Il padrone Riva non mette un euro. I 90 milioni di investimento “ecologico” nell'area Ilva che l'ex prefetto Ferrante sbandiera, se mai fossero veri, riguardano il passato. Ed evidentemente sono stati senza effetto. Sul futuro la proprietà si tiene le mani libere. Continua a battere cassa per ottenere altri soldi pubblici. Si riserva di scaricare sui lavoratori eventuali spese aziendali per la “messa a norma degli impianti” dichiarando in quel caso una “possibile riduzione della produzione con possibili effetti sul personale” ( Ferrante su Sole 24 ore dell'8/8). Infine lo stesso Ferrante figura, in rappresentanza di Riva, come controllore della messa a norma degli impianti “sequestrati”: il padrone controlla se stesso. In altri termini: posti di lavoro e salute restano nelle mani e sotto il controllo di una proprietà e di un padrone che la stessa magistratura, con decenni di ritardo, ha dichiarato “criminali”.
Ciò che stupisce, tuttavia, non è la brutalità del profitto e dello Stato che lo tutela. Ma la subordinazione al padrone ( e allo Stato) di chi dovrebbe tutelare gli operai e la loro vita. In altri termini, capisco l'esultanza dell'”unità nazionale montiana” a sostegno della “soluzione” trovata, col coro immancabile di Confindustria e banchieri. Ma perchè l'esultanza di Nichi Vendola e persino di Paolo Ferrero?
C'è una cosa che accomuna tutte le sinistre sindacali e politiche in questa vicenda, al di là delle loro diverse collocazioni. Che nessuno ha rivendicato e rivendica l'esproprio di una proprietà criminale. Che tutti considerano normale- nel nome della “difesa del lavoro”- che resti al suo posto un padrone che assassina operai e loro familiari nel nome del profitto. Nel migliore dei casi gli si chiede, con scarso successo, di pagare i costi del proprio crimine e della sua continuità.
E' una posizione subalterna.
Il PCL si è schierato da subito, come sempre, al fianco degli operai dell'ILVA e della difesa del lavoro, contro ogni posizione che in nome dell'ambiente chiede la chiusura della fabbrica. Ma la difesa del lavoro è inseparabile dalla difesa della vita del lavoratore e dei suoi figli. Un padrone che si fa scudo del diritto al lavoro per negare il diritto alla vita, dev'essere espropriato e senza alcun indennizzo. L'azienda nazionalizzata va posta sotto il controllo degli operai. Gli enormi utili realizzati dal padrone Riva ( oltre 3 miliardi di euro nei soli ultimi due anni) vanno requisiti e investiti nella riorganizzazione della produzione, nel cambiamento degli impianti, nella bonifica dei territori. Il tutto sotto il controllo vigile dei lavoratori e dei comitati di quartiere della città. Questa è l'unica vera soluzione di svolta, capace di difendere insieme lavoro e salute, produzione e ambiente.
Perchè non battersi unitariamente a sinistra per questa rivendicazione elementare? Perchè non raccogliere e tradurre attorno a questa rivendicazione il punto di vista di una parte importante della stessa classe operaia dell'Ilva, che non è disponibile a piegare la testa al padrone?
Si dirà che questa soluzione è “irrealistica” perchè è incompatibile col capitalismo. E' una verità mal posta. E' il capitalismo ad essere incompatibile col lavoro e con la vita. Conciliare lavoro e vita significa mettere in discussione i fondamenti su cui il capitalismo si regge. A partire dal “sacro” diritto di proprietà.
Il caso ILVA è solo la drammatica metafora di un bivio generale che interroga il movimento operaio: o si riconduce ogni lotta sociale e ambientale alla prospettiva anticapitalista e dunque rivoluzionaria, o ci si subordina ai miasmi velenosi di un capitalismo fallito e dei suoi odiosi ricatti. In altri termini: o un governo dei lavoratori, o il governo del capitale. “Irrealistica” ,quella sì, è l'eterna pretesa della conciliazione degli opposti. Magari presentando come “vittoria” una soluzione benedetta dal padrone
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