Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 10 dicembre 2016

LA NAZIONALIZZAZIONE DI MPS SEGNA LA CRISI DELL'EPOCA LIBERISTA,

Giorgio Cremaschi


LA NAZIONALIZZAZIONE DI MPS SEGNA LA CRISI DELL'EPOCA LIBERISTA, LE CLASSI DIRIGENTI TENTERANNO DI CONTINUARLA, MA SIAMO ENTRATI IN UN'ALTRA STORIA
Il fatto che, senza alcuni scandalo dei benpensanti dell'economia e della politica, sia considerata ed accettata come quasi inevitabile la nazionalizzazione di MPS, la dice lunga sulla crisi delle politiche liberiste dopo dieci anni di crisi generale. Solo fino a poco tempo fa la parola stessa nazionalizzazione era tabù, guai a pronunciarla. Si era tacciati di nostalgia del comunismo o della democrazia cristiana, di apologia della corruzione. Il pubblico era il male, il privato era il bene ci spiegavano tutti i commentatori di palazzo, così vuole l'Europa aggiungevano. Oggi è proprio la Banca Centrale Europea a dire, nei fatti, al governo italiano: basta inseguire il mercato, nazionalizzate la banca. 
Certo questa indicazione non nasce da un cambio di rotta politico da parte delle istituzioni europee, ma dalla paura. Tutto il sistema bancario del continente è a rischio, quello della Germania non meno di quello del nostro paese. Dunque se salta una grande banca, il timore dell'effetto domino è fortissimo. E una crisi bancaria che accompagnasse i vari pronunciamenti "populisti" degli elettori sarebbe ingestibile per il potere costituito. Quindi la nazionalizzazione di MPS alla fine è un male minore, e la burocrazia europea è la prima a suggerirla. 
Così questo intervento pubblico dovrebbe solo permettere alla finanza internazionale di rifiatare e poi di riprendersi la banca risanata, nella più pura tradizione della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Così la Banca Morgan, a cui Renzi dopo quello della Costituzione aveva anche affidato anche il futuro di MPS, deve ritirarsi. Due sconfitte in pochi giorni, una per opera del popolo, l'altra per via dello stesso mercato, che sulla banca senese non vuol mettere soldi. 
Ora i cialtroni della globalizzazione cercheranno di ridimensionare il fatto ad una rara eccezione. Ma non ce la faranno. Il pubblico torna in campo semplicemente perché il privato non ce la fa, perché la crisi continua. Se nazionalizzano una banca allora che dire del resto dell'economia? I poteri di sempre non riusciranno a contenere l'utilizzo di questo strumento, l'intervento pubblico, ora che loro per primi lo rimettono in vigore. Non riusciranno a farlo con un popolo che al sessanta per cento ha appena detto che vuole quella Costituzione, che dell'intervento pubblico fa un suo pilastro. E neppure riusciranno, i poteri di sempre, a tenere ancora fuori dai conflitti sociali i vincoli europei. Se la BCE ci fa nazionalizzare una banca, perché dobbiamo ascoltarla ancora quando ci chiede di privatizzare la sanità? E se dobbiamo spendere soldi pubblici per impedire un collasso finanziario, perché non dobbiamo usarli per prevenirne altri? E magari anche per creare lavoro vero e non precario? E se lo stato rientra in campo nella gestione della economia, perché non deve avere tutti gli strumenti per poterlo fare? Cioè avere la piena sovranità sulla moneta, sul bilancio, su tutti gli strumenti della politica economica, cioè avere la piena indipendenza dei vincoli europei. 
Non sappiamo se alla fine MPS finirà davvero in mano pubblica, o invece sarà regalato a qualche sceicco, ma il solo fatto che l'ipotesi principale sia la nazionalizzazione ci dice quanta acqua in poco tempo sia passata sotto i nostri ponti. Il voto del referendum ha mostrato come il popolo italiano cominci a non accettare più una condizione sempre più povera ed ingiusta. La crisi MPS a sua volta, mostra come le classi dirigenti non ce la facciano più a dare le risposte che finora hanno sempre dato. L'epoca del liberismo è giunta alla sua crisi, siamo entrati in un'altra storia, una storia che possiamo fare noi.

venerdì 9 dicembre 2016

Se ne va Greg Lake l'anima di una pura emozione prog.

Luciano Granieri




E’ un anno maledetto questo per la musica rock. A pochi mesi dalla scomparsa di Keith Emerson un’altra colonna degli Emerson Lake& Palmer ci ha lasciato.   A  69 anni, dopo aver a lungo combattuto contro il cancro,  si è spento Gregory Stuart “Greg” Lake. Il bassista, chitarrista, compositore del magmatico gruppo, che ha fatto la storia del progressive, è passato in quella categoria di personaggi che già ci mancano.  Il progressive. Fu  quello strano stile per cui ad un certo punto alcuni  musicisti decisero  di anteporre la tecnica musicale alla valenza commerciale.  Il bello che sono riusciti pure  venderli i loro dischi. Greg Lake, prima di approdare agli Emerson Lake&Palmer,  aveva militato nel gruppo considerato progenitore del prog-rock. Quei King Crimson che, già alla fine degli anni ’60  con “In the court of the Crimson King”, avevano delineato le caratteristiche della nuova musica. Nel mondo del rock, la sfrontatezza tecnica degli EL&P  si dimostrò spiazzante, infatti  per fare quella roba bisognava saper suonare e bene. Molti dissero che li profluvio di sfoggio tecnico soffocava la passione, il sentimento, si suonava  in sostanza una musica fredda. Quei tre ragazzi ebbero  l’ardire  perfino di azzannare il mondo classico, reinterpretando l’opera di Mussorgski in “Pictures at an Exhibition” ,  proponendone  una versione tecnicamente straripante.  I  detrattori sostenevano che si trattasse di manierismo fine a se stesso.  La  mania di suonare pop e rock, sfoggiando la propria maestria tecnica prese piede pure in Italia.  Gli antesignani  Osanna, la  P.F.M.,   il  Banco del Mutuo Soccorso,  le  Orme, a molti altri  gruppi straordinari resero il movimento prog. nostrano estremamente fecondo .  Al Greg  Lake produttore, quei musicisti italiani che si dannavano sui loro strumenti piacevano molto. Quando fondò l’etichetta Manticore, mise sotto contratto anche la P.F.M e il Banco di Mutuo Soccorso.  Ma la grandezza di Lake come musicista, risiedeva nella sua eleganza, nella sua sensibilità armonica. In mezzo alle incalzanti  rullate di Carl Palmer e ai fulminei arpeggi di Keith Emerson, era necessaria la magia  riunificatrice del basso di Greg, delle sua chitarra, così ipnotica, della sua voce dalla carica emotiva imponente, altro che musica fredda!   Caro Greg, anche tu come Keith  e molti altri musicisti  ci mancherai e tanto.

mercoledì 7 dicembre 2016

La vittoria del No è solo l'inizio Cacciamoli tutti con la lotta!

Dichiarazione del Comitato Centrale del Pdac



Il governo Renzi è stato sconfitto soprattutto (anche se non unicamente) dal voto dei lavoratori e delle masse popolari che hanno sofferto i colpi congiunti della crisi, delle leggi anti-operaie e dei tagli alla spesa sociale di Renzi.
Una maggioranza di 19 milioni di persone, circa il 60% dei votanti, ha detto «No» alla riforma costituzionale, un «No» che di fatto ha seppellito il progetto politico di Renzi, progetto in cui i settori principali della grande borghesia italiana vedevano l’unica soluzione per uscire dalla crisi. Il voto è stato chiaramente un voto contro il governo padronale di Renzi e le sue politiche anti-operaie.
Non escludiamo che Mattarella possa ridare l’incarico a Renzi, ma difficilmente questi potrà continuare con il suo programma di governo: la borghesia dovrà trovare un nuovo progetto politico che la rappresenti, e la cosa non sarà così semplice, perché la crisi economica lascia pochissimi spazi di manovra ai padroni che devono recuperare il loro tasso di profitto e i lavoratori non sembrano più intenzionati a credere alla propaganda governativa o ad accettare in silenzio gli attacchi ai loro diritti e ai loro salari. Sicuramente vi sarà ora un periodo più o meno lungo di instabilità parlamentare e di ricerca di un nuovo equilibrio, di cui le lotte sociali dovranno saper approfittare. 
 
Aver vinto una prima battaglia contro Renzi non basta per salvaguardare gli interessi dei lavoratori e delle masse sfruttate.
La vittoria del «No» non deve essere consegnata passivamente alle forze politiche borghesi che hanno avversato la contro-riforma istituzionale per i loro interessi di palazzo: i vari Berlusconi, Salvini, Grillo, Bersani, D’Alema ecc…
È necessario affermare con forza che quei sindacati che hanno detto un «No» di facciata (come la burocrazia Cgil), ma non hanno organizzato né una propaganda reale, né tantomeno uno straccio di lotta contro la contro-riforma, lo hanno fatto per accordarsi sottobanco con governo e padroni su questioni altrettanto importanti per la classe lavoratrice, come ad esempio il rinnovo dei contratti (statali, metalmeccanici, netturbini…), su cui proprio in queste ore hanno capitolato vergognosamente agli interessi padronali. I lavoratori devono utilizzare questa prima vittoria per rilanciare la lotta per respingere i contratti imposti dalle burocrazie sindacali, coagulando attorno alle loro lotte il sostegno di tutti quei settori sociali che si sono opposti alla riforma costituzionale e al governo Renzi. 
 
Non basta aver mandato a casa Renzi: nessuna delle altre forze politiche presenti in parlamento rappresenta un progetto politico qualitativamente alternativo a quello del Pd, nessuna intende fare gli interessi dei lavoratori colpendo gli interessi di banche e padroni. La lotta deve continuare fino al ritiro di tutte le leggi anti-operaie e anti-sociali degli ultimi governi, dalla legge Fornero, al Jobs act, alla Buona scuola ecc.
I lavoratori possono fidarsi solo delle loro forze e delle loro lotte: non basta mandare a casa Renzi, dobbiamo lottare per mandarli a casa tutti! Solo così, con le lotte, possiamo porre le basi perché al governo Renzi non succeda un altro comitato d’affari della grande borghesia, perché finalmente governino i lavoratori negli interessi dei lavoratori stessi. 
Costruiamo in ogni città dei Comitati dei lavoratori e delle masse sfruttate per proseguire ed estendere la lotta!

 

Roma 11/12 Ricominciamo dal NO(i) per una politica in comune

Le città in comune La politica di tutt@


E’ un sollievo sentirsi ancora felicemente protetti e difesi dalla Costituzione. Con la soddisfazione dei giusti, ci sentiamo protagonisti della vittoria referendaria di domenica scorsa e guardiamo con maggiore fiducia al nostro futuro. Ci siamo schierati per il No non solo per salvaguardare la Costituzione, ma soprattutto per valorizzare la sua preziosa cultura giuridica, riproporre la sua sensibilità sociale, impegnarci ad attuarla compiutamente. Non un riflesso di retroguardia, dunque, ma uno slancio, una tensione che siamo sicuri aiuteranno il paese a diventare migliore.
Con un risultato squillante sono state sconfitte le oligarchie liberiste e le centrali finanziarie, strapazzato il conformismo interessato e gli istinti rassegnati. In quel voto si scorge soprattutto una rivolta sociale, che ha largamente oltrepassato bacini elettorali e indicazioni di partito. E’ stata l’Italia sfruttata, impoverita, precaria, deprivata a vincere il referendum. Un’Italia sfinita e sfiduciata che ha tuttavia trovato la forza di chiedere un cambiamento, un’alternativa che tuttavia la politica non sembra in grado di raccogliere e rappresentare né, tanto meno, di imprimere. Ed è esattamente a questa furente domanda che dovremmo provare a offrire un’adeguata risposta. Superando le incertezze e le cautele che ci imprigionano, abbandonando movenze e liturgie consunte e inutili, se non proprio impedienti.
Ci siamo serenamente ritrovati in una battaglia che non era scontato potesse vederci tanto uniti e motivati. Associazioni, partiti, sindacati, movimenti, intellettualità, civismo. Ed è innanzitutto per questa ragione che il nostro contributo è risultato così prezioso: per vincere il referendum, ma anche per dimostrare, intanto a noi stessi, quanto sia proficuo ed efficace lottare insieme.
Sentiamo pertanto l’esigenza di mettere a disposizione un’occasione d’incontro collettivo, dove poter valorizzare il protagonismo dei tanti che hanno partecipato alla battaglia referendaria, chiamando tutti noi a riflettere, discutere, ragionare, progettare. Riteniamo necessario un confronto politico che raccolga le nostre energie e le nostre intelligenze, per provare a comporre nuovi percorsi da condividere, in grado di poter incidere sullo scenario politico, sociale e culturale, che si sta delineando con la vittoria del No.
Con lo stesso sentimento unitario con cui abbiamo lottato in questi ultimi mesi, abbiamo promosso l’assemblea dell’11 dicembre a Roma, un’assemblea che vorremmo fosse ancora più inclusiva e partecipata. Con la speranza che tutti i nostri No possano trasformarsi in una “politica in comune”.

RENZI E’ STATO SCONFITTO. ORA DOBBIAMO SCONFIGGERE IL LIBERISMO



Marco Bersani (Attac Italia)


Le prossime dimissioni di Renzi sono il primo importante risultato di un voto referendario che ha dimostrato come la società italiana abbia sviluppato al proprio interno profondi anticorpi di democrazia, in grado di intervenire di fronte ai tentativi di imporre una svolta autoritaria al Paese.
L’esito referendario è tanto più importante perché la categoria sociale che lo ha determinato con forza è stata la componente giovanile, proprio quella a cui Renzi –dietro l’ideologia della rottamazione, della modernità, delle slides e dei twitt- maggiormente si era rivolto.

Ma la sconfitta di Renzi è solo un primo passo, seppur fondamentale per interrompere un ciclo che solo tre anni fa sembrava inarrestabile.
La società italiana, che con il voto referendario lo ha finalmente mandato a casa, è la stessa che in questi anni ha subito il Jobs Act, la Buona Scuola, lo Sblocca Italia e una cultura politico-economica interamente impostata sulla trappola del debito, sulle politiche monetariste imposte dalla Ue e sulla progressiva consegna dei diritti e dei beni comuni ai grandi interessi delle lobby finanziarie e bancarie.
Tutto questo è ancora in campo, come dimostrano le prime dichiarazioni da Bruxelles, che annunciano richieste aggiuntive di austerità e rigore per l’Italia: una puerile vendetta verso il voto democratico dei cittadini italiani, che richiama l’arguta critica al socialismo reale di Bertolt Brecht, quando diceva: “Il popolo ha votato contro il Comitato Centrale. Cambiamo il popolo”.

La vittoria referendaria può dunque divenire uno spartiacque e il primo segnale di un’inversione di rotta solo a tre importanti e complementari condizioni.

La prima è che il NO delle urne passi da strumento di difesa e di “scampato pericolo” a fattore di propulsione per una nuova stagione di mobilitazione sociale contro tutte le politiche liberiste.
In questo senso e con le dovute proporzioni, la battaglia vinta per il ritiro del decreto Madia che voleva privatizzare definitivamente l’acqua e i servizi pubblici rappresenta un primo importante indicatore di percorso.
Renzi se ne sarà veramente andato solo quando si interromperà la precarietà del e sul lavoro, quando la scuola tornerà ad essere buona davvero, quando i territori potranno liberamente autodeterminare le scelte strategiche che li riguardano.

La seconda condizione è che il conflitto sociale risalga da valle a monte e metta radicalmente in discussione l’ideologia dell’economia a debito, con le sue trappole fatte di patto di stabilità e pareggio di bilancio, di rigore monetarista e di austerità senza fine, ponendo con forza il diritto all’insolvenza ogni qualvolta questa pregiudichi i diritti fondamentali individuali e sociali (un solo dato, più che esplicativo: nell’Italia del funambolo di Rignano, 11 milioni di persone hanno rinunciato alle cure mediche).

La terza condizione è che il sonoro NO a Renzi si trasformi non nell’ennesima delega al prossimo prestigiatore (mestiere molto frequentato nel nostro Paese), bensì in una forte, radicata e reticolare battaglia per la riappropriazione della democrazia, dentro percorsi di autogoverno solidale delle città e dei territori, come in diverse realtà e conflitti sociali si sta cercando da tempo di sperimentare.

Lo straordinario voto referendario del 4 dicembre rappresenta un segnale importante: non solo perché dimostra ancora una volta la saggezza del popolo ogni volta che gli si permette di pronunuciarsi, bensì perché, interrompendo la narrazione dell’individualismo autoritario, può riaprire la strada della cooperazione solidale.
Ai movimenti sociali, ai comitati e alle persone il compito di agirla con determinazione per impedire che la domanda di cambiamento venga interrotta dall’ennesima illusione.

martedì 6 dicembre 2016

4 dicembre 2016. Una giornata particolare

Luciano Granieri


Per un marxista-romanista come il sottoscritto il 4 dicembre scorso è stata veramente una giornata particolare. Derby Lazio-Roma, referendum costituzionale. Un marxista-romanista, per sua natura è uno che, tanto nella vita politica, che in quella da tifoso  è abbonato a scoppole epocali.  Ci abbattiamo, cediamo allo sconforto, ma sempre elaboriamo la sconfitta e ripartiamo lancia in resta nella  nostra lotta, incuranti della possibilità di prendere un’altra tranvata. 

La  vittoria lazziale in un derby ha il potere di prostrarmi  per molti giorni. Sul referendum è inutile dire che la sconfitta del no,  oltre a distruggere la Costituzione, avrebbe vanificato mesi di lotta politica entusiasmante,  ma anche faticosa. Lotta che mi ha visto impegnato con molti amici e compagni, pancia a terra in difesa della Carta del ’48 contro la  deriva autoritaria che la riforma avrebbe imposto. Le aspettative erano quelle di evitare una Caporetto totale, salutando almeno una  vittoria. Gioire da pazzi per  entrambi i trionfi non sarebbe stata  roba per marxisti-romanisti. Per noi vincere è quasi illegale. 

Le  premesse  non erano buone. In quanto  al derby, la Roma veniva da una vittoria per 3 a 2  contro la matricola Pescara offrendo una prestazione discontinua, permettendo  alla squadra abruzzese di segnare due gol tutti insieme, fatto assolutamente  eccezionale, e attirandosi una marea di critiche. Una “stecca” rimediata in allenamento metteva fuori causa anche Momo Salah affollando ulteriormente un’infermeria giallorossa già piena . La Lazio invece era reduce  da una striscia positiva lunghissima, esaltata e osannata dalla critica. Insomma una vittoria dei biancocelesti era considerata molto probabile. Per il referendum gli ultimi sondaggi davano il no avanti di 7 punti, ma la grande massa degli indecisi (27%) , le ultime notizie sul voto degli italiani all’estero, dato massicciamente a favore del si,  e l’occupazione totale delle televisioni da parte del Presidente del Consiglio non mi  rendevano propriamente ottimista. 

Sotto questi auspici arriva la mattina del 4 dicembre. Vado  a votare presso la mia sezione, poi dopo una rapida colazione arrivo al seggio dove sono rappresentante di lista. La situazione è tranquilla, l’affluenza è stranamente numerosa. Arriva una telefonata, bisogna andare alla sezione 28 dove una pasdaran piddina pare stia accompagnando elettori ed elettrici fino alla soglia della cabina elettorale, sfrantumandogli gli attributi , ovaie comprese, per convincerli a votare si. Arrivo sul luogo del misfatto, la signora in questione, avvolta in una sontuosa pelliccia (ma non erano proletari?)  mi vede arrivare, saluta con indifferenza e se ne va. Tornerà mi dico, passa un po’ di tempo e la pasdaran non si vede . Avrà preso paura? Eppure noi comunisti eravamo famosi per mangiare i bambini non i piddini. Me ne torno tranquillo al mio seggio. Arriva a votare il figlio di una mia carissima amica. Sta studiando per diventare dirigente Pd. Ci salutiamo cordialmente, del resto siamo amici. Il ragazzo s’informa se sono rappresentante di lista, poi mi chiede se c’è qualcuno che rappresenti il si. Non c’è,  la cosa lo mette di malumore, e non lo nasconde. Evvabbè che ci posso fare io, vallo a dire al tuo segretario provinciale.  Ora di pranzo su quasi 1500 votanti  si sono espressi oltre 500 persone. Ottima affluenza superiore a quella nazionale che si attesta al 21% Sarà un bene, un male? Il solo pensarci mi fa venire il mal di testa. 

Vista la situazione tranquilla decido di farmi del male e vedere la partita prima di ritornare al seggio. I laziolotti se la sentono “calla”, giocano in casa, sono più di 35mila noi, si e no,  6mila. Diserzione di protesta per le barriere che dividono la curva, non entro nel merito. Fanno volare una povera aquila   spaurita con drappo biancoceleste attaccato alla zampa. Sarebbe da chiamare la protezione animali. Sventolano le bandiere lazziali. Comincia la partita nel tripudio biancoceleste. Loro partono forte, tanto che Immobile  arriva due volte al tiro, ma spara alto. Piano, piano però cominciamo a prendere campo. Bruno Perez, il nostro laterale destro, viene abbattuto  vicino all’area.  Non è rigore, si è rigore, no non è rigore, pare che  il fallo sia avvenuto fuori dall’area.  E’ solo una punizione peraltro infruttuosa. 

Secondo tempo. Il  vento sta decisamente cambiando, la palla la teniamo solo noi, ma tiri in porta nisba. Colpo di testa di Dzeko, Marchetti para con difficoltà . Ad un certo punto un loro difensore, tale Wallace,brasiliano di nascita ma non di gamba, pretende di fare un tunnel di tacco a Strootman. Kevin lo uccella, gli toglie la palla, e si proietta verso la porta, sembra voglia spaccare tutto, invece con un delizioso colpo sotto scavalca Marchetti. Uno a zero per noi. Manca ancora mezz’ora, e per come gioca di solito la Roma un gol di vantaggio è assolutamente insufficiente.  Abbiamo pareggiato partite che stavamo vincendo tre a zero. Non ce la faccio decido di andare al seggio, ma non riesco a staccarmi dalla sedia. Loro non sembrano essere pericolosi. Così, com’è, come non è, De Rossi apre per Nainggolan a metà campo, il Ninja fa un po’ di passi e tira in porta. Lo shoot  non è irresistibile, tant’è che li per li mi incazzo, ma che straccio bagnato  è!  Inaspettatamente la palle prende una traiettoria strana,  Marchetti ci mette tre ore a tuffarsi. Gol due a zero per noi. Insomma fra patemi e sofferenze, più dovuti all’apprensione tipica dei marxisti-romanisti,  che ai pericoli portati dalla Lazio alla nostra porta, finisce la partita. Il derby è stato un trionfo. 

E il referendum? Non so  perché  ma mi prende un certo ottimismo. Abbiamo vinto sicuramente la medaglia d’argento, ora puntiamo all’oro. Torno al seggio la situazione continua ad essere tranquilla tanto che mi siedo in macchina a godermi i commenti del post derby per radio. Ore 23,00 comincia l’altra partita. Davanti a me e al rappresentate di lista del M5S, si apre l’urna. No, no,no, no, si, no, no. Insomma i no escono da ogni dove, i si fanno capolino ogni tanto dopo quaranta minuti il risultato  definitivo è  352 a 128 per i no. E… ma questo è un seggio notoriamente berlusconiano la vittoria del no è  scontata. 

Mi avvio verso casa. In macchina l’autoradio diffonde il quarto exit poll ponderato, 59 a 41 per il no. Sono exit poll ma la forchetta è così ampia che si prevede quasi con certezza la vittoria del no. Faccio gesti scaramantici pesanti, tanto dalla macchina chi mi vede!   A  casa  in tv su rai due Gasparri sta litigano con una del Pd, ed esulta  per la vittoria del no. Cominciano a parlare di proiezioni,  6540 sezioni su oltre 65mila, no al 57 e spicci, si al 43 e spicci. Non ce la faccio a continuare nello stillicidio, cambio sulla Domenica Sportiva. 

Poi mi viene in mente di vedere come va lo spoglio nella nostra Provincia. Metto su Teleuniverso e con mia sorpresa anziché la faccia di Alessio Porcu esce l’abbacchiata figura di Renzi. Anche la TV locale è sintonizzata sulla conferenza stampa del Premier che sta annunciando le sue dimissioni a seguito della sonora sconfitta subita dalla sua riforma. Allora è vero i no hanno vinto, anzi hanno stravinto! Abbiamo conquistato  la medaglia d’oro, quasi mi commuovo. E’ raro un trionfo del genere per noi marxisti-romanisti. E’ una goduria intensa, straripante.  Vado a letto contento e felice, ormai sono le tre di notte. L’idea di risvegliarmi senza dover metabolizzare sconfitte, mi  fa  godere come “UN GUFO”  e concilia un sonno profondo e beato. Hasta la victoria siempre  e forza Roma.


lunedì 5 dicembre 2016

Vince la Costituzione

Luciano Granieri


L’abbiamo salvata. Dieci anni dopo l’assalto berlusconiano al cuore democratico partecipativo della Costituzione, il popolo sovrano ha respinto l’ennesimo attacco, questa volta ordito dalla impresentabile accozzaglia Renzi-Verdini-Marchionne-J.P Morgan -Nazisti per il Si.  

La domanda che ricorre da ieri sera sui media “rosiconi” è la seguente: “Ha perso Renzi, ma chi ha vinto?” Il quesito è ipocritamente fuorviante, riferendosi,in malafede,   all’eterogeneo blob  partitico che ha alchimicamente  incorporato destra, variamente declinata, M5S, lega, nebulosa riformista .  Ebbene, io affermo che  ha vinto la Costituzione del ’48. 

E’ un fatto che le modifiche alla Carta, realizzate in passato, sono state approvate  per via parlamentare o governativa. Quando, in base all’art.138, le riforme costituzionali, hanno coinvolto il giudizio del popolo questo le ha sonoramente bocciate. Dunque la Costituzione vince  perché ha sempre goduto e, come dimostra l’attuale manifestazione  referendaria,   gode tutt’ora,  del favore della gente. 

E’ subdolo  e malsano dirottare una questione seria sulle  dinamiche costituzionali, verso un’insignificante  e volgare contrapposizione, fra partiti e correnti. Infatti se il piano sovversivo di Renzi, emanazione diretta della P2, e dei poteri economico-finanziari,  è fallito, lo si deve  soprattutto all’instancabile e tenace  azione dei comitati  per il il No.  I partiti, quelli che stanno nei Palazzi, contrari alla riforma, ma per lo più   animati da spirito vendicativo verso Renzi, non si sono mai  visti nelle piazze, nei convegni , nei luoghi di condivisione sociale, a parte l’ultima parte della campagna del M5S. 

I partiti per il No  hanno per lo più animato stucchevoli contese televisive contro le truppe cammellate del Partito di Renzi.  A condurre la battaglia sul territorio sono stati quasi esclusivamente i  comitati supportati, per lo più, da formazioni comuniste   o di stampo socialista, escluse dall'assemblea  parlamentare . Aggregazioni animate dall’unico scopo di preservare i diritti democratici e di partecipazione che il combinato disposto fra riforma Renzi-Boschi e legge elettorale Italicum, stava pesantemente minando. 

Volantinaggio, attacchinaggio, comizi in piazza, sono arnesi della vecchia comunicazione politica,e poco spendibili mediaticamente, ma in  questo caso, coadiuvati da un’area estremamente libera come il web,  si sono rivelati determinanti per la vittoria del No. Se della grande massa di indecisi il 60% si è convinto a bocciare la riforma e solo il 13%  ad approvarla la maggior parte del merito spetta ai comitati . Inoltre proprio dai movimenti per il No è scaturita una esauriente e autorevole  campagna informativa supportata da giuristi e costituzionalisti  sul merito fuorviante della deforma e sulle ragioni per cui bocciarla.  

 Il massiccio rifiuto popolare della riforma, indica inoltre come fosse sentita la necessità di porre un freno alla continua espropriazione di partecipazione a danno dei cittadini.  Votazioni di fiducia su leggi delega, come il Jobs Act, i decreti Madia sui servizi pubblici a rilevanza economica, strappi procedurali sull’approvazione dell’Italicum e sulla stessa promulgazione della riforma Costituzionale,  hanno trovato robusti contrappesi nelle dinamiche costituzionali: Il Jobs Act sarà oggetto di referendum abrogativo, i decreti Madia sono stati smontati pezzo per pezzo da un Corte Costituzionale ancora   indipendente, Consulta che  probabilmente boccerà anche l’Italicum , mentre l’art.138 della Costituzione ha assicurato il netto rigetto di una riforma della Carta  impresentabile.  A questi anticorpi democratici il popolo ha mostrato senza tentennamenti di non voler rinunciare. 

Queste tematiche, purtroppo sono state completamente ignorate dall’informazione mainstream, la quale ha puntato tutto sulla personalizzazione della riforma nella persona di Matteo Renzi e su una sorta di giudizio di dio sull’operato del premier. Operazione imbastita e gestita dello stesso Presidente del Consiglio, il quale, non riuscendo a promuovere una riforma  concepita e scritta male, ha dovuto obbligatoriamente spostare il tiro sulla sua persona, fino a dimettersi in presenza della sonora  bocciatura della sua riforma. Una decisione giustificata con l’assunzione di responsabilità per una sconfitta cocente, fingendo di dimenticare che il voto del 4 dicembre era per  una riforma costituzionale e non per un plebiscito presidenziale.  

Non a caso la stampa e i media, tappetino del premier, immediatamente si sono affrettati a vaticinare scenari catastrofici a fronte delle dimissioni di Renzi e del suo governo, lamentando un’eterogeneità  litigiosa del fonte del No, incapace di offrire un’alternativa all’attuale stato di cose. Detto che, comunque la responsabilità delle dimissioni governative sono tutte di Renzi, il quale non era obbligato a lasciare Palazzo Chigi, anche a fronte della sonora scoppola ricevuta, e che dunque l’eventuale instabilità non è addebitabile  a  chi ha votato No, resta da affermare  che il futuro del governo interessa il giusto. 

Se non si sposa  decisamente la prospettiva di una definanziarizzazione della politica, con gli intereessi dei cittadini posti al di sopra degli interessi economici, così come costituzione comanda, o Renzi ,o qualcun altro, il quadro cambia poco. Non c’è legge elettorale, governo tecnico o di scopo che tenga. Dal pantano dell’attuale ingiustizia sociale si esce solo prefigurando l’assoluto predominio delle istanze sociali sugli interessi speculativo-economici. Questa è un’altra storia, che comunque potrebbe essere scritta partendo proprio dall’ennesimo salvataggio della nostra Costituzione. 

La battaglia vinta dai comitati del No non si basava sulla cacciata di Renzi, ma sulla difesa della Carta pesantemente minacciata dalla riforma. Ora a fronte di questo straordinario successo è necessario battersi affinchè questa possa essere applicata indipendentemente dai governi che si succederanno a Renzi. Cominciamo da qui, e poi se sono rose….

Costituzione del '48 si rinnova la partecipazione popolare

Comitato Provinciale per Il No di Padova


Il Comitato provinciale per il NO di Padova nell'esprimere la più grande soddisfazione per il grande risultato ottenuto in difesa e promozione della Costituzione fa propria la frase di Leopoldo Elia scritta dieci anni orsono: questo referendum si è rivelato la «legittimazione popolare che finalmente ha coronato la Costituzione del 1947».
La partecipazione popolare che ha caratterizzato questa consultazione speriamo sia l'inizio di un cammino che porti finalmente all'attuazione dei valori, dei principi e degli obiettivi che la Costituzione ci indica.
Ringraziamo per questi risultati tutti i cittadini padovani che hanno consentito la vittoria del NO.