L’abbiamo salvata. Dieci anni dopo l’assalto berlusconiano
al cuore democratico partecipativo della Costituzione, il popolo sovrano ha
respinto l’ennesimo attacco, questa volta ordito dalla impresentabile
accozzaglia Renzi-Verdini-Marchionne-J.P Morgan -Nazisti per il Si.
La domanda che ricorre da ieri sera sui media “rosiconi”
è la seguente: “Ha perso Renzi, ma chi ha vinto?” Il quesito è ipocritamente
fuorviante, riferendosi,in malafede, all’eterogeneo blob partitico che ha alchimicamente incorporato destra, variamente declinata, M5S,
lega, nebulosa riformista . Ebbene, io
affermo che ha vinto la Costituzione del
’48.
E’ un fatto che le modifiche alla Carta, realizzate in passato, sono state
approvate per via parlamentare o
governativa. Quando, in base all’art.138, le riforme costituzionali, hanno
coinvolto il giudizio del popolo questo le ha sonoramente bocciate. Dunque la
Costituzione vince perché ha sempre
goduto e, come dimostra l’attuale manifestazione referendaria, gode
tutt’ora, del favore della gente.
E’ subdolo
e malsano dirottare una questione seria sulle
dinamiche costituzionali, verso un’insignificante
e volgare contrapposizione, fra partiti
e correnti. Infatti se il piano sovversivo di Renzi, emanazione diretta della
P2, e dei poteri economico-finanziari, è
fallito, lo si deve soprattutto all’instancabile
e tenace azione dei comitati per il il No. I partiti, quelli che stanno nei Palazzi, contrari
alla riforma, ma per lo più animati da spirito vendicativo verso Renzi, non
si sono mai visti nelle piazze, nei convegni
, nei luoghi di condivisione sociale, a parte l’ultima parte della campagna del
M5S.
I partiti per il No hanno per lo più animato
stucchevoli contese televisive contro le truppe cammellate del Partito di Renzi.
A condurre la battaglia sul territorio
sono stati quasi esclusivamente i comitati supportati, per lo più, da formazioni comuniste o di
stampo socialista, escluse dall'assemblea parlamentare . Aggregazioni animate dall’unico
scopo di preservare i diritti democratici e di partecipazione che il combinato
disposto fra riforma Renzi-Boschi e legge elettorale Italicum, stava
pesantemente minando.
Volantinaggio, attacchinaggio, comizi in piazza, sono
arnesi della vecchia comunicazione politica,e poco spendibili mediaticamente, ma
in questo caso, coadiuvati da un’area
estremamente libera come il web, si sono
rivelati determinanti per la vittoria del No. Se della grande massa di indecisi
il 60% si è convinto a bocciare la riforma e solo il 13% ad approvarla la maggior parte del merito
spetta ai comitati . Inoltre proprio dai movimenti per il No è scaturita una esauriente
e autorevole campagna informativa
supportata da giuristi e costituzionalisti sul merito fuorviante della deforma e sulle
ragioni per cui bocciarla.
Il massiccio rifiuto popolare della riforma,
indica inoltre come fosse sentita la necessità di porre un freno alla continua
espropriazione di partecipazione a danno dei cittadini. Votazioni di fiducia su leggi delega, come il
Jobs Act, i decreti Madia sui servizi pubblici a rilevanza economica, strappi
procedurali sull’approvazione dell’Italicum e sulla stessa promulgazione della
riforma Costituzionale, hanno trovato
robusti contrappesi nelle dinamiche costituzionali: Il Jobs Act sarà oggetto di
referendum abrogativo, i decreti Madia sono stati smontati pezzo per pezzo da
un Corte Costituzionale ancora indipendente, Consulta che probabilmente boccerà anche l’Italicum ,
mentre l’art.138 della Costituzione ha assicurato il netto rigetto di una
riforma della Carta impresentabile. A questi anticorpi democratici il popolo ha
mostrato senza tentennamenti di non voler rinunciare.
Queste tematiche,
purtroppo sono state completamente ignorate dall’informazione mainstream, la
quale ha puntato tutto sulla personalizzazione della riforma nella persona di Matteo
Renzi e su una sorta di giudizio di dio sull’operato del premier. Operazione
imbastita e gestita dello stesso Presidente del Consiglio, il quale, non
riuscendo a promuovere una riforma
concepita e scritta male, ha dovuto obbligatoriamente spostare il tiro
sulla sua persona, fino a dimettersi in presenza della sonora bocciatura della sua riforma. Una decisione
giustificata con l’assunzione di responsabilità per una sconfitta cocente,
fingendo di dimenticare che il voto del 4 dicembre era per una riforma costituzionale e non per un
plebiscito presidenziale.
Non a caso la
stampa e i media, tappetino del premier, immediatamente si sono affrettati a
vaticinare scenari catastrofici a fronte delle dimissioni di Renzi e del suo
governo, lamentando un’eterogeneità litigiosa del fonte del No, incapace di
offrire un’alternativa all’attuale stato di cose. Detto che, comunque la
responsabilità delle dimissioni governative sono tutte di Renzi, il quale non era
obbligato a lasciare Palazzo Chigi, anche a fronte della sonora scoppola
ricevuta, e che dunque l’eventuale instabilità non è addebitabile a chi
ha votato No, resta da affermare che il
futuro del governo interessa il giusto.
Se non si sposa decisamente la prospettiva di una definanziarizzazione
della politica, con gli intereessi dei cittadini posti al di sopra degli interessi
economici, così come costituzione comanda, o Renzi ,o qualcun altro, il quadro
cambia poco. Non c’è legge elettorale, governo tecnico o di scopo che tenga.
Dal pantano dell’attuale ingiustizia sociale si esce solo prefigurando l’assoluto
predominio delle istanze sociali sugli interessi speculativo-economici. Questa
è un’altra storia, che comunque potrebbe essere scritta partendo proprio dall’ennesimo
salvataggio della nostra Costituzione.
La battaglia vinta dai comitati del No
non si basava sulla cacciata di Renzi, ma sulla difesa della Carta pesantemente
minacciata dalla riforma. Ora a fronte di questo straordinario successo è
necessario battersi affinchè questa possa essere applicata indipendentemente
dai governi che si succederanno a Renzi. Cominciamo da qui, e poi se sono rose….
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