Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 20 gennaio 2018

Janis Joplin, l’aliena del blues

Serena Antinucci




«Preferirei non cantare se devo cantare piano». Un destino ostile, avverso e queste parole, di Janis Joplin, profetiche, quasi una sfida alla sua stessa vita, forse, un gioco. La vita di una delle più grandi icone del rock blues di tutti i tempi, personaggio eversivo e ribelle, non sarebbe stata la stessa senza quella voce rauca e rabbiosa.
Janis Joplin – che ieri, 19 gennaio, avrebbe compiuto 75 anni – era la sua voce, che era la sua fede, la sua politica, il suo essere nel mondo. E come sarebbe stato questo mondo senza Janis Joplin? Suona quasi come una domanda scomoda, come una grigia profezia. Il mondo non sarebbe stato lo stesso senza di lei. Non solo perché è stata una delle più importanti cantanti di tutti i tempi, una delle poche donne di successo in un mondo maschile, fatto di droga, chitarre e groupies, ma perché, attraverso quella voce unica, fragile, imperfetta Janis era, a suo modo, il manifesto vivente della liberazione e della ribellione attraverso la musica.
Quando le chiedevano perché cantasse, rispondeva: «Amo la musica, perché si crea dalle emozioni e crea emozioni, perché entro in contatto con l’immaginazione e con la sua verità». La regina del blues bianco, che amava Bessie Smith, Ma Rainey, Otis Redding, Big Mama Thornton, è diventata una donna prima di rendersene conto e le sue corde vocali lo hanno fatto ancor prima di lei. La dose di dolore che la vita le ha imposto ha graffiato ripetutamente la sua anima, giorno e notte, fino a farla gridare forte, così forte tanto da sembrare, ogni volta, l’urlo di una rinascita.
TROPPO PRESTO
Janis Joplin è morta troppo giovane, a soli 27 anni. Il referto medico parlava di una morte accidentale da overdose d’eroina. È stata trovata esanime nella stanza n. 105 del Landmark Hotel di Hollywood, il 4 ottobre 1970. Così, un attimo dopo è entrata di fatto nel famoso e maledetto «club dei 27», nella «maledizione del J27». Il cerchio dannato dove la morte arriva sempre prima, beffarda. Sarebbe rassicurante pensare che la morte l’abbia colta piano, quel silenzio di cui lei parlava: l’assenza della voce, la fine.
Pochi mesi prima di lei, moriva Jimi Hendrix, un anno dopo Jim Morrison, e dopo ancora Kurt Cobain, infine Amy Winehouse. Un circolo di anime fragili e potenti che avevano incaricato la musica di sostenerle e proteggerle. Alla fine, anche la musica ha ceduto al loro peso. Personalità insolitamente grandi, inquiete, devastanti. Più di una volta il volto di Janis Joplin aveva attirato l’attenzione di molti per la sua mollezza, per i suoi lineamenti delicati, così diversi e distanti da quella sua rudezza intima, dalla sua capacità di trasformarsi ogni volta che saliva su un palco, rincorrendo con ostinazione la bellezza dell’improvvisazione, dell’imperfezione.
A Port Arthur in Texas, dove era nata il 19 gennaio 1943, era costretta a comportarsi come un maschiaccio, non volendosi omologare a un sistema predefinito e ribellandosi alle rigide costrizioni della società Usa.
«Come molti ribelli del suo tempo Janis Joplin rifuggiva dalle rigide categorie identitarie: nel suo mondo il colore della pelle e a volte la sessualità venivano disdegnate come fossero camicie di forza», scrive Alice Echols nel suo libro Scars of Sweet Paradise: The Life and Times of Janis Joplin. Nella sua libertà c’era un piacere selvaggio, primitivo, lontano dalla comprensione di tutti. Talvolta, però, affiorava un profondo e inconscio bisogno di essere accettata, che quasi andava oltre i suoi contrasti.
HAIGHT-ASHBURY
Janis aveva iniziato la sua carriera suonando nei club, mentre frequentava l’università del Texas a Austin e dopo esser stata votata dai ragazzi dell’università «l’uomo più brutto del campus», aveva deciso di partire alla volta di San Francisco.
Lì nell’enclave hippy di Haight-Ashbury aveva cominciato a frequentare i Grateful Dead e i Jefferson Airplane, subito dopo i Big Brother and the Holding Company. L’estate del ’67, con la band, si era esibita due volte al primo Monterey Festival, ottenendo il contratto discografico per il primo album. L’autunno seguente era arrivato Cheap Thrills e era andato dritto al numero 1 nelle classifiche Usa. Strano però che la morte avesse scelto quell’anno, il 1970 e non un anno prima, nel ’69, quando il suo gruppo storico, i Big Brother and the Holding Company si era sciolto. Con loro era stata la Janis di Bye, bye, baby, Ball and Chain, di Down on me, Summertime, Peace of My Heart: la voce nera nel corpo di una donna bianca.
C’era qualcosa di immorale, di brutale e di inarrestabile nella sua profonda espressività, resistente al tempo, immortale. «Quando canto è come se mi innamorassi per la prima volta, è un’esperienza emozionale e fisica suprema», dichiarava Janis. Il suo ero un atto d’amore incondizionato. Prima della rottura con la sua band il disco Cheap Thrills aveva smesso di vendere. Nonostante l’album avesse dominato le classifiche nel ’68 e le avesse permesso di essere definita dal Time, «la cantante più potente dell’emergente movimento rock bianco», Janis non riusciva a rialzarsi. Nemmeno i due nuovi gruppi che aveva arrangiato, i Joplinaires e la Kozmic Blues Band (con questi ultimi era apparsa a Woodstock), erano riusciti a sopravvivere. La sua passione demoniaca per la musica, la sua dipendenza dalle droghe, nell’America di Nixon della fine degli anni ’60, della controcultura e degli hippy, l’avevano completamente travolta. La sua alienazione era estraniamento personale, ma restava comunque un’esperienza di un’intera generazione.
Si diceva avesse perso il fuoco psichedelico dell’inizio, che era diventata la brutta copia del soul e di quel blues al quale tanto era legata. Al tempo stesso, la texana dalla pelle bianca, era sempre più preoccupata che i giornalisti si occupassero più della sua dissoluta vita privata che della sua musica. Così nella primavera del ’70 era riuscita a creare un nuovo gruppo, la Full Tilt Boogie Band, con la chitarra di John Till e le tastiere di Richard Bell, rinnovando il suo repertorio, i brani, il suono, e facendosi chiamare «perla».
FESTIVAL EXPRESS
Si era allontanata dall’eroina, ma purtroppo la sua reputazione sembrava arrivare sempre prima di lei. Nell’estate del ’70 ricominciò a sentirsi parte del suo mondo. Si esibì in una serie di festival in giro per il Canada con i Grateful Dead, The Band, Sha-Na-Na e altri, viaggiando su un treno che divenne il Festival Express.
A settembre era entrata ai Columbia Studios di Hollywood, pronta a registrare il nuovo disco. Era riuscita di nuovo a stregare tutti. «Era tornata la musa inquietante di due anni prima, la strega capace di incantare il pubblico del Fillmore, dell’Avalon, di Monterey, con le sue Ball and Chain e Summertime, la sacerdotessa di un rock estremo senza alcuna distinzione tra fantasia scenica e realtà», scrive Riccardo Bertoncelli nella sua Storia leggendaria della musica rock. Mancava poco a quel disco, che si sarebbe chiamato come quella fulminea rinascita, Pearl. Quel lunedì avrebbe dovuto registrare le parti vocali di un brano di cui esistevano già le basi, dal titolo Buried Alive in the Blues, Sepolta viva nel blues. Pearl uscì il 1 febbraio 1971 e vendette milioni di copie, perché era davvero una perla di rara bellezza. Rimase per 9 settimane in testa alle classifiche Usa e Buried Alive in the Blues restò l’ultimo brano del disco, solo strumentale, senza la sua voce, ma lasciava una traccia. Per sempre.
fonte alias 20/01/2018



Grandi, il 4 marzo italiani voteranno con legge incostituzionale ANSA

 Grandi, il 4 marzo italiani voteranno con legge incostituzionale (ANSA) - 


ROMA, 19 GEN - Questa mattina una delegazione del Coordinamento per la democrazia costituzionale-Cdc (ex Comitato per il No nel referendum del 4 dicembre 2016) ha depositato in Cassazione a Roma il titolo della proposta di legge di iniziativa popolare per modificare l'attuale legge elettorale. Tra gli altri - si legge in una nota - erano presenti: Alfiero Grandi, Massimo Villone, Giovanni Russo Spena, Enzo Paolini, Mauro Beschi, Vincenzo Palumbo, Franco Argada, Cesare Antetomaso, Felice Besostri, Franco Russo, Paolo Palma, Antonio Caputo, Antonio Falomi. "Questo - spiega Grandi - e' solo l'atto iniziale di una campagna di raccolta firme che ha l'obiettivo di cambiare il Rosatellum che e' stato fatto passare con ben otto voti di fiducia impedendo ai parlamentari di esaminarlo". Grandi ha sottolineato come l'approvazione di questa legge elettorale sia una delle tante conferme della gravita' di un Parlamento senza autonomia perchè sostanzialmente nominato dall'alto e non scelto dagli elettori. E ha aggiunto: "Una legge elettorale come questa, che per causa del voto congiunto non consente ai cittadini di scegliere i propri candidati, e' uno dei fattori principali del tanto temuto astensionismo alle prossime elezioni, di cui solo ora i partiti e le istituzioni si preoccupano". "Per questo - conclude - oltre a cambiare la legge vogliamo influire anche nelle urne. Questa legge avra' effetti diversi da quelli immaginati dagli estensori che dovrebbero riflettere sui loro errori, comunque e' grave che gli elettori ancora una volta non sceglieranno i loro parlamentari e si allarghera' ancora di piu' il solco tra rappresentanti e i rappresentati, che e' il pericolo principale per la nostra democrazia. Le elettrici e gli elettori debbono ricordarsi nell'urna di chi ha la responsabilità' di avere voluto e votato questa legge elettorale e li inviteremo ad andare a votare, perchè  astenersi sarebbe un errore, votando contro chi l'ha fatta approvare e chi l'ha votata, perche' la Costituzione potrebbe correre altri rischi in futuro". Era presente questa mattina anche Felice Besostri, Coordinatore degli Avvocati Antitalikum: "Questa iniziativa completa ed integra le iniziative davanti ai Tribunali e da altri soggetti in quanto le iniziative giudiziarie non sono mai alternative a quelle politiche. Scegliere la raccolta di firme su un disegno di legge popolare e credere nella Costituzione e nello Stato di diritto sono scelte politiche".(ANSA). PDA19-GEN-18 16:49 NNNN 

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A Pescara contro i debiti illegittimi

Marco Bersani


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine 2017 il suo massimo storico, raggiungendo il 132,6% in rapporto al Pil, e collocando il nostro Paese al quinto posto planetario dopo Giappone (239,2%), Grecia (181,3%), Libano (143,4%) e Capo Verde (133,8%).
Un debito gigantesco, rispetto al quale la campagna elettorale avviata da quasi tutte le forze politiche assume i contorni del paradosso: mentre nessuna ha la benché minima intenzione di metterlo in discussione, così come di ridiscutere i vincoli finanziari europei imposti da Maastricht in poi, tutte si sbracciano in promesse tanto fantasmagoriche quanto destinate all’evaporazione il giorno dopo le elezioni.
Perché delle due l’una: o si mette in discussione la gabbia del debito, costruita artificialmente per permettere la prosecuzione dell’espropriazione di diritti sociali, beni comuni, servizi pubblici e democrazia, o si mantiene il campo di gioco prefissato dai «mercati» e ogni promessa è semplicemente destinata a restare tale.
Allora forse è necessario chiedere a chi si candida al governo del Paese di provare a dare una risposta ad alcune semplici domande basate su dati concreti:
Se, pur avendo chiuso il bilancio dello Stato in attivo 27 volte negli ultimi 28 anni (unica eccezione il 2009), il paese è sempre più indebitato, c’è qualcosa di illegittimo nel meccanismo del debito?

Se l’indebitamento è determinato dal pagamento degli interessi (per saldare i quali, lo Stato s’indebita in un circolo vizioso senza fine), è normale accettare di aver finora pagato 3.500 miliardi di interessi per un debito di 2.250 miliardi, che rimane tale?

Se chi ha pagato le tasse, negli ultimi venti anni ha dato allo Stato 700 miliardi in più di quello che ha ricevuto sotto forma di beni e servizi, si può continuare a pensare che tutto sia oggettivo e non frutto di una trappola ideologica artificialmente costruita?

Se i Comuni nel periodo 2010-2016 hanno aumentato le imposte locali di 7,8 miliardi e nello stesso tempo le loro risorse complessive si sono ridotte di 5,8 miliardi, c’è qualcosa da sistemare nella finanza locale?

Se nel 1992 in Italia il controllo pubblico sulle banche era il 74,5% ed oggi è lo zero, c’è un terreno finanziario strutturale su cui occorre mettere mano, se si vuole tornare a pensare all’interesse generale e non a quello degli azionisti in Borsa?

Sono alcune delle domande che non sentirete mai pronunciare in un talk show o in una tribuna elettorale. Perché la loro formulazione obbligherebbe a discutere di modello economico e sociale, a disegnare un’altra idea di società, a prefigurare la priorità dell’interesse generale su quello privatistico e della dignità della vita sui profitti finanziari.
Ma sono le domande che hanno mosso la nascita di Cadtm Italia (Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi) che, sabato 27 gennaop a Pescara, promuoverà il seminario internazionale “La questione del debito globale”, per lanciare da lì l’avvio di una campagna nazionale contro la trappola del debito pubblico e per l’avvio di una Commissione di indagine indipendente (audit) sul debito pubblico italiano (con mons. Tommaso Valentinetti, Chiara Filoni, Eric Toussaint, Fathi Chamkhi, Leonardo Becchetti, Massimo Pallottino, Cristina Quintavalla, Marco Bersani, Francesco Gesualdi, Danilo Corradi).
Uno spazio aperto a tutti quelli che non hanno rinunciato a cambiare il mondo e a mettere finalmente la vita prima del debito, il futuro di tutti prima dell’indice di Borsa di qualcuno, la democrazia prima dei mercati.
fonte: il manifesto del 20/01/2018

giovedì 18 gennaio 2018

GENOVA - ACERBO (PRC): «CASA POUND NON CONDANNA AGGRESSIONE E AMMETTE RESPONSABILITA'»


Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, dichiara:


«Casa Pound non solo non ha condannato l'aggressione di cui sono stati vittime alcuni antifascisti a Genova, ma di fatto ha ammesso che i protagonisti dell'aggressione squadrista sono stati i suoi militanti. Dichiarando che "CasaPound non ha attaccato ma difeso la propria sede" l'organizzazione neofascista ha ammesso la propria responsabilità. 
Rendendosi conto che il tirare coltellate difficilmente può dirsi "difesa" Casa Pound nega ovviamente che la coltellata sia responsabilità dei loro "difensori". 
Vogliono farci credere che l'antifascista ferito si sia accoltellato da solo?
Da tempo insieme all'ANPI chiediamo che organizzazioni come Casa Pound vengano dichiarate fuorilegge ma constatiamo che godono invece di coperture e anche di ribalta mediatica.
La presenza di Casa Pound sta creando problemi anche al normale svolgimento della campagna elettorale.
Da Genova ci comunicano che il Comune avrebbe per ora negato l'autorizzazione ai nostri compagni per l'occupazione di suolo pubblico indispensabile per la raccolta firme per la presentazione della lista "Potere al popolo". 
 I tempi di attesa per l'autorizzazione sarebbero dilatati a causa della volontà delle forze dell'ordine di evitare una sovrapposizione nelle strade fra i militanti che sostengono "Potere al popolo" e quelle dell'estrema destra. 
A maggior ragione dopo l'aggressione squadrista dell'altro giorno, con un attivista ferito da una coltellata, le istituzioni dovrebbero garantire la sicurezza e l'agibilità democratica, senza penalizzare una lista democratica nell'esercizio dei propri diritti». 

mercoledì 17 gennaio 2018

Iscrizione all'Anagrafe Antifascista


Cari amici,
avrete forse appreso dai giornali della mia iniziativa di creare a difesa dei valori della nostra Costituzione, a settanta anni dalla sua entrata in vigore, una Anagrafe Virtuale che raccolga tutti coloro che si sentono impegnati in difesa dei valori che condividiamo di libertà, democrazia, legalità e contro il diffondersi di episodi di intolleranza, di rievocazione dei totalitarismi dello scorso secolo, che fecero della violenza lo strumento di affermazione contro oppositori politici, minoranze etniche e religiose. Sono questi i valori della Resistenza che hanno trovato attuazione nella Costituzione Repubblicana.
 Si può aderire all’iniziativa semplicemente compilando un form disponibile sul sito istituzionale del mio comune (www.comune.stazzema.lu.it ). (E' possibile accedere al modulo cliccando QUI ndr.)
Invito l’ANPI a sostenere l’iscrizione all’Anagrafe Antifascista, facendo crescere questa iniziativa che non vuole escludere nessuno, ma rappresentare un impegno contro il ritorno di simboli e messaggi che rimandano al fascismo e al nazismo che ci devono preoccupare.
Con l’occasione invio cordiali saluti.

Il Sindaco di Stazzema
Maurizio Verona


Parco Nazionale della Pace
Museo Storico della Resistenza
Via Coletti, 22
55041 Sant'Anna di Stazzema (LU)
tel. 0584/772025
www.santannadistazzema.org
www.facebook.com/SantAnnadiStazzema
santannamuseo@comune.stazzema.lu.it

domenica 14 gennaio 2018

Israele impedisce a Omar Barghouti di assistere la madre per un intervento chirurgico

Lettera Omar Barghouti

Cari tutti,
Scrivo questa lettera per condividere con voi la notizia che Israele mi ha espressamente vietato di andare ad Amman, Giordania, per accompagnare mia madre e stare con lei in occasione del serio intervento chirurgico a cui deve sottoporsi.

Mia madre, Wafieh Barghouti, ha 75 anni. Le è stato diagnosticato alcuni mesi fa un tumore che lei sta combattendo con coraggio, dignità e i suoi tanti commenti politici particolarmente pungenti su Facebook!

Sono mesi che ogni volta che devo andare ad Amman per stare con la mia madre durante le sessioni di chemioterapia, devo chiedere una ordinanza del tribunale per la sospensione temporanea del divieto a viaggiare che mi è stato imposto dalle autorità israeliane.

In risposta ad una richiesta urgente dei miei avvocati che informava dell'intervento chirurgico imminente di mia madre e della necessità che avevo di essere con lei, una corte israeliana ha sospeso temporaneamente il divieto a viaggiare dal 2 al 16 gennaio 2018.

Tuttavia, il Ministero israeliano dell'Interno, benché informato circa l'intervento, non ha rinnovato per quasi 3 settimane il mio documento israeliano di viaggio, senza cui non posso recarmi in Giordania. ?

In primo luogo, la mia avvocata ha inoltrato una domanda al Ministero per il rinnovo del documento di viaggio il 17 dicembre 2017, alla quale sono seguite tre lettere urgenti: il 27 dicembre 2017, il 2 gennaio 2018 e oggi, 4 gennaio 2018. Inoltre ha trasmesso al Ministero una copia di una lettera scritta dall'oncologo di mia madre che indica le date dell'intervento chirurgico e della terapia di sostegno.

Data la chiara evidenza della guerra totale del regime israeliano contro il movimento non violento del BDS per i diritti dei palestinesi e contro di me personalemente, non ho dubbi che questa sia un’altra forma ancora di "punizione" per il mio ruolo nel movimento come difensore dei diritti umani che lotta per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza.

Impormi un divieto a viaggiare, minacciarmi di “assassinio civile” e provare disperatamente, e ripetutamente, a sporcare la mia reputazione, sono poca cosa al confronto dei crimini di guerra e contro l'umanità (apartheid compreso) perpetrati dal regime israeliano di oppressione contro milioni di Palestinesi.

L'assedio di 2 milioni di palestinesi a Gaza, rifiutando loro diritti e libertà fondamentali…

Il rifiuto dell’applicazione del diritto al ritorno stipulato dall'ONU per milioni di rifugiati palestinesi…

Il furto senza fine di terra e la costruzione di insediamenti coloniali illegali in Cisgiordania occupata, in particolare dentro e intorno a Gerusalemme…

La pulizia etnica continua di intere comunità nel Naqab e nella valle del Giordano…

Le dozzine di leggi israeliane razziste e il brutale regime di apartheid che fa assomigliare la segregazione in Sudafrica ad un “picnic” in confronto, come ha dichiarato il portavoce del Parlamento dell’Africa del Sud…

L'omicidio efferato, nel dicembre 2017, di Ibrahim Abu Thurayyah, eroe palestinese amputato delle due gambe che è stato ammazzato nel ghetto del Gaza , mentre protestava con una bandiera palestinese, da un soldato israeliano la cui barbarie ci ricorda quella dei soldati tedeschi durante la soppressione della rivolta del ghetto de Varsavia…

La repressione attuata contro Ahed Tamimi, eroina palestinese di 16 anni, simbolo della nostra resistenza popolare, per avere schiaffeggiato l'occupazione in faccia, in senso letterale e figurato…

Tutti questi fatti rivelano non solo un oppressore brutale, ma anche un regime di oppressione in fallimento morale che passa all’attacco con crudeltà e disperazione assolute dopo essersi reso conto che la sua base di sostegno nel mondo si sta erodendo velocemente.

Facendo parte di questo grande popolo che resiste fermamente contro ogni previsione, ripeto che tutte le loro intimidazione e prepotenze non mi tratterranno mai dal fare quello che è giusto, continuando con il mio modesto contributo a partecipare alla lotta per la liberazione del mio popolo.

Come quasi tutti i palestinesi, non potrò mai accettare la schiavitu come destino e mai smetterò di combattere l'oppressione fino a quando non potremo vivere nella giustizia e nella dignità.

Madre, perdonami, non sarò fisicamente con te in questo momento difficile. Il nostro è un sacrificio insignificante in confronto con i molti sacrifici dolorosi della nostra gente. Ma sarò con te nello spirito e so che mi sostieni fermamente nel mio resistere alla loro prepotenza e nel gridare: "Vinceremo".

Qualcuno si chiederà, “cosa possiamo fare per aiutare? Dovremo mandare delle lettere alle autorità per fare pressione?” Come la maggior parte di voi sa, la mia risposta è: niente da fuori può fare pressione sul regime israeliano di occupazione e di apartheid più del BDS. Il tempo dell'acquiscienza e degli appelli servili rivolti agli israeliani perché rispettino i nostri diritti devono terminare.

Per toglierci dal collo il peso degli stivali israeliani richiedo campagne BDS più creative, strategiche e durature, in modo da ottenere sanzioni internazionale efficaci simili a quelle imposte all’apartheid in Sudafrica. Soltanto allora la giustizia prevarrà.

Saluti,
Omar Barghouti

( Fonte: bdsitalia.org )