Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 17 agosto 2018

Dalle autoradio delle bluesmobile continuerà a risuonare "Respect"

Luciano Granieri




Atlantic Records, etichetta discografica fondata nel 1947.  Fra la fine dei’50 e per tutti gli anni ’60 dai dischi dell’Atlantic usciva musica nera. Note in cui fruiva prorompente e conflittuale l’aspirazione degli afroamericani a diventare un popolo libero   da ogni discriminazione, non solo legata al colore della pelle, ma anche alla differenza di genere e di censo . 

L’Etichetta fondata da Ahmet Ertgun e Herb Abramson, fra  il 1960 e il 1961,  sfornava  le incisioni storiche  di John Coltrane:  Giant Steps,  My Favourite Things. Brani in cui la prorompente cascata di note del tenorista di Hamlet trasfigurava  figure melodiche semplici, come il valzerino  “My Favourite Things “ (tratto dalla commedia hollywoodiana “Tutti insieme appassionatamente”) , trasformandole in autentici stravolgimenti  rivoluzionari. 

Ma la rivolta vera che usciva dai dischi Atlantic non era quella di Coltrane, ne sarà l’assolutismo sovversivo del free jazz di Ornette Coleman, Archie Shepp o Cecil Taylor. Dai giradischi di Harlem,  dei ghetti di Chicago, o Detroit,  la puntina che solcava i dischi Atlantic rimandava la  voce potente e al tempo flessibile,  di Aretha Franklin che chiedeva  rispetto per le minoranze afroamericane e per le donne. "Respect" Il brano di Otis Redding, divenne, cantato  da Aretha  nel 1967, un’invettiva verso la società statunitense mai rispettosa della diversità  per colore di pelle, genere, e orientamenti sessuali. Quella voce, ieri, ha cessato di innalzare il suo grido rivendicativo ed inclusivo di una popolazione  stanca di essere sfruttata dal maschio, americano, bianco, capitalista,imperialista . 

Aretha non c’è più ma il suo “Chain, chain, chain, chain of fool” continuerà a risuonare da tutte le bluesmobile  del mondo. E’ stata definita la regina della soul music, dove per  “soul”, non s’intende solo “anima”, ma una particolare collocazione sociale e mentale che identifica l’essere neri. E’ il soul la forma artistica, la musica aggregante, di una vera e propria lotta di massa per la rivendicazione dei diritti sociali e civili. 

Non è un mistero che la soul music ed il R&B, per la loro  semplificazione  degli stilemi blues, e per la  facilità di fruizione, sono  stati immediatamente  sfruttati  dallo show business. Aretha, insieme a Ray Charles, Otis Redding,  Wilson Picket, e altri musicisti,  divenne  una vera e propria star,, assicurando profitti  miliardari alle proprie case discografiche, e a tutto lo show business  gravitante intorno a lei , per lo più bianco. Del resto la dinamica per cui il mercato discografico bianco si appropria della creatività dei neri si perde nella notte dei tempi. Bessie Smith agli inizi del ‘900 con i suoi blues contribuì a risollevare le sorti economiche della casa discografica Okeh.  

Ma la forza della musica soul, del R&B, e in seguito dell’hip hop, è che mettono in musica  la cattiva coscienza  della discriminazione anche se diventano    successo commerciale  fonte di grossi guadagni per chi la esegue e chi la produce. Nel 1985 Aretha Franklin, nel pieno della sua notorietà,  insieme alla “bianca” Annie Lennox, incide un brano simbolo della lotta femminista :”Sister Are Doin’It for  Themeselves”. Dove viene messo in ridicolo il detto in base al quale, dietro ad ogni grande uomo c’è una grande donna,  invita le donne ad uscire dalla cucina e a ricordare al mondo che sono capaci di fare grandi cose da sole, senza l’aiuto del maschio.  

Aretha se ne è andata, ma la sua voce continuerà ad uscire dalle autoradio delle bluesmobile di tutto il mondo. Ci sarà ancora di grande aiuto anche dal li,  dove ora si trova ,  per scalzare  i nazisti dell’Illinois che ahimè hanno preso il potere non solo in America ma in gran parte dell’Europa e soprattutto in Italia.

  


giovedì 16 agosto 2018

Dalla grande opera alla grande manutenzione

Militant Blog



Immaginare che ad un tratto i capitali privati decidano di trasferire il proprio core business dalla speculazione (di vario tipo: residenziale, infrastrutturale, commerciale, logistica, etc) alla manutenzione del già costruito, significa ignorare il principio di valorizzazione dell’economia privata. Significherebbe costringere quei capitali a muoversi secondo indicazioni pubbliche, cioè politiche. Vorrebbe dire vincolare i movimenti di capitali, affacciarsi cioè nel regno dell’assolutamente proibito. Solo per dare un cenno dell’impresa, proprio oggi, nel classico coro post-catastrofe del “ci vuole più Stato” e del “servono più investimenti”, sul Corriere della Sera Lorenzo Bini Smaghi così raccontava la crisi della Lira turca: «Se c’è un fattore che tende a coagulare i comportamenti di migliaia di operatori è proprio il timore di misure come i controlli sui movimenti di capitale». A pagina uno ci vuole più Stato, ma a pagina trenta si ricorda che questo non deve intromettersi nei processi economici. Vincolare, dirigere, perimetrare la libertà dei capitali di valorizzarsi indefinitamente è il non expedit del capitalismo, ancor più accentuato nella sua fase liberista nella quale stiamo invecchiando.  
Dovremmo allora sperare nei capitali pubblici, nei soldi dello Stato, l’atteso raddrizzatore dei torti dell’economia privata. Anche qui, però, siamo in prossimità dell’allucinazione post-trauma. In primo luogo, sfuggirebbe il senso di un’economia privatizzata (come, in questo caso, quella delle infrastrutture autostradali) che però scarica i costi di manutenzione sulle casse pubbliche. Occorrerebbe dunque rinazionalizzare. Figuriamoci. Ma questo è il punto meno importante. Il cuore del ragionamento sta altrove.
Quel che occorre non è tanto il “più Stato” inteso dalla borghesia al potere (cioè lo Stato repressore), ma uno Stato che interviene nella gestione dell’economia, che torni ad occupare un ruolo economico non meramente regolatore, ma attore protagonista. Uno Stato cioè che entri in concorrenza con l’economia privata, e proprio nei campi che in questo trentennio sono stati privatizzati: servizi pubblici quali la mobilità e i trasporti; forniture di beni e servizi essenziali; produzione industriale; produzione culturale; costruzione edilizia; eccetera. Al netto del contesto politico, geopolitico ed economico di riferimento, naturalmente avverso a un processo di questo tipo, pensare questo “Stato manutentore” significherebbe accettare l’idea che lo Stato serva ancora a qualcosa, e che anzi questo possa costituire addirittura un argine alla privatizzazione di ogni aspetto della vita pubblica, che la ritirata dello Stato dall’economia, in questi anni, è servita solamente a favorire la valorizzazione del capitale privato e non la liberazione dalle maglie della coercizione legislativa. Significherebbe, cioè, rimettere in discussione una serie di mitologie politiche su cui campa tutto lo spettro della politica, dalla destra liberista alla sinistra radicale. Lo “Stato manutentore” non esiste, fatevene una ragione. Esiste un potere politico che orienta gli indirizzi economici dello Stato, occupando spazi o ritirandosi da essi. La botte piena e la moglie ubriaca vale solo nei desideri di qualche sognatore fuori tempo.

lunedì 13 agosto 2018

Si sta perpetrando ancora una volta il reato di omossione di soccorso in mare, Mattarella intervenga

Appello al Presidente Mattarella


Egregio Presidente della Repubblica,

e' necessario un suo autorevole immediato intervento per impedire che i ministri del governo in carica commettano nuovamente un disumano crimine.

Due di essi hanno infatti annunciato che ancora una volta il governo neghera' l'approdo nei porti italiani ai naufraghi salvati da una nave di soccorritori volontari.

Negare l'approdo in un porto sicuro ai naufraghi configura l'abominevole e infame reato di omissione di soccorso.

Dalla notte dei tempi salvare la vita ai naufraghi ed accoglierli in salvo in un porto sicuro e' un dovere condiviso dall'umanita' intera.

Il governo italiano sta commettendo un crimine contro l'umanita'.
Intervenga lei affinche' questo orrore, questa barbarie, questa orgia di disumanita' cessi.
Intervenga lei affinche' sia ripristinata la vigenza del diritto.
Intervenga  lei affinche' l'Italia torni nel consesso dei paesi civili in cui vale il principio che salvare le vite umane e' il primo dovere.

Ed intervengano le competenti magistrature affinche' i ministri macchiatisi di una condotta delittuosa cosi' mostruosa siano processati e condannati ai sensi di legge.

Confidando in un suo tempestivo intervento ed augurandole ogni bene,

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo

Viterbo, 13 agosto 2018

Perchè la Monsanto si e Josepha no?

Luciano Granieri



Ve lo ricordate il TTIP il trattato transatlantico  di liberalizzazione commerciale? Quell’accordo che il governo degli  Stati Uniti (a guida Obama) e la  commissione UE stavano concordando  in gran segreto per favorire la fluidità del commercio fra le due aree? Il patto   modificava  i regolamenti standard delle transazioni commerciali e finanziarie , diminuendo   i controlli che ogni singolo  Stato poteva effettuare   sulla nocività delle produzioni  a tutela della salute dei cittadini. Oppure imponendo la modifica di  leggi sul lavoro troppo orientate alla tutela del lavoratore  a scapito dei costi di produzione.

Fra i punti programmatici  inseriti nel TTIP spiccava il “Meccanismo di Protezione degli Investimenti”. Un sistema  che consentiva alle multinazionali di citare i governi   che introducevano   leggi a tutela dei propri cittadini, ma lesive dell’interesse  della multinazionale stessa. Non solo, ma la vertenza fra singolo Stato  e compagnia privata sarebbe stata risolta   non da tribunali ordinari, ma da un consesso riservato di avvocati commerciali i quali avrebbero dovuto basarsi ,nell’emettere il giudizio, esclusivamente sul dispositivo normativo  del  trattato .Cosi un Paese  che aveva introdotto una norma a favore dei cittadini, ma contro il profitto dell’impresa, subiva la  condanna  al  risarcimento dei  danni materiali ed era costretto a modificare la legge .

Fortunatamente l’unico  effetto collaterale positivo della devastante presidenza Trump è stato quello di non procedere oltre  nelle trattative con la commissione Europa per l’approvazione del TTIP. In compenso la stessa commissione  e  il Canada hanno ratificato un accordo molto simile  nel 2017 che dovrà essere convalidato  dai  parlamenti dei singoli Stati.

E’ naturale che le controversie legali  in un trattato  stipulato ad uso e consumo di soggetti “MULTINAZIONALI PRIVATI”  vengano dipanate da istituzioni giuridiche, extranazionali  private fuori dal controllo di ogni singolo Stato. Ma se ciò è corretto, bisogna estendere tale prassi  ad altri soggetti che per loro natura non hanno più una nazionalità . Mi riferisco ai migranti.

Queste persone   non appartengono più  al loro Paese  di origine, che sono stati costretti a lasciare  perché flagellato  da guerre civili, o povertà dilagante, o avversità climatiche drammatiche (tutti regali avvelenati elargiti dalle società capitaliste),  non appartengono ad un Paese di transito, in cui  spesso vengono torturati , men che meno appartengono ad un Paese di approdo, visto che nessuno li vuole accogliere .

Dunque come per le MULTINAZIONALI  si stava  predisponendo una giurisdizione al di fuori degli Stati, così anche per chi, di fatto, non ha più una nazionalità e  scappa da fame e guerre  sarebbe necessario attivare un sistema simile al di fuori della giurisdizione dei singoli governi , e che anzi punisca  i Paesi che non ne garantiscano  la tutela e l'accoglienza.

Mentre all’interno del TTIP (e di altri accordi simili) il diritto al profitto non è basato su alcuna forma giuridica, la  protezione ultranazionale dei migranti è sancita dall’art.6 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948 in cui si sancisce che: “Ogni individuo ha diritto in ogni luogo al riconoscimento della sua personalità giuridica…..  la soggettività giuridica è distinta dalla cittadinanza”. Ciò significa che ognuno deve veder riconosciuta la sua personalità giuridica non solo nel proprio Paese d'origine , ma anche negli uffici d’immigrazione, durante un controllo alla frontiera, nei lager libici,  sui barconi, sulle navi della guardia costiera o delle ONG negli hot spot.

Il riconoscimento della personalità giuridica esula dalle leggi degli Stati che, ad esempio, si prodigano per stilare odiose e illegali  distinzioni fra migranti economici  e richiedenti asilo e in base alla quale i primi si espellono, gli altri vengono  rinchiusi in centri di detenzione.

Come, in base al TTIP, nessuna multinazionale può subire un calo di profitto a seguito di una legislazione  di tutela della sicurezza sul lavoro adottata da un singolo  Stato , così nessun migrante, in base alla dichiarazione universale dei diritti umani , può essere respinto  da una frontiera o da una costa,  nemmeno se le modalità di respingimento ed espulsione sono parte della legislazione nazionale . Se nel rispetto di accordi tipo il Ceta, una multinazionale agroalimentare  può adottare metodi di coltivazioni nocivi per la salute,  nonostante ciò sia vietato dal Paese dove opera , uno Stato non può rifiutare di accogliere persone in base ad una surrettizia lista nera di Paesi di provenienza definiti pericolosi , nessuno Stato può  negoziare con paesi terzi, definiti  “sicuri” accordi di baratto in cui si sancisce la detenzione e  ritenzione forzata del migrante  in cambio di denaro così come avviene fra UE e guarda costiera libica.

 Ma soprattutto la violazione dell’art.6 della Dicharazione della Carta dei Diritti umani deve essere valutata da un organismo giuridico terzo, sovranazionale  che può imporre sanzioni anche gravi ai governi che non la rispettano, imponendo risarcimenti pecuniari anche ingenti a favore di  coloro i quali hanno subito la violazione del riconoscimento della “personalità giuridica” .  Perché per veder riconosciuto il diritto al profitto si possono pianificare sistemi  giuridici extra territoriali  e per veder rispettata lo status di persona umana ciò non può essere parimenti realizzato?

Perché la Monsanto si e Josepha no?  E’ una provocazione? Si è una provocazione, ma che non è giuridicamente così campata in aria, ovviamente se a leggerla è uno che sa leggere e scrivere, quindi Salvini è escluso.