Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 29 luglio 2017

La crisi idrica mette a nudo i danni di mala gestione e privatizzazione dell'acqua

Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua​


Stop alla distribuzione dei dividendi, tutti gli utili per la ristrutturazione delle reti idriche



L'emergenza idrica è oramai un'evidenza conclamata, con effetti nefasti sulla disponibilità per uso umano, sull'agricoltura e più in generale sull'ambiente.


Si tratta di una drammatica realtà provocata dall'acuirsi dei cambiamenti climatici a cui, da oltre vent'anni, si sono sovrapposti i processi di mercificazione e privatizzazione dell'acqua.

I fautori dell'ingresso dei privati nella gestione dell'acqua avevano utilizzato come argomento forte la grande opportunità di apporto di capitali da parte di quest'ultimi per rendere più efficiente il servizio, per restrutturare le reti e costruire gli impianti di depurazione. Inoltre, grazie al mercato e alla concorrenza, il tutto sarebbe stato più economico per i cittadini.

La proposta comprendeva anche l'ovvio benificio all'ambiente visto che si sarebbe salvaguardata maggiormente la risorsa.

Vent'anni dopo le tariffe e le perdite delle reti sono aumentate, gli investimenti sono diminuiti, l'Italia è sotto procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea per l'inadeguatezza del trattamento delle acque reflue.

E' evidente che qualcuno non l'ha raccontata giusta.

Oggi i fautori del mercato e delle privatizzazioni, non contenti del permanere in tariffa, sotto mentite spoglie, della remunerazione del capitale investito abrogata dal referendum, sostengono che le tariffe non forniscono abbastanza soldi per fare gli investimenti per cui devono essere ulteriormente innalzate fino ad allinearsi ai livelli europei.

Che qualcosa non torni in queste argomentazioni è molto semplice dimostrarlo:

  • le quattro “sorelle dell'acqua” (IREN, A2A, ACEA, HERA), ossia le quattro grandi società multiutilitiy quotate in borsa, tra il 2010 e il 2014 hanno distribuito oltre 2 miliardi di € di dividendi ai propri soci, addirittura oltre 150 mln di € in più degli utili prodotti nello stesso periodo;
  • ACEA ATO 2 S.p.A. tra il 2011 e il 2015 ha distribuito in media come dividendo ai propri soci (quasi esclusivamente ACEA S.p.A.) il 93 % degli utili prodotti, ossia circa 65 mln di €/anno, per poi ottenere dalla stessa ACEA S.p.A. dei finanziamenti a tasso di mercato che utilizza per fare gli investimenti.

Utilizziamo questi esempi perchè le 4 multiutility rappresentano gli operatori più rilevanti del mercato italiano rifornendo complessivamente circa 15 mln di cittadini.


Mentre ACEA ATO 2 S.p.A. è un caso emblematico rispetto al fallimento del modello di gestione privatistico che ancora oggi si vorrebbe estendere a tutta Italia: perdite delle reti che sono quasi raddoppiate negli ultimi 10 anni, emersione del disastro ambientale dovuto all'abbassamento del livello delle acque del lago di Bracciano, la minaccia dell'azienda di razionare l'acqua a 1,5 mln di cittadini romani a seguito dell'imposizione dello stop alle captazioni dal lago, diminuzione degli investimenti.

I dati ci dicono in maniera palese che i soldi ci sono ma che non sono utilizzati per effettuare gli investimenti e garantire così un servizio essenziale, ma per remunerare gli azionisti (pubblici e privati), ossia il modello di gestione privatistico, secondo cui il costo totale del servizio idrico è interamente coperto dalla tariffa e l'affidamento viene fatto a soggetti privati, ha dimostrato il suo fallimento.

E' necessaria dunque una radicale inversione di tendenza rispetto a questo modello, che si può realizzare unicamente con la ripubblicizzazione del servizio idrico e un nuovo sistema di finanziamento, basato sulla leva tariffaria, sulla finanza pubblica e la fiscalità generale. Parte integrante di questo modello di gestione pubblica è la predisposizione di un Piano nazionale per la ristrutturazione delle reti idriche.

In coerenza con quest'impostazione, a fronte della situazione di emergenza idrica che si è evidenziata in quest'ultimo periodo di tempo e che comunque ha caratteristiche strutturali, occorre mettere in campo rapidamente alcuni interventi in grado di aggredirla e dare ad essa soluzioni utili. In particolare, tre ci sembrano le misure prioritarie che si possono assumere in tempi brevi, anche attraverso una strumentazione legislativa come il decreto legge, che contempli:

  • la destinazione degli utili delle aziende che gestiscono il servizio idrico alla ristrutturazione delle reti idriche, sulla base del Piano nazionale ad esso dedicato;
  • incentivi all'ammodernamento degli impianti di irrigazione in agricoltura (ad es. irrigazione a goccia) e all'utilizzo delle acque piovane;

  • incentivi alla realizzazione di reti idriche duali ed all’installazione di dispositivi per il risparmio idrico nell’edilizia di servizio, residenziale e produttiva.

video di Luciano Granieri

venerdì 28 luglio 2017

Venezuela, una domenica decisiva

Fabio Marcelli


C'è veramente un fortissimo problema di libertà d'informazione, se perfino un giornale che si continua ad autodefinire comunista come il manifesto, decide di non pubblicare le corrispondenze da Caracas della sua giornalista Geraldina Colotti (decisione davvero inspiegabile che ci si augura venga revocata al più presto) che le ha messe sui social media a beneficio di chi voglia attingere a fonti diverse da quelle dominanti per capire cosa realmente stia accadendo nella Repubblica bolivariana di Venezuela.
Scrive Geraldina, a proposito dello sciopero di 48 ore proclamato dall'opposizione qualche giorno fa: "Nella maggioranza della capitale, nella maggioranza del paese, tutto è aperto e si produce. Secondo il monitoraggio dei media indipendenti, anche negli Stati governati dall'opposizione la percentuale di chi ha scioperato nelle fabbriche è minima (tra il 10 e il 18%). Nelle zone agiate di Caracas, invece, continuano le violenze benché in proporzione più ridotta: anche grazie all'attivazione del Plan Zamora, il piano di prevenzione dispiegato dal governo per garantire il voto del 30 in sicurezza. Nel Merida vi sono stati scontri e un morto".
Notizie che ben difficilmente potrete trovare sui giornaloni, italiani o di altri Paesi occidentali. Come pure non troverete la discussa conferenza stampa del capo della CIA, Pompeo, che ha rivelato come la nota agenzia di intelligence stia pianificando il suo intervento in Venezuela con Messico e Colombia, due Paesi indubbiamente all'avanguardia in fatto di diritti umani, dove si contano ogni anno centinaia di vittime tra giornalisti, sindacalisti, studenti, leader sociali. Beninteso i governi di tali Paesi hanno smentito, ma Pompeo ha parlato chiaro. 
L'informazione è un bene pubblico troppo importante per sacrificarlo a logiche censorie che censurino o distorcano quanto fatto o affermato da alcune delle parti in causa. Quindi va dato spazio a tutte le voci e a tutte le notizie. Certamente quando, più o meno cent'anni fa, John Reed mandava le sue corrispondenze dalla Russia in fiamme, poi raccolte nel libro "Dieci giorni che sconvolsero il mondo" e riprodotte da Warren Beatty nel film Reds, non esisteva Facebook e neanche la televisione. Esisteva però un giornalista militante e coraggioso, come Reed, che mettendo nero su bianco le sue cronache ci ha consentito di conoscere quegli avvenimenti. Dei tanti, certamente meno sofisticati di quelli di oggi, pennivendoli dell'epoca non è invece ovviamente rimasto niente.
La posta in gioco in Venezuela è immensa. Il potere imperiale e le multinazionali del petrolio vogliono riprendere il controllo delle maggiori riserve petrolifere accertate al mondo. Non è certamente casuale che l'attuale capo del Dipartimento di Stato, Tillerson, provenga dai ranghi della Exxon Mobil, in lizza con il Venezuela, tra l'altro, per il controllo degli enormi giacimenti dell'Esequibo.
Certamente il chavismo e Maduro possono aver commesso degli errori. Ma la scelta di mettere il potere decisionale in mano al popolo, convocando le elezioni per l'Assemblea costituente che si svolgeranno domenica prossima, è una scelta giusta e che può aprire la strada a una soluzione pacifica e partecipata della crisi venezuelana.
Non attraverso la violenza di piazza che inevitabilmente provoca una reazione a sua volta violenta, ma attraverso il voto e il dibattito democratico capillare, in tutto il Paese, sulle scelte da attuare per combattere i mali atavici che affliggono questo Paese come gran parte dell'America Latina e che sono fra loro direttamente interconnessi: dipendenza dal modello estrattivo, corruzione, criminalità.
L'opposizione vorrebbe farci credere che potrà dare una risposta a questi problemi atavici restaurando la tradizionale dipendenza del Venezuela dai centri del potere imperiale, che si accompagna alla restaurazione completa del dominio della classe dominante all'interno del Paese, con la possibilità di destinare qualche briciola alla classe media inquieta. Ma è lecito nutrire forti dubbi che questa sia la soluzione migliore.
Ad ogni modo, domenica il popolo venezolano si esprimerà in merito partecipando  alle elezioni della Costituente, negli oltre tredicimila centri di votazione installati dal Comitato nazionale elettorale in tutto il Paese. Ci sarà un'ampia partecipazione? Lo vedremo domenica, intanto, sia il successo della prova generale svolta due settimane fa, che la grande massa di gente in piazza a Caracas ieri, lasciano presagire che Nicolas Maduro e il suo governo l'abbiano azzeccata in pieno. Ora la parola passa al popolo.



VENEZUELA, LE MAGLIETTE ROSSE OCCUPANO LA SCENA

Pubblichiamo nella nostro spazio un articolo di Geraldina Colotti inviata per "il manifesto" in Venezuela. Lo pubblichiamo noi visto che "il manifesto" ,sedicente quotidiano comunista, ha deciso di censurare la sua inviata....potenza dell'imperialismo! Il pezzo è tratto dalla pagina facebook di Geraldina Colotti




GERALDINA COLOTTI
CARACAS



A Caracas, l'avenida Bolivar straripa, straripano le vie adiacenti. Sul palco, tutte le dirigenti e i dirigenti del socialismo bolivariano. Il presidente Maduro prende un binocolo per guardare dove finisce la folla. E' il principale atto di chiusura della campagna elettorale per l'Assemblea Nazionale Costituente (Anc). Il 30 si vota.
Il discorso del presidente culmina con un nuovo appello all'opposizione per un “accordo di unità nazionale” e l'inizio di un nuovo “tavolo di negoziato”. Alcune formazioni come Un Neuvo Tiempo, Avanzada Progressista e Bandera Roja hanno aderito. In questi giorni, il capo dei mediatori internazionali, l'ex presidente spagnolo Zapatero, ha tenuto diversi incontri con i leader dei partiti di opposizione ed è parso relativamente ottimista. 
Ha incontrato anche Leopoldo Lopez, capo di Voluntad Popular (estrema destra). Poi sono comparsi due video. In uno si vede Lopez, condannato a quasi 14 anni per le violenze del 2014 e ora agli arresti domiciliari, attaccare il governo e l'Anc e riproporre l'agenda della sua compagine (la Mesa de la Unidad Democratica – Mud-). In un secondo video - ritenuto un falso – Lopez sembra invece invitare a partecipare all'Anc. Un doppio messaggio com'è consuetudine delle destre che giocano sempre su più tavoli? Intanto, la fake woman Lillian Tintori, sua moglie, è partita per Miami con la famiglia. Altri dirigenti oltranzisti hanno il passaporto pronto. 
Sul campo, restano i pasdaran delle “guarimbas”, che hanno provocato oltre 100 morti e danni per milioni di dollari: giovani delle classi agiate, esaltati o annoiati, o mercenari. A quelli in buona fede, a chi ha delle ragioni per protestare pur ignorando l'origine dei problemi, Maduro ha offerto una sponda ripetendo lo slogan “voto e non proiettili”. Una consegna inversa a quella imposta alle proteste durante la IV Repubblica. Ai blocchi stradali che proseguono nelle zone bene della capitale restano pochissimi incappucciati, che però tengono in ostaggio interi quartieri e hanno provocato l'insofferenza di quanti, nell'opposizione, vogliono cacciare qualche urlo, ma non a costo di rinunciare al proprio stile di vita.
“Uno dei miei più grandi errori è stato quello di aver sottovalutato il potenziale violento dell'opposizione”, ha detto Maduro in un'intervista a Rt. Dopo le 48 ore di “sciopero generale” - fallito nonostante i falsi dati diffusi dai media – la Mud ha lanciato per oggi la “presa del Venezuela”. Gli Usa hanno invitato i loro concittadini a lasciare il Venezuela o a non uscire di casa. Per il giorno del voto è scattato il divieto a manifestare per 24 ore, pena una condanna a 10 anni. Il provedimento è stato impugnato dalla ong Espacio Publico. 
Gli Usa hanno emesso sanzioni per 13 funzionari pubblici del governo Maduro. Tra questi, giudici del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), il massimo organo di equilibrio e garanzia dei 5 poteri di cui si compone la Repubblica presidenziale. “Qui comanda il popolo, noi siamo al suo servizio per una funzione di garanzia. Non ho conti all'estero, non sono colpito personalmente. Si tratta di una misura per gettare discredito sul proceso bolivariano, una misura di carattere neocoloniale”, ci ha detto ieri il presidente del Tsj, Maikel Moreno. 
Il Tsj ieri ha incontrato i visitatori internazionali, movimenti e organizzazioni provenienti soprattutto dal Latinoamerica, ma anche dagli Usa e dall'Europa. I messicani hanno rigettato le dichiarazioni del loro governo, che ha annunciato di volersi accodare alle sanzioni emesse da Trump e avallate dall'Europa. I colombiani hanno denunciato e respinto i piani della Cia con Messico e Colombia per stroncare il governo del Venezuela. 
“Compagni magistrati” - ha esordito il presidente suscitando un effetto straniante nei pochissimi europei presenti. Nelle sue parole, la consapevolezza di presiedere un passaggio delicatissimo del “proceso bolivariano” (“un processo, appunto, non solo una giornata di voto per l'Anc”), ma anche un passaggio storico: che fa “memoria”, giuridica e politica, mettendo le decisioni nelle mani del “potere popolare”.
Tra i “sanzionati” anche il ministro della Difesa, il generale Vladimir Padrino Lopez, figura autorevole fedele al socialismo bolivariano e sordo ai richiami al golpe rivolti dalle destre alle Forze Armate. “Siamo una rivoluzione pacifica, ma armata”, ha detto più volte Padrino ripetendo le parole di Chavez. E in questi giorni si è fatto filmare durante un'esercitazione militare: anche per mostrare il pieno recupero da un tumore da cui è stato colpito.
All'Osa, il Segretario generale Luis Almagro, emissario di Washington contro Maduro, ha subito un altro stop: solo 13 paesi hanno risposto alla sua nuova chiamata contro l'Assemblea Costituente in Venezuela. Questa volta, anche l'Uruguay ha fatto muro. Il presidente boliviano, Evo Morales, ha avvertito che sono state preparate le condizioni per un'aggressione Usa al Venezuela. Anche il Nicaragua, colpito da sanzioni finanziarie emesse di recente dagli Usa, ha lanciato l'allarme. Per tutta l'America latina progressista, il Venezuela è una vera e propria Stalingrado. L'intervento contro Caracas sta alzando la soglia del nuovo colonialismo: le istituzioni che intralciano gli interessi di grandi conglomerati internazionali si possono cancellare impunemente, con il silenzio, il discredito e il sostegno alla sovversione interna spacciata per “legittima ribellione”. Il Venezuela sembra diventato l'unico paese in cui fior di “pacifisti” difendono persino i linciaggi pur di cancellare l'insopportabile operaio del metro Nicolas Maduro. Ieri, nell'incontro al Tsj, un compagno del Paraguay ha denunciato che una rapina multimilionaria compiuta nel suo paese a passata sotto silenzio quando nel paese era presente Tintori potrebbe essere servita per finanziare gli oltranzisti in Venezuela. Il governo del Paraguay - frutto del golpe istituzionale contro Fernando Lugo - è uno dei più accaniti contro il Venezuela nel Mercosur. Senza Caracas, il Mercosur sta firmando il Trattato di Libero Commercio con l'Europa. 
Padrino Lopez ha respinto “la burla delle sanzioni”, che non colpiscono solo i funzionari, “ma tutto il Venezuela”, indipendentemente dalle posizioni politiche. “Non possiamo costruire una comunità internazionale con le bombe, con la guerra, sterminando l'umanità e l'ambiente”, ha detto rivolto ai paesi subalterni agli Usa. “Signori imperialisti – ha aggiunto - bisogna rispettare i popoli, rispettare il popolo venezuelano e la sua dignità”.
Oggi, mentre l'opposizione prepara la “presa del Venezuela”, un'altra grossa fetta di paese, che non compare sui media mainstream, ricorda la nascita di Hugo Chavez. “Chavez corazon del pueblo”, fischiettano per strada gli operai della nettezza urbana.

La cantante di jazz

Marc Livanos
 traduzione di Luciano Granieri



Rinfresco   il mio palato
così la mia mente vaga

Plana giù
fino alle memorie di ragazzina

Campi sconfinati e nudi
di esile cotone

Si apre l’orizzonte
su  chioschi di quercia secolare

Mi conduce verso
un anello di sereno cielo blu  

Mi accompagna vicino casa
con fare cortese

Mi trasporta verso
giorni maliziosi senza preoccupazioni

Mi aiuta
a cantare il blues

Riempie la mia sporta  delle soddisfazioni
di un  grande  e necessario apprezzamento.





A tutti i consiglieri comunali di Frosinone. Mozione STOP CETA. Da presentare in consiglio e approvare.

Il 25 luglio scorso la commissione  esteri del Senato ha approvato il CETA, l'accordo commerciale fra Unione Europea e Canada. L'ennesimo obbrobrio neoliberista che stanno facendo passare  sulle nostre teste  incuranti di quanto è scritto nella  Costituzione. Per evitare che le multinazionali si impossessino anche dell'opportunità giuridica di condannare  quegli Stati, Regioni e Comuni colpevoli di  non assecondare la loro macelleria sociale e civile -perchè convinti che    i diritti dei propri cittadini vengano prima dei profitti -chiediamo alle nostre amministrazioni locali di approvare mozioni "STOP CETA". In particolare ci rivolgiamo ai neo eletti nel consiglio comunale di Frosinone affinchè presentino la mozione  e l'approvino. Il popolo ciociaro non merita ulteriori attacchi alla tutela della propria salute e all'integrità  del territorio.

Luciano Granieri.



MOZIONE



Sul trattato CETA

IL CONSIGLIO XXXXXXX
ASSEMBLEA LEGISLATIVA XXXXXX


PREMESSO che il CETA (in inglese Comprehensive Economic and Trade Agreement, letteralmente "Accordo economico e commerciale globale") è un trattato di libero scambio tra Canada e Unione europea;

APPURATO che i negoziati che hanno portato al CETA sono durati cinque anni, dal 2009 al 2014; gli Stati dell'UE e i membri del Parlamento europeo hanno ricevuto il 5 agosto 2014 il testo completo, che è stato quindi reso pubblico in un summit UE-Canada il 26 agosto successivo;

VISTO che il 29 febbraio 2016 la Commissione europea e il Canada hanno annunciato di aver terminato la revisione legale della versione originale dell'accordo, che è stato quindi firmato a Bruxelles il 30 ottobre 2016, mentre per l'Unione europea il trattato è stato approvato dal Parlamento europeo il 15 febbraio 2017;

APPRESO che il Senato della Repubblica ha recentemente approvato il CETA: il provvedimento è passato in Commissione Affari Esteri;

DATO che il CETA include l'Investment Court System (Ics), un sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti che permette alle imprese di citare in giudizio gli Stati e l'Ue dinnanzi a un tribunale speciale extra-territoriale. In sintesi, la giurisdizione viene sottratta alle istituzioni previste dalle costituzioni democratiche e "privatizzata", sradicata da qualunque relazione con la sovranità democratica;

VISTO che il Canada non ha ratificato diverse convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, tra cui alcune delle Convenzioni fondamentali: la Convenzione sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva; la Convenzione sull'età minima per lavorare; la Convenzione in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. In sostanza, si aggrava il dumping sociale, la concorrenza sulla pelle di lavoratori e lavoratrici;

RILEVATO che il CETA aumenta i rischi per la salute, come ha sottolineato, in una argomentata lettera a deputati e senatori, Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, protagonista insieme a Cgil, Arci, Acli Terra, Federconsumatori, Legambiente, Slow Food International, Green Peace, Fair Watch, Movimento Consumatori e tanti altri di un largo movimento per il blocco del Ceta. I rischi per la salute aumentano a causa "dell'applicazione del principio di equivalenza delle misure sanitarie e fito-sanitarie che consentirà ai prodotti canadesi di non sottostare ai controlli nei Paesi in cui vengono venduti. Ricordiamo che in Canada è impiegato un numero rilevante di sostanze attive vietate nella Ue";

CONSIDERATO che il CETA colpisce il nostro Made in Italy agro-alimentare: all'Italia sono riconosciute appena 41 indicazioni geografiche, a fronte di 288 Dop e Igp registrate, con conseguente rinuncia alla tutela delle restanti 247, oltre al sostanziale occultamento delle informazioni sull'origine dei prodotti a vantaggio dell'Italian sounding, ossia il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori – unesempio è il Parmesan – e alla possibilità di usare le espressioni“tipo, stile o imitazione”;

DATO che l’accordo Ceta con il Canada non solo legalizza la pirateria alimentare, accordando il via libera alle imitazioni canadesi dei nostri prodotti più tipici, ma spalanca le porte all’invasione di grano duro trattato in preraccolta con il glifosate vietato in Italia e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero;

VALUTATO che fermare il Ceta è un atto di coerenza rilevante per chi vuole la difesa e l'attuazione della Costituzione, per chi vuole affrontare il problema della disuguaglianza e della sostenibilità sociale ed ambientale;

APPRESO che l’accordo non include norme esigibili volte a tutelare e migliorare i diritti dei lavoratori, contiene un capitolo non condivisibile sulla protezione degli investimenti, nonché sui diritti particolari degli investitori di adire in giudizio gli Stati, nella liberalizzazione dei servizi, l’accordo persegue un approccio basato su una lista negativa e non protegge adeguatamente i servizi pubblici;

DATO che gli accordi di libero scambio debbono essere posti al servizio di obiettivi che tengano conto di compatibilità cruciali quali l’occupazione, i diritti umani, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile. Ciò ha come premessa una logica di trasparenza e un principio di reciprocità fra i contraenti che copra tutte le clausole vincolanti; a proposito del CETA sia gli obiettivi che i processi negoziali non rispondono a queste esigenze;




IMPEGNA
Il Presidente della Giunta e l’Assessore competente

·         A contrastare, in ogni sede e luogo istituzionale, l'accelerazione della procedura di approvazione così come la ratifica finale del trattato CETA, chiedendo l'apertura di un confronto ampio e partecipato sugli effetti dell'approvazione di tali trattati sul tessuto economico-sociale, l'ambiente e i diritti nel nostro Paese;


·         a ribadire, nelle appropriate sedi istituzionali, il diritto degli enti territoriali di poter essere interpellati e coinvolti sulle questioni riguardanti gli impatti dell'approvazione dei trattati di libero scambio sui diritti del lavoro, sulla tutela dei territori da investimenti esteri insostenibili a livello ambientale e sociale, sulla tutela delle economie locali da competizione troppo spesso al ribasso.

Vertenza Frusinate: accordo regionale mobilità in deroga

Di Pede Giuseppe,  Resp.  Lavoro Prc - Se





Un sospiro di sollievo per l’accordo regionale sulla mobilità in deroga per le zone di Frosinone e Rieti. E’ questo il nostro giudizio.

E’ un accordo necessario, ma che non risolve del tutto la  situazione alquanto complicata del nostro territorio, maglia nera  tra le province Lazio per i dati occupazionali, la cui situazione di recessione da anni, è indecente e preoccupante.

Finalmente si inizia a parlare di politiche attive. D’altronde non esistono altre strade dato che gli ammortizzatori sociali senza politiche attive non servono a nulla, anzi, rischiano di essere controproducenti in quanto possono indurre il lavoratore ad adagiarsi e perdere il senso della dignità che solo il lavoro può conferire.

Profondo apprezzamento per il Comitato dei disoccupati: la loro battaglia è stata importante per raggiungere lo scopo. Non hanno mai mollato e con caparbietà e determinazione sono riusciti a rimettere il lavoro al centro dell’agenda politica.

Rifondazione è stata sempre al fianco del comitato con tutte le proprie energie, rispettandone sempre l’autonomia e l’autorevolezza dei temi che da anni propongono.

Non ci fermiamo adesso, diamo continuità agli sforzi fatti e insieme a tutte le forze interessate costruiamo un grande fronte a sostegno di una legge regionale per il reddito minimo.
 Rifondazione Comunista è a disposizione e risponde favorevolmente agli appelli di “Uno e Tre” e del “Comitato dei disoccupati”.

Bisogna riformulare radicalmente le politiche per il lavoro per questa provincia, così non và bene, sono ormai troppi anni che si và avanti con proroghe e ammortizzatori in deroga che non hanno certo migliorato la situazione.

Si stanno perdendo antichi mestieri, l’artigianato continua a scomparire dopo la fagocitazione subita da parte di una facile e illusoria industrializzazione cresciuta negli anni ’70 e subito morta nei ’90; l’agricoltura è un lontano ricordo ai limiti del folklore;  le aziende chiudono o se va bene sono in cassa integrazione; per i giovani il lavoro è un miraggio: oltre il 50% di loro non ne ha mai avuto, molti vanno via, molti sono costretti a sopravvivere ed hanno smesso di cercarlo, molti sono sfruttati in indegni lavori sottopagati; le pensioni dei nonni sono diventati per i  più un miserrimo ammortizzatore sociale.
Quanti di questi giovani, ad esempio, potrebbero essere coinvolti in uno sviluppo del turismo nel nostro territorio? Una provincia, la nostra che non ha mai considerato seriamente il turismo come risorsa economica: abbiamo posti incantevoli, bellezze artistiche, storiche e naturalistiche incomparabili, borghi bellissimi, insomma un territorio da proporre quale meta di un turismo che possa valorizzare il territorio creando occupazione e reddito.

E intanto la situazione degli ammortizzatori sociali in Italia è a un vero e proprio tracollo: la riforma Fornero prima e il Jobs Act dopo, hanno smantellato un importante impianto di sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro.

La cancellazione della mobilità ordinaria e della CIGS per cessazione di attività, è stato un crimine verso chi perde il lavoro; l’istituzione della naspi in sostituzioni di detti ammortizzatori assomiglia ad una carità dello stato verso chi perde il lavoro.

I questa situazione l’allungamento dell’età pensionistica determina quanto c’è di peggio in termini di destrutturazione sociale del paese.

Queste sono le scelte passate attraverso il voto in parlamento e l’avallo dell’azione del governo a guida PD da parte di MdP (D’Alema – Bersani-Speranza) che, insieme a tutte le altre forze neoliberiste, hanno raccontato che tali interventi li chiedeva l’Europa e che sarebbero stati necessari al fine di far ripartire il paese.

Dove sono finiti quei risparmi dovuti ai tagli a senso unico? Su cosa si è puntato per riavviare la crescita? Era proprio questo che chiedeva L’Europa? Oppure imponeva di non risparmiare risorse per salvare pezzi del sistema bancario condotto da una classe dirigente truffaldina?

Noi sappiamo che ad arricchirsi in questi anni sono state le banche e gli speculatori, e che le ricchezze sono concentrate nelle casse di poche famiglie straricche!!!

Dato questo stato delle cose, Rifondazione Comunista non è interessata a stringere accordi con forze politiche che ne sono responsabili, ma piuttosto è interessata a riprogettare e a ricostruire in termini di programma politico a breve e medio termine quanto perduto in tema di diritti del lavoro, di diritto al lavoro, di sviluppo economico ecocompatibile e con chi è seriamente interessato a perseguire questo orizzonte.


Nei prossimi mesi metteremo in campo una forte iniziativa, al fine di guardare dentro le piaghe della nostra provincia e del nostro paese, e rimettere al centro dell’attenzione le politiche sociali e del lavoro in una provincia che deve cambiare, che per farlo sappia riconoscere tutti i mezzi e le opportunità già disponibili. Qui ed ora.

mercoledì 26 luglio 2017

Meglio il dividendo che il tubo.

Luciano Granieri





Amici risparmiatori, investireste in azioni Acea?  La gestione della risorsa idrica che la multi utility romana sta portando avanti nel Lazio, e in particolare a Roma e Frosinone, attraverso le proprie controllate, Acea Ato2 e Acea Ato5 è assolutamente deficitaria. Com’è noto per evitare di lasciare la città di Roma a secco si sta svuotando il lago di Bracciano e, nonostante ciò, nella Capitale l’acqua è razionata. Le  fontanelle tipiche di Roma i cosiddetti “nasoni” sono state chiuse. 

La Regione ha vietato  ad Acea  la captazione idrica nel lago di Bracciano per non comprometterne definitivamente l’eco sistema  , la riposta della società di Via Ostiense è stata perentoria, senza l’acqua del lago Roma rimarrà definitivamente a secco. La ragione della mancanza di flusso idrico    è dovuta anche  alla notevole dispersione   determinata  da una  rete vecchia  di 30  e, in alcuni casi, di  50 anni. Il 40% dell’acqua di Roma finisce per le strade. La stessa situazione si verifica a Frosinone, anzi qui è peggio, la dispersione arriva al 70%. 

Dunque, l’acqua non arriva perché si disperde,    il lago di Bracciano rischia di scomparire  per i prelievi continui. Stiamo descrivendo un servizio inefficiente e dispendioso. Se una società incaricata di distribuire la risorsa idrica in città non riesce a svolgere il proprio compito, ma anzi crea disagi allagando le strade e prosciugando i laghi  significa che non è efficiente . Alla luce di quanto detto ripeto la domanda ai risparmiatori. Comprereste la Azioni di Acea? Una risposta esauriente arriva dalle maggiori banche d’affari i quali consigliano caldamente di investire nella multi utility romana . Come si giustifica questo invito ad acquisire quote di  un’azienda così inadempiente? E’ la finaziarizzazione dei servizi bellezza! Quello che si voleva evitare  con il referendum del 2011. 

Le cose stanno così. Per risolvere il problema, o iniziare a risolverlo, sarebbero necessari investimenti per il ripristino e l’ammodernamento della rete. Ma se ciò avvenisse calerebbero i dividendi degli azionisti. Acea attraverso la sua controllata Ato2 realizza a Roma un utile di 70 milioni di euro l’anno. Il 94% di tali utili non viene investito per aggiustare una rete colabrodo, ma finisce dritto nelle tasche dei soci azionisti.  E se proprio fosse necessario qualche soldo per manutenzione  Ato2, e le altre controllate, possono chiedere un finanziamento ad Acea-holding la finanziaria del gruppo, la quale concederà il prestito alla sua controllata (praticamente a se stessa) addebitando gli interessi sulla fattura degli utenti , cioè sulle spalle di tutti i cittadini. 

Tanti soldi in bolletta (compresi gli interessi di un eventuale  prestito)   poca acqua erogata, e pure male, ecco che il margine per gli azionisti diventa più che appetibile, mentre i cittadini devono fare i conti con rubinetti a secco e strade allagate. Se quei 70 milioni  di euro venissero reinvestiti nell’ammodernamento della rete e nel miglioramento del servizio, i cittadini ne godrebbero in termini di utilizzo dell’acqua e di risparmio nella tariffa, ma gli azionisti vedrebbero pochi soldi e ciò non va per niente bene. Gli advisor finanziari non consiglierebbero di investire in Acea, e si sa, bisogna sempre accontentare  gli investitori anche  a costo di costringere  la gente a morire di sete. 

Un altro fatto curioso e surreale è che per scongiurare il blocco dell’erogazione idrica a Roma - minacciato da Acea a seguito del divieto imposto dalla Regione Lazio di prelevare l’acqua dal lago di Bracciano - le parti  (Acea e Regione) sono state invitate dalla sindaca  di Roma Virginia Raggi in Campidoglio per un confronto finalizzato a far rientrare  l’emergenza. Ma Virginia Raggi, come sindaco di Roma, non è il maggior azionista di Acea con il 51%  delle quote? 

Non è un soggetto terzo, è, o dovrebbe essere, essa stessa  Acea. Eppure sono gli azionisti privati di minoranza a dettare le regole (GDF Suez e Caltagirone), come se il socio di maggioranza non esistesse. Che ci faceva la sindaca Raggi seduta fra le parti?  Sarebbe dovuta stare nel lato di Acea  come maggiore azionista ad esigere che i dividendi, pure  spettanti  al Comune di Roma, fossero investiti nel miglioramento del servizio. L’aveva detto in campagna elettorale( VEDI QUI).  Qualora fosse diventata sindaca, Virginia Raggi  avrebbe cambiato il management di Acea e avrebbe iniziato ad investire nel  miglioramento delle reti. Promesse da marinaio? Forse, promesse di un marinaio che governa una barca ormai in secca.

Le immagini del video che segue sono state riprese martedì lunedì scorso 25 luglio in Via Gianturco a Rona, vicino a Piazzale Flaminio.

Adesione all'appello Falcone - Montanari.

Dionisio Paglia



 Il 18 giugno ho partecipato all'Assemblea del Teatro Brancaccio a Roma, aderendo all'appello politico lanciato da Anna Falcone e Tomaso Montanari. E' tempo di dare rappresentanza nel prossimo Parlamento alla "parte più fragile di questo Paese e quanti, giovani e meno giovani, in seguito alla crisi, sono scivolati nella fascia del bisogno, della precarietà, della mancanza di futuro e di prospettive. La parte di tutti coloro che da anni non votano perché non credono che la politica possa avere risposte per la loro vita quotidiana: coloro che non sono garantiti perché senza lavoro o con lavoro precario; coloro che non arrivano alla fine del mese, per stipendi insufficienti o pensioni da fame".

La grande questione del nostro tempo è la diseguaglianza e a questa si può rimediare inverando una volta per tutte l'art.3 della nostra Costituzione che recita tra l'altro:..." E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

"Per far questo è necessario aprire uno spazio politico nuovo, in cui il voto delle persone torni a contare. Ci vuole dunque una Sinistra unita, in un progetto condiviso e in una sola lista. Una grande lista di cittadinanza e di Sinistra, aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati, società civile. Un progetto capace di dare una risposta al popolo che il 4 dicembre scorso è andato in massa a votare "NO" al Referendum Costituzionale, perché in quella Costituzione si riconosce e da lì vorrebbe ripartire per attuarla e non limitarsi a difenderla".

E' necessario elaborare "un progetto che parta dai programmi, non dalle leadership e metta al centro il diritto al lavoro, il diritto a una remunerazione equa o a un reddito di dignità, il diritto alla salute, alla casa, all'istruzione".

"Un simile progetto e una lista unitaria non si costruiscono dall'alto, ma dal basso. Con un processo di partecipazione aperto, che parta dalle liste civiche già presenti su tutto il territorio nazionale e che si apra ai cittadini, per decidere insieme, con metodo democratico, programmi e candidati".

Condividendo a pieno le ragioni di questo appello, ho deciso di farmi promotore, subito dopo la pausa estiva, di un'assemblea provinciale a Frosinone per chiamare a raccolta tutti coloro che si riconoscono in questi valori e vogliono avviare insieme questo processo.

lunedì 24 luglio 2017

Frosinone. Il buon cittadino paga sempre di più per avere sempre di meno.

Luciano Granieri


Il prossimo 31 luglio scade il termine per il pagamento della TARI al Comune di Frosinone. In base alla determina dirigenziale 1605/ del 21/06/2017, i cittadini frusinati dovranno pagare globalmente 10.213.264,  divisi  in:  9.726.909 di competenza dell’ente e € 486.355 di competenza della Provincia. Cioè tutti noi entro il 31 luglio dovremmo sborsare oltre 10milioni di monnezza! Che  esagerazione!  

Cerchiamo di capirci qualcosa . Con determina dirigenziale n.244 del 05/02/2016 l’appalto per i  servizi di raccolta e trasporto dei  rifiuti urbani è stato assegnato alla ditta Sangalli. Un atto illegale  perché la Sangalli  non avrebbe dovuto neanche concorrere alla gara  in quanto  priva dei requisiti di moralità professionale, (il vertice della ditta monzese è stato condannato per corruzione). A causa  della mancata verifica dei requisiti necessari, da parte del Comune, si è affidato  l'incarico  ad una ditta priva di titoli per espletarlo.Per questa svista  l’ente  dovrà pagare le spese legali  in quanto perdente nel  ricorso al TAR, inoltrato Da Devizia, legittima aggiudicataria del servizio,  contro Sangalli e il Comune stesso.

I costi dell’appalto, assegnato  a Sangalli, sono  quantificati  in 26.500.000 euro, oltre IVA ed oneri per la sicurezza. Spalmati in cinque anni, la quota   annuale  è di € 5.300.000. De Vizia, subentrante a Sangalli per via giudiziaria,  pare si accontenterà di €24.748.350  (4.949.670 all’anno) . E allora come ci arriviamo a 10milioni? O almeno ai 9milioni e sette spettanti solo al Comune? 

In  base al DPR 158/199 la determinazione della tariffa è composta da una parte fissa, comprendente  i costi operativi generali, e una parte variabile, determinata  annualmente, il cui ammontare scaturisce  dalla quantità e dalla modalità di raccolta e trasporto  dei rifiuti  (differenziati e  indifferenziati). Nel leggere i conti, attraverso le delibere del Comune  che approvano i  piani economici e finanziari  della TARI, ci rendiamo conto che il costo annuale delle tariffe, così come scritto nell’appalto, è coperto quasi interamente dalla parte fissa. Nel 2015 corrispondeva a  € 4.502.567,  il 49.37% di una quota  totale che già era di € 9.119.775.  La parte variabile pesava  per il 50,63% pari a €4.617.207.

 Nel  2017, anno in cui dovremmo pagare i famosi 10milioni e passa, il dettaglio della spesa si ricava  dalla determina n.30 del 29/04/2016. Curioso che già nel 2016 si riescano a determinare le spese variabili necessarie per il 2017, ma sorvoliamo. Intanto il Comune, per parte sua, rispetto al 2015,  incamera 600mila euro in più. Andando ad analizzare i costi ci rendiamo conto che le spese fisse diminuiscono coprendo solo il 32,46% della tariffa, per una somma pari a € 3.166.720,   i costi variabili aumentano costituendo il 67,54%  con un importo di € 6.589.795. 

Confrontando  i due piani tariffari emerge che nelle spese variabile un sostanzioso aumento riguarda la voce inerente la raccolta  dei rifiuti indifferenziati , che passa da  € 2.160.000, nel 2015,  a €3.986.614, nel 2017.  Anche l’onere del  trasporto in discarica  aumenta di quasi 300mila euro (€1.038.598 nel 2015  - € 1.323.052 nel 2017). La spesa per la differenziata, invece, rimane sostanzialmente costante: € 1.276.136 nel 2015,  € 1.303.025 per il 2017. Inoltre nel 2017 il Comune mette a bilancio  un attivo di  €22.897 per la vendita di energia derivante dai rifiuti, cioè per la fornitura di materiale da bruciare negli inceneritori. 

Dall’analisi di queste cifre emerge  che l’ente , attraverso la società che effettuerà il servizio, intende potenziare  il trasporto e  la raccolta dei rifiuti indifferenziati  e  produrre CDR per l’incenerimento, lasciando la performance per la differenziata così come è oggi.  Ai maligni e dietrologi non sfuggirà che anche nel bilancio Saf si rileva un aumento del finanziamento  per il trattamento dell’indifferenziato coincidenze?

La strada intrapresa dall’amministrazione comunale, così come si rileva dai piani finanziari,  è  del tutto contraria, non solo alle normative  europee, alle prescrizioni  sulla tutela della salute dei cittadini,   ma anche alle direttive del d.to legislativo n.152 del 3 aprile 2006, il quale stabilisce un aumento della raccolta differenziata progressivo negli anni, tale che già nel 2012 la percentuale da raggiungere era del   65%. Oggi Frosinone è al 18. In buona sostanza l'aumento del tributo da pagare entro fin mese  è determinato da  un incremento  di spese finalizzate a peggiorare il servizio e non a migliorarlo.

Una serie di organizzazioni e comitati, che andranno a costituire uno “sportello anticrisi”,  si sono attrezzati  dando luogo alla campagna :I RIFIUTI NE' SI PAGANO NE' SI BRUCIANO. SI DIFFERENZIANO  Come spiegato più volte, lo scopo è far valere  i diritti dei cittadini  sanciti, guarda un po’, dallo stesso Comune di Frosinone.  Il  regolamento comunale per la tassa sui rifiuti  all’art.24 comma 3 prevede quanto segue ” il tributo è dovuto nella misura dal 20% della tariffa nei periodi di mancato svolgimento del servizio gestione rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento” Dal momento che la disciplina di riferimento è la legge in cui è sancita una quota di differenziata al 65% già nel  2012, mentre ancora oggi (2017) siamo al  18, le condizioni per pagare il 20 % del tributo ricorrono tutte. E’ stato redatto un modulo che il cittadino potrà   presentare all’ente, unitamente all’F24 con il pagamento della tassa al 20%,  in cui si spiegano le ragioni della riduzione del tributo. Inoltre abbiamo previsto la richiesta di rimborso dell'80% di tutte le tariffe,   pagate     negli ultimi 5 anni, sempre per lo stesso motivo.

 Dunque alcuni movimenti si sono organizzati, ma sarebbe auspicabile che anche i consiglieri di opposizione, ponessero  con forza il problema in aula    per denunciare  una  politica malsana e costosa. Un indirizzo palesemente antieconomico e lesivo dei diritti dei cittadini, adottato dal sindaco  per chissà quali reconditi motivi,  tale  da giustificare un esposto alla corte dei conti. 

Sarebbe oltremodo utile che anche altri movimenti e partiti politici non direttamente presenti in consiglio si unissero a noi per portare avanti una lotta di legalità e di ubbidienza civile. Non è possibile subire un aumento tariffario per incrementare l’inadeguatezza e l’illegalità di un  servizio, soprattutto se si parla di spese rilevanti (26milioni e mezzo di euro) e della smaltimento dei rifiuti, una campo strettamente connesso alla salute e al benessere dei cittadini.

Di seguito i moduli per pagare il 20% del tributo e per richiedere il rimborso dell'80%  per gli ultimi 5 anni:


domenica 23 luglio 2017

Resistenza di una diva

Luigi Onori

Il mito di Joséphine Baker rivive in un album omaggio del pianista Gerardo Iacoucci, che la accompagnò nella sua rentrée dei '70. «Il suo fascino era ancora straordinario. Mi rattrista che in molti l’abbiano dimenticata»


È stato di recente pubblicato un cd che rievoca il repertorio e il personaggio di Joséphine Baker, ballerina e cantante morta nel 1975 in Francia a 69 anni. Dis-nous, Josèphine (take records) nasce dalla volontà di Gerardo Iacoucci, pianista e didatta jazz di valore, che fu al suo fianco nei concerti italiani degli anni ’70. Iacoucci ha arrangiato, con il contributo di Paola Massero e Filiberto Palermini, una quindicina di brani della Baker, accendendo i riflettori su una figura dimenticata quanto straordinaria. Nata nel 1906 a St.Louis, ha lottato tutta la vita contro il razzismo e per l’uguaglianza. Debuttò nella danza a 14 anni ed a 18 entrò nella troupe della Revue Nègre che sarebbe approdata a Parigi nel 1925, conquistando la città e l’Europa.  La Baker sarà la stella de Les Folies bergère, arrivando ad aprire un suo locale e a diventare cantante (1930). Una vita intensa: vari matrimoni, la militanza nella resistenza francese, la costituzione di un Village du Monde con dodici bambini adottivi che volevano dimostrare la possibilità di una fraternità universale, tanta beneficenza, tanti debiti, il ritorno alle scene e la morte per emorragia cerebrale. Parliamo di Joséphine Baker con Gerardo Iacocucci. «Gli ultimi anni della sua vita (1970-’75) lei ha ripreso a cantare (aveva molti debiti e dodici figli adottivi da mantenere, nda). Allora si è rimessa in gioco, con tutti i problemi di una donna della sua età… però il suo fascino era ancora straordinario. Un’altra cosa importante è il rispetto dei musicisti. Facevamo sempre concerti piano e voce, per motivi economici. La prima volta che ci esibiamo si va dietro il sipario, finito il concerto. La Baker mentre il sipario si riapre va via. Ho pensato: ’Starà male, sarà successo qualcosa…’. Si chiude il sipario e torna, poi in camerino le ho chiesto: ’Come mai sei andata via, Joséphine?’, ’Perché il primo applauso deve essere fatto per chi decreta il mio successo’. Cose così accadono molto raramente o quasi mai.


Quando suonava con lei, all’inizio degli anni ’70, che tipo di repertorio facevate?
Di solito il suo repertorio tradizionale (anni ’20-’30 e qualcosa degli anni ’50, nda). Lei aveva acquisito una specie di identikit, il personaggio delle canzoni frivole: con quelle aveva avuto successo ed andava avanti, anche se non disdegnava qualche standard americano. Mi sono rattristato quando mi è capitato di vedere in televisione tempo fa un servizio su St.Louis (Missouri) dove la Baker è nata. Hanno fatto vedere la città, evocato personaggi politici, atleti, musicisti… su Josèphine Baker niente. In Francia esiste solo Edith Piaf, la Baker non esiste. Fortunatamente nella Dordogna c’è lo Château des Milandes (un luogo dove l’artista visse con i suoi dodici figli adottivi, la cosiddetta «Tribu Arc en Ciel») e l’attuale proprietario ha lasciato il teatro per i concerti ed un’ala del castello a museo sulla cantante. C’è la possibilità di presentare Dis-nous Joséphine in quel teatro.
Come è entrato in contatto con lei per le scritture?
Quando doveva venire in Italia per la prima volta, ha chiesto ad un suo manager di Roma: ’Mi serve un pianista, non un’orchestra, perché se pago una sola persona incamero più soldi’. Il manager ha fatto il mio nome: ’Ho la persona per te: sigle, non sigle, parti di pianoforte… tutto quello che vuoi… legge tutto’. Abbiamo fatto la prima prova, ha detto: ’ Bravo, Gerardo, non hai sbagliato niente’. Avevo allora una quarantina d’anni. NeI’70 avremo fatto 40concerti insieme, in giro per l’Italia.
Il pubblico come reagiva?
Il pubblico… Nonostante l’età, era nata nel 1906, aveva una partecipazione corporea – oltre, naturalmente, alla vocalità – che mantenevano ancora un fascino straordinario.
Con il disco che ha realizzato («Dis-nous, Joséphine») insieme a Filiberto Palermini e Paola Massero vi rivolgete soprattutto a chi non ha avuto l’occasione di sentirla e di apprezzarla anche come personaggio politico, che ha lottato tutta la vita contro razzismo, povertà e discriminazione?
Noi abbiamo voluto abbinare la vocalità alle canzoni più significative del suo repertorio, a quel rapporto immediato con il pubblico che creava con brani che possono sembrare banali. Abbiamo voluto ricreare la stessa atmosfera, dando magari ogni tanto una piccola impronta jazzistica (nell’orchestra de La revue nègre che vide trionfare la Baker a Parigi nel 1925 suonavano jazzisti di fama come Sidney Bechet e Will Marion Cook; i suoi mentori principali furono Eubie Blake e Noble Sissle, nda), perché pure lei veniva da lì.
fonte "il manifesto" del 23/07/2017