Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 19 gennaio 2019

La trappola del debito sulle grandi opere

Marco Bersani



Il prossimo 23 marzo si terrà a Roma un’importante manifestazione nazionale«contro le grandi opere inutili e per la giustizia ambientale».
Si tratta di un importante appuntamento per tutte le realtà che, in ogni angolo del paese, sono in lotta per un altro modello di società, che parta dal riconoscimento dei beni comuni e della democrazia partecipativa. Una necessità ancor più impellente vista la realtà del cambiamento climatico in atto e l’incapacità delle élite politiche e dei governi di prenderne atto, invertendo la rotta.
In tema di grandi opere, c’è un aspetto che non viene sufficientemente sottolineato: la loro funzione di alimentazione della trappola del debito. È infatti significativo come l’alto debito pubblico, agitato dai governi ogni volta che si tratti di fermare una rivendicazone di lavoro, reddito e servizi, sia invece completamente rimosso quando si parla di grandi opere.
Qual è infatti il meccanismo finanziario che sottende la realizzazione delle grandi opere? La famosa finanza di progetto, basata sul partenariato pubblico-privato.
Partendo dal fatto che gli enti pubblici non possono investire perché i vincoli di bilancio non lo permettono, si affida la concessione a una società di diritto privato con capitale interamente pubblico, la quale affida l’esecuzione dell’opera a un contraente generale (il privato) che elabora il progetto esecutivo e conduce a termine i lavori.
In questo schema, i cosiddetti investimenti del privato possono contare sulla totale garanzia del «pubblico», senza la quale gli imprenditori non potrebbero rientrare dei loro investimenti e gli istituti bancari non concederebbero i finanziamenti.
Alla fine il privato viene retribuito e l’opera ritorna alla società iniziale a cui spetta il compito di recuperare i soldi che le banche hanno prestato, attraverso gli utili che derivano dalla gestione del servizio e, se questi sono insufficienti, tale debito diventa debito pubblico, perché a garantirlo è il socio pubblico della società di diritto privato.
Il «project financing» è di conseguenza un sistema di garanzie pubbliche e di utili privati; un sistema a debito, in cui la leva finanziaria è totalmente in capo a un settore pubblico che, mascherato da società di diritto privato, è costretto a restituirlo alle banche a tassi d’interesse molto maggiori di quelli che pagherebbe in quanto ente.
Debito non conteggiato in bilancio oggi, perché contratto da un soggetto di diritto privato ma che sul bilancio pubblico si scaricherà quando dovrà essere ripagato. Una cifra che, secondo l’Osservatorio nazionale dei contratti pubblici, ammonterà a oltre 200 miliardi di euro.
Lo schema perverso della «finanza di progetto» comporta l’interesse del contraente privato alla moltiplicazione dei costi, come infatti avviene in ogni infrastruttura sinora realizzata.
Lungi dall’essere opere strategiche per rompere l’isolamento dei territori (?) o per far crescere l’economia (?), la spinta nei confronti delle grandi opere viene dal grande capitale finanziario, che ha bisogno del gigantismo infrastrutturale per garantirsi flussi continui di denaro (pubblico) dal quale estrarre valore finanziario (privato).
Al termine del ciclo, le comunità territoriali coinvolte ne pagheranno i costi sociali e ambientali, mentre l’intera collettività sconterà un ulteriore depauperamento di risorse e il rafforzamento della trappola del debito per mettere il silenziatore a ogni nuova rivendicazione sociale.
Forse, quando il fantasioso ministro Toninelli parla di analisi costi-benefici dovrebbe precisare meglio a favore di chi siano i secondi e a carico di chi siano i primi.
fonte"il manifesto" del 19/01/2019

Ospedale Spaziani. Il gelo del pronto soccorso


Francesco Notarcola – Coordinatore di Cittadinanzattiva Tribunale per la difesa dei diritti del malato




Da  lunedì scorso, 14 c.m., la sala d’attesa del pronto soccorso dell’ospedale  del Capoluogo è senza riscaldamento. Il freddo è reso più pungente dalla rottura delle chiusure automatiche  delle porte che comunicano con l’esterno.
Com’è noto, il pronto soccorso dello “Spaziani” è sempre affollatissimo, di giorno e di notte, di pazienti e di loro amici e familiari.
Ebbene da una settimana decine e centinaia di persone sono state e sono costrette ancora  ad aspettare, per ore, all’addiaccio, le notizie dei propri cari.
Questi fatti, mentre evidenziano i segni dell’abbandono, dell’indifferenza, dello sperpero di denaro pubblico e dello sfascio organizzativo , confermano l’incapacità dello staff manageriale della ASL di Frosinone.
Una montagna di danaro pubblico si spende, ogni anno, per gli appalti per le manutenzioni e per la remunerazione di funzionari e dirigenti che dovrebbero vigilare ed intervenire. Perché i responsabili di questo vergognoso lassismo non pagano mai?
Ormai la misura è colma e non si può più attendere. Quando le istituzioni pubbliche arrivano a questo punto i cittadini, per difendere il loro diritto alla salute, hanno l’obbligo di ribellarsi e di protestare per cacciare gli inetti e ripristinare la legalità.

venerdì 18 gennaio 2019

OPINIONE. Lutti in Europa. Palach, Adamowicz, senza dimenticare Rosa Luxembur

Maria Paola Patuelli


Lutti in Europa
Jan Palach, Praga, gennaio 1969
Pawel Adamowicz, Danzica, gennaio 2019
Senza dimenticare
Rosa Luxemburg, Berlino, gennaio 1919


In questi giorni si oscilla - oscillo - fra dolore, sconcerto e vergogna.
Guido Crainz, la settimana scorsa, ha dato voce al dolore di chi – non saremo una moltitudine, ma ci siamo – nel cinquantesimo anniversario del sacrifico di Jan Palach - 16 gennaio 1969 - trova insopportabile che sia la destra europea, la peggiore, quella che disprezza i diritti, tutti, senza distinzione alcuna, che siano civili o sociali - Orban docet – a proporsi come erede di Palach. Questa destra! Qualcuno di loro vede nell’esempio di Jan qualcosa che li riguarda? Morire invocando libertà e giustizia? Potrebbe farlo solo chi, come l’opposizione sociale e civile in queste settimane a Budapest, o come  le donne in sommossa per difendere la loro dignità, a Varsavia, si oppone a quei governi, sempre più neri. Non possono sentirsi eredi di Jan i neri amici di Orban, di Salvini e i nemici della vittima di ieri, Pawel Adamowicz, lui sì erede di Jan. Danzica, città simbolo di guerra - i primi colpi della seconda guerra mondiale sparati a pochi chilometri dalla città - e di rinascita, con l’epopea di Solidarność. Danzica, città meravigliosa, aveva un grande sindaco, da venti anni in difesa dei diritti civili e sociali, città divenuta, dopo tanti orrori della storia, luogo di solidarietà e di accoglienza, in una Polonia governata invece dal partito di Kaczynsky, capofila del gruppo “sovranista” detto di Visegrad. Pawel andava in tutt’altra direzione e la sua città era con lui. Forte, coraggioso, aggredito e ucciso mentre pronunciava parole di solidarietà.  Si sta costituendo una internazionale nera? Sembra che sia così. Bisognerà al più presto connettere le forze, che ci sono, e dare gambe a una internazionale della giustizia, dell’uguaglianza, della solidarietà. Ogni impresa necessita di simboli. Li abbiamo. Jan Palach, ieri, Pawel Adamowicz, oggi. In Italia, il piccolo sindaco combattente di Riace, Mimmo Lucano, i genitori di Lodi che sostengono la mensa per tutt* i bambini. E mille altre storie.
Noi giovani comunisti italiani, allora, il 16 gennaio del 1969, ci sentimmo sorelle e fratelli di Jan Palach. Soffrimmo per il suo sacrificio, ma non abbiamo avuto dubbi. Lui, e noi, con quei carri armati dell’URSS non avevamo nulla a che spartire. E due mesi dopo la sua morte andammo a Praga, a rendergli omaggio. Una mano anonima aveva posto un cartello che copriva il toponimo antico, rinominando la piazza con il nome di Jan. Ora, dal 1989, la piazza si chiama Jan Palach. Un ritardo di venti anni, venti anni perduti nella storia d’Europa. Perdita che continua a pesare. Ma che non può stravolgere l’oggi e i suoi simboli.  E non può trasformare il bianco in nero. I “sovranisti” si tengano lontano da Palach, e dalla sua storia. Vi immaginate una Europa che indietreggia verso un caos di piccole egoiste nazioni? C’è da tremare.
E, in questi giorni tristi, per noi, in Italia, si aggiunge la vergogna. Il  “sovranista” ministro degli Interni va ad accogliere vestito da militare un delinquente sedicente rivoluzionario. Mancava solo il mitra. E aggiunge che il delinquente deve “marcire in galera”. Ignoranza totale della nostra Costituzione. Si rilegga, Salvini, il compito che la nostra Costituzione affida al carcere. Siamo di fronte a una vergogna nazionale. La vergogna è la sua, non la nostra.  Rivoluzionario chi? Il delinquente fuggitivo? Il ministro? In realtà, è il ministro di un governo che alcuni suoi componenti hanno recentemente definito “rivoluzionario”. Stanno stracciando in molti punti quei diritti civili e umani che Palach chiedeva e che la nostra Costituzione impone. In effetti potrebbe essere una rivoluzione, ma all’incontrario.
Un altro lutto antico i presenti giorni ci ricordano. Gennaio 1919. Berlino. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, trucidati. Loro sicuramente rivoluzionari. Con eccessi di speranze. Non di delitti. Fiduciosi, fino alla fine, che socialismo, libertà e giustizia fossero facce della stessa medaglia.
A proposito di Europa. Juncker dice che con la Grecia l’Europa ha sbagliato. Gli chiedo, da europeista convinta, come sono. Adesso lo dici?
Maria Paola Patuelli
16 gennaio 2019
Sono date che si rincorrono …

giovedì 17 gennaio 2019

La pacchia degli emigranti farebbe bene anche a Salvini?

Mario Zorzetto


Scoperta a Latina un'organizzazione criminale dedita allo sfruttamento del lavoro ed al caporalato ai danni di centinaia di stranieri impiegati in lavori agricoli in "condizioni disumane": costretti a lavorare 12 ore al giorno, a fronte di una retribuzione al di sotto della metà di quella prevista dal contratto nazionale, e all'ubbidienza di regole senza la garanzia dei più elementari diritti. Sei gli arresti. La misura cautelare ha raggiunto, tra gli altri, un sindacalista ed un ispettore del lavoro. I braccianti inoltre erano costretti a iscriversi al sindacato
Tra i sei arrestati due donne che reclutavano e sfruttavano stranieri centrafricani e rumeni, tramite una società cooperativa con sede a Sezze (LT), distribuendo illecitamente la loro manodopera a centinaia di azienda agricole che avevano monopolizzato il settore nelle provincie di Latina, Roma, Frosinone e Viterbo.
L'obbligo di iscrizione al sindacato, dietro la minaccia del licenziamento, veniva fatta affinché quest'ultimo "percepisse non solo le quote di iscrizione ma anche ulteriori introiti economici connessi alla trattazione delle pratiche finalizzate ad ottenere le indennità di disoccupazione".In conclusione le tutele economiche che dovevano andare ai lavoratori rimanevano nelle tasche del sindacalista…..

martedì 15 gennaio 2019

Trisulti, chiude "l'Osteria dei Frati"

Luciano Granieri





Un sabato di gennaio  si va  su alla Certosa di Trisulti. Sono le 12,30.  Tira un vento freddo ma è normale per questi luoghi. Qualche anno fa era anche normale trovare la Certosa frequentata da  turisti, religiosi e laici. Non questo sabato. Al freddo del vento si aggiunge il gelo di un eremo vuoto. 

La liquoreria, primo luogo ad accogliere i turisti attraverso  il calore dei distillati prodotti con le erbe officinali dei boschi, oggi è deserta. E’ diventata  un’asettica     biglietteria.  A  far mostra di se negli  scaffali mestamente spogli qualche barattolo di miele, qualche cartolina, qualche piccolo rosario. Reliquie di tempi andati. 

Già ma i gladiatori, i guerrieri dei valori giudaico cristiani devono rimanere sobri . Serve  essere lucidi per la nuova santa crociata sovranista . Bisogna   riaffermare la purezza    del suprematismo occidentale bianco, contro la contaminazione di genti spurie, blasfeme ed eretiche, feroci saladini  che sbarcano  come invasori dal Mediterraneo spesso trasportati da navi Ascare ammantate di false auree umanitarie .  

 I nuovi Salvini ed Orban   i duri gladiatori , che dalla Certosa scenderanno  in battaglia  contro la scellerata mollezza dei buonisti ,non possono cedere alle lusinghe del vizio, alcool compreso. Ma quelli come noi che qualche volta rispondono al   richiamo delle gocce imperiali, del centerbe, soffrono i luoghi chiusi,  tristi e incattiviti , come la Certosa è diventata dal febbraio dell’anno scorso. Da quando cioè l’allora ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini  - stante anche il colpevole silenzio dell’attuale titolare del MiBACT Alberto Bonisoli -  ha lasciato che gli ideologi di Trump,  per trenta denari, s’impossessassero di un luogo  pubblico che doveva e deve rimanere aperto. 

Aperto a tutti coloro , bianchi, neri, gialli, rossi, cristiani, atei, gay, ricchi, poveri,  che vogliono ammirare  la  liquoreria, la  farmacia, la  biblioteca, i giardini, la chiesa.  Noi a cui  piaceva essere accolti dal dolce  del miele, della cioccolata, della condivisione dello  stupore per la bellezza di questo luogo  ci batteremo per restituire un bene dei cittadini ai cittadini.


lunedì 14 gennaio 2019

LETTERA APERTA AL DOTT. LUIGI MACCHITELLA – COMMISSARIO STRAORDINARIO DELLA ASL DI FROSINONE

Francesco Notarcola – coordinatore di Cittadinanza attiva Tribunale per la difesa dei diritti del malato.





Egregio Signor Commissario,

Il 19 dicembre scorso, del 19 dicembre 2018 stampa da Lei convocata,Il cui resoconto è visibile cliccando qui abbiamo assistito ad una serie di annunci clamorosi relativi a provvedimenti e a  decisioni sull’abbattimento dei tempi di attesa,  senza una relazione scritta, da parte di un consulente da Lei nominato e ben retribuito.
Questi annunci, nel corso della conferenza, venivano confortati e convalidati dall’intervento autorevole del nuovo primario di radiologia.

La Sua presenza e quella del direttore sanitario davano ufficialità e credibilità alle parole ed agli annunci, codificati negli scritti e nelle interviste rilasciate agli organi di informazione intervenuti.
La macchina  pubblicitaria messa su dal Capo Ufficio stampa della asl,  sembrava perfetta per cercare di recuperare un po’ di credibilità allo  staff manageriale, di fronte al progressivo disgregarsi dell’organizzazione sanitaria territoriale e ospedaliera della provincia.
A questa conferenza sarebbe stato giusto ed opportuno invitare anche i componenti dell’Osservatorio della asl sui tempi di attesa ma dobbiamo prendere atto, nostro malgrado,  che queste sensibilità ancora non fanno parte della cultura e dell’agire dello  staff. manageriale della asl di Frosinone.

Noi di Cittadinanza attiva per la difesa dei diritti del malato, presenti alla conferenza come uditori,   siamo stati assaliti da fortissimi dubbi e perplessità,  espresse,  nei giorni successivi alla conferenza, con un comunicato stampa. Ci auguravamo, però, di sbagliare valutazioni e giudizi. Purtroppo, non è così.

 Oggi  siamo costretti a prendere atto di un netto peggioramento. Essersi limitati agli annunci per far colpo sull’opinione pubblica e non aver costruito un progetto per l’abbattimento dei tempi di attesa, con la partecipazione delle associazioni presenti nell’Osservatorio della ASL e dei responsabili e dirigenti delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, è stato un grosso errore.
Dalle informazioni da noi assunte, in data odierna, abbiamo saputo che sono bloccate tutte le prenotazioni per gli esami diagnostici per immagine. Anche quelle dei pazienti oncologici. E’ così che si agevola lo sviluppo della sanità privata e si mortifica quella pubblica. Infatti  in ogni angolo di questo nostro territorio, disastrato e oppresso,  sorgono  come funghi  strutture sanitarie private, sempre più affollate. E’ questo uno dei segni  del fallimento della Sua gestione e del Suo staff manageriale.

E’ vero che al P.S. dello “Spaziani” stanno montando una nuova macchina per esami radiologici, in sostituzione di quella in servizio; è vero  e che alla UOC di radiologia sono arrivati due nuovi ecografi ma il personale non c’è. E non c’è perche la Regione Lazio ha bocciato la delibera per l’assunzione di medici radiologi, delibera ripresentata il 18.12.18.
E’ vero che nell’agenda del CUP sono state inserite le strutture private accreditate ma questo ha peggiorato le cose  perché ha chiuso la  possibilità,che prima esisteva, della prenotazione diretta da parte degli interessati.

 Le chiediamo ancora, Signor Commissario,  di esaudire un nostro desiderio-diritto.   Le liste di attesa sono ancora una camera oscura. Dal mese di settembre 2018,  abbiamo  chiesto con lettera e continuato a chiedere, invano,  tutti i dati necessari per poter condurre un’analisi seria, mai fatta, sulla gestione dei tempi di attesa. Il nostro   l’obiettivo è quello di avanzare proposte realistiche per un progetto partecipato e condiviso.

Nel mese di settembre 2018, dopo un anno e mezzo dal decreto dell’aprile 17 è stato dato vita all’Osservatorio della ASL sui tempi di attesa ma, concorderà con noi, senza dati a disposizione non si può   proporre nulla di serio ne osservare alcunché.
  
  Nel salutarLa distintamente Le ribadiamo la nostra volontà di continuare a batterci con tutta la nostra capacità e la nostra esperienza, con tutta  la nostra intelligenza,  per difendere il diritto alla salute della nostra gente.

Francesco Notarcola – coordinatore di Cittadinanza attiva Tribunale per la difesa dei diritti del malato

domenica 13 gennaio 2019

Potere al Popolo a difesa del San Giacomo

Francesca Perri, Gruppo Sanità Potere al Popolo Lazio




L'ineffabile presidente della regione Lazio, quello che vuole diventare  segretario del PD, che nelle sue interviste pubbliche dichiara sempre di  stare dalla parte dei cittadini e di aver fatto cose mirabolanti per questa Regione, colpisce ancora! Infatti procede ulteriormente con la  svendita della Sanità Pubblica, anche attraverso la svendita del  Patrimonio Pubblico, dando seguito con una determinazione del Novembre  del 2018, alla delibera 866 del Dicembre 2017, in cui l'ex Ospedale San  Giacomo, dismesso nel novembre 2008, veniva inserito nell'inventario Regionale come bene alienabile. Ebbene il suddetto ex Ospedale viene  svenduto per 61 milioni di euro alla Società INVIMIT SGR spa, tra  l'altro dichiarando nella determina che non sussistono vincoli a questa  vendita. Ma il vincolo c'è eccome : intanto il Nosocomio era stato  donato alla città di Roma per la cura degli indigenti nel 1500 dal  Cardinal Salviati, che nel testamento aveva lasciato scritto chiaramente  che qualora tale bene non fosse stato utilizzato per il precipuo scopo  descritto, il patrimonio stesso sarebbe tornato in possesso degli eredi. Il testamento esiste ed esistono gli eredi, che già 10 anni fa si erano  opposti al cambio della destinazione d'uso, dichiarando di non voler  indietro l'immobile, ma di volere rispettare la volontà dell'antenato,  nel mantenere l'immobile come Ospedale per la Città di Roma. Allo stesso  tempo già nel 2008 sorgeva spontaneamente un Comitato San Giacomo, fatto  da cittadini comuni, da lavoratori dello stesso nosocomio, che in tutti  questi anni si sono battuti, anche in sede legale, per far riaprire un  Ospedale in pieno centro storico, con 120 posti letto,  che garantiva  27.000 accessi l'anno. Noi come PAP appoggiamo in pieno questa posizione  e siamo contro ogni vendita/svendita del patrimonio pubblico, che è  pubblico in quanto appartiene ai cittadini, che hanno tutto il diritto  di poter dire la loro sulla destinazione di tale patrimonio!