Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 30 luglio 2016

CI TROVIAMO IN QUESTA SITUAZIONE DISATROSA CON ACEA PER COLPA DEI SINDACI E ANCORA CONTINUANO A SBAGLIARE

Ufficio Stampa Deputato Luca Frusone Movimento 5 Stelle

foto tratta dal quotidiano l'inchiesta

“Mentre a Roma il Movimento 5 Stelle riesce a tenere a zero gli aumenti per il 2016 e si prende un anno di tempo per valutare l'effettivo lavoro di Acea, in Provincia di Frosinone succede il finimondo. Dopo più di 5 ore di assemblea, i Sindaci non sono riusciti a mettersi d’accordo su una proposta valida ed alternativa da porre sul tavolo del Autorità garante AEEGSI (Autorità Energia Gas Servizi Idrici). Il risultato della loro incompetenza ha portato l’autorità a poter valutare solo la proposta del gestore, unica proposta effettiva in campo, che vuole l’aumento tariffario dell’8% annuo per i prossimi 4 anni più i 77 milioni di euro di conguagli. Quest’ultimi, Acea li vorrebbe recuperare attraverso le tariffe degli anni 2021 al 2027, con un preoccupante aumento esponenziale della bolletta sull’acqua. Tutto ciò è vergognoso.” – a dichiararlo amareggiato è il Deputato 5 Stelle Frusone che continua – “Mai come in questo momento la politica sta confermando quello che noi del 5 stelle denunciamo da tempo e cioè la totale incapacità di avere e perseguire una strategia comune. Ieri sono apparse nette le divisioni all’interno sia del Pd che del centro destra. Entrambi i partiti hanno palesato correnti interne, che hanno preso il sopravvento, contravvenendo al loro ruolo e al loro dovere, di rappresentanti dei cittadini.” – e conclude – “Vorrei concludere dicendo ai sindaci che non perdessero il loro tempo a parlare a vanvera contro la Raggi con il solo scopo di costruirsi un alibi per continuare a non fare nulla, ma spero invece che riusciranno a portare a compimento ciò che hanno iniziato a febbraio, perché sono loro e nessun altro che ha il compito e anche il dovere di cacciare un gestore che non adempie correttamente al suo compito, sono loro i firmatari di quel contratto e sono loro che dovrebbero chiederne la risoluzione. Inviterei inoltre a un maggiore approfondimento del diritto societario, perché è vero che il sindaco di Roma è azionista di maggioranza al 51%, però è anche vero che la policy di una società la decide l’intero CDA (Consiglio d’Amministrazione), che in questo momento è in quota PD, che purtroppo, come ben si sa, non è per la ripubblicizzazione dell’acqua. La Raggi come azionista di maggioranza, potrà cambiare i membri del CDA ad aprile 2017 e allora si potrà fare sul serio.”

A proposito di “imprecisioni”, corre l'obbligo di qualche precisazione in risposta all'articolo di Alessio Porcu

Severo Lutrario


Che fine ha fatto il referendum sull’acqua pubblica?



I referendum del 2011 erano due.
Il secondo era per la cancellazione del 7% di remunerazione del capitale previsto nel Metodo Normalizzato (Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici 1 agosto 2006) e reinserito nel decreto ambientale.
Non è affatto vero che dopo il referendum quel 7% sia stato tolto dalle bollette.
Già a settembre 2011 l'allora governo Berlusconi dava le competenze sull'acqua all'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas e nel novembre dello stesso anno dava mandato a quella Autorità di stabilire un nuovo metodo tariffario che tenesse conto del risultato referendario.
I killer dell' A.E.G.S.I. facevano il loro sporco lavoro e nel 2012 tiravano fuori dal cilindro il nuovo metodo provvisorio in cui “semplicemente” la remunerazione del capitale prendeva il nomr di “costi finanziari”  andando a pesare sulla tariffa per il 6,9%.
Ma non si può dimenticare il primo quesito referendario che ha cancellato l'obbligo previsto dal decreto Ronchi (2009) di cedere ai privati entro il 31 icembre del 2011 almeno il 40% delle quote delle aziende detenute dal pubblico.
In sostanza il quesito – che non poteva che essere abbrigativo – chiedeva ai cittadini “volete che la gestione dei servizi pubblici (tutti, non solo l'acqua) debba essere privatizzata? Ed i cittadini, ventisette milioni di cittadini hanno risposto chiaramente.
Affermare che quello del 2011 non sia stato un referendum contro la privatizzazione dei servizi, compreso quello dell'acqua - e di conseguenza un chiaro pronunciamento per la gestione pubblica – significa letteralmente falsificare storia e fatti.

Allora cosa paghiamo nella bolletta?
Bisogna distinguere cosa dovremmo pagare e cosa siamo costretti a pagare.
Una delle principale schifezze fatte dall'A.E.G.S.I. con i suoi metodi di determinazione della tariffa è stato proprio cancellare il meccanismo chiaro con cui si potevano definire le tariffe con il metodo normalizzato (quello cancellato nel 2012).
Fino ad allora le tariffe erano calcolate sulla base di costi ammissibili, sulla base del programma degli investimenti ed il relativo piano degli investimenti.
Il metodo, che terminava i costi a preventivo, prevedeva anche una revisione delle tariffe sulla base dell'effettivo rispetto degli impegni contrattuali da parte del gestore, ma questa parte è sempre stata disattesa (ma questa è un'altra cosa).
Con il metodo dell'A.E.G.S.I. la connessione tra servizio, impegni e investimenti e tariffa di fatto sparisce e praticamente la determinazione della tariffa si fonda sulla garanzia dell'equilibrio di bilancio del gestore. In pratica se il gestore non sa fare il suo mestiere non rischia nulla perché a pagare saranno comunque i cittadini.
L'acqua non si paga, si paga il servizio di erogazione, fognatura e depurazione … si dovrebbe pagare, perché non è mai stato così ed ora non lo è neppure più da un punto di vista teorico.
Con la bolletta paghiamo il pizzo al mammasantissima che ha avuto in mandamento il nostro territorio.

Ma allora l’acqua è pubblica o privata?
Questa è la domanda dietro cui si nascondono tutti gli imbroglioni di tutti i governi che fanno gli interessi dei potentati economici.
Non ha alcuna rilevanza la “nuda proprietà” di un bene, quello che conta è chi ne gode lo sfruttamento, chi lucra su un servizio gestito in regime di monopolio senza alcun rischio di caduta della domanda.
Quello che conta è la privatizzazione del servizio che riduce l'acqua ad una merce.

Ma allora Acea chi è?
Acea Ato 5 S.p.A. è una controllata (al 97%) di ACEA S.p.A. la più grande multiutility d'Italia che controlla altre 71 società sia nelle gestione dell'acqua che dell'energia e nell'incenerimento dei rifiuti. Per il 51% è del Comune di Roma è per il 49% di privati (i principali soni la francese Suez e il Caltagirone palazzinaro e proprietario de Il Messaggero) che sino ad oggi hanno fatto il bello ed il cattivo tempo. Acea S.p.A. è anche la dodicesima multinazionale dell'acqua al mondo ed ha avuto modo di far conoscere i metodi di gestione dell'acqua che subiamo sulla nostra pelle in centro-america  ed in altre parti del sud del mondo.
Attualmente ha come obiettivo di assicurarsi il monopolio della gestione dell'acqua su tutta la dorsale tirrenica (Toscana, Umbria, Lazio, Campania) per poi estendersi al resto del centro e sud Italia e di costruire un unico gestore monstre – la cui testa è già stabilita a Firenze - in grado di raccogliere risorse economiche e finanziarie tali da poter competere sui mercati globali

Chi ha deciso che l’acqua debba essere gestita da Acea?
L'Assemblea dei sindaci su spinta dell'allora presidente Scalia che ha stabilito l'affidamento ad un privato con una gara europea

Perché l’acqua è stata oggetto di un bando di gara?
Per una precisa scelta politica. Nel 2001, quando è stato bandita la gara, non vi erano neanche le tre opzioni tra cui scegliere (gara, costituzione di una società mista pubblico/privata e in house), si poteva scegliere in piena libertà e Frosinone è stata una delle sole tre in tutta Italia a decidere per la gara per l'affidamento a privato. Nel resto del paese molti territori hanno scelto la società mista (tipo Latina), molti l'affidamento in house, e moltissimi, la maggior parte, non hanno fatto alcuna scelta continuando a far gestire l'acqua dai Comuni.

Acea sta operando bene?
Solo chi vive sulla luna non lo sa.

Se mandiamo via Acea, chi gestirà l’acqua? 
Ci sono quattro ipotesi. A) Un altro operatore che si aggiudicherà la gara d’appalto; B) Una società mista pubblico – privato C) Una società interamente pubblica; D) Un'azienda Speciale Consortile di diritto pubblico

Quindi è possibile che la gestione torni interamente pubblica?
Si e la questione dei finanziamenti è un grosso imbroglio.
I capitali necessari alla gestione ed agli investimenti – stante le attuale condizioni normative – devono comunque essere recuperati nell’arco della “convenzione di gestione” (trent’anni?) con le tariffe e le fatture emesse nei confronti di tutti gli utenti. 
Quindi in primo luogo non è vero che con le tariffe si coprono “solo” i costi correnti.
Ma è vero che il capitale necessario deve essere reperito subito.
Si dice, se il gestore è pubblico, da dove escono queste risorse? (Parliamo di decine, se non di centinaia di milioni).
Ma, perché, se il gestore è privato, da dove escono questi soldi?
In quale Bengodi c'è un privato che investe sull'unghia cento milioni di euro per vedersi restituire un monete da un euro in trent'anni?
Il privato reperirà sul mercato finanziario l'intero fabbisogno alle condizioni di mercato.
Il problema a questo punto sarà legato al fatto che gli operatori finanziari non prestano denaro sulla base di un ammortamento, diciamo, trentennale, ma sulla base temporale molto più breve, diciamo quinquennale.
Questa dicotomia comporta automaticamente due sole soluzioni, o l’ammortamento dei capitali avviene con i tempi degli operatori finanziari con aggravio pesantissimo delle tariffe, o la gestione accumula un debito nei confronti degli operatori finanziari tale che – come è già avvenuto tante volte in Italia – saranno gli stessi operatori finanziari a stabilire le condizioni di rientro dal debito imponendo le proprie condizioni su gestione e tariffe, divenendo così gli effettivi “padroni” del servizio idrico.
Se il gestore è pubblico ci sono almeno delle possibili alternative come ad esempio l'attivazione di strumenti di finanza pubblica in alternativa al mercato finanziario.
Dunque la questione del reperimento delle risorse è meno disperante sul versante pubblico, ma deve trovare soluzione altrove, nella normativa nazionale con il superamento del full recovery cost ed il trasferimento di una quota degli investimenti sulla fiscalità generale (con le tariffe e con il fisco, sono sempre i cittadini a pagare, ma nel secondo caso, almeno, in base alla loro capacità reddituale!)

Perchè paghiamo bollette dell’acqua così alte?
Perché i sindaci non hanno fatto il loro dovere.
Perché il Commissario nominato dal Tar di Latina ha potuto fare gli interessi di ACEA grazie ai sindaci che non avevano mai contestato formalmente ad Acea tutte le sue malefatte e grazie al metodo di calcolo delle tariffe introdotto dall'A.E.G.I.L., per le cose dette prima e ricordando che l'Autorità è ufficialmente finanziata dai gestori, cioé da … ACEA.


Un po’ di cose da sapere sull’acqua

Alessio Porcu fonte: Alessioporcu.it




Sulla questione acqua ci sono molte convinzioni sbagliate. La normativa è vasta, le sentenze della magistratura sono state molte. Abbiamo riassunto le domande più comuni e tentato di rispondere (Se notate imprecisioni, segnalatelo e aggiorneremo citandovi).

Che fine ha fatto il referendum sull’acqua pubblica?
Non è mai esistito un referendum acqua pubblica o privata. Il referendum del 2011 in realtà
chiedeva se si voleva abolire la norma del 2006 nella quale si prevedeva un 7% di guadagno fissato per legge a favore di chi (come Acea) aveva investito e nei servizi idrici. Il referendum è stato vinto da coloro i quali hanno votato per l’abrogazione. La conseguenza è stata che nelle bollette è sparita la voce con cui ogni utente pagava quel 7% per l’acqua consumata.

Allora cosa paghiamo nella bolletta?
Paghiamo una serie di cose: innanzitutto il servizio, cioè il fatto che l’acqua venga presa presso le sorgenti, filtrata, potabilizzata, immessa nella rete, pompata fino a casa nostra; paghiamo le infrastrutture e cioè le pompe di sollevamento, gli impianti di filtraggio, le tubazioni, i tecnici, le riparazioni, le nuove condotte, le bollette che non pagano gli altri; anche quelle finiscono poi spalmate nelle bollette degli utenti onesti.

Ma allora l’acqua è pubblica o privata?
In Italia, come in quelli di quasi tutti i Paesi europei, ad eccezione del Regno Unito, non è mai stata in discussione l’ipotesi di privatizzazione del bene acqua, né (se non per una breve parentesi) delle infrastrutture che ne garantiscono l’erogazione. L’acqua è bene pubblico; sono beni demaniali le reti; quel che può essere data in concessione ai privati è solo la gestione del servizio.

Ma allora Acea chi è?
E’ la società che ha avuto in concessione la gestione del servizio.

Chi ha deciso che l’acqua debba essere gestita da Acea?
Un bando pubblico, al quale hanno partecipato alcuni dei più importanti operatori internazionali.

Perché l’acqua è stata oggetto di un bando di gara?
Lo provede la legge.

Acea sta operando bene?
No, lo dimostrano le multe che gli sono state inflitte negli anni durante i quali Francesco Scalia era presidente della provincia di Frosinone, lo dimostra la votazione con cui tutti i sindaci del territorio (tranne San Giovanni Incarico) hanno votato per avviare l’iter con cui rescindere il contratto che ci lega ad Acea.

Se mandiamo via Acea, chi gestirà l’acqua? 
Ci sono, fondamentalmente, tre ipotesi. A) Un’altro operatore che si aggiudicherà la gara d’appalto; B) Una società mista pubblico – privato come Acqualatina in provincia di Latina C) Una società interamente pubblica

Quindi è possibile che la gestione torni interamente pubblica?
In teoria si, in pratica c’è un ostacolo concreto: chi mette i soldi per pagare dipendenti, impianti, bollette della corrente e l’intero costo di gestione di un’attività così complessa? Se è pubblica, la devono pagare i cittadini; a quale costo? Per fare un paragone, oggi con le bollette si coprono i margini operativi, cioè solo la gestione. Inoltre, quando l’acqua era pubblica, tra i gestori c’era il Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci: ha lasciato un pozzo di debiti, che ancora oggi non sono stati saldati e rischiamo che tra poco finiscano nelle nostre bollette.

Perchè paghiamo bollette dell’acqua così alte?
Una parte consistente della bolletta – tra il 30 ed il 40% – è legata al fatto che l’assemblea dei sindaci, cioè l’organismo che ha ogni potere nei confronti di Acea, non ha deciso la tariffa dell’acqua per paura della reazione dei cittadini; a stabilire al tariffa è dovuto intervenire un giudice. Per conseguenza, oggi oltre a tutte le voci che abbiamo detto prima, paghiamo anche il ‘conguaglio’ cioè la differenza tra la tariffa provvisoria alla quale abbiamo pagato le vecchie bollette e la tariffa scelta dal giudice.

Una volta finito il conguaglio le bollette allora si abbasseranno?
No. Ora stiamo pagando un conguaglio da 75 milioni di euro. Ma i sindaci ci sono ricascati e pure quando è stato necessario aggiornare la tariffa per il triennio successivo non hanno deciso: questo ha fatto scattare un altro conguaglio di 56 milioni di euro. Ora è stata convocata un’altra assemblea che dovrà stabilire la nuova tariffa per l’ulteriore triennio. Speriamo che stavolta i sindaci vadano.

Ma cosa sono tutti questi conguagli?
Il meccanismo dei conguagli fa parte del nuovo sistema tariffario. I sindaci della provincia di Frosinone lo hanno introdotto nel 2014 (con il voto contrario del sindaco di Torrice Alessia Savo che invitava i colleghi a «non entrare in tale vortice tariffario», illustrando anche con i documenti quanto sarebbe accaduto).

Allora tutte le battaglie dei Comitati sono inutili?
Sono utilissime. Grazie a loro – ad esempio – è stato riconosciuto che ad una parte dei cittadini dovesse essere restituita una quota della bolletta (quella della depurazione) in quanto non dovuta. Il problema di fondo è la ‘libertà’ che viene concessa al gestore nell’applicare il Regolamento di Servizio. Più volte i Comitati hanno rilevato che c’erano stati casi in cui il regolamento non veniva rispettato ed hanno proposto dei ricorsi.

La notte che mi fermai senza un pensiero






la notte che mi fermai senza un pensiero



a dormire sulla spiaggia con l'argentina


gialla mio unico corredo e il sonno

che dalle stelle calava dritto e senza

affanno dentro gli occhi quella notte

e l'alba successiva quando di caffè

macchiai nel sole e senza battito di ciglia

l'argentina gialla mio unico corredo

conobbi forse quella notte e quell'alba

la prima e ultima volta il soffio illusorio

dell'eterno



alfonso cardamone.









video a cura di Luciano Granieri




Ringrazio il poeta, saggista e amico Alfonso Cardamone per queste oasi di bellezza. Fra  una lotta e l’altra, fra la denuncia di un sopruso, e l’estenuante svelamento  della menzogna delle èlite, è necessario, ogni tanto, rifugiarsi e ritemprasi  nel bello dell’armonia poetica e musicale . Un grazie va anche ai due straordinari musicisti, Astor Piazzolla e Gerry Mulligan, esecutori del brano Years of solitude che accompagna la clip.

Luciano Granieri

venerdì 29 luglio 2016

Quale futuro per il servizio idrico nell’Ato5?

Comitato provinciale acqua pubblica Frosinone 


Leggiamo dai giornali del progetto del Tavolo provinciale acqua pubblica del M5S di gestione dell’acqua tramite la costituzione di una Impresa sociale nella forma giuridica della S.p.A. ad azionariato popolare.
Vogliamo qui sollevare diversi dubbi e forti perplessità a cui speriamo trovare risposte dal suddetto Tavolo e dal portavoce del territorio, On. Frusone.
Innanzitutto il quadro in cui si inscrive l’ipotesi della costituzione di una S.p.A. ad azionariato popolare è all’interno della riforma del Terzo settore a partire dalla legge delega approvata a fine maggio u.s. in cui si introduce il profitto nel no-profit e apre formalmente l’impresa no-profit agli investimenti speculativi, cioè, all’investimento di capitali allo scopo di trarre un opportuno tasso di sconto (profitto) dalle attività no-profit.
Diviene, quindi, necessario fare qualche considerazione sulla storia delle forme societarie senza scopo di lucro e con il divieto di distribuzione degli utili. A cominciare dalle cooperative, ma non solo.
Nella storia economica di questo Paese molte e diverse sono state le ipotesi e le pratiche volte a costituire forme societarie formate e gestite dal basso.
Si parte dalle Casse Rurali e Artigiane, dalle Banche Popolari e da tutte le forme di raccolta e gestione del credito partite dall’idea dell’azionariato diffuso e dal loro controllo diffuso, sino, ad esempio al marchio “Conad”, ora un franchising, ma nato a valle della riforma agraria del secondo dopo-guerra  e dal movimento contadino delle occupazioni delle terre e volto a mettere in contatto i produttori direttamente con gli acquirenti, saltando la speculazione di tutti gli intermediari (Conad sta per Consorzio Nazionale Distributori).
La “fine” di tutte queste esperienze è sotto gli occhi di tutti e dimostra, al di là delle buone intenzioni dei promotori, come l’idea che, all’interno del sistema economico attuale, all’interno delle leggi del mercato, sia possibile una forma societaria che non finisca per essere soggetta e conformarsi alla logica del profitto, sia fondamentalmente velleitaria.
Affidare la gestione del servizio idrico integrato ad una S.p.A. ad azionariato diffuso non significa affatto rendere pubblica la gestione dell’acqua, ma solo costituire ex-novo una società privata a capitale diffuso che dovrà operare sul mercato alle condizioni del mercato.
E non è che in assoluto la parcellizzazione del capitale di un soggetto economico sia garanzia, né di partecipazione, né di efficacia.
Su questo tema vi è il pesantissimo esempio dei fondi di investimento ed in particolare dei fondi pensione.
I fondi si caratterizzano per il fatto che nessuno dei sottoscrittori ha un peso per poter esercitare un reale indirizzo sulla gestione del fondo, tant’è che in gergo l’insieme dei sottoscrittori del fondo viene definito “parco buoi” e la reale gestione del fondo è nelle mani del management, che lo gestisce per le proprie finalità e per il proprio tornaconto.
Ma ammettiamo che la riforma del Terzo settore non veda la luce, che, almeno in partenza, questa S.p.A. ad azionariato diffuso risponda agli scopi dei suoi promotori, potrebbe funzionare?
In primo luogo c’è un problema: gli azionisti.
Non può essere obbligatorio entrare in una società privata.
Quanti, dei 180.000 utenti aderiranno alla proposta?
Diciamo che aderiranno 100.000, e gli altri 80.000?
La cosa è particolarmente rilevante perché è collegata all’altro fondamentale tema, quello del finanziamento della società.
I capitali necessari alla gestione ed agli investimenti – stante le attuale condizioni normative – saranno recuperate nell’arco della “convenzione di gestione” (trent’anni?) con le tariffe e le fatture emesse nei confronti di tutti gli utenti, ma il capitale necessario deve essere reperito subito con il capitale “sociale” – ed in questo caso con le quote associative versate dai soci, ovvero dai 100.000 che hanno aderito – e reperendo sul mercato finanziario il resto del fabbisogno.
Non è credibile e non sarebbe possibile chiedere all’azionista diffuso di tassarsi preventivamente per raccogliere il capitale e poi di pagare la fatture per ammortizzare quello stesso capitale, per cui con ogni probabilità la S.p.A. ad azionariato diffuso dovrebbe recuperare la quasi totalità del capitale necessario sui mercati finanziari ed alle condizioni del mercato.
Il problema a questo punto sarebbe legato al fatto che gli operatori finanziari non prestano denaro sulla base di un ammortamento, diciamo, trentennale, ma sulla base temporale molto più breve, diciamo quinquennale.
Questa dicotomia comporta automaticamente due sole soluzioni, o l’ammortamento dei capitali avviene con i tempi degli operatori finanziari con aggravio pesantissimo delle tariffe, o la società accumula un debito nei confronti degli operatori finanziari tale che – come è già avvenuto tante volte in Italia – saranno gli stessi operatori finanziari a stabilire le condizioni di rientro dal debito imponendo le proprie condizioni su gestione e tariffe, divenendo così gli effettivi “padroni” del servizio idrico.
Altro aspetto tutt’altro che irrilevante è quello relativo al management della società. Come si accennava in precedenza non è affatto detto che l’estrema parcellizzazione delle azioni della società ne garantisca il controllo diffuso e la democraticità delle decisioni e delle scelte.
Una S.p.A. è comunque una società di capitali regolata sulla base del diritto societario e più sono deboli le partecipazioni più diviene forte l’autonomia e … l’imperio dei dirigenti.
Una gestione pubblica è un’altra cosa e per quanto ci riguarda sarebbe legata alla costituzione di un’azienda speciale consortile di diritto pubblico.
Anche in questo caso non avremmo alcuna garanzia che tutto vada per il verso giusto, ma in questo caso si potrebbe effettivamente escludere il fine di lucro, ma anche le regole del diritto societario e di quello commerciale.
Potrebbero essere introdotti strumenti di partecipazione diretta e reale dei cittadini e dei lavoratori.
Per quanto riguarda il finanziamento potrebbero essere attivati strumenti di finanza pubblica in alternativa al ricorso al mercato finanziario e, soprattutto, tenere aperto il fronte fondamentale del superamento del full recovery cost con il trasferimento sulla fiscalità generale di una quota dei costi necessari.
Insomma, non è  che la gestione pubblica sia dietro l’angolo, ma secondo noi è l’unica prospettiva da perseguire. È per una reale ed efficiente gestione pubblica e partecipata del bene comune acqua che speriamo ci sia la possibilità di un confronto aperto alla discussione e all’approfondimento.

giovedì 28 luglio 2016

Lotta di classe. Proletariato sconfitto anche nel calcio

Luciano Granieri


La Juve ,di cui Exor,  cassaforte della famiglia Agnelli è proprietaria per il   64%, fattura circa 360 milioni l’anno e paga 256 milioni  di stipendio ai propri calciatori. Fca di cui la Exor, cassaforte della famiglia Agnelli,  è socia di maggioranza con il 21% delle azioni, fattura circa 8miliardi l’anno, ma gli stipendi dei 67mila dipendenti italiani incidono infinitamente meno. 

Higuain recente acquisto della Juve, il cui socio di maggioranza è la Exor, lo stesso di Fca, è costato 110 milioni fra prezzo d’acquisto (94 milioni) e stipendio (16 milioni). Con la stessa cifra si sarebbe potuto assicurare  un aumento di stipendio di 150 euro mensili agli operai Fca, coloro cioè che contribuiscono a fatturare 8 miliardi l’anno e non 360 milioni come Higuain e soci. 

Tale ragionamento è  stato fatto da Gerardo Giannone, operaio della Fca di Pomigliano in regime di salario di solidarietà, al netto 900 euro più o meno al mese. Al di là della delusione e della rabbia di un probabile tifoso del Napoli che ha assistito alla vendita del giocatore più forte della squadra del cuore alla rivale di sempre, cioè la Juve, il discorso non fa una piega. 

Se poi consideriamo che la Exor, cassaforte della famiglia Agnelli,   maggiore azionista della Juve( 64%) e maggiore azionista di Fca( 21%) ha spostato la sede fiscale da Torino ad Amsterdam, col vantaggio di non pagare l’Irap e di realizzare profitti detassati dagli scambi azionari, forse il malcontento dei tifosi non bianconeri diventa più aspro, ma purtroppo rassegnato. 

Al di la della passione calcistica, non è errato affermare che la famiglia Agnelli è stata ed è una delle caste, se non la casta, più potente in Italia.  Ne consegue che la squadra di calcio di cui è proprietaria gode dei favori che si devono ad un padrone così influente e non mi riferisco ai favori arbitrali, che pure ogni tanto ci sono. La parentesi calciopoli era evento troppo evidente per non determinare conseguenze.  

Prendiamo lo Juventus Stadium, si è detto mirabilie dell’impianto bianconero, esaltando  la lungimiranza e l’abilità di una società sportiva capace di costruirsi privatamente uno stadio di proprietà. Siamo veramente sicuri che la Juve abbia  fatto tutto da sola senza intaccare il pubblico interesse?  La città di Torino ha chiesto alla società bianconera,  in cambio della cessione di proprietà, di fatto per 99 anni, di un’area di 350.000 mq, 20 milioni di euro, cioè la miseria di 58 centesimi a metro quadro. Non solo, lo stesso Comune di Torino ha approvato, sic et simpliciter ,  una variante al piano regolatore che ha consentito alla società calcistica degli Agnelli di  acquisire, per un altrettanto tozzo di pane, terreni  adiacenti  allo Stadium utili a  realizzare  due grandi centri commerciali che consentono di monetizzare ulteriori introiti oltre ai profitti del campo di calcio.  Ma i tifosi del Torino a Torino sono considerati? 

Gli investimenti per la realizzazione di un’arena calcistica, sono indubbiamente ingenti, però  se il Comune ti regala l’area dello stadio più altri spazi per edificare  centri commerciali  in barba all’interesse pubblico, l’operazione è molto più semplice e consente di incrementare  in un anno quei guadagni che, attraverso l’acquisto di calciatori e la partecipazione, fallimentare  ma costante, alla Champions League  sono passati da 11,6 a 34,6 milioni in un anno. 

Questi sono solo gli ultimi fatti, ma la Juve è stata sempre la squadra della famiglia più potente in Italia, proprietaria della Fiat e di una complesso intreccio di attività altamente  remunerative. Capello, Landini, Altafini, e più recentemente  il Capello allenatore, Zebinà, Emerson, fino all’attualità, Pjanic e Higuan sono state le appropriazioni che la compagine juventina, dall’alto della sua potenza economica, si è concessa ai danni delle squadre che in quel momento erano le più accreditate per contendergli la leadership in Italia. Miliardi di lire, milioni di euro, in spregio agli stipendi degli operai Fiat, sempre più miseri, e sempre più lasciati in balia della cassa integrazione. 

Oggi si fa un gran discutere di Costituzione, ebbene l’attività della Exor, o Fia,t o Fca, o come la vogliamo chiamare, nel dissanguare gli operai e spendere milioni per i calciatori  non è molto in linea con l’art.41 il quale giustifica  la proprietà privata ma essa non deve svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in  modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. A pensarci bene offrire un motivo per gioire a milioni di perdenti che tifano i pluridecorati bianconeri perché non in grado di affermarsi da soli  nella società potrebbe costituire funzione di alto valore sociale. Del resto il calcio è metafora della vita e da sempre il quotidiano è formato da padroni e subalterni. Per ora, lasciando stare la lotta di classe, nello sport questo è un postulato non scardinabile. Rassegnamoci.



Spiegare la Deforma nelle scuole

Il comitato per il No alla Riforma Costituzionale del Piemonte e Valle D'Aosta , ha lanciato un'idea che mi sembra ottima. Pianificare incontri con gli studenti degli istituti superiori , per illustrare il testo della riforma Renzi-Boschi. Ciò allo scopo di informare i 18enni, che di li a qualche giorno andranno a votare, ma anche i ragazzi delle IV e V classi sul contenuto di ciò che dovrà essere bocciato o approvato nel referendum costituzionale. Di seguito il testo che il comitato ha inviato ai dirigenti scolastici
Luciano Granieri.

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  Ai  Dirigenti Scolastici
       
 Ai Presidenti dei Consigli di Istituto

delle  Scuole Secondarie Superiori della
  
                    Provincia di Torino Loro sedi                                                               




Gentile Dirigente Scolastico,

Gentile Presidente del Consiglio di istituto,
    
nei  prossimi mesi i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi con un voto sulla legge di revisione costituzionale pubblicata in G.U. n.88 del 15/04/2016. Modifiche della carta fondamentale sono già più volte avvenute, ma mai come in questo caso hanno avuto l’evidente intento di cambiare in profondità l’ ordinamento e le caratteristiche della nostra Repubblica. Il referendum oppositivo/confermativo previsto dall’art. 138 della nostra carta fondamentale assume così una particolare importanza, anche perché verterà sul cambiamento di più di un terzo dell’intero testo.
Il Comitato del NO, a nome del quale vi scriviamo, si è più volte espresso e ha messo in risalto i motivi della propria contrarietà nei confronti di questo intervento, ma è, soprattutto, costantemente impegnato a illustrare i punti fondamentali della legge di revisione, al fine di favorire su di essa una  informazione ampia e circostanziata, proprio quell'informazione spesso carente soprattutto fra i giovani. Il rischio è infatti che le giovani generazioni sottovalutino  la portata della scelta che sono chiamate a compiere  - in qualunque direzione essa si esprima - e si rifugino nel disinteresse e nell'astensione.
Ci rivolgiamo , perciò a voi, e agli organi collegiali da voi presieduti, affinché sia favorita la conoscenza del testo sottoposto a referendum, soprattutto – ma non solo - da parte dei diciottenni che saranno chiamati a votare per la prima volta in tale circostanza. Vi chiederemmo perciò di organizzare – nei modi che riterrete più opportuni - occasioni di incontro durante le quali ci sia data la possibilità di illustrare ai giovani delle classi IV e V del vostro Istituto i motivi delle nostre valutazioni negative, in un auspicabile confronto con coloro che esprimono posizioni differenti dalle nostre e nell'ambito di un sempre utile approfondimento delle tematiche connesse all'educazione alla cittadinanza.
Nell’attesa di una vostra cortese risposta, vi porgiamo cordiali saluti e auguri di un sereno lavoro e di un proficuo inizio dell’anno scolastico 2016-17 .
Il Vice Presidente del Comitato per il No del Piemonte e Valle d’Aosta
Avv. Antonio Caputo
Le coordinatrici del settore scuola del Comitato
prof.ssa Maria Chiara Acciarini (cell. 335-5205852) e prof.ssa Claudia Peirone (cell. 347-0165763)
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mercoledì 27 luglio 2016

Propaganda Referendaria

Luciano Granieri


Bisogna discutere il merito della riforma costituzionale, evitare di influenzare il giudizio che i cittadini dovranno esprimere al referendum confermativo, con motivazioni che nulla hanno a che fare con il testo”. Questo il mantra che ricorre ogni volta si comincia a discutere della faccenda. A dir la verità tale posizioni fu espressa immediatamente dal Coordinamento Democrazia Costituzionale  e dal Comitato per il No alle modifiche Costituzionali. Da parte  degli inventori della riforma (Matteo Renzi e Maria Elena Boschi) l’impresa si è rivelata molto più complicata. Come mai? Era difficile spiegare ciò che essi stessi avevano scritto? Era astruso  leggere, capire e spiegare ciò che essi stessi avevano vergato sotto dettatura? Mistero.  Fatto sta che sui contenuti della  riforma, attesa da 70 anni dai cittadini, come dichiarò Renzi lo  scorso autunno, non fu data alcuna  spiegazione. Quella  dichiarazione, fra l’altro,  resa dal Premier il 17 settembre, ci regalò  una clamorosa verità storica. Cioè che i cittadini italiani, in attesa da 70 anni delle riforme, si  erano  stancati dell’attuale Costituzione già tre anni prima che questa fosse promulgata.

Con me o contro di me
A fine gennaio, quando il Senato approvò le modifiche costituzionali,  il Premier Renzi fece un pomposo annuncio sull’importanza della conferma referendaria. Erano rilevi sul contesto? Affatto. Renzi dichiarò solennemente che in caso di mancata affermazione al referendum   si sarebbe dimesso provocando la crisi di Governo e nuove elezioni. Ma  in caso di dimissioni del Primo Ministro, le elezioni non sono automatiche, o sbaglio? Cioè il Presidente della Repubblica dovrebbe sondare la disponibilità a formare un altro Esecutivo, incaricando un Presidente del Consiglio diverso, prima di sciogliere la Camere. Ma si sa le modalità con cui Matteo Renzi si è formato sull’assetto della  Repubblica , sono state talmente veloci che qualcosa deve essere sfuggito.  Da quel giorno fu un proliferare di dichiarazioni  sul “O con me o contro di me” sul “Metterci la faccia” , ma di contenuti delle modifiche Costituzionali nulla. Nel frattempo chi si era dato penna di leggere la riforma si era immediatamente reso conto di quanto fosse pasticciata,  contraria agli obbiettivi che si volevano raggiungere e lesiva dei diritti democratici .

Facismo e Antifascismo
 Proruppe poi nell’agone  la contrapposizione fra fascisti e antifascisti, con il suo portato di presunte verità e falsità storiche. Iniziò la ministra Boschi a sostenere  che chi avesse votato No alla riforma si sarebbe espresso Come Casapound. E ancora, rivolta all’Anpi (Associazione  Nazionale Partigiani D’Italia) schieratasi per il No, dichiarò che i partigiani veri,  i combattenti, avrebbero sicuramente approvato le riforme. Infatti, secondo la Ministra,   la maggioranza  degli iscritti oggi  all’Anpi non ha partecipato  alla  resistenza  e, a differenza di chi veramente era stato sulle montagne a combattere, è  privo  del  vero spirito partigiano. Non sarà che i combattenti iscritti all’Associazione sono sempre di meno, perché ahimè il loro percorso di vita, causa l’età, arriva alla fine?

Arruolamento  dei morti.
Dopo le reprimenda  quasi unanime di partigiani,combattenti e non, è iniziato un altro tormentone. Il soldo alla causa di statisti e politici del passato. Secondo i nostri baldi giovani riformatori, Enrico Berlninguer avrebbe votato Si, come pure  Pietro Ingrao, perfino Terracini,  Presidente della 2° Sottocommissione della Costituente sarebbe stato favorevole ad alcuni articoli riformatori. Figli e nipoti dei politici evocati, si sono indignati, diffidando i maldestri nuovi  costituenti ad usare a vanvera i nomi dei loro illustri cari.

Campagna acquisti dei vivi.
Fallita la campagna acquisti dei morti è iniziata quella dei vivi. Come controbattere l’autorevole spiegamento  di  noti costituzionalisti, esimi professori, Presidenti Emeriti di Corte Costituzionale, schierati contro la Deforma Costituzionale? Cercando di formare    un altrettanto importante compagine in supporto del Si  . Fra  gli  accademici  messi sotto contratto i più conosciuti, hanno  ammesso, però, che il testo fa schifo, ma se s’ha da cambiare s’ha da cambiare, quindi  non c’è  da fare troppo gli schizzinosi. Si è provato ad accattivarsi le simpatie di  sportivi ed attori. Il "padronale" Buffon ha aderito,   la Pellegrini ha risposto “no grazie” mentre il grande Benigni ha cambiato la sua valutazione dal No al Si in virtù di  una lauta prebenda di 200 mila euro elargita per la   replica di una sua  trasmissione di qualche anno fa, proprio sulla Costituzione,  andata in Tv nella primavera scorsa.

La catastrofe
Altro canale ampiamente battuto è stato quello catastrofista alla cui regia si è distinta Confindustria, cioè i padroni. Se la riforma verrà  bocciata  cadrà il Parlamento, il Governo, ci aspetteranno tempi bui di  povertà, fame e carestia.  Imperverseranno  invasioni  di terroristi islamici, Al Quaeda ,   nuove Brigate Rosse.  Terremoti e tsunami   flagelleranno la terra. Il tutto perché se dovesse rimanere l’attuale assetto costituzionale, che prevede il Senato elettivo, in presenza delle dimissioni del governo Renzi e di nuove votazioni (rimane sempre il mistero del perché le dimissioni di un presidente del Consiglio porterebbero automaticamente ad elezioni), la nuova legge elettorale creerebbe confusione in quanto  è concepita per la sola elezione della Camera. Certo, è da geni licenziare una norma  elettorale costruita su  un assetto costituzionale ancora da realizzarsi, ma la velocità è velocità, loro danno per scontato che una turbo opinione  pubblica approverà le riforme.  

Finalmente il merito

Dopo la batosta presa alle elezioni amministrative  e dopo che i sondaggi inizialmente favorevoli al Si stanno virando pericolosamente verso l’esito opposto, ci si è  accorti che forse sarebbe  stato meglio parlare un po’ anche del merito della riforma.  Dunque via con i comitati del Si a tediare porta a porta i cittadini sulle mirabilie delle modifiche, ad organizzare banchetti informativi. Operazione miseramente  fallita anche questa, banchetti non se ne sono visti,  dei militanti porta a porta neanche l’ombra. Rimane comunque  il  mistero   di come il Pd abbia potuto raccogliere 600mila firme per richiedere un referendum già stabilito dalla  legge. Saranno firme vere?  L’ultima speranza è affidata al tour che la Ministra Maria Elena Boschi sta compiendo in tutte le città d’Italia per spiegare l’indispensabilità della sua riforma. Il 3 agosto  prossimo sarà a Frosinone presso il palazzo della Provincia alle ore 18,30. Noi del comitato Provinciale Coordinamento Democrazia Costituzionale, saremo li a capire se la Ministra ha studiato. Le  precedenti uscite hanno dimostrato che  Madama Mariaelena  non è tanto preparata sulla sua Riforma. Noi Si. Perciò voteremo  ed invitiamo a votare No.

lunedì 25 luglio 2016

No alla Riforma Costituzionale Renzi-Boschi: Il Comitato Provinciale CDC di Frosinone dà appuntamento a tutti i cittadini nelle piazze.

Comitato provinciale Coordinamento Democrazia Costituzionale di Frosinone.


Il Comitato provinciale Coordinamento Democrazia Costituzionale di Frosinone esprime piena soddisfazione per le seimila firme raccolte sui referendum abrogativi della legge elettorale Italicum e per il referendum oppositivo costituzionale. Lo sforzo, necessario ad ottenere il maggior numero di adesioni possibili, è stato gravoso ed impegnativo. Dall’inizio d’aprile, contando solo sulle nostre forze di semplici cittadini, senza il supporto organizzativo di partiti o di movimenti sindacali, siamo stati presenti con banchetti nelle piazze di tutta la Provincia.
Abbiamo avuto la possibilità di parlare con moltissime persone che, come noi, hanno a cuore la tenuta democratica del Paese. Il nostro assetto democratico è minacciato dal combinato disposto tra una legge elettorale irrispettosa della rappresentanza e una riforma Costituzionale, la Renzi-Boschi, che trasferisce al Governo, di fatto, sia il potere esecutivo che quello legislativo, conferendo allo stesso Presidente del Consiglio la prerogativa di  scegliere e  controllare gli  Organi di Garanzia.  
Proprio il supporto delle tante persone incontrate nelle piazze ai banchetti, ci dà la forza per continuare la lotta in vista della battaglia fondamentale, quella per il No alla deforma Costituzionale Renzi-Boschi il cui referendum oppositivo avrà luogo in autunno. La proposta di riforma Renzi-Boschi è stata scritta sotto dettatura dei potentati finanziari, ed ha come obbiettivo quello di smembrare la Costituzione Antifascista nata dalla Resistenza, perché solo in questo modo potranno privarci dei diritti fondamentali.  L’insana impresa di indebolire la Costituzione è stata tentata in passato da diversi Governi, ma mai portata a termine fino ad oggi. Votare No a questa riforma, confusa e pasticciata, significa tutelare un baluardo fondamentale per la difesa di diritti inalienabili dei cittadini, dal lavoro, alla sanità, alla scuola.
Stiamo predisponendo un programma di incontri pubblici (eventi, comizi) volti a sensibilizzare la cittadinanza per informarla sul concreto pericolo per la tenuta democratica che questa proposta di modifica determina. A breve sarà disponibile un calendario delle attività che ci vedrà ancora una volta presenti nelle Piazze della Provincia per tutta l’estate fino alla vigilia dell’appuntamento referendario.  Siamo determinati ad impegnarci al fine di aumentare la consapevolezza che votare No alla deforma Costituzionale significa proteggere i diritti che la Costituzione antifascista garantisce e tutela.
Ci incontrerete nelle Piazze nelle prossime settimane, e insieme diremo NO a chi vuole privarci dei nostri diritti democratici.

video di Luciano Granieri