Leggiamo dai giornali del progetto del Tavolo provinciale acqua pubblica del M5S di gestione dell’acqua tramite la costituzione di una Impresa sociale nella forma giuridica della S.p.A. ad azionariato popolare.
Vogliamo qui sollevare diversi dubbi e forti perplessità a cui speriamo trovare risposte dal suddetto Tavolo e dal portavoce del territorio, On. Frusone.
Innanzitutto il quadro in cui si inscrive l’ipotesi della costituzione di una S.p.A. ad azionariato popolare è all’interno della riforma del Terzo settore a partire dalla legge delega approvata a fine maggio u.s. in cui si introduce il profitto nel no-profit e apre formalmente l’impresa no-profit agli investimenti speculativi, cioè, all’investimento di capitali allo scopo di trarre un opportuno tasso di sconto (profitto) dalle attività no-profit.
Diviene, quindi, necessario fare qualche considerazione sulla storia delle forme societarie senza scopo di lucro e con il divieto di distribuzione degli utili. A cominciare dalle cooperative, ma non solo.
Nella storia economica di questo Paese molte e diverse sono state le ipotesi e le pratiche volte a costituire forme societarie formate e gestite dal basso.
Si parte dalle Casse Rurali e Artigiane, dalle Banche Popolari e da tutte le forme di raccolta e gestione del credito partite dall’idea dell’azionariato diffuso e dal loro controllo diffuso, sino, ad esempio al marchio “Conad”, ora un franchising, ma nato a valle della riforma agraria del secondo dopo-guerra e dal movimento contadino delle occupazioni delle terre e volto a mettere in contatto i produttori direttamente con gli acquirenti, saltando la speculazione di tutti gli intermediari (Conad sta per Consorzio Nazionale Distributori).
La “fine” di tutte queste esperienze è sotto gli occhi di tutti e dimostra, al di là delle buone intenzioni dei promotori, come l’idea che, all’interno del sistema economico attuale, all’interno delle leggi del mercato, sia possibile una forma societaria che non finisca per essere soggetta e conformarsi alla logica del profitto, sia fondamentalmente velleitaria.
Affidare la gestione del servizio idrico integrato ad una S.p.A. ad azionariato diffuso non significa affatto rendere pubblica la gestione dell’acqua, ma solo costituire ex-novo una società privata a capitale diffuso che dovrà operare sul mercato alle condizioni del mercato.
E non è che in assoluto la parcellizzazione del capitale di un soggetto economico sia garanzia, né di partecipazione, né di efficacia.
Su questo tema vi è il pesantissimo esempio dei fondi di investimento ed in particolare dei fondi pensione.
I fondi si caratterizzano per il fatto che nessuno dei sottoscrittori ha un peso per poter esercitare un reale indirizzo sulla gestione del fondo, tant’è che in gergo l’insieme dei sottoscrittori del fondo viene definito “parco buoi” e la reale gestione del fondo è nelle mani del management, che lo gestisce per le proprie finalità e per il proprio tornaconto.
Ma ammettiamo che la riforma del Terzo settore non veda la luce, che, almeno in partenza, questa S.p.A. ad azionariato diffuso risponda agli scopi dei suoi promotori, potrebbe funzionare?
In primo luogo c’è un problema: gli azionisti.
Non può essere obbligatorio entrare in una società privata.
Quanti, dei 180.000 utenti aderiranno alla proposta?
Diciamo che aderiranno 100.000, e gli altri 80.000?
La cosa è particolarmente rilevante perché è collegata all’altro fondamentale tema, quello del finanziamento della società.
I capitali necessari alla gestione ed agli investimenti – stante le attuale condizioni normative – saranno recuperate nell’arco della “convenzione di gestione” (trent’anni?) con le tariffe e le fatture emesse nei confronti di tutti gli utenti, ma il capitale necessario deve essere reperito subito con il capitale “sociale” – ed in questo caso con le quote associative versate dai soci, ovvero dai 100.000 che hanno aderito – e reperendo sul mercato finanziario il resto del fabbisogno.
Non è credibile e non sarebbe possibile chiedere all’azionista diffuso di tassarsi preventivamente per raccogliere il capitale e poi di pagare la fatture per ammortizzare quello stesso capitale, per cui con ogni probabilità la S.p.A. ad azionariato diffuso dovrebbe recuperare la quasi totalità del capitale necessario sui mercati finanziari ed alle condizioni del mercato.
Il problema a questo punto sarebbe legato al fatto che gli operatori finanziari non prestano denaro sulla base di un ammortamento, diciamo, trentennale, ma sulla base temporale molto più breve, diciamo quinquennale.
Questa dicotomia comporta automaticamente due sole soluzioni, o l’ammortamento dei capitali avviene con i tempi degli operatori finanziari con aggravio pesantissimo delle tariffe, o la società accumula un debito nei confronti degli operatori finanziari tale che – come è già avvenuto tante volte in Italia – saranno gli stessi operatori finanziari a stabilire le condizioni di rientro dal debito imponendo le proprie condizioni su gestione e tariffe, divenendo così gli effettivi “padroni” del servizio idrico.
Altro aspetto tutt’altro che irrilevante è quello relativo al management della società. Come si accennava in precedenza non è affatto detto che l’estrema parcellizzazione delle azioni della società ne garantisca il controllo diffuso e la democraticità delle decisioni e delle scelte.
Una S.p.A. è comunque una società di capitali regolata sulla base del diritto societario e più sono deboli le partecipazioni più diviene forte l’autonomia e … l’imperio dei dirigenti.
Una gestione pubblica è un’altra cosa e per quanto ci riguarda sarebbe legata alla costituzione di un’azienda speciale consortile di diritto pubblico.
Anche in questo caso non avremmo alcuna garanzia che tutto vada per il verso giusto, ma in questo caso si potrebbe effettivamente escludere il fine di lucro, ma anche le regole del diritto societario e di quello commerciale.
Potrebbero essere introdotti strumenti di partecipazione diretta e reale dei cittadini e dei lavoratori.
Per quanto riguarda il finanziamento potrebbero essere attivati strumenti di finanza pubblica in alternativa al ricorso al mercato finanziario e, soprattutto, tenere aperto il fronte fondamentale del superamento del full recovery cost con il trasferimento sulla fiscalità generale di una quota dei costi necessari.
Insomma, non è che la gestione pubblica sia dietro l’angolo, ma secondo noi è l’unica prospettiva da perseguire. È per una reale ed efficiente gestione pubblica e partecipata del bene comune acqua che speriamo ci sia la possibilità di un confronto aperto alla discussione e all’approfondimento.
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