Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 27 ottobre 2018

Quando le scale smetteranno "de gonfiacce de botte"

Luciano Granieri





Si è svolto venerdì  scorso 26 ottobre, a Sora presso la sala bistrò del  "Deliri" l’evento  “Storie di Tortura”. L’incontro ,organizzato dall’Associazione Stefano Cucchi Onlus, e dal circolo Antonio Gramsci di Rifondazione Comunista di Sora,  era focalizzato su due drammatici casi giudiziari, relativi  alla  morte di Stefano Cucchi e Serena Mollicone.  Per entrambi il coinvolgimento di militari dell’arma dei Carabinieri sembra acclarato, come sono del tutto evidenti i supplizi e le torture che i due giovani hanno dovuto subire prima di morire. 

Il programma prevedeva la proiezione del film di Alessio Cremonini “Sulla mia Pelle”, dedicato proprio alla vicenda Cucchi. La visione della pellicola è stata   preceduta da un dibattito a cui hanno partecipato Ilaria Cucchi , attraverso un collegamento in diretta, Guglielmo Mollicone, padre di Serena, Maria Tuzi, figlia del brigadiere Sandro Tuzi, il cui suicidio inerente alla vicenda di Arce è talmente sospetto da essere ancora oggetto d’indagini. 

Hanno presentato l’evento Luigi Pede, segretario della sezione Antonio Gramsci del Prc di Sora, Paolo Ceccano, segretario Provinciale del Prc. E’ intervenuto, inoltre, Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista. Il professore Pasquale Beneduce, docente presso l’Università di Cassino, ha introdotto il film di Cremonini.  Per un’analisi degli aspetti politici, sociali e   emersi  nel corso del dibattito, rimando ad un altro  post   contenente  le  conclusioni espresse dal segretario nazionale del Prc Maurizio Acero  

Personalmente vorrei condividere qualche riflessione  sulle emozioni profonde che il film ha suscitato. Partirei da quanto ha fatto notare il Professor  Beneduce sull’attuale legge che introduce  il reato di tortura. Un provvedimento talmente all’acqua di rose per cui gli aguzzini di Cucchi non potrebbero esserne accusati, infatti, secondo la norma, questo  si determina solo a seguito di sevizie plurime e ripetute. Cioè  se si picchia e si sevizia  una volta sola, anche provocando    la morte, come accaduto a Cucchi non si commette reato di tortura. 

 Ma veniamo al film. Si capisce subito che la pellicola racconta di un depistaggio, più che di un pestaggio, sin dalle prime scene dopo l’arresto. Quando Cucchi, interpretato dallo straordinario Alessio Borghi, si presenta in preda ai dolori delle percosse     davanti al carabiniere  della caserma di Tor Sapienza incaricato di  redigere il verbale, questi rimane basito guardando il  corpo martoriato di Cucchi, ma il suo superiore, lo invita a scrivere senza annotare alcuna lesione, in fondo il tizio non lo hanno arrestato loro, dunque è meglio evitare rogne. Sintomatico in tal senso è come Cucchi si rivolge, in un'altra scena  al carabiniere che lo accoglie al policlinico chiedendogli cosa gli fosse successo. “Sono caduto dalle scale” è la prima risposta di Stefano. “Sempre co’ stè scale, quando la smetterete di mettere avanti le scale?”, aggiunge il militare: “Quando le scale la smetteranno di riempirci di botte” ribatte Cucchi. 

Allucinante è l’asettica descrizione del processo di convalida del fermo. La giudice sembra non accorgersi minimamente dello stato di salute dell’indiziato. Chiede  nome, cognome, stato civile, se  si dichiara colpevole o innocente, queste le fredde battute del magistrato immune ad ogni tipo di compassione ed umanità, e così per tutto il film, gli episodi di depistaggio si susseguono fino alla morte di Stefano. 

Un altro aspetto lo ha suggerito il professor Beneduce nella sua introduzione : il film di Cremonini si basa sui luoghi. Infatti sono proprio i luoghi a rimandare tutta la drammaticità delle situazioni. Il corridoio che Cucchi  percorre scortato dai  carabinieri  , due in borghese ed un in divisa, per arrivare alla sala di foto segnalazione - luogo dove si capisce avverrà il pestaggio - è lunghissimo. La sequenza sembra non finire mai e getta lo spettatore in un profondo stato d’angoscia.  L’ambulanza che trasferisce Cucchi al Pertini diventa  un ulteriore strumento di tortura. La scena è straziante con il mezzo che salta sulle buche provocando lancinanti dolori al paziente il quale invoca una guida meno brusca e veloce. 

Ancora un altro corridoio, quello che conduce Stefano in barella presso la camera   di reclusione. Viene inquadrato dalla prospettiva di Cucchi. I neon asettici    si susseguono inframezzati da pezzi di soffitto   scrostato e  rendono con drammatica esattezza lo stato di prostrazione di Stefano. Le varie celle e la camera dove Stefano muore, nel loro scarno squallore, scandiscono il progressivo avvicinarsi della morte. Toccante è lo strazio dei genitori e di Ilaria    che immaginano lo stato di abbandono in cui si sente  il ragazzo, essendo  all’oscuro dei veti che impediscono ai sui congiunti di andare a confortarlo . 

Ed infine una domanda. Perché Stefano è stato pestato fino alla morte? Perché proprio lui? Il film non lo rende esplicito ma lo fa intuire molto bene. Stefano Cucchi è sembrata la vittima perfetta per sfogare una vile e barbara frustrazione. Non era un delinquente. Un malavitoso non si sarebbe preoccupato  di scongiurare  la perquisizione nell’appartamento dei genitori per evitare un loro choc, non solo, Stefano era malato, epilettico, un stato di debolezza perfetto per  la  squallida vigliaccheria di chi si fa forte contro i deboli. Quella stessa mitezza, per cui il papà di Serena Mollicone non ha subito ritorsioni.

 Il contesto è diverso, ovviamente, ma  i torturatori  di Serena, e i loro complici, hanno sottovalutato la caparbietà di Guglielmo ritenuto un tranquillo insegnante incapace di opporsi così assiduamente, per amore di Serena, della verità e della giustizia, al perverso disegno ordito dagli assassini . La  bontà d’animo profonda che, da un lato ha condannato a morte, dall’altro sta portando alla verità è l’unica grande differenza  che contraddistingue i due casi.


Una serata emozionante per Stefano Cucchi e Serena Mollicone

Maurizio Acerbo




Ieri una serata emozionante a #Sora con Guglielmo Mollicone, Maria Tuzzi e in collegamento Ilaria Cucchi. Guglielmo ha ricostruito la storia della figlia Serena, ammazzata dentro la caserma dei carabinieri di Arce 17 anni fa. Una storia di depistaggi nel corso della quale muore suicida(to) il carabiniere Tuzzi, testimone scomodo dell'ingresso di Serena nel luogo da cui non uscì viva. Grazie alle indagini dei Ris ora è emersa la tragica verità e il contesto di intreccio tra carabinieri, criminalità , spacciatori. Ad Arce l'eroina era ovunque e tanti i giovani morti. Le vicende raccontate da Guglielmo e da Maria Tuzzi vanno fatte conoscere. Abbiamo il dovere di aiutare la loro lotta per ottenere verità e giustizia. Non è tollerabile che in un paese democratico una ragazza che va in caserma per denunciare lo spaccio venga ammazzata. È stata una serata carica di emozioni, indignazione e consapevolezza del dovere di battersi per uno stato di diritto e la Costituzione. Con la telefonata di Ilaria Cucchi e la proiezione del film si è evidenziato come la lotta per ottenere verità e giustizia riguarda tutte e tutti. Erano le 23 quando dall'altra sponda del fiume Liri si sono accesi i fumogeni dei tifosi del Sora che con uno striscione che ricordava Serena hanno gridato a lungo lo slogan "SIAMO TUTTI STEFANO CUCCHI" che è risuonato per tutta Sora. La storia che raccontano Guglielmo e Maria dobbiamo portarla in tutta Italia, farla conoscere, supportandoli finché giustizia sarà fatta per loro come per Stefano.

venerdì 26 ottobre 2018

Inceneritori di Colleferro: Dichiarazione e fatti

Movimento Rifiutiamoli


La mobilitazione continua



Nelle ultime settimane l'intervento del Ministro dell'ambiente Sergio Costa, nell’arena dello scontro tra amministrazione capitolina e regionale, sembra aver smosso le acque. In pochi giorni si sono succedute dichiarazioni del Presidente della regione Nicola Zingaretti, dell’assessore regionale Massimiliano Valeriani e della Sindaca Virginia Raggi.


Zingaretti e Valeriani hanno dichiarato che gli inceneritori di Colleferro non verranno ricostruiti e riaccesi ma sostituiti da un impianto di recupero per i rifiuti indifferenziati, rifiuti che i TMB (trattamento meccanico biologico) non sono in grado di riciclare. La sindaca Raggi ribadisce che gli impianti di trattamento rifiuti ed eventuali discariche di servizio non si dovranno insediare nel territorio della capitale.
Al momento non avrà luogo l’annunciato incontro della cabina di regia tra Zingaretti, Raggi e Ministro Costa in prefettura, il cui esito avrebbe dovuto dar luogo a decisioni concrete in merito alla gestione dello stato fiacco del servizio di gestione dei rifiuti nella città di Roma e a scelte definite sulle future strategie.
A nostro avviso, occorre:

  • Definire un piano per la gestione dei rifiuti della regione Lazio che segni l’abbandono del sistema fondato su discariche e inceneritori.
  • Raccordare ogni intervento immediato al piano regionale,
  • Coinvolgere in ogni decisione municipi, comuni e reti associative informando capillarmente e dando voce ai cittadini,
  • Rimuovere gli impianti esistenti, bonificare l’area, nella quale non si dovrà mai più insediare nessun altro tipo di impianto, essendo Colle Sughero in un’area SIN (Sito d'interesse Nazionale)  e persistendo nel sottosuolo e nelle acque sottostanti al sito contaminazioni da cromo esavalente.
  • La garanzia della realizzazione del piano post mortem, con annessi finanziamenti e atti ufficiali della discarica di Colle Fagiolara, essendo la data di chiusura fissata per il 31 dicembre 2019.
  • Ribadire che il nostro territorio non costituisce lo sbocco per il trattamento dei rifiuti della capitale o addirittura, come indicato da Valeriani, dei rifiuti dei TMB della regione Lazio.


Come possiamo valutare quanto dichiarato, fatto e non fatto?
L’orientamento del Ministro a sfavore dell’incenerimento si è aggiunto al costo troppo oneroso della ricostruzione delle due linee di incenerimento ed all’opposizione radicale  dell’intera comunità di Colleferro e dei comuni circostanti. Altre tecniche di recupero della frazione indifferenziata costituiscono una alternativa concreta e non possono più essere ignorate come si è fatto in tutta la precedente legislatura.
Valutiamo positivamente le dichiarazioni di Zingaretti e Valeriani, ma tali restano nella loro genericità ed ambiguità in particolare sulla collocazione degli impianti innovativi da loro proposti.
Di conseguenza, non possiamo che mantenere lo stato di mobilitazione, intensificando l’attività di informazione e coinvolgimento dei cittadini: il passaggio è cruciale e le decisioni importanti verranno prese nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
La situazione romana è talmente drammatica che ne potranno discendere decisioni impattanti per il nostro territorio (ricordiamo le affermazioni dell’amministratore delegato di AMA Bagnacani sulla necessità di riaprire gli inceneritori di Colle Sughero).
A tutti deve essere ricordato un fatto incontrovertibile: se non ci fossero state le manifestazioni dell’8 luglio 2017, del 18 novembre 2017 e del 7 luglio 2018, se dal 5 novembre 2017 non si fosse insediato il presidio al quartiere Scalo e non si fossero fermati i mezzi che portavano materiali necessari alla ristrutturazione degli inceneritori, con il concorso di diverse amministrazioni locali, gli impianti oggi sarebbero stati riavviati secondo il programma approvato di ristrutturazione.
Ricordiamo che la regione e AMA avevano stanziato i fondi per il revamping e la società Lazio Ambiente aveva appaltato parte dei lavori.
Gli inceneritori sarebbero stati riavviati e con essi sarebbe stata rinviata per molto tempo la revisione delle strategie regionali sui rifiuti.Sono fatti incontrovertibili che raccontano storie di mobilitazione, di corpi, di energie, di scambio di saperi. Tutto questo ha spento e chiuso le due ciminiere.

  • Nelle prossime settimane chiameremo sul nostro territorio le istituzioni interessate ad un confronto pubblico con i cittadini.
  •  Chiameremo ad una nuova mobilitazione i cittadini, se verranno confermate le dichiarazioni di Zingaretti e Valeriani di far diventare Colleferro il luogo predestinato per lo smaltimento dei rifiuti di Roma
  • Manterremo un coordinamento di lotta ed informazione con i cittadini di Roma che vivono nei pressi di impianti maleodoranti e obsoleti.


video di Luciano Granieri

giovedì 25 ottobre 2018

Il debito è alto perchè abbiamo speso troppo?

Stop-ttip-roma


Il grande business
del debito pubblico italiano
27 ottobre Roma ore 10
Sala Engim Internazionale – via degli Etruschi 7
presentazione del dossier
“Gli effetti delle controriforme fiscali sul nostro debito pubblico”

Lo studio, realizzato da Cadtm Italia, primo centro studi sul debito auto-organizzato dal basso, ha lo scopo di fornire informazioni sulla struttura del sistema fiscale italiano e sugli effetti che le controriforme dei passati decenni hanno avuto sulle entrate dello stato, e quindi sul debito pubblico.

La principale causa dell’aumento del debito pubblico italiano dipende dalla spesa per interessi, la cui dinamica negli ultimi anni è stata sempre più condizionata dalla speculazione finanziaria.

Se consideriamo solo tre episodi speculativi (1992-93; 2007-2008; 2011-2012) ricaviamo che la speculazione finanziaria è costata allo Stato italiano 467,3 miliardi, ovvero il 20,6% dell’intero debito pubblico del 2017. È una cifra che è andata a ingrassare la pancia delle multinazionali della finanza e delle banche e solo in minima parte i risparmiatori italiani, che detengono solo il 5% del debito complessivo.

Secondo il dossier, se si considera il mancato gettito dovuto alla ridotta progressività delle riforme fiscali e al mancato cumulo, “otteniamo una perdita per lo Stato, nel [solo] 2016, di 8,3 miliardi di euro, pari al 4,5% del gettito Irpef”. Applicando lo stesso calcolo agli ultimi 34 anni (dal 1974 ad oggi), il mancato gettito complessivo ammonta a 146 miliardi. 

Tale ammanco di entrate è stato colmato dall’emissione di titoli di Stato che, in virtù degli interessi composti, hanno prodotto un maggior debito pari a 295 miliardi, il 13% di tutto il debito accumulato. Un favore alle classi più ricche che è stato assai costoso per tutta la collettività!

Solo per effetto delle speculazioni oggetto di studio e di una Irpef iniqua, oltre 762 miliardi di euro, ovvero quasi il 34% del nostro debito, può considerarsi causato da dinamiche internazionali e nazionali che nulla hanno a che fare con scelte consapevoli degli abitanti dell’Italia.

L’attuale proposta di manovra finanziaria con l’enfasi sulla “flat tax” non fa altro che contribuire ad alimentare tale business. Solo il ripristino di una tassazione complessiva e unica per tutti i cespiti di reddito e il ritorno ad una più elevata progressività delle imposte possono contribuire non solo ad una maggiore equità fiscale ma anche a ridurre il debito pubblico.

Il dossier  su Fisco e debito mostra come le soluzioni si possano trovare battendo altre strade, in realtà non nuove, ma abbandonate da tempo perché abbiamo perso di vista la Costituzione e il suo richiamo alla giustizia sociale.

Qui trovate i dettagli della giornata e i materiali http://italia.cadtm.org/riforme-fiscali-e-debito-pubblico-italiano/

CADTM-Italia è un’associazione costituita nel 2017 che, fra i propri scopi, ha quello di analizzare il debito pubblico italiano in modo da individuare le componenti illegittime e chiederne il loro annullamento. Aderisce all’omonimo coordinamento internazionale fondato in Belgio nel marzo 1990. CADTM Internazionale ha partecipato all’audit sul debito pubblico in Ecuador ed ha fatto parte della Commissione parlamentare per la verità sul debito pubblico in Grecia.

mercoledì 24 ottobre 2018

Lapidata a morte da coloni israeliani

fonte: Il Faro sul Mondo


Quella che vi raccontiamo oggi è solo una delle tante atrocità che si consumano quotidianamente contro il popolo palestinese. Ieri sera, una donna palestinese è stata lapidata a morte dai coloni israeliani nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata.
lapidata
Aisha Mohammed Aravi, 47 anni, stava guidando il suo veicolo in compagnia del marito, vicino a un checkpoint della Cisgiordania, a sud di Nablus, quando sono stati attaccati da coloni israeliani che hanno iniziato a lanciare grosse pietre sulla macchina della coppia.
Gli aggressori hanno rotto il parabrezza dell’auto, colpendo la coppia più volte nella testa e nella parte superiore del corpo con una raffica di pietre. Aisha, della città di Bidya, ha perso la vita a causa di un grave trauma alla testa. I media palestinesi hanno riferito che anche il marito di Aisha ha subito gravi lesioni durante la vile aggressione.
Il tragico incidente è arrivato due giorni dopo che un gruppo di coloni israeliani della colonia di Yitzhar ha fatto irruzione in una scuola superiore nel villaggio di Urif, nel sud di Nablus, e ha iniziato a lanciare sassi contro studenti seduti nelle loro classi. Decine di studenti sono rimasti feriti durante l’attacco, oltre ai gravi danni materiali causati alla scuola.
Pochi minuti dopo l’incidente, anche le forze militari israeliane sono entrate nella scuola superiore e hanno fornito protezione ai coloni mentre li scortavano fuori dalla zona. Le truppe hanno anche sparato proiettili di acciaio rivestiti di gomma e bombolette lacrimogene contro gli studenti. Diversi giovani sono rimasti intossicati a causa dell’inalazione di gas lacrimogeno. 

Dalla Palestina occupata è tutto.

Effetto flat tax

Mario Zorzetto

Il lavoro autonomo pagherà metà tasse rispetto i lavoratori dipendenti già mazziati perchè pagano le tasse alla fonte a differenza dei primi.



La Costituzione prescrive che chi ha poco reddito contribuisca con poco, chi ha di più paghi di più e infine chi ha molto contribuisca molto, con progressività rispetto la sola variabile reddito imponibile che sappiamo cadere in un intervallo estremamente ampio da zero fino a  milioni di euro. Non dobbiamo confondere progressività con proporzionalità essendo la prima legata alla variazione di aliquote crescenti!

Chi saranno i contribuenti agevolati dalla flat tax? 

La fotografia degli studi di settore scattata dal Dipartimento Finanze del ministero dell'Economia sul fronte dei professionisti, persone fisiche vede in testa i notai con un reddito medio 2015 di 217.800 euro e in coda i veterinari con un reddito medio di 19.300 euro.Dottori commercialisti, ragionieri fiscali e consulenti del lavoro si attestano sopra la media nazionale con oltre 47000 euro di redditi medi dichiarati nelle dichiarazioni fiscali presentate nel 2015 (redditi 2014): è quanto emerge ancora dalle statistiche fiscali rese note dal dipartimento delle Finanze sull’anno d’imposta 2014 relative alle persone fisiche titolari di partita IVA . Sempre per quest’anno d’imposta emerge che i ricavi e i compensi dei 3,614 milioni  di imprese e professionisti soggetti agli studi di settore si sono attestati sui 713,7 miliardi di euro!

Queste sono “le cifre” reali con cui abbiamo a che fare!!!!  E come il condono del 20% incide nella pace fiscale per chi non ha denunciato il vero imponibile!!

Qual è  l’effetto annuncio della flat tax prevista per il popolo delle partite IVA che porterà la tassazione al 15% per i ricavi imponibili  sotto i 65 mila euro e 20% sopra tale soglia?

L’effetto flat tax sposta il vantaggio fiscale tutto a favore del lavoro autonomo (e dei furbetti che possono operare a consuntivo)  creando disparità di trattamento fiscale con i salari dei lavoratori dipendenti e aprendo una breccia  nella solidarietà e progressività  fiscale dell’articolo 53 della Costituzione!!!

IL VANTAGGIO FISCALE  SI SPOSTA VERSO IL LAVORO AUTONOMO perché nel tetto dei 65mila euro è compreso il 95% dei salari dei lavoratori dipendenti ma mentre a questi ultimi viene applicata una aliquota media del 30% , per le partite IVA il governo ha scelto quota 15%...la metà della prima!

Con le politiche fiscali giallo verde si consacrano l’iniquità fiscale , si attaccano le conquiste sindacali, si stravolge la cultura della progressività costituzionale art.53.

A questo dissennato regime fiscale  si  aggiunge l’abbassamento di nove punti dell’IRES per le Aziende (per circa 4 miliardi di euro che già recentemente era stata abbassata di quattro punti!)

Cosa fa la sinistra , cosa fanno i progressisti che vogliono difendere Costituzione e i suoi principi fiscali?

Dormono  in un profondo sonno suicida, lasciandosi  prendere in giro dai tributaristi ipocriti dell’ultimo governo  che ignorano  solidarietà,    onestà  ed equità fiscale per propagandare
e promuovere  la semplificazione fiscale truffaldina. 

Una opposizione vergognosa o penosa a chi giova? ai personaggi politici individualisti  e “fighetti” della flat tax?.

lunedì 22 ottobre 2018

Esproprio musicale africano

Luciano Granieri  (liberamente tratto da un racconto di Bob Hecht)





Una notte nella metà degli anni ’60 squillò il telefono.  Era  il mio amico Kinney.

Vieni   da me stasera c’è qualcuno che voglio farti conoscere. Porta  dei dischi di jazz”.

Con Kinney  eravamo amici fin dall’epoca del college, avevamo conseguito la laurea insieme a Seton Hall, su nel Jersey un po’ di anni addietro. All’epoca dei fatti  entrambi vivevamo  e lavoravamo  a New York:  io  abitavo nella parte superiore dell’east side con la mia compagna, lui, da solo, giù nel  Greenwich Village.

Prima  di dirigermi verso la metropolitana presi con me pochi dischi selezionati  da ascoltare insieme a lui, qualcosa di Bud Powell, di Bird e Chet Baker.
Avevo introdotto con grande entusiasmo Kinney all’ascolto e alla conoscenza  dei grandi del jazz.  E lui piano piano,  aveva messo in piedi     una discreta collezione di dischi .

Ci aprì  la porta e invitò me e la mia compagna ad accomodarci. Una volta entrati nell’appartamento ammirammo una bellissima ragazza nera seduta sul divano.
Ce la presentò  orgoglioso dicendo” E’ Yvonne”. Il tono della sua voce era tipico di qualcuno che si stesse vantando della sua ennesima conquista sessuale.

Non era solo l’avvenenza di Yvonne  che mi colpiva , le storie fra un bianco e una nera non erano rare nella metà degli anni ’60, soprattutto nel Village , ma erano sufficienti a creare scompiglio nella tranquilla società americana. Ovviamente ciò indicava che ormai era in atto un deciso cambiamento culturale e sociale nel Paese tale  da coinvolgere  anche  i costumi sessuali.

Il  rapporto fra Kinley ed Yvonne andò oltre la semplice infatuazione derivata dall’attrazione sessuale. Divennero  una coppia stabile. All’inizio di questa storia Yvonne era una ragazza timida  e semplice, fu nel seguire degli anni che intervenne un’ inaspettato cambiamento. 

Da una convenzionale ragazza nera della middle class borghese si trasformò in una feroce  hippie.  Cominciò a sostituire i suoi vestiti sobri e lineari  con camicioni usati, vintage  e colorati, recuperati negli store del Village. Indossava pantaloni a zampa d’elefante e sfoggiava ogni sorta di ciondolo e orecchini etnici. I capelli, prima tenuti  lisci, si trasformarono in una riccia acconciatura  Afro, prima corta e poi sempre più lunga e fluente.

Prese  a frequentare le riunioni dei black panther e gradualmente acquisì  una vera e propria coscienza politica. Da una innocente ed ingenua ragazza borghese, divenne una convnita attivista  del black power e cominciò a comportarsi di conseguenza. 

Non sopportava la tranquille e ipocrita   la  middle class americana. Aborriva il tono mite e "ziotomista" dei neri che accettavano le regole di vita dei  bianchi, sperando di spuntare un qualche diritto civile. Per lei le radici africane del suo popolo conferivano  ai neri una incontestabile  superiorità culturale rispetto a quella inconsistente dei bianchi americani .Questa trasformazione la portò a rinnegare tutti gli amici che aveva conosciuto vivendo con Kinley, a isolarsi da loro per darsi completamente alla lotta politica.

Nel frattempo l’amore per il jazz di Kinley cresceva sempre di più, tanto da farlo apprezzare come una vera autorità in materia fra chi come noi condivideva la sua passione. Oltre ai dischi di Chet Baker , il suo musicista preferito, arricchì la sua collezione con incisioni di  Charlie Parker, Bud Powell, Thelonious Monk, Lester Young, John Coltrane, Miles Davis ed altri grandi del jazz.

Yvonne non sembrava particolarmente attratta dal jazz, per altro la coppia si stava disgregando  ogni giorno di più.  Kinney aveva uno spiccato  orientamento intellettuale  e nutriva un forte desiderio di crescita spirituale.  Mentre io lo iniziavo al jazz lui mi introduceva a Alan  Watts e alle tecniche Zen di Huang Po. Certamente Yvonne non era sulla stessa lunghezza d’onda.

La rottura ad un certo punto apparve inevitabile, le differenze fra di loro erano diventate incolmabili, ed un giorno lei lo lasciò. Mentre Kinley era al lavoro lei mise i sui vestiti in una valigia e se ne andò, non prima di aver razziato la collezione di dischi jazz dell’ormai ex compagno.  Lo fece in un modo bizzarro, tenendo fede alla  sua nuova ritrovata identità afrocentrica.

Si è portata via tutti i dischi dei musicisti neri, è stata attenta a prendere ogni loro  incisione” si lamento con me Kinley. “Ora mi ritrovo con una collezione di soli jazzisti  bianchi”, aggiunse. Pensai  che in fondo in fondo, per lui non era un così grave danno, visto che il suo musicista preferito era Chet Baker, ma non ebbi il coraggio di dirglielo.


domenica 21 ottobre 2018

Oltre il blues

Un saggio critico di Matt Sweeney
traduzione di Luciano Granieri





Il Mac’s Restaurant  il  nightclub  di Eugene nell’Oregon centrale, è il posto dove gli aficionados di blues si radunano per  godere del bar,   del cibo Cajun,e danzano sotto le pulsioni  del blues guidate dal potere della chitarra. I nostri amici  Alan e Susan vengono qui un paio di volte al mese per soddisfare la loro voglia di ballare al ritmo del boogie. Ogni qualvolta mia moglie ed io passiamo dalle parti di Eugene finiamo al Mac’s  con Alan e Susan. Loro aspettano con ansia gli innumerevoli blues festival che si tengono dalle loro parti e possono essere considerati dei veri esperti.



A me il blues piace . Ma amo anche il jazz. Susan è affascinata dal    blues ma non sopporta il jazz “il jazz moderno” per essere precisi. Sostiene   che mentre  balla al Mac’s è attraversata dalle pulsioni del basso, della batteria, dall’urlo del cantante, la Fender Stratocaster fa vibrare le sue ossa, i suoi muscoli, le sue pupille. Questo per lei è il paradiso. Questo è ciò che vuole dall’esperienza del  blues. 
Non “capisce” il jazz – troppo celebrale, per niente viscerale, “non riesce a stimolargli alcun feeling”.


Non sono d’accordo.  Mi fa piacere d poter condividere  condividere il divertimento del blues al Mac’s. Nessuno può persuadere  Susan o altri ad apprezzare il jazz  (o Wagner, o Edgar Varese, o Tom Waits) attraverso dotte disquisizioni. Però  la nostra conversazione  mi ha indotto a pensare al jazz  e al suo rapporto con il blues.  Pensieri  alla rinfusa tipo: “Cosa delle performance di jazz può scuotere le   ossa, i    muscoli, le pupille? Penso ad Art Blakey e i Jazz Messenger, a John Coltrane, o a Kenny Garret, Wallace Rooney, mentre stanno facendo venir giù il soffitto…”

Che dire di “Chasin’ The Trane” di John Coltrane.  Un blues registrato live al Village Vanguard  il 2 novembre del 1961 con il bassista Jimmy Garrison ed il batterista Elvin Jones.  Questa performance travolgente offre un esempio di come un trio musicale di geni (non parlatemi di  Coltrane) che suonano all’apice della loro carriera, possano prendere un blues di 12 battute e trasfigurarlo  nella frenesia di un ruggito, in una gioia torrenziale. Non c’è nulla di più viscerale di questo.

Il groove ,  il feroce potere dell’esecuzione di 16 minuti è paragonabile alla vera essenza dell’amore di Susan per un duro e  trascinante  blues. Ma gli altri aspetti del suono di  questo brano la lascerebbero sbalordita al limite dell’irritazione. Coltrane si estende ai limiti del suo sax tenore, producendo suoni atonali, urlando ed emettendo mucchi di note da capogiro  (la sua tela del suono),  che potrebbero  procurare a qualcuno    dei moti di brivido e indurlo ad  abbandonare  l’ascolto, mentre suscitare ad altri applausi e sorrisi di gioia  . Il brano non ha un inizio, assolutamente aborrito,  nonostante il trio stia già suonando furiosamente per dieci minuti, qualcuno improvvisamente accende il sound e la fine è molto più che improvvisa, determinata da un’unica rullata e una nota mantenuta alla fine dell’ultimo chorus.

Ma è blues. Si possono  apprezzare i cambi di accordi di Jimmy Garrison nonostante manchi il pianoforte a dettare la progressione appropriata (McCoy Tyner è fuori in questo pezzo) . Jimmy Garrison inoltre aiuta nel marcare l’inizio e la fine dei  chorus. Coltrane, naturalmente,  sembra ignorare la sequenza armonica  e sopravanza i cambiamenti di accordi. Il punto è che il superiore talento dei musicisti di jazz risiede nella capacità di trasformare il blues in una esperienza musicale che travalica la semplice struttura formata da tre semplici  accordi. Questo è ciò che rende il jazz appagante sia per la pancia che per il cervello.

Ci sono molte  altre esaurienti trattazioni su Chasin’ the Train, comprese le puntuali note   di  David Wiles che accompagnano la serie completa dei dischi della Impulse :”  Impulse’s Complete 1961 Village Vanguard Recordings , oppure sul blog di Ronan Guilfoyle “Mostly Music” ma non rendono l’idea.


Oppure cosa dire di una altro modo di superare il  blues, ma con caratteristiche del tutto differenti , come nel l brano  Balcony Rock” dall’album “Jazz goes to college” di Dave  Brubeck, registrato dal vivo  nelle università di Oberlin,  Cincicinnati  Michigan nel 1954 nel 1954. Questa performance è agli antipodi rispetto al fiammeggiante “ Chasin’the Trane”. Susan l’avrebbe giudicata   troppo celebrale.  

Ma il pezzo mostra una volta di più come un genio musicale può viaggiare oltre la strada segnata dagli accordi blues. Il quartetto comprendente  Dave  includeva, naturalmente, Paul Desmond al sax alto, Joe Dodge alla batteria, e il contrabbassista  Bob Bates ( Joe Dodge fu più tardi sostituito dallo straordinario Joe Morello. Dodge era meno virtuoso , ma più umorale   di Morello. Si accontentava, di essere un ottimo sideman  e non amava stare sotto i riflettori, andava molto più d’accordo  con Desmond).

Balcony Rock” rimane un blues di dodici battute , che in quel periodo il quartetto raramente suonava, preferendo le più complesse sequenze di accordi degli standard, che non avevano niente a che fare con il sound del blues, eccetto poche misure funk che Brubeck , per alleggerire l’esecuzione, inseriva qualche volta  nella prossimità centrale  dei pezzi da dodici minuti. Ciò per suscitare   alcuni momenti di leggerezza  presso il pubblico sorpreso dalla quella   stranezza. 

In Balcony Rock  la  spinta esplorazione della melodia e dell’armonia  prende una strada che va oltre ogni tipo di blues,  compreso ciò   avevo sentito da quando a 15 anni ne scoprii i dischi. Il  primo effetto che ebbe su di me fu  di gioia e meraviglia tale  influenza  non è diminuita con il passare degli anni. Come “l’Adagio per archi” di Barber, o “l’Adagetto” dalla Sinfonia n.5 di Mahler il suo effetto su di me non è mai diminuito.  (Lo so state dicendo che queste citazioni sono pretenziose, ma quante volte ascoltate  questi brani. Provate a sentirli e capirete cosa voglio dire).

Dal provvisorio  “ding dong, c’è qualcuno in casa?” che apre serenamente l’accativante melodia di chiusura , si realizza una compiuta e straordinariamente bella composizione. Gli assoli di Desmond e Brubeck , scaturiscono spontaneamente, come è naturale, ma il loro confluire verso l’empatia di ogni ascoltatore è totale. Ognuno compie una serie di passaggi, che ora , creano tensione, diffondono un crescendo,  ora  si risolvono in  una sensazione di rilassamento  che  consente di prendere fiato, sfoggiando sfarzo, ma mai attraverso accordi stilisticamente stucchevoli , e con una linea melodica   richiama la mente gli archi  dell’”Aria” dalla Suite in Re maggiore di Bach. 

Con  la  costante tenuta  di Bates e Dodge della  piacevole e basilare struttura a 12 battute  e, ancora meglio, delle  fondamenta  più essenziali dell’esecuzione jazz : il brano propone uno swing rilassato che si evolve in un travolgente groove in 4/4.

Ma nonostante la struttura in  12 battute sia rispettata,gli assoli di Desmond e Brubeck,  si ergono oltre la struttura  blues.  Un' idea di improvvisazione continua oltre i  punti d’interruzione della sequenza dei chorus,   estendendosi per tre o quattro giri  armonici consecutivamente  senza interruzioni.

George Avakian, il produttore di “Jazz Goes To College” descrive “Balcony Rock” più accuratamente e chiaramente , di quanto io sia stato capace di fare, ma è necessario comprare il CD per  leggere le sue note  . Vi consiglio di farlo perché molto meglio delle note di copertina è la loro performance.

Penso  che ne spedirò una copia a Susan.




Una testimonianza terribile ma significativa sui danni provocati dall'amianto.

Nell'ambito del convegno "Basta Amianto" tenutasi a Ferentino il 20 ottobre scorso, ha portato la sua testimonianza  Giovanni Carino  un ex lavoratore della Cemamit di Ferentino. La fabbrica, che per decenni ha prodotto  lastre di ETERNIT  ad alto contenuto di amianto, ha iniziato la sua attività     nel 1965 ed è stata  chiusa nel 1984. Ma il suo ecomostro fantasma  ha continuato, e continua, a avvelenare la Valle del Sacco. La procedura per la  sua bonifica è iniziata nel 2017. Il sig. Giovanni Carino attualmente è affetto da asbestosi. Per completezza d'informazione al convegno hanno preso parte anche: Annalisa Corrado (Comitato scientifico di Possibile e promotrice della campagna "basta amianto") Francesco Raffa (Responsabile provinciale Legambiente) Marco Maddalena (Coordinatore Regionale Sinistra Italiana) Marianna Sturba (Responsabile Regionale Ambiente Sinistra Italiana) Fabio Magliocchetti (Ferentino Città Aperta). Ha moderato gli interventi Umberto Zimarri (Possibile Salvador Alliende).
Luciano Granieri.

Giovanni Carino


Sono Giovanni Carino invalido del  lavoro per ASBESTOSI, malattia contratta nello stabilimento CEMAMIT, vi porto la mia testimonianza come    ex lavoratore del settore cemento amianto. In modo sintetico vorrei dire due parole sull’amianto.

 Cos’è l’amianto?

L’amianto è un materiale fibroso potente  e malefico che con le sue microfibre, (che sono 1300 volte più piccole di un capello) riesce a sfondare le barriere naturali che abbiamo nel naso, scivola nell’esofago e si apre la strada verso i polmoni che si ammalano di asbestosi.
La Cemamit, stabilimento di Ferentino, inizia la sua attività nel 1965 per la produzione di lastre per coperture di tetti “le famose ETERNIT”.

I turni di lavoro  erano continui 24 ore su 24 e su producevano mediamente 10mila metri quadri di lastre al giorno, per un consumo giornaliero di amianto friabile di 130ql.
Ha terminato la produzione nel 1984 e per quasi vent’anni, non ha mai fornito idonee informazioni ed applicato misure di SICUREZZA, per tutelare la salute dei lavoratori, pur essendo note sul piano scientifico, quanto meno a partire dagli anni ’60 la PERICOLOSITA’ e le conseguenze cancerogene dell’amianto.

Senza dilungarmi ulteriormente sulla storia della Cemamit, colgo l’occasione per fornire i dati, aggiornati ad oggi , sulla strage silenziosa che non si ferma mai.
La Cemamit all’inizio dell’attività aveva 120 dipendenti.  Sono deceduti per patologie asbesto correlate 82 operai, tra i quali 9 casi di mesotelioma.

Queste morti, purtroppo, sono frutto di una leggerezza di valutazione del problema, per cui per opportunismo economico  non si è investito sulle misure di protezione.
Va denunciato che in quel periodo vi era il totale disinteresse verso i dispositivi di protezione individuale  (mascherine, tute  e guanti) e ambientali (impianti di depolverizzazione con filtri idonei)  così pure verso le tematiche  della SICUREZZA in generale.

Oggi anche la popolazione è a rischio  per la presenza d’amianto nell’ambiente.

Nel mese di marzo di quest’anno, presso l’auletta dei gruppi parlamentari della Camera dei Deputati sono state dedicate due giornate per la lotta all’amianto. Sono stati effettuati 35 interventi per analizzare, gli effetti  legislativi, istituzionali, medici  e sociali di un problema che a 24 anni di distanza della legge che stabiliva la messa al bando del  materiale killer “L’AMIANTO” è ancora lontano dall’essere sconfitto.

Le ultime stime parlano di 5000 morti l’anno per patologie di asbesto correlate e di circa 35 milioni di  tonnellate di materiale contenente amianto sparse che , a tutt’oggi, continuano ad inquinare  il territorio nazionale e di 2400 edifici scolastici non del tutto bonificati.
Sarà questo il tema della seconda conferenza internazionale per  la lotta all’amianto. I punti fondamentali sono  tre:

1)      Prevenzione ordinaria attraverso la bonifica
2)      Ricerca scientifica e diagnosi precoci per permettere ai sanitari di intervenire all’inizio dell’insorgenza della patologia
3)      Prevenzione terziaria, o meglio indagini epidemiologiche estese non solo al mesotelioma.

E’ importante continuare la lotta sul problema amianto in tutti i suoi aspetti, per  evitare che  questa “peste moderna industriale continui a seminare morte.
Vincere la battaglia contro l’amianto vuol dire costruire un mondo nuovo, attento all’uomo, alla vita, alla sua dignità


Un  mio video girato nel 2010 dove sono documentate alcune fabbriche dismesse nella Valle del Sacco.
La prima è proprio la Cemamit