Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 3 settembre 2020

Ladies and gentleman ecco a voi i Mobius Strip

 Luciano Granieri



E’ una calda serata in quel di Fontana Liri.  Sul  palco, ricavato da una piazzetta rialzata  antistante il Municipio, stazionano una serie di strumenti  poco illuminati dai riflettori visto che all’inizio del concerto manca  più di mezz’ora. Sapete com’è in tempi di Covid, uno cerca di arrivare prima. 

L’attrazione è il concerto del Ialsax quartet. Un gruppo di quattro sax capitanato da Gianni Oddi al soprano (remember Saxes Machine), Filiberto Palermini all’alto, (deus ex machina di tutto ciò che è sassofono nella provincia di Frosinone e oltre), il bravissimo (melodicamente, armonicamente e ritmicamente) Alessandro Tomei al tenore, e Marco Guidolotti al baritono (straordinario arrangiatore oltre che finissimo esecutore). 

Ma torniamo agli strumenti sul palco destinati  al  gruppo che si esibirà prima dei quattro maestri del sassofono. In penombra, scusate l’immagine contrastante,  spicca una batteria che per conformazione di piatti e tamburi  mi sembra di aver già visto da qualche parte, anche la marca è la stessa. All’inizio non ci faccio molto caso, ma poi torno a riguardare quell’agglomerato di pelli e cimbali, e mi convinco ancora di più  che la sua immagine non mi è nuova.  Del resto un batterista, anche se dilettante (molto dilettante) come il sottoscritto, squadra sempre le batterie che si trova davanti. 

Infine ecco l’illuminazione!. Quella sembra proprio la batteria  di Will Kennedy, lo straordinario batterista che - insieme allo straripante bassista  Dane Alderson, Russell Ferrante alla tastiere e il condottiero assoluto Bob Mintzer ai  sax, da vita al gruppo fusion jazz rock Yellowjackets, uno dei miei preferiti. Ma che suonano gli Yellow? Eccitato riguardo la locandina del concerto. 

Il gruppo che precede i sassofonisti si chiama Mobius  Strip. Chi dovrebbe sedere dietro quei tamburi è Davide Rufo accompagnato da Eros Capoccitti al basso, Nico Fabrizi ai sax, Lorenzo Cellupica alle tastiere. La conduttrice ci informa che i quattro ragazzi, si tratta di musicisti  sorani molto giovani, presentano un repertorio jazz-rock e fusion, ricco di contaminazioni con altri stili. Hanno già un Cd all’attivo, intitolato con il loro nome –Mobius Strip per l’appunto- inciso per la Musea Record, un’erichetta francese (francese?) e che hanno accompagnato nel corso di una tournee negli Stati Uniti i “la rinnovata premiata ditta ”Soft Machine, un’icona della fusion rock jazz. Caspita che curriculum!

 I quattro salgono sul palco e cominciano a sciorinare una musica  quantomeno sorprendente, almeno per me che non li conoscevo. Deja Vu il brano che apre il concerto, presenta indubbiamente gli schemi compositivi degli Yellowjackets, con lo stesso rigore negli arrangiamenti,  ma è di fatto una espressione originale, così come gli altri brani che si susseguono uno dopo l’altro facendo crescere il climax emotivo,  con intense  suggestioni ritmiche, pluriritmiche , armoniche,  e soluzioni melodiche  spettacolari che ti coinvolgono totalmente. 

Una dimostrazione  di come  si possa  partire da schemi consolidati per poi sviluppare un discorso assolutamente nuovo. Un viaggio che passa per i Soft Machine, Spyro Gyra, Steps Ahead,   finanche il Perigeo degli anni ’70, ma approda ad una costruzione creativa originale, dove la maestria tecnica, immensa per quattro ragazzi così giovani, si estrinseca in modo corale, senza sortite solistiche di maniera o ridondanti. 

Virtuosismi al servizio della collettività e di un risultato assolutamente straordinario. Dietro quella batteria non siede Will Kennedy, ma il giovane Davide Rufo. Con tutta sincerità non me ne sono accorto, anzi me ne sono proprio scordato,  così come tutto il gruppo ha fatto dimenticare ogni riferimento ad altre band. Non erano gli Yellows Jacket, né i Soft Machine né  i molteplici figli di Bitches Brew, erano i Mobius Strip in tutto il loro splendore di tecnica e sensibilità musicale. 

Non si capisce perché talenti del genere abbiano dovuto incidere per un’etichetta francese. Ma i nostri discografici  ne capiscono di musica? Forse mostrano più attenzione alle visualizzazioni su Youtube, ma la musica, quella buona, si fa da altre parti. Grazie ai Mobius Strip per la bellissima e stimolante serata di musica che ci hanno regalato.