Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 9 agosto 2018

Sfratti: fuori prima gli ambasciatori d'Italia.

Luciano Granieri




In Via Napoleone III, al civico numero 8, nei pressi della Stazione Termini di Roma e con vista sul centro storico, sorge l’”Ambasciata d’Italia”. Un elegante palazzo di sei piani, presidio posto  a difesa del sangue Italico in uno dei quartieri più multietnici di Roma. 

Chi sono gli  arditi ambasciatori che lo occupano? E’ il partito politico di  CasaPound, o come amano definirsi i  militanti:fascisti del terzo millennio. Chi ha l’onere, ma anche e soprattutto l’onore di difendere la supremazia della razza italiana, dalle virali contaminazioni cui popoli inferiori sono naturali portatori, necessita di una fortezza fornita di tutte le comodità. 

Nel Palazzo di Via Napoleone III , 8 esistono venti appartamenti per lo più abitati dai valorosi gerarchi e dalle loro famiglie.  Un’ampia sala all’ultimo piano è adibita a conferenze e alla presentazione di libri sulla supremazia della razza, sulle gesta del puzzone e dei suoi sodali criminali. 

Una delle principali  attività  portata avanti dagli   ambasciatori d’Italia è quella della risoluzione dell’emergenza abitativa nella Capitale . Quando un alloggio popolare viene assegnato ad una famiglia di stranieri perché ne ha diritto, ma questo è già occupato, abusivamente , da qualcuno povero quanto quelli che lo dovranno sloggiare, ma ITALIANO - e insediato li dai Fascisti del terzo millennio -  ecco  che la milizia si mobilita ed impedisce agli  aventi diritto, solo perché stranieri, di potersi  insediare nell’appartamento  occupato da ITALIANI,   in modo abusivo. 

Sicuramente l’emergenza abitativa è un grande problema a Roma. Sappiamo bene come la speculazione fondiaria, aggredisca i bisogni sociali di chi ha diritto ad un casa ma non ha le sostanze per permettersela. Per Casa Pound il problema non è di censo, è di etnia. Dal momento che gli alloggi di residenza sociale sono pochi, si pretende una selezione basata sulla razza e non sulle condizioni economiche. 

Talmente grave è il problema dell’emergenza abitativa che la Regione Lazio predispose con due deliberazioni, (n.18 del 15 gennaio 2014 e n. 110 del 15 marzo 2016) un piano di attività   rivolto ai comuni affinchè questi   individuassero e sgombrassero alloggi indebitamente occupati per renderli disponibile ad un utilizzo sociale.

 La giunta Capitolina, guidata nel 2016 dal commissario prefettizio Tronca, recependo le direttive regionali,  nella deliberazione n.50 del 16 aprile 2016 stilò una prima lista di immobili da sgombrare. E con somma sorpresa nell’elenco delle prime  sedici strutture da evacuare figura proprio l’Ambasciata d’Italia di Via Napoleone III, 8. In pratica gli ambasciatori della purezza del sangue italico occupano abusivamente un intero palazzo comprensivo di 20 appartamenti abitati da gerarchi  anch'essi abusivi in tutti i sensi. 

Mi rendo conto che l’onere e l’onore di difendere il popolo italico  da contaminazioni di razze inferiori, implicherebbe l’utilizzo di una sede del demanio (tale è lo status proprietario del palazzo) senza dover pagare affitti o gravami  di altro tipo. Fatto sta  però che altri immobili di proprietà del Comune di Roma dovranno  essere lasciati liberi  dalle associazioni che li occupano. Il  canone  d’affitto  che corrispondono è insufficiente,  al di fuori delle regole del mercato. 

La casa internazionale delle donne, ad esempio, nonostante i servizi di ascolto e aiuto alle donne vittime di violenza, di cura dei bambini figli di queste ragazze, così come la scuola di musica popolare di Testaccio, nonostante aver insegnato e diffuso musica a tutti, giovani meno giovani, poveri e ricchi,  devono lasciare  l’immobile se non adeguano il canone d’affitto alle quote di mercato  vigenti e contemporaneamente non restituiscono una cifra pari alla differenza fra l’affitto attuale e quello  pagato fino ad oggi . 

Vuoi mettere l’infima funzione sociale di difendere le donne e di insegnare la musica, rispetto al ben più onorevole  e alto compito di difendere la razza italica? Certo seguendo la stessa logica Casa Pound dovrebbe iniziare a pagare un affitto per l’occupazione del palazzo di Via Napoleone III e rifondare il demanio di tutti gli anni in cui lo stabile è stato occupato senza corrispondere un canone di locazione . Oppure  dovrebbe sgombrare senza se e senza ma come prescritto dalla deliberazione 50 del 2016. 

Ma  noi che consideriamo imprescindibile  il diritto democratico ad avere un tetto sulla testa, proponiamo agli ambasciatori d’Italia, ai fascisti del terzo millennio, di esercitare un opzione sociale per mantenere la loro sede alle attuali condizioni gratuite. Perché non destinare gli alloggi che loro occupano abusivamente a quelle famiglie di stranieri impossibilitati ad entrare nelle case popolari?perché non offrire gratuitamente i 20 appartamenti ai Rom sgomberati dai campi una volta a loro destinati ? 

Dimenticavo, chi difendere la razza italica non può mettersi in casa il nemico. Però un suggerimento al ministro Salvini ci sentiamo ugualmente di offrirlo. Perché non pretendere l’affitto e gli arretrati da Casa Pound per recuperare un po’ di soldi da destinare al finanziamento del  reddito di cittadinanza o della flat tax? Chissà magari si potrebbe anche preferire di  finanziare la sanità o la scuola pubblica,  al posto della tassa piatta , ma questo è un ragionamento da comunisti rosiconi.

Chiediamo la verità sui respingimenti in Libia

Comitato Democrazia Costituzionale


Un gruppo di personalità, attive nella vita culturale, civile e politica: Massimo Villone, Mauro Volpi, Luigi Ferrajoli, Alfiero Grandi, Domenico Gallo, Silvia Manderino, Mauro Beschi, Guido Calvi, Felice Besostri, Livio Pepino, Antonio Esposito, Raniero La Valle, Vincenzo Vita, Luigi De Magistris, Moni Ovadia, Sergio Caserta, Alfonso Gianni, Antonio Pileggi, Giulia Venia, Francesco Baicchi, Elena Coccia, Roberto Lamacchia, Fabio Marcelli, Paolo Solimeno, Leonardo Arnau, Paola Altrui, Elisena Iannuzzelli, Margherita D'Andrea, Tommaso Sodano, Costanza Boccardi, Massimo Angrisano, Antonio Garro tramite l’avv. Danilo Risi hanno presentato un esposto al Procuratore della Repubblica di Napoli intorno alla vicenda della nave “Asso 28”.

Secondo informazioni di stampa il 30 luglio la nave “Asso 28”, società Augusta Offshore di Napoli, operante in appoggio a una piattaforma petrolifera dell’ENI al largo di Sabratha (Libia), ha effettuato il recupero in mare in acque internazionali di 101 profughi in fuga dalla Libia (fra cui 5 donne e 5 bambini) e in seguito si è diretta al porto di Tripoli dove sono stati sbarcati senza alcuna possibilità di chiedere di asilo o protezione internazionale.

I sottoscrittori chiedono al Procuratore della Repubblica di Napoli di accertare se in questa occasione siano stati commessi reati e in questa eventualità da parte di chi, tenendo conto che una nave battente bandiera italiana è a tutti gli effetti parte del territorio nazionale, e se possa configurarsi una forma di respingimento collettivo.
Sulla vicenda della nave Asso 28 sono state fornite diverse versioni dell'accaduto, tra queste quella che alla richiesta di coordinamento dei soccorsi all’MRRC (Maritime Rescue Coordination Center) di Roma non sia venuta risposta o che la risposta abbia rinviato la responsabilità alla guardia costiera libica.

Se confermato sarebbe la prima volta una nave italiana avrebbe sbarcato in Libia dei naufraghi raccolti in acque internazionali dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che nel 2012 ha duramente condannato l’Italia per i respingimenti in Libia, effettuati da navi militari italiane nel 2009, su disposizione del Ministro dell’interno dell’epoca.

E’ noto che la Grande Chambre della Corte di Strasburgo con la sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012 ha statuito che:
Le azioni di Stati contraenti compiute a bordo di navi battenti la bandiera dello Stato, anche fuori del territorio nazionale, rientrano nella giurisdizione della Corte EDU ai sensi dell’art. 1 CEDU.
L’esecuzione di un ordine di respingimento di stranieri costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, quando vi sono motivi seri ed accertati che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca nel Paese di destinazione trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione (con riferimento alla Libia)
L’allontanamento di un gruppo di stranieri effettuato fuori del territorio nazionale, in presenza di giurisdizione dello Stato, senza che venga esaminata la situazione personale di ciascun componente del gruppo e senza che ciascuno possa presentare argomenti contro l’allontanamento, integra una violazione del divieto di espulsioni collettive di cui all’art. 4 Protocollo n. 4 CEDU la cui portata deve considerarsi anche extraterritoriale.

A norma del codice penale (art. 4) le navi italiane sono considerate “territorio dello Stato” agli effetti della legge penale.
I presentatori chiedono alla magistratura che siano accertate le condotte di tutti coloro che hanno concorso nell’evento in quanto sussiste pienamente la giurisdizione italiana sui fatti accaduti.

La richiesta è che l'Autorità giudiziaria verifichi se vi sia stato un respingimento collettivo di migranti, vietato dall’art. 4 del quarto Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea per i Diritti Umani (CEDU) e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in quanto è stato impedito ai migranti l’accesso alla protezione internazionale poiché forzosamente ricondotti in Libia, Paese dichiarato posto non sicuro dall'UE e dall'UNHCR nel quale i migranti sono notoriamente sottoposti a torture, trattamenti disumani e degradanti in violazione dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, a cui la Libia non ha mai aderito.

Ad avviso dei firmatari, stanti le diverse e contraddittorie versioni fornite dalla stampa, va chiarito anche il ruolo svolto dal Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC), contattato dalla nave “Asso 28”, che ha l’obbligo di coordinare i soccorsi adottando tutte le misure necessarie affinché le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro. L’autorità giudiziaria italiana ha avuto modo in più occasioni di escludere che la Libia possa essere considerata un luogo sicuro, ai sensi delle convenzioni internazionali.

In particolare il Gup del tribunale di Ragusa, con il provvedimento che ha disposto il dissequestro della motonave Open Arms (dep. in data 16 aprile 2018), ha osservato che “le operazioni SAR di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro (POS, Place of safety), come previsto dalla Convenzione SAR siglata ad Amburgo nel 1979 .. Non può essere considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che la persona possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzioni od a sanzioni o trattamenti inumani e degradanti, o dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o orientamento politico. Il tema è evidentemente connesso con il principio di non respingimento collettivo, con il diritto internazionale dei rifugiati, e più in generale con i diritti fondamentali dell’uomo.”

I sottoscrittori dell'esposto confidano che l’Autorità Giudiziaria, accerti l’esatto svolgimento dei fatti, verificando se vi siano responsabilità individuali private o pubbliche e ribadiscono di essere mossi dalla preoccupazione che vi sia stata violazione dell’obbligo di soccorso in mare e della libertà personale delle persone ricondotte contro la loro volontà in Libia, salvo diversi e più gravi reati, sottolineano, inoltre, che sarebbe necessario individuare queste persone e ripristinare il loro diritto individuale di chiedere asilo.

Per firmare accedere al seguente link:
 https://www.change.org/p/procura-della-repubblica-di-napoli-chiediamo-verita-e-giustizia-sui-respingimenti-in-libia?recruiter=56550748&utm_source=share_petition&ut

martedì 7 agosto 2018

Riace: Il sindaco Mimmo Lucano sta digiunando per protestare contro la mancata erogazione dei fondi SPRAR

Ufficio Stampa RECOSOL



ll Sindaco di Riace, insieme ad alcune operatrici, ha iniziato un digiuno per protestare contro la mancata erogazione dei fondi destinati all’accoglienza dei migranti da parte della Prefettura di Reggio Calabria e del Ministero degli Interni (SPRAR). Il piccolo comune calabrese ha accumulato un ingente debito con il personale, con i fornitori e con gli stessi rifugiati per ritardi nei pagamenti che variano da un anno e mezzo a due anni “Stiamo raggiungendo il punto di non ritorno. Se non ci sarà l’assegnazione programmata non solo finirà l’esperienza di Riace ma saranno messi in strada 165 rifugiati tra i quali 50 bambini e 80 operatori perderanno il lavoro” afferma il sindaco. “L’economia di tutta la comunità, modello di accoglienza e integrazione riconosciuto a livello internazionale crollerà sotto un cumulo di macerie” conclude Lucano.

La Rete dei Comuni Solidali (RECOSOL) in accordo con le associazioni presenti durante il Riace in festival, avvia una raccolta popolare di solidarietà finalizzata a permettere al progetto di Riace di superare questa fase estremamente critica. Fase legata a ingiustificabili ritardi anche voluti da una politica ostile che vuole costringere alla chiusura un progetto di accoglienza divenuto noto in tutta Europa e che ha permesso di invertire il declino sociale, economico e demografico di una delle aree più difficili d’Italia caratterizzata da profonde infiltrazioni della criminalità organizzata. Riace rappresenta un modello di accoglienza e di legalità per tutti. La solidarietà al sindaco Mimmo Lucano è arrivata da tutta Italia anche attraverso i partecipanti a Riace in Festival in corso dal 2 al 5 agosto. RECOSOL chiede a tutti/e di sostenere il modello Riace partecipando alla raccolta popolare di solidarietà attraverso una donazione unica o periodica (la campagna rimarrà attiva fino a dicembre 2018): RECOSOL, IBAN: IT92R0501801000000000179515, causale Riace. Abbattiamo i muri, garantiamo accoglienza, apriamo i porti 

Mancato il raggiungimento del numero di firme necessario per la presentazione delle Lip



Scadono nella giornata odierna i termini per la presentazione delle firme in calce alla Legge di iniziativa popolare “Per la scuola della Costituzione”.  Purtroppo dobbiamo constatare con amarezza che l’obiettivo non è stato raggiunto, poiché le firme al momento arrivate circa trentatremila, anche se sappiamo che diversi pacchi sono ancora in viaggio.
Quando saremo in possesso del totale delle firme raccolte, lo comunicheremo e rifletteremo e decideremo insieme sul da farsi.
Da subito un caloroso ringraziamento a quanti, in condizioni assai difficili, si sono generosamente adoperati nella raccolta per presentare il testo della Lip in Parlamento, anche al fine di riaprire una stagione di mobilitazione nelle scuole e nel Paese.
Continuiamo fermamente a credere nella bontà e nella giustezza dei contenuti della proposta di legge e continueremo a batterci perché possano essere realizzati.

Comitati Lip scuola

Roma, 6 agosto 2018