Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 29 marzo 2014

Sveglia Compagni!!!!!

Luciano Granieri


 Forse sono impazzito io, ma nessuno si rende conto del grande pericolo che sta correndo la democrazia nel nostro  Paese?  Non è abbastanza evidente l’accelerazione  nella  spoliazione dei diritti civili e sociali che in questa fase il governo Renzi sta attuando?  Il piano  di deterioramento del lavoro, come elemento di promozione sociale,  inizia dal lontano 1984, quando la legge Scotti introdusse le prime forme di contratti di solidarietà.  

Da  allora abbiamo assistito ad un processo inesorabile di  precarizzazione del lavoro, dal pacchetto Treu, al libro bianco di Maroni, alla legge 30, fino    al decreto Sacconi, e alla legge Fornero che introduceva i contratti a tempo determinato senza causale per un periodo massimo di 12 mesi e i contatti di formazione,  con l’obbligo delle aziende ad avviare  percorsi formativi per la   mano d’opera reclutata con questa formula  e ad assumere almeno il 30%  degli addetti così formati.  

Questo imponente rifiorire di norme doveva servire a far aumentare l’occupazione incentivando  le aziende ad assumere agevolate  da una maggiore flessibilità in entrate e in uscita. In realtà ha prodotto esclusivamente una corposa diminuzione del costo del lavoro, con il conseguente drammatico impoverimento e precarizzazione della vita dei lavoratori  e l’accumulo di risorse a favore delle aziende, liquidità spesso veicolata verso la speculazione finanziaria . 

Ma, guarda caso,  l’obbiettivo primario  dell’adozione di questi provvedimenti, cioè la diminuzione della disoccupazione,  non si è mai realizzato, anzi, più la normativa  sanciva precarietà e più la disoccupazione aumentava.  Possibile che   nessuno  si è accorto che la medicina non solo non guariva ma aggravava la malattia? 

Neanche Renzi  lo ha capito , infatti nella sua smania di eccellere, si è prodotto in una soluzione che eccelle in quanto a dosi di precarietà profuse a  badilate nella normativa su  lavoro .  Meglio di Maroni, meglio di Sacconi, meglio della Fornero, ecco pronto un bel contratto a tempo determinato senza causale  -  ovvero  senza che l’azienda spieghi perché ricorra a tale dispositivo e soprattutto senza l’obbligo di motivare l’eventuale mancato rinnovo - prorogabile al massimo 8 volte in tre anni.  

Cioè un’azienda può assumere un addetto, lo tiene al lavoro per quattro mesi, o anche meno, e poi arrivederci e grazie, senza se e senza  ma ,  fuori dalle scatole senza nessuna spiegazione. Per tacere della normativa sui contratti di formazione, dove la formazione non è obbligatoria e non è neanche obbligatorio per  le aziende assumere una parte di questi lavoratori. Anche in questo caso quando ci si stufa,  mano d’opera formata  o meno,  un    bel calcio in culo e tanti saluti. 

Così riparte la crescita, si dice, perché ci sono sempre gli 80 euro in più in busta paga dovuti all’abbassamento del cuneo fiscale.  Quanti lavoratori potranno accedere ad un prestito con i loro bravi 80 euro, probabilmente mangiati dall’aumento dei servizi sociali  provocato dalla cura Cottarelli  e con un saldissimo contratto a tempo determinato che ti assicura il lavoro al massimo per quattro mesi?  E’ così che riparte l’economia?  I profitti dei potentati imprenditoriali e finanziari  così ripartono sicuramente.  

Nel 2001  fu sufficiente che l’allora ministro del lavoro Maroni sia azzardasse solamente a prospettare l’abolizione dell’art. 18 per far scendere in piazza un milione di persone e a minare la tenuta del governo Berlusconi. Oggi in presenza di un provvedimento che non consente nemmeno di avvicinarsi all’applicazione dell’art.18 ce ne stiamo tutti zitti e buoni?  

Sentire un presidente del consiglio affermare che chi vince le elezioni deve governare e chi perde deve andare a casa, non fa ribollire il sangue? Chi perde va a casa! E l’opposizione? Non è prevista. E’ possibile tollerare che un Parlamento  eletto con una legge elettorale illegittima, non solo non abbia il pudore di approvare subito una nuova  legge secondo le direttive della Consulta - quindi del tutto diversa dall’Italicum -  e tornare al voto,  ma pretenda pure  di devastare la Costituzione? Assistere alla penosa  spiegazione, in puro stile Razzi,  che il ministro della difesa,  l’ex no global Pinotti,  ha fornito a Daria Bignardi sull’utilità degli F35, appena ricomprati da Obama, non  fa rodere le budella? 

 Ai militanti del Pd sta bene  che il loro partito abbia governato in una prima fase con Berlusconi e nella nuova seconda fase renziana  presenti  leggi gradite a Berlusconi?  Secondo me il momento  che stiamo vivendo è estremamente pericoloso , ma pare che nessuno se ne  accorga,  tutti  storditi  dalla smania di novità che l’ex sindaco Renzi profonde a piene mani.  Ripeto per molto meno in passato  si è scesi in piazza. Che stiamo aspettando? E’ in pericolo la tenuta democratica, è sotto attacco, come non mai prima  d’ora, la dignità del lavoratori, che altro deve accadere?  SVEGLIA COMPAGNI!!!


giovedì 27 marzo 2014

Frosinone Multiservizi: Si procrastina

Comitato di Lotta Frosinone


Non poteva che essere rimpallata ad altra sede in altro contesto la gravissima situazione della Frosinone Multiservizi.
Gli enti locali più esposti dall’ammontare debitorio, la Provincia e Frosinone, hanno avuto grosse perplessità a rispondere all’impegno regionale della chiusura della società, mettendo in bilancio il dovuto. La Regione ha approntato un percorso di liquidazione ma coloro, soprattutto Frosinone, che si sbracciava ab illo tempore per questa eventualità oggi si nasconde e pone altre questioni davanti alla soluzione di cui loro sono responsabili avendo dirottato tutti i servizi in altre mani e cassando la Servizi Strumentali.

Nella prima decade di febbraio i liquidatori presentano i debiti della Società; a seguito di tale atto la Regione dà incarico ad un legale di focalizzare la situazione e capire quale ruolo si può avere in questa vicenda; letto questo la regione delibera l’impegno di spesa volto alla copertura completa della propria parte debitoria e lo subordina a che gli enti facciano altrettanto e che i liquidatori facciano un’analisi più dettagliata delle motivazioni che hanno portato il debito così in alto.
I liquidatori oggi si sono presentati con tale documento, invece gli enti si sono presentati a mani vuote e senza alcuna soluzione da proporre. 
Sviluppo Lazio a nome della Regione ha chiesto atti amministrativi volti a decifrare le posizioni degli enti che invece si sono affrettati a dare le più svariate risposte in merito:

Il Comune di Alatri sarebbe pronto a ripianare € 898.813,81 senza battere ciglio, rateizzandolo in tre anni! Siamo davanti o ad una eccezionale e solerte amministrazione o a degli sconsiderati che farebbero pagare ai cittadini tutti quote insostenibili senza provare a definire almeno percorsi alternativi? A voi la risposta.
La Provincia, come oramai suo costume, rimanda, come suggerito dai lavoratori, ad un tavolo tecnico-politico da organizzarsi presso la Regione Lazio. Ma va?!?
Frosinone si difende sempre alla stessa maniera, rilanciando le altrui responsabilità, dribblando le proprie, e anteponendo il piano di riequilibrio economico finanziario elemento decisivo per qualsiasi valutazione futura di carattere economico-sociale della città. Si rifletta che in tale piano non è rintracciabile l’ammontare debitorio della Frosinone Multiservizi, ma solo l’effetto “taglio” che tra l’altro era stato previsto dalla precedente Amministrazione « L'Ente ha cessato I'affidamento di servizi alia societa Multiservizi in liquidazione, provvedendo ad una riclassificazione dei servizi e conseguendo, COSI, un risparmio di spesa pari a circa 0,9 milioni di euro, il cui pieno effetto si realizzerà a partire dall’esercizio 2014» (Deliberazione n. 256/2013/PR5P Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per il Lazio, par. 7.12.)
Nel frattempo però l’ente continua con le esternalizzazioni dei servizi, ieri 26 marzo è toccata alla pubblica illuminazione, ma anche le affissioni, i tributi e prossimamente e il servizio di controllo degli impianto di riscaldamento, caricando sulla collettività costi (anche quelli impropri!!!) che precedentemente non vi erano perché molti dei quali gestiti in proprio e che la Frosinone Multiservizi contribuiva, spesso fuori dai contratti, ad aiutare a svolgere.

E così si riprendono le borse, si reindossano nuove casacche, si rimodula il linguaggio e si torna nuovamente in pellegrinaggio a Roma, al consueto e sparecchiato tavolo regionale, dove si dirà che ci sono le volontà di tutti ma manca un tassello per rimettere tutto in piedi! Ci si aggiornerà di nuovo, fino almeno alle europee, così passata la festa gabbato lo santo.
I lavoratori incassano bene! Senza società, senza lavoro, senza reddito, con un fardello di promesse da parte di tutti i politici essi attendono placidi la buona novella. Intanto però si redigono i ricorsi per le cause di interposizione, si inviano quotidianamente decreti ingiuntivi per il TFR in ritardo di un anno, facendo crescere l’ammontare debitorio della Società ma anche degli enti e preparano la loro personale campagna elettorale.

Obama a cena a Roma.

Luciano Granieri.

Scoop di Aut !!!!!! Solo noi abbiamo il video della cena romana di Barack Obama.  

Morire di inflazione o deflazione? Meglio vivere

Luciano Granieri
                                                                                                                                               
 

Qualche riflessione:

Rimanere nell’Euro significa subire l’erosione dei salari e una regime fiscale a favore delle imprese per mantenere la competitività. Inoltre  bisogna fare i conti con la deflazione che comporta la stagnazione dei prezzi favorendo la speculazione finanziaria che prospera investendo a  tassi di interesse     superiori alla variazione dei prezzi. Risultato:  ci guadagna il capitalismo finanziario, ci perde il mondo del lavoro e gran parte della popolazione. 

Uscire dall’euro significa subire gli effetti della svalutazione della moneta indirizzata al recupero della competitività delle imprese, una ripresa dell’inflazione e,  dal momento che non esiste una dinamica di adeguamento dei salari all’aumento dei prezzi,  determinato   dalla crescita del costo delle materie prime, si  realizzerebbe ugualmente l’erosione del potere d’acquisto dei salari, senza  contare che riprenderebbe a piè sospinto la speculazione valutaria, grande fonte di accumulazione da parte dei grandi potentati finanziari. Risultato anche in questo caso ci guadagna il capitalismo finanziario e ci perdono i lavoratori e   gran parte della popolazione . 

Probabilmente uscendo dall’euro potrebbe essere più semplice rigettare le politiche cravattare dal fiscal compact, ma il debito non è che scompare per incanto e neanche il Fondo Monetario sparisce, pronto a sostituirsi alle vessazioni che oggi derivano dai trattati. Dunque  a me sembra che la questione, se rimanere o meno nell’euro, non sia così fondamentale infatti a rimetterci, in un caso o nell’altro, è sempre la stessa categoria di persone, cioè chi  non possiede fondi d’investimento depositati in qualche banca d’affari. 

Capisco anche che in termini mediatici, soprattutto in vista della campagna elettorale per le elezioni europee , sia molto più semplice ridurre tutto ad una faccenda:  euro si, euro no, ma il problema vero è un altro.  E’ frustrante dover scegliere fra morire di deflazione o morire di inflazione, non sarebbe meglio scegliere di vivere? E per vivere  bisogna minare alla base il sistema  su cui poggia tutta la costruzione.  Il sistema cioè che pone le leggi del mercato come uniche regole della vita di tutti noi. 

Tale principio sta alla base del TFUE (trattato sul funzionamento dell’Unione Europea)  in cui è auspicata la competitività fra le nazioni secondo i dettami del libero mercato.  In realtà un modello di  società regolata da tali  principi è  ciò che hanno sempre perseguito e ottenuto  i signori del capitalismo finanziario e delle multinazionali, cioè quell’1% della popolazione che depreda  il restante 99%. 

Se non si mette seriamente in discussione questo caposaldo solidamente sedimentato anche nelle forze riformiste non ha alcun senso auspicare gli Stati Uniti d’Europa, basati sulla solidarietà fra le nazioni. Anzi impostare il proprio programma elettorale su questa prospettiva, condendola  magari con la rinegoziazione dei trattati europei  è fuorviante.  Né giovano le spinte sovraniste o nazionaliste, tese alla riconquista della sovranità nazionale, monetaria o identitaria che sia.  Il  capitalismo finanziario ha sempre tratto linfa dalle divisioni e dalle diseguaglianze che queste determinano fra nazioni o parti di società.  

E’ inutile girarci intorno. Per tornare a respirare è necessario abbattere il capitalismo finanziario e per farlo è necessaria una Unione non espressione di confederazione  di   Stati ma espressione di classe sociale.  E’ fondamentale che oltre le sovranità,  i nazionalismi,  oltre i confini statuali, si realizzi l’unità del 99%  contro i predatori dell 1%.  E’ sulla realizzazione di questa unità che quei partiti,  che ancora si  riconoscono nei valori del predominio del lavoro sulla finanza, della solidarietà sociale, se ancora esistono,  dovrebbero  battersi e chiedere il consenso ai cittadini per una società più giusta, non solo europea.

Batosta francese

Rossana Rossanda . Fonte: http://www.sbilanciamoci.info/

Il Fronte nazionale di Le Pen non solo è diventato – dove presente  il primo partito ma ha respinto il Partito socialista, in testa alle presidenziali due anni fa, al terzo posto. Rifletteranno le teste della Ue all'evidenza che l'Europa monetaria e rigorista riporta in vita l'estrema destra per la prima volta nel secondo dopoguerra?
Speriamo che la solenne botta presa dai socialisti alle elezioni municipali in Francia cancelli gli insulsi sorrisi dai faccioni di Renzi e di Barroso, finora non sfiorati dal dubbio che la politica di austerità seguita dalla commissione avvantaggi le destre. E non le destre, per intenderci, alla Monti, ma quelle estreme e fascistizzanti. Inutile riconoscere che tale è, e senza infingimenti, l'ungherese Viktor Orban, cui è andata per sei mesi la presidenza europea, e lo sono anche le forze che dovunque sfondano i residui bipolarismi tra una destra e una sinistra "democratiche". Ultima, clamorosa, la Francia, dove domenica si è votato nei 36.000 comuni e il Fronte nazionale di Le Pen, antisemita, xenofobo e antieuropeo, non solo è diventato – là dove era presente  il primo partito ma ha respinto il Partito socialista, in testa alle presidenziali due anni fa, non al secondo ma al terzo posto, mentre il Partito comunista e il fronte delle sinistre sono sovente scivolate al quarto.
Era da prevedersi, quando la disoccupazione e il precariato toccano quattro milioni di francesi, non molto diversamente dall'Italia. Da un paio di anni a questa parte – quasi ogni giorno – una grande o media azienda francese delocalizza o chiude, e il governo Hollande, che aveva vinto impegnandosi a lottare contro la finanza, non è stato in grado difendere l’occupazione, né in genere l’azienda, neanche quando chiudeva o delocalizzava pur dichiarando lauti guadagni; le maestranze uscivano dai reparti decise a lottare, trovavano la solidarietà del sindaco se, come sovente, l’azienda colpita era anche la più importante dei molti borghi di media urbanizzazione. Il risultato abituale era che in capo a tre settimane ci si doveva contentare di negoziare i cosiddetti “piani sociali”, altri e perlopiù lontani impieghi o indennizzi, con le condoglianze delle centrali sindacali e dei ministeri interessati. A tre giorni dalle elezioni municipali, la settimana scorsa ha chiuso la Redoute, la più antica e nota impresa di confezioni che da sola copriva una vasta percentuale dei consumi del ceto medio, trascinando in rovina intere città industriali, erodendo le possibilità di acquisto della massa operaia e piccolo borghese.
Tutto visibile e prevedibile? Sì, salvo che per un governo socialista, simile al nostro Pd, cui i trattati impongono di non intervenire per non turbare la libera concorrenza e che sperava di cavarsela in imprese militari costose e difficili nell'ex impero coloniale francese, nel Mali e poi nel Centro Africa. Mentre il presidente e il ministro degli esteri Fabius strepitavano per ricorrere alla mano dura contro Putin in Crimea; come se il noto nazionalismo dell’esagono potesse far dimenticare le condizioni di impoverimento crescente.
Ieri sera davanti ai risultati tutto lo staff socialista cadeva dalle nuvole mentre Marine Le Pen sguazzava nel trionfo dell’ondata blu che portava il suo nome. Soddisfatta anche l’Ump di Sarkozy, sicura che il governo avrebbe chiamato all'unità nazionale antifascista, legittimando il voto alla destra repubblicana, come già al tempo della caduta di Jospin nelle presidenziali degli anni Novanta. Rifletterà la Commissione europea? Rifletteranno le teste della Ue all'evidenza che l'Europa monetaria e rigorista riporta in vita l'estrema destra per la prima volta nel secondo dopoguerra? E che il Fronte nazionale diventa il primo partito popolare in Francia? Rifletteranno i molti che in Italia osservano benevolmente Renzi e il gioco delle tre carte che consiste nel mettere (forse) in busta paga di una fascia di bassi redditi quel che gli toglie in servizi pubblici e in tasse locali?
Il Pd infatti segue la stessa strada di Hollande, e la sua flebile sinistra interna non appare in grado di fargli cambiare rotta. E che dire della Cgil di Susanna Camusso che strepita dopo aver poco prima votato con la Confindustria un accordo sulle relazioni industriali eccessivo anche per il nostro malridotto vicino? E della Fiom di Landini che, isolata, spera anch'essa nel Matteo nazionale?
Insomma, non resta che augurarci che la dura botta francese, difficilmente recuperabile al secondo turno, funzioni da severa lezione contro gli eccessi di stoltezza degli ultimi vent'anni d'Europa.

Movimento 5 Stelle. Non ci fermate tour a Frosinone

Luciano Granieri

 

Non posso negare di  non condividere  molte cose nel metodo e nel merito del Movimento 5 Stelle. Non mi piacciono alcuni  atteggiamenti di Grillo, il quale spesso straparla. Mi vengono in mente diverse questioni. La presa di posizione contro l’abolizione del  reato di clandestinità, o la faccenda delle macro regioni,  una farneticazione degna del miglior Bossi. 

  Altre volte non riesco a digerire la pretesa dei militanti 5 stelle di sapere tutto perché studiano i regolamenti, sono, iper informati. Il che è cosa buona e giusta, ma spesso farsi assalire da qualche sano dubbio non guasta.   E va a finire così  che mi ritrovo in un modo o nell’altro a polemizzare con qualcuno di loro.  L’ultima volta è accaduto  nel “Non ci fermate tour”  di lunedì scorso. 

Il “Non ci fermate tour” è un giro d’Italia in camper che i deputati  del M5S, sospesi per le proteste  tumultuose messe in atto in occasione della votazione del decreto Imu-Bankitalia , compiono   per spiegare  le nefandezze che accadono in Parlamento e nelle Commissioni. Lunedì scorso hanno fatto tappa a Frosinone i deputati : Massimo Artini, Silvia Benedetti, Laura Castelli, Diego De Lorenzis  e Vittorio Ferraresi.  

Era annunciato anche Alessandro Di Battista, ma non si è visto. Peccato, mi sarebbe piaciuto chiedergli come gioca il Foggia di Zeman con Gervinho al posto di Signori e con Destro al posto di Baiano, ma pazienza.  Resta comunque il fatto che nonostante i contrasti e le diversità di vedute, ogni volta che c’è da lottare in difesa  di diritti fondamentali  per la dignità  dei cittadini  , soprattutto nel territorio, mi ritrovo sempre a fianco  qualcuno del Movimento  5 stelle. 

Non posso fare a meno, per esempio , di ringraziare il deputato  Luca Frusone per la grossa mano che ci  sta dando   nel contrasto   ai disastri della sanità nella nostra Provincia e per essere uno dei primi inscritti, insieme alla sua portavoce, l’amica e compagna di tante lotte Enrica Segneri, all’Osservatorio Peppino Impastato di Frosinone.  Un altro ringraziamento va  ai consiglieri regionali Ilaria Fontana e Gaia Pernarella,  le quali hanno iniziato a collaborare con l’Osservatorio e ci danno una mano nel provare a  smascherare certe storture che si annidano nelle istituzioni. E poi c’è l’amico Aniello Prisco  con il quale sovente mi tocca litigare, ma non si tira mai indietro quando c’è da spendersi per una giusta causa. 

E’ altresì fuori di dubbio che grazie al Movimento 5 stelle si è ripristinato in Parlamento l’esercizio dell’opposizione reale, un diritto democratico che  si era perso  nella notte dei tempi delle larghe intese, palesi o occulte, susseguitesi  negli ultimi decenni.  Le  loro lotte in difesa della Costituzione  e di denuncia ai  continui strappi  inferti alla democrazia  da Governo  e Presidente  della Repubblica   sono sacrosante. 

Basta mi fermo qui altrimenti si montano la testa.  Ah volete sapere quale è stato lo screzio fra me e la deputata Laura Castelli nel corso del “Non ci fermate tour”? E’ presto detto. Loro confondono le proposte di legge presentate al   Senato  con quelle pubblicate sul loro portale web.  Ho fatto semplicemente presente che nella proposta di legge presentata nel giugno scorso dal Movimento 5  Stelle in Senato  sul reddito di cittadinanza (atto n. 1.00089,) puntualmente bocciata, (181 voti  contrari Pd, Pdl, Scelta Civica, 50 favorevoli  M5S, Sel) era impropria la definizione della misura sociale che avevano proposto. 

Nella mozione  si indica  un  “Reddito di Cittadinanza” ma non ci si riferisce ad un sostegno monetario a favore dei cittadini che inizia dalla nascita  e termina alla  morte,  si descrive una misura di supporto a chi perde il lavoro. Questo è un reddito minimo garantito e non di cittadinanza .  Inoltre nella legge non è indicato né l’importo mensile  della misura, né da dove vengono presi i soldi per finanziare questo aiuto sociale. Si indicano sommariamente un contributo derivante dalla tassazione dei giochi on line e un taglio alle pensioni d’oro.  

Mi ribattono piccati che sono disinformato, perché nella proposta di legge sono indicate analiticamente tutte le voci di finanziamento del reddito di cittadinanza ( che è redito minimo per  la precisione) . Già ma in quale proposta di legge? Quella sul portale web , non quella presentata al Senato il 23 giugno scorso.  Purtroppo  in votazione vanno le proposte presentate in Parlamento, non quelle on line.  La mozione   presentata dal M5S al Senato  era incompleta. A scanso di equivoci ecco il LINK alla legge. 

In verità  aveva anche  ragione la deputata Silvia Benedetti quando , a videocamere spente,  ci invitava a non cercare il pelo nell’uovo nel criticare   un’ azione politica onesta e sana  che da tempo mancava  nell’avariato panorama parlamentare. Mi sono  quindi  beccato la mia bella sequela di improperi dalla platea indispettita Dalla mia impudente e  sacrilega critica  ai  deputati penta stellati. 

Del resto loro sono così, sono come Nicola Palumbo  , alias Stefano Satta Flores,  nel film di Ettore Scola “C’eravamo tanto amati” ,  l’intellettuale che si esprime sempre con citazioni dotte e non ammette contraddizioni.  “Timeo danaos  et dona ferentes”Vigilio" proclamava in una discussione  . A  questi atteggiamenti bisogna rispondere così come risponde a Nicola, sempre nel film citato, Antonio Cotichella (alias Nino Manfredi) ,  il quale ribatte alle citazioni dotte con una sua citazione: “Ridi che mamma ha  fatto gli gnocchi. Dante Alighieri” A Nicola che lo guarda inorridito per  la corbelleria ascoltata  l’Infermiere Comunista ribatte “L’ha detto Dante, l’ha detto che sai tutto te?”

mercoledì 26 marzo 2014

Osservatorio Peppino Impastato Frosinone. Riunione soci.


STORIE DALLA VALLE DEL SACCO

Rete per la Tutela della Valle del Sacco

Presentazione del libro  “Cattive Acque” a Colleferro

Un viaggio lungo il fiume Sacco, un percorso di racconti che da Colleferro ci porta in Ciociaria, ci fa immergere nella storia del nostro territorio, ci fa bagnare in “Cattive Acque”.
Questo il titolo del libro di Carlo Ruggiero, giornalista e filmaker di Frosinone che, attraverso nove racconti fa conoscere la storia,  le cause e le conseguenze dell'inquinamento della zona.
Ruggiero ha incontrato gli operai, gli allevatori e i cittadini della valle del sacco e le loro storie parlano chiaro, si fissano nella mente del lettore e lasciano una nitida  immagine dei drammatici avvenimenti che hanno messo in ginocchio un'intera valle.
Sabato 29 marzo alle ore 18.00 a Colleferro ci sarà la presentazione di “Cattive Acque” presso la sala Ludus (dietro chiesa S.Barbara, Colleferro)  promossa dal presidio di Libera  Angelo Vassallo, dall'Unione Giovani Indipendenti, dalla Rete per la Tutela della Valle del Sacco, dalla sezione dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e dalle Mamme di Colleferro.
Sarà presente l'autore e interverrà inoltre Marica di Pierri, giornalista ed attivista dell'associazione A SUD, organizzazione italiana indipendente impegnata da anni  in svariate campagne sociali ed ambientali.
La presentazione del lavoro di Carlo Ruggiero, edito dalla casa editrice Round Robin sarà un importante momento di divulgazione, pertanto invitiamo la cittadinanza tutta a partecipare.

Presidio Libera Colleferro Angelo Vassallo 
Unione Giovani Indipendenti (UGI) 
Rete Tutela Valle del Sacco 
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia 
Associazione A.M.A. Mamme di Colleferro


Sinossi:
Siamo sul fiume Sacco, uno dei corsi d'acqua più inquinati d'italia. Al centro di una valle che da Colleferro si spinge verso sud per circa ottanta chilometri, ben dentro la provincia di Frosinone. Un tempo nel fiume si faceva il bagno, e dalle decine di ruscelli che graffiano la valle si poteva bere acqua fresca con le mani. Ora no. Ora ci sono le fabbriche, e quei grossi tubi neri che riversano liquami acidi e schiumosi. Il paesaggio adesso è segnato da lunghe colate di cemento, distese di capannoni e discariche di rifiuti interrati. E la gente, da queste parti, si ammala troppo spesso. E muore. Il libro racconta la storia di una terra violentata e abbandonata, dopo esser stata adescata con un sogno effimero di ricchezza. È la storia di chi ci è nato, ci è cresciuto e ora ci sta morendo. Ma anche di chi, nonostante tutto, combatte ogni giorno per trovare una via di uscita. 


Autore:
Carlo Ruggiero, giornalista e filmaker, è nato nel 1977 a Frosinone. Autore di numerosi servizi e docufilm sul mondo del lavoro. Scrive e filma per Rassegna.it dove si occupa anche di diritti, ambiente e immigrazione. Nel 2012 ha pubblicato il reportage narrativo Una pietra sul passato, edizioni Ediesse. 

lunedì 24 marzo 2014

Un passo verso la giustizia

Di Ben Dangl fonte: http://znetitaly.altervista.org/
Con la presidenza di José  “Pepe” Mujica, negli scorsi anni l’Uruguay ha  prodotto molti titoli di giornali a livello internazionale grazie a iniziative  progressiste come la legalizzazione dei matrimoni  tra persone dello stesso sesso, dell’aborto e della coltivazione e del commercio della marijuana, e anche del ritiro delle truppe dell’Uruguay da Haiti. Questa settimana Mujica si è offerto di accogliere i detenuti dal centro di detenzione degli Stati Uniti nella  base della Baia di Guantanamo, a Cuba.
Il presidente uruguaiano ha accettato una proposta dall’amministrazione Obama di ospitare i detenuti. “Verranno come rifugiati e ci sarà un posto per loro in Uruguay se vogliono portarvi le loro famiglie,” ha spiegato Mujica. “Se vogliono costruirsi i loro nidi in Uruguay e lavorare qui, possono restare nel paese.”
“Sono stato imprigionato per molti anni e so che cosa vuol dire,” ha spiegato. Il presidente di sinistra è un ex guerrigliero rivoluzionario che è stato detenuto per 14 anni prima e durante la dittatura dell’Uruguay durata dal 1973 al 1985. Dopo il suo rilascio, ha posto fine alle sue attività di guerriglia ed è entrato in politica, diventando Ministro dell’agricoltura nel 2005 nell’amministrazione di Tabaré Vázquez, e nel 2010 è stato eletto alla presidenza.
Mujica, che è stato pubblicizzato come “il presidente più povero del mondo” per via del suo stile di vita frugale e per il fatto che regala circa il 90% del suo stipendio di presidente alle organizzazioni benefiche e per i programmi sociali, vive ancora nella sua fattoria fuori della capitale, e  dove si coltivano fiori, con sua moglie, e va al lavoro con un Maggiolino Volkswagen malconcio. All’inizio di quest’anno è stato nominato per il Premio Nobel per la Pace per il suo programma progressista di legalizzazione della marjiuana e per le sue idee contro il consumismo eccessivo. La sua iniziativa più recente contro le violazioni dei diritti umani che comporta la guerra al terrore lo hanno riportato alla ribalta mondiale.
Opporsi a un simbolo della guerra al terrore
Il centro di detenzione nella base degli Stati Uniti nella Baia di  Guantanamo è stata a lungo un simbolo delle violazioni dei diritti umani che sono arrivati a definire la cosiddetta guerra al terrore. Dopo l’11 settembre, l’amministrazione di George W. Bush ha cominciato a usare la struttura per trattenere i sospetti terroristi. E’ diventata rapidamente famigerata come luogo di trattamento inumano, di tortura e di illegalità; un decennio dopo molti dei detenuti sono trattenuti prigionieri lì senza accuse o processi.
Circa 800 uomini e ragazzi sono stati tenuti a Guantanamo come parte della “raccolta” fatta dagli Stati Uniti di persone  sospettate  di terrorismo.   Ora ne restano soltanto 154, e l’amministrazione Obama, con l’appoggio del Congresso sta cercando di tenere fede alla  sua promessa di chiudere il centro di detenzione. Nel quadro  di queste decisioni, Washington sta cercando nuove nazioni che ospitino i detenuti rilasciati.
L’Uruguay è la prima nazione latino-americana che ha accettato la proposta di Obama di accogliere gli ex prigionieri sul suo suolo. Da quando Obama è stato eletto, 38 detenuti di Guantanamo sono stati rilasciati e inviati nei loro paesi, e 43 si sono trasferiti in 17 nazioni diverse. Secondo l’Osservatorio per i Diritti Umani, gli Stati Uniti vogliono mandare i detenuti in paesi che possono fornire la sicurezza che gli Stati Uniti cercano in base ai termini del trasferimento. La stampa uruguaiana riferisce che probabilmente il trasferimento coinvolgerebbe 5 detenuti che dovrebbero stare in Uruguay per almeno due anni.
Mentre Mujica e l’ambasciatore statunitense dicono  chiaramente che i piani circa il trasferimento non sono conclusi, i motivi per cui Mujica ospita questi uomini,  sono un segno che l’Uruguay sta facendo passi importanti verso la giustizia e contro la guerra di lunga data al terrore fatta da Washington.
Per anni, innumerevoli attivisti, governi e gruppi per la difesa dei diritti umani, hanno chiesto la chiusura del centro di detenzione della Baia di Guantanamo. Lo scorso luglio, l’attivista Andrés Conteris che si occupa da decenni dei problemi dei diritti umani in America Latina, ha fatto uno sciopero della fame per oltre tre mesi in solidarietà con i prigionieri che facevano lo sciopero della fame Guantanamo.
Lo sciopero denunciava il trattamento inumano e illegale dei detenuti; nel corso degli anni sono stati ampiamente riportati numerosi casi di torture fisiche, psicologiche, religiose, e mediche contro i prigionieri. E’ a  questo trattamento inumano che i oppone il Presidente Mujica accogliendo i detenuti.
“Data l’esperienza che ha avuto Mujica di torture a lungo termine,” mi ha spiegato Conteris, riferendosi alla prigionia di Mujica, “questo gesto di offrirsi di far trasferire i prigionieri di Guantanamo in Uruguay, non soltanto esprime l’impegno del suo paese per i diritti umani, ma mostra un rapporto che questo presidente ha con coloro che subiscono trattamenti inumani perpetrati dalle forze armate.”
Benjamin Dangl ha lavorato come giornalista in tutta l’America Latina, occupandosi dei movimenti sociali e politici di quell’area per oltre un decennio. E’ autore dei libri: Dancing with Dynamite: Social Movements and States in Latin America [Danzare con la dinamite: movimenti sociali e stati in America Latina] e The Price of Fire: Resource Wars and Social Movements in Bolivia [Il prezzo del fuoco: guerre per le risorse e movimenti sociali in Bolivia].
Attualmente Dangl è dottorando in Storia Latino Americana all’Università McGill.e cura UpsideDownWorld.org un sito web che tratta di attivismo e di politica in America Latina, e anche TowardFreedom.com.(rivista on line e cartacea), con  una prospettiva progressista sugli eventi mondiali. La sua mail è: BenDangl@g.mail.com

"Renzi-Merkel, dietro il teatrino mediatico niente. Anzi, peggio". Intervista a Vladimiro Giacché

Fabio Sebastiani. fonte: http://www.controlacrisi.org/


Che valutazione dai del confronto bilaterale tra Merkel e Renzi?
Non ho capito nel concreto quale sia il risultato. A me sembra ci sia molto fumo mediatico e propaganda, e in parte un fuoco di sbarramento da parte dei giornali tedeschi, che hanno espresso simpatia ma con tutta una serie di cautele. Anche l’atteggiamento della stampa più vicina al governo tedesco è ambivalente. Alla vigilia, ad esempio, mettevano in rilievo la rinascita del nazionalismo, come lo chiamano loro, in Italia e le difficoltà del Pd che ha un atteggiamento più disponibile e aperto di altri nei confronti dell’Unione europea.

I risultati sul piano economico?
Un risultato vero sarebbe potuto essere soltanto da un lato l’allargamento delle maglie della disciplina fiscale e dall’altra un pronunciamento deciso da parte della Germania per l’espansione della domanda interna, che in questi anni non c’è stata. Stante la rigidità del cambio, se la sola cosa che ottengo per me è fare politiche espansive tutto ciò si traduce in uno squilibrio della bilancia commerciale. La Germania, infatti, ha una forte capacità di esportazione a causa della compressione dei salari. Renzi quindi avrebbe dovuto ottenere di far saltare la disciplina di bilancio e dall’altro che la Germania faccia una politica di aumenti salariali per espandere la domanda interna e ridurre il surplus commerciale. Se ottengo la prima cosa e non la seconda, l’unico risultato è che i prodotti tedeschi saranno esportati di più da noi. A quanto è dato capire, non è stata ottenuta neppure la prima.

Rischi?
Se non si ottengono queste due cose, in particolare se non riusciamo ad agire sul deficit spending vedo la situazione dell’euro molto compromessa. Oggi abbiamo due fattori, due forme di rigidità:il fisco e il cambio, che non si può toccare. Se non salta la prima, sarà la seconda a saltare. E quindi via l’euro, perché a lungo andare una stessa moneta (che significa stessi tassi d’interesse) non può adattarsi a economie sempre più divergenti. E in ogni caso, se non cambiano le politiche europee assisteremo a un ulteriore impoverimento dei paesi del Sud Europa, schiacciati tra politiche di austerity controproducenti e l’impossibilità di svalutare (che costringe alla svalutazione interna, cioè a deprimere i salari per recuperare competitività). Per questo motivo è assolutamente irragionevole escludere come un tabù il fatto che possa saltare l’euro. E’ una sciocchezza come obiettivo politico e come analisi della situazione.

Questa formula degli incontri bilaterali con il codazzo di imprenditori come si andasse al cospetto del re non la trovi un po’ singolare nell’era dell’Europa unita?
Incontri bilaterali come questo smascherano la falsa collegialità di un’Europa in cui è evidente l’egemonia di un paese. Il problema è che questo paese è anche la principale fonte di squilibrio. La Germania ha un surplus enorme e tutti gli altri paesi sono in deficit. Il problema quindi è questo paese e la sua politica mercantilistica in cui gli aumenti di produttività non si trasferiscono ai salari: negli ultimi 15 anni essi sono diminuiti, mentre la produttività del lavoro aumentava di 14 punti percentuali. Altro strumento è stata la fiscalità di favore per le aziende che ha permesso loro maggiori profitti 50 miliardi all’anno. Questi due fattori hanno reso la Germania come un rullo compressore rispetto all’Europa.

Raccontata così sembra essere il profilo di una economia di guerra
A differenza di quello che ci insegna l’ideologia imperante in questo paese, non esiste soltanto la violenza fisica, ma anche la violenza economica. Le dinamiche economiche possono distruggere un’economia né più né meno di quanto faccia un bombardamento. Attualmente siamo a meno 25% nella produzione industriale. La caduta della produzione è a livelli da economia di guerra. Viceversa, per la Germania questo è il migliore dei mondi possibili. Loro emettono nuovo debito ma siccome i rendimenti sono inferiori al tasso di inflazione, così riducono il debito. Sembra paradossale ma è così. Finanziano le loro imprese a sconto, Esportano nell’eurozona e sostituiscono i produttori locali degli altri Paesi che non ce la fanno più. Fantastico. Ma c’è un problema: si tratta di un equilibrio instabile, che proprio le politiche tedesche tendono a destabilizzare.

Una importante cartina di tornasole sono i movimenti di capitali, dalla Germania e viceversa.
Per ora continua il rimpatrio di capitali tedeschi (e francesi) investiti in titoli di Stato dei paesi cosiddetti “periferici” dell’eurozona. Ma anche questo processo è destabilizzante. E’ uno dei fattori più pesanti di destabilizzazione dell’euro, che ha una delle sue ragion d’essere nell’intreccio dei sistemi finanziari. Per contro, è vero che una serie di imprese tedesche sta facendo shopping nel meridione dell’Europa. Sempre l’ideologia dominante dice che gli investimenti diretti esteri sono una cosa sempre e comunque positiva. La questione è più complessa perché è vero che l’afflusso di capitali può essere positivo, ma ci sono acquisizioni e acquisizioni. Se compro un’impresa italiana per eliminare un concorrente, la cosa non andrà a beneficio di chi lavora in quell’impresa.

Come credi che finirà la partita tra la Bce e la Germania sulla supervisione dell’attività degli istituti di credito.
Le armi per adoperarle bisogna averle. Noi ne abbiamo poche, e quelle che abbiamo non le usiamo. Lo si è visto nelle trattative per la cosiddetta “unione bancaria”. Che è un’unione molto insoddisfacente per il semplice motivo che le regole sono state stabilite a beneficio della Germania. Le banche vigilate da Bruxelles sono pochissime, perché la soglia minima di attivi necessaria per essere vigilati dalla BCE è stata fissata in 30 miliardi di euro. Questo favorisce il sistema bancario tedesco, che è ancora molto frammentato. Su 417 casse di risparmio, ad esempio, solo una sarà vigilata. Così potranno continuare a nascondere sotto il tappeto i problemi. Inoltre, la concorrenza bancaria è stata viziata dai soldi che sono stati versati alle banche in crisi nel 2008/2009. Lo hanno fatto tutti su larga scala tranne che noi. C’è una sproporzione enorme tra quanto hanno ricevuto le banche tedesche e quelle italiane: 260 miliardi contro 15; ma anche le banche danesi, per dire, hanno ricevuto 163 miliardi di euro. Sarebbe stata giusta quindi una clausola che correggesse questo squilibrio (nel senso di dare la priorità alla chiusura di banche che avevano già ricevuto aiuti di Stato rispetto a quelle che non ne avevano avuti). Niente di tutto questo. Il trattato sull’unione bancaria è uno dei casi di accordo che non si dovrebbe chiudere a queste condizioni. Meglio nessun accordo che uno così cattivo.

In tutto questo potrebbe materializzarsi il pericolo della deflazione. A quel punto?
La deflazione è sempre più prossima. E banca centrale europea non sta rispondendo al suo mandato. Considerato che il livello ottimale di inflazione secondo gli stessi Trattati è al 2%, dovrebbe fare di tutto per tenerlo a quel livello. Invece siamo molto al di sotto. Il tema deflazione è per noi è molto serio per un motivo semplice: perché la deflazione aumenta il valore reale (quindi il peso) del debito, proprio perché i prezzi di tutto (ma non del debito in essere) scendono. Quindi il valore nominale del debito resta lo stesso ma quello reale aumenta. La deflazione è un favore fatto al creditore e una fregatura per il debitore. Con un debito pubblico già al 133% del prodotto interno lordo, se entriamo in una fase di deflazione è molto probabile che esse diventi ingestibile in tempi brevi. Questo è il motivo per cui tutti coloro i quali che continuano ad agitare lo spauracchio dell’inflazione ragionano con categorie superate. Un po’ di inflazione ci farebbe bene. Ma ormai siamo abituati a pensare con paradigmi di impronta tedesca che vedono nell’inflazione un diavolo. L’egemonia è anche questo.


domenica 23 marzo 2014

Frosinone. L'acqua tornerà pubblica.

Luciano Granieri


La giornata mondiale dell’acqua non poteva essere onorata meglio.  Sabato scorso 22 marzo il coordinamento dell’acqua pubblica di Frosinone ha convocato stampa e cittadini per annunciare l’avvenuta approvazione, all’unanimità da parte della Regione Lazio, della legge relativa alla “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque”.  Severo Lutrario, portavoce del coordinamento, insieme con Fulvio Pica e  Nadir Alkadibi del coordinamento di Torrice, che ha seguito da vicino le operazioni di voto alla Pisana,  hanno spiegato  l’eccezionale  importanza  che riveste l’approvazione di questa legge. Una procedura  straordinaria e unica per come si è determinata. 

La  legge sulla tutela, governo e gestione pubblica delle acque   è il primo provvedimento di iniziativa popolare proposto all’esame   del Consiglio regionale, grazie alla raccolta di 37.000 firme e la sottoscrizione di 40 Comuni,  che è stato effettivamente   discusso e posto a votazione da un’istituzione pubblica. Il diritto sancito della Costituzione sull’obbligatorietà  dell’ esame delle leggi di iniziativa popolare, non è stato mai riconosciuto ai cittadini a nessun livello, né locale e men che meno nazionale. Ciò che è avvenuto quindi presso la Regione Lazio è un evento fino ad oggi unico  anche se dovrebbe costituire la norma.  

Il secondo elemento di straordinaria rilevanza è che la legge approvata dalla Regione è una delle prime, se non la prima,  che ristabilisce e applica quanto  i cittadini hanno sancito in materia di gestione pubblica e partecipata del servizio idrico con il referendum  del 2011. Un risultato epocale anche  per i movimenti per l’acqua pubblica, per le associazioni e i cittadini del Lazio  che attraverso il referendum prima, e  l’approvazione della legge d’iniziativa popolare poi, hanno imposto alla politica spesso schiava delle lobby  multinazionali il rispetto di un principio inderogabile  quale quello dell’indisponibilità al lucro di  risorse naturali come l’acqua .   

La normativa approvata dalla Regione Lazio all’art.2 stabilisce che “L’acqua è un bene comune e un dritto umano universale. La disponibilità e l’accesso   individuale e collettivo all’acqua potabile, in attuazione dei principi costituzionali, sono garantiti in quanto diritti inalienabili ed inviolabili della persona”    Inoltre all’art. 4 si stabilisce che ”…..la gestione del servizio idrico integrato  deve essere svolta nel rispetto dei principi costituzionali, degli esiti referendari…….inoltre la  medesima gestione deve essere svolta senza finalità lucrative e ha come obbiettivo il pareggio di bilancio, persegue finalità di carattere sociale e ambientale ed è finanziata attraverso risorse regionali e meccanismi tariffari"  .  

Come si vede è  un’imposizione, nero su bianco, dei principi espressi del referendum.  Un ulteriore  elemento fondamentale introdotto è il finanziamento del servizio che è di origine tariffaria ma anche sovvenzionato dai fondi regionali, dunque pubblici .  Altro  aspetto importante inserito nella norma è il riassetto territoriale   con la definizione di degli Ambiti di Bacino Idrografico  (Abi), zone  entro cui verranno disciplinate  la cooperazione fra gli enti locali,   le modalità per l’organizzazione e la gestione del  servizio attraverso il governo delle varie fasi su cui  esso si struttura:  la captazione, l’adduzione e la distribuzione dell’acqua,  gli impianti di fognatura  e di depurazione il trattamento  delle acque reflue.  

In pratica negli Abi  sono direttamente i comuni responsabili del corretto funzionamento del  servizio.  A loro è demandato il controllo sulle eventuali perdite della rete idrica. Inoltre  qualsiasi proposta o decisione che un rappresentante del Comune porterà in sede di conferenza  dell’Abi dovrà essere il frutto della discussione e votazione  all’interno del consiglio comunale,il  quale dovrà deliberare anche con il  concorso della diretta partecipazione dei cittadini. 

Si determina quindi  un’ organizzazione totalmente diversa da quella adottata fino ad ora, basata sugli Ambiti territoriali ottimali (ATO). Un carrozzone  dove i sindaci coinvolti,   la cui funzione dovrebbe essere quella di vigilare nell’interesse dei cittadini  sul rispetto dei contratti da parte del gestore privato,  non hanno neanche contezza della conformazione degli impianti, degli investimenti realmente effettuati dalla controparte,  non possono o non vogliono tutelare gli interessi della comunità spesso operando nell’interesse di quello stesso gestore che dovrebbero controllare.  

Questi sindaci, partecipano alla conferenza senza aver ricevuto alcun mandato dai propri consigli comunali, possono allinearsi senza alcuna responsabilità verso la collettività  ai desiderata delle multinazionali di turno.  Lo spettacolo che ha offerto e tutt’ora offre, la maggioranza dei sindaci dell’Ato di Frosinone è ignobile.  Acea ha potuto fare e disfare a proprio piacimento, non investire i fondi promessi   , imporre aumenti tariffari  retroattivi  e  bollette fuori controllo,  minacciare gli utenti, senza che la conferenza di sindaci ponesse la minima obiezione.  

I sindaci non hanno neanche avuto la forza di invocare  la  rescissione del contratto per colpa nei confronti di Acea ,  una prerogativa che la mala gestione del gestore privato, ampiamente comprovata,  avrebbe  dovuto essere esercitata  con forza e decisione. Una serie di misfatti  si è  dispiegata indisturbata negli anni , culminata con la  determinazione    delle tariffe avvenuta il 5 marzo scorso. Una pianificazione tariffaria ottenuta    secondo una procedura illegale, basata non sul piano operativo, che qualora fosse esistito,  avrebbe svelato la più che insufficiente qualità del servizio e previsto  il pagamento di penali, ma prendendo a modello il piano tariffario del tutto aleatorio e superficiale  dell’”Autorità dell’Energia  Elettrica e Gas”  gravato da ulteriori aumenti. 

Il  tutto per assicurare   ad Acea una tariffa più che congrua  ai propri  profitti e assolutamente vessatoria per i cittadini. Con l’approvazione della nuova legge regionale tutto ciò non sarà più consentito.  Il controllo sul gestore  pubblico,  e non più privato,  avverrà da parte dei consigli comunali e dei cittadini. Sabato 22 marzo, giornata dell’acqua, i cittadini del Lazio hanno celebrato una vittoria epocale.  Il riconoscimento di un diritto fondamentale,  come l’accesso all’acqua,  strappato  con la mobilitazione caparbia e condivisa, alla speculazione del capitalismo finanziario supportato dalla politica dei comitati elettorali.  La via è tracciata non rimane che perseguirla con maggiore tenacia.


Di seguito i video della Conferenza.