Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 2 settembre 2017

Rivoluzione matriarcale e abolizione della proprietà privata del maschio.

Luciano Granieri




Non c’è atto più vigliacco, crudele e aberrante, dello stupro. La violenza sulle donne è un fenomeno che non accenna mai a declinare, è diventato un orrendo misfatto strutturalmente incancrenitosi nella collettività.  Ciò che mi indigna di più è che  lo stupro viene strumentalizzato, per cavalcare altre odiose derive per  nulla attinenti al  fenomeno. Mi riferisco alla connotazione razzista   spesso associata  ad un misfatto che con il razzismo non ha niente a che vedere. 

L’uscita di Giorgia Meloni sugli stupratori di Rimini è illuminante in questo senso. Prima chiama in causa la Presidente della Camera, Laura Boldrini,  perché  non avrebbe stigmatizzato gli stupri solo perché, secondo la Meloni, sono stati commessi da magrebini.  Poi, e questo è ancora più grave, la  leader di Fratelli d’Italia condanna l’azione violenta, non per la gravità del fatto in  se, ma perché commessa da “un branco di vermi magrebini”.  Il branco è di vermi non perché hanno stuprato, ma in quanto  sono magrebini. Probabilmente se  a commettere le violenze fossero stati italiani, questi non sarebbero stati bollati come vermi. 

Strumentalizzare un atto scellerato come lo stupro, non solo per fini politici, ma anche per attizzare ulteriormente un clima già incattivito  verso gli immigrati, è irresponsabile. Infatti  la millantata  componente razzista   sposta il problema da quella che dovrebbe essere un’efficace valutazione del fenomeno  della violenza sulle donne. Né peraltro mi pare corretto ridurre tutto ad una questione di genere: contrasto uomo-donna. E’ vero  che è   sempre la donna a subire, ma non in quanto essere femminile in se , ma in quanto proprietà, privata, esclusiva del maschio. 

Lo so la “meno”  sempre con la storia della proprietà privata. Probabilmente sarà il solito condizionamento dovuto alla mia ideologia comunista. Però uno dei tanti insulti vomitati suo social in merito a queste odiose vicende mi ha fatto riflettere. A un tizio che su FB, condannava la commistione scorretta fra razzismo e stupro, viene risposto: “Potesse un branco di negri violentare tua moglie  e pure tua sorella”. Cioè la violenza che viene invocata, non riguarda il maschio, (potesse un branco di negri ridurti in fin di vita) ma oggetti, di proprietà del maschio (la donna TUA  moglie e la donna TUA  sorella) .

 Questo è un retaggio della millenaria  cultura patriarcale in cui il maschio possiede la donna, ne dispone come vuole, ne pretende risposte  condizionate, come un telefonino reagisce alle sollecitazioni delle nostre dita. Un aspetto ulteriormente peggiorato dall’istituzione della famiglia.  L’elemento  sociale di base  in cui l’uomo è signore e proprietario assoluto di moglie e figli.  Il potere e la potestà dell’uomo sulla donna deriva da misoginie  che si perdono nella notte dei tempi.  

Già nei miti dell’età dell’oro Zeus per punire gli uomini,  rei di aver accettato il fuoco (inteso come logos, intelletto) ricevuto in dono da Prometeo,  che l’aveva sottratto al Dio Supremo  con l’inganno , inviò loro “l’ambiguo malanno” cioè la donna. Tralasciamo poi  le figure bibliche di Adamo ed Eva i cui destini sono noti. Come si vede  è  difficile disincrostare un tale consolidato  grumo patriarcale.  Il concetto della donna, come essere abbietto e come proprietà dell’uomo, fu  radicato già dalla civiltà ellenica, tanto che alcuni miti, raccontati ad esempio da Diodoro Siculo  furono totalmente invisi ai Greci. 

Lo  storico greco di  Agirio (Sicilia)   nella sua opera Storia Universale racconta di un'Isola Felice situata ai margini del mondo conosciuto. Qui  la fertilità della terra e la dolcezza  del clima generavano una tale quantità di frutti   da sfamare completamente tutti gli abitanti. In quel paradiso donne e uomini vivevano in pace ed in armonia. L’organizzazione sociale era molto particolare. Gli abitanti non si sposavano e i figli non erano  allevati dalla donna che li aveva generati, ma venivano  educati dall’intera collettività,  e amati tutti allo stesso modo. Le donne che  allattavano spesso si scambiavano i neonati  affinchè le madri non potessero riconoscere i loro figli. 

Si era creato un egualitarismo  che contraddiceva il più intoccabile tabù della società patriarcale: il principio di proprietà del figlio e della madre da parte del padre-padrone. Anzi in una tale esaltazione dell’ armonia universale, garanti dell’amore erano le donne. Che, per questa loro fondamentale funzione, ricoprivano un ruolo  preminente nell’organizzazione  sociale. Una figura  del tutto diversa della madre  oggetto di proprietà del padre.

E’ chiaro che l’isola raccontata da Diodoro Siculo è un esaltazione del mito matriarcale.  Ma per dare l’avvio ad un profondo cambiamento, sulla situazione  femminile dobbiamo compiere una rivoluzione culturale così profonda, da avvicinarci a quella organizzazione sociale. Bisogna  rimettere in discussione il concetto di proprietà che, già aberrante a livello economico, diventa pura barbarie  nel rapporto fra i generi. 

Un processo di questo tipo può partire solo all’interno di uno scenario culturale in crescita, dove le istituzioni, e  la  scuola in particolare,  si pongano  l’obbiettivo di indirizzare verso una visione di grande umanità, del rispetto dell’altro in quanto essere paritario, sia esso uomo o donna. Il contesto odierno, invece, presenta un irreversibile disfacimento culturale. Falle enormi di becerume si aprono nei rapporti sociali . In questi spazi si insinua la barbarie, alimentata dall’individualismo, dall’esaltazione    della competitività, dall’obbligo di prevalere a tutti costi. 

Un contesto in cui la proprietà, privata,  patriarcale si esalta ancora di più, e si rovescia in modo crudele verso le donne,  tutte le donne, ma in particolare verso quelle   che rivendicano la loro non  appartenenza.  Se non si mette in campo una prospettiva rivoluzionaria, che rovesci il perfido individualismo imposto dal disvalore liberista, mai ci si potrà indirizzare verso una prospettiva di società matriarcale. E allora continueremo a indignarci quando apprenderemo di stupri e violenze sulle donne, convinti che la semplice indignazione, al massimo un po’ di rabbia possa essere sufficiente a lavarci la coscienza. 

P.S. le notazioni mitologiche sono tratte dal libro di Alfonso Cardamone "Graffiando il mito"

venerdì 1 settembre 2017

Venezuela: polemiche a sinistra

Alejandro Iturbe * 

 
La situazione politica venezuelana si aggrava sempre di più, e contemporaneamente si approfondisce il dibattito all'interno della sinistra latinoamericana e mondiale su quale politica sia corretto tenere in questa situazione. In termini generali si delineano due posizioni: una (maggioritaria) di appoggio e difesa al governo di Maduro e del regime chavista e l'altra di opposizione ad esso. Al contempo, in entrambi questi “schieramenti” si delineano differenti ragionamenti legati a differenti strategie.
Così come abbiamo spiegato analiticamente in numerosi articoli e saggi negli ultimi anni e in varie pubblicazioni recenti (1), noi della Lit-Qi ci siamo sempre collocati all’opposizione del chavismo da sinistra, in difesa degli interessi della classe lavoratrice. Ciò nonostante ci siamo guadagnati le accuse di “agenti dell'imperialismo” e di “essere funzionali alla destra”. I trotskisti sono abituati a questo meccanismo (utilizzato dallo stalinismo nel XX secolo) consistente nel tentare di nascondere i contenuti del dibattito per mezzo di insulti e calunnie, ma noi rispondiamo con analisi e ragionamenti marxisti basandoci sui fatti reali.                                                                                                      
Per tale motivo, senza abbandonare la nostra opposizione di sinistra al chavismo, difendemmo il governo di Chavez incoraggiando la mobilitazione delle masse e della classe operaia quando la coalizione tra l'imperialismo e la borghesia tradizionale venezuelana tentò di rovesciarlo nel 2002. E, allo stesso modo, incoraggiammo e sostenemmo la risposta dei lavoratori contro la serrata padronale del mese seguente. In quel processo, i lavoratori occuparono le fabbriche e le raffinerie ponendole sotto il loro controllo. Se oggi si concretizzasse la minaccia di aggressione militare da parte di Trump, non esiteremmo a perseguire nuovamente la medesima politica.
 
Il castro-chavismo
Il primo posto nella difesa del governo Maduro è occupato dalla corrente che abbiamo denominato  “castro-chavismo”. Vale a dire, il raggruppamento di alcuni partiti comunisti latinoamericani e settori affini, che hanno come proprio punto di riferimento i governi di Cuba e del Venezuela.                          
Per loro, in Venezuela si sta edificando il “socialismo del ventunesimo secolo” e ciò che sta accadendo non è altro che la difesa di questa rivoluzione contro un processo controrivoluzionario di mobilitazione fascista. Di conseguenza, difendono incondizionatamente il governo, tutte le sue misure e manovre (come la recente Costituente), ed anche la durissima repressione contro le manifestazioni di opposizione.  
Nei diversi articoli cui facevamo riferimento in precedenza, abbiamo analizzato e dimostrato che in Venezuela non esiste alcuna edificazione del socialismo né un avanzamento in quella direzione. Da qualsiasi angolazione lo si guardi (i contenuti delle costituzioni approvate in questi anni, il funzionamento dell'economia, il ruolo dello Stato, ecc.), il processo in corso in Venezuela rimane borghese fino al midollo. Quello che chiamano il “socialismo del ventunesimo secolo” è solo una “definizione rossa” per nascondere la realtà.
Il principale beneficiario di questa economia capitalista in Venezuela è la “boliborghesia” (o borghesia bolivariana) nata da parassiti dell'apparato statale, specialmente da membri ed ex membri dei vertici delle forze armate. La sua accumulazione di tipo capitalista è venuta dal ruolo di intermediazione nella vendita del petrolio all'estero, dalla corruzione per l'assegnazione degli appalti pubblici e dalle frodi finanziarie nel mercato dei cambi. Con questo arricchimento, i nuovi borghesi cominciarono ad acquisire o fondare imprese.
Il gruppo più influente è quello di Diosdado Cabello, ex alto ufficiale delle forze armate e uno dei principali dirigenti del Psuv [il partito di Chavez e Maduro; ndt]. Oggi è il principale gruppo finanziario del Paese (possiede banche, industrie e imprese di servizi). Un secondo gruppo importante appartiene a Jesse Chacón, anch'egli ex ufficiale (possiede una banca, una fabbrica di latte in polvere e alberghi). Esistono altri gruppi controllati da militari. A loro dobbiamo aggiungere imprenditori e banchieri che hanno ampliato le proprie fortune avvicinandosi al chavismo (fra gli altri: Alberto Cudemus, presidente di Feporcina, Alberto Vollmer, proprietario della fabbrica di rum Santa Teresa, Miguel Pérez Abad, presidente di Fedeindustria e funzionario del governo, Víctor Vargas Irasqüín del Banco Occidental de Descuento). Molti militari in attività sono direttamente coinvolti nel traffico di alimenti.
Questa boliborghesia mostra ostentatamente la sua ricchezza, con automobili, case lussuose e feste di altissimo livello, il che contrasta con la situazione sociale disperata e la miseria delle masse venezuelane. In questo quadro, parlare di “difesa del socialismo” risulta una battuta di cattivo gusto. Un altro aspetto delle posizioni di questo settore (il supposto golpe fascista) lo tratteremo più avanti.
 
Il riformismo e il neo riformismo pro Maduro
In seconda linea, a difesa ed appoggio del governo Maduro, si colloca la maggioranza delle organizzazioni della sinistra riformista e neoriformista. È il caso del Pt e della maggioranza del Psol brasiliani, di Podemos (Spagna) e Die Linke (Germania).  
Queste correnti hanno abbandonato da molto tempo la lotta per il potere operaio e il socialismo, e di conseguenza hanno abbandonato qualsiasi metodo di analisi e definizione marxista e di classe dello Stato, dei regimi politici e dei partiti. Per giustificare il loro appoggio e la loro difesa di governi borghesi (quando non vi partecipano direttamente, come nel caso del Pt brasiliano), definiscono i processi politici come “progressivi o reazionari” (come faceva lo stalinismo).
Con questa analisi distorta, oggi sostengono il governo “progressista” di Maduro “contro la reazione e la destra”. Difendono quindi la brutale realtà capitalista e corrotta del regime chavista e del governo Maduro e caratterizzano come “ingannate dalla reazione” le masse che lo affrontano ed hanno rotto con esso (l’80% della popolazione, secondo sondaggi indipendenti). Allo stesso tempo, si rendono complici della repressione del governo che ha già provocato oltre 100 morti e centinaia di arresti. In questo modo, fanno il gioco della propaganda borghese che afferma come il Venezuela sia la dimostrazione del “fallimento del socialismo e delle proposte della sinistra”. Si tratta di un vero e proprio crimine politico che deve essere combattuto con forza.
 
Una difesa più elaborata
Nel “circolo dei difensori di Maduro” troviamo anche correnti che si definiscono trotskiste, come il Cwi (Comitato internazionale dei lavoratori) e il Mais brasiliano (2).
Queste correnti elaborano un ragionamento più complesso e sofisticato che le conduce però alle stesse posizioni delle organizzazioni citate prima. Vogliamo soffermarci specialmente sugli argomenti utilizzati dal Mais, perché pretende di trovare una giustificazione falsificando le elaborazioni di Nahuel Moreno.
Tra le varie dichiarazioni spicca quella di Valério Arcary, principale figura pubblica del Mais (3), il quale dice: “Non sosteniamo la retorica del socialismo del ventunesimo secolo […] Il governo di Maduro è un governo borghese appoggiato da una frazione minoritaria della borghesia in costruzione: la boliborghesia”. Aggiunge che questo governo “si appoggia ad un regime bonapartista sostenuto sempre di più dalle forze armate”. Per questo, “Maduro non merita alcun appoggio politico”. Fino a qui conveniamo con lui.
Ma poi comincia la difesa di questo governo dicendo: “è un governo indipendente”. Perciò [sostiene Arcary] è attaccato dall'imperialismo e dal settore ultra reazionario della borghesia venezuelana, che vuole rovesciarlo per appropriarsi delle ricchissime risorse petrolifere del Paese. Dunque, “la questione centrale dell'analisi della situazione venezuelana sembra essere il riconoscimento o meno del pericolo reale ed imminente di un golpe”. A questa possibilità, risponde: “La lotta contro il golpe diventa centrale”.
In tale contesto, sostiene, i rivoluzionari dovranno collocarsi “nel campo politico-militare del governo Maduro contro il golpe” e favorire la nascita di un “fronte unico” contro di esso. In altre parole, Valério Arcary ci presenta la situazione attuale come identica a quella del 2002, che richiedeva senz'altro la necessità di difendere l'allora governo Chavez. La verità però, è che le due situazioni sono completamente differenti e, sotto molti aspetti, opposte.
Il ragionamento di Valério Arcary contiene tutta una serie di errori, compreso errori tattici che sussisterebbero anche nel caso che la situazione fosse realmente quella da lui descritta. Vediamolo più in profondità.
 
Un governo indipendente?
Il primo errore consiste nel sostenere che in Venezuela ci sia “un governo indipendente”. Nel fare questa caratterizzazione, Arcary tenta di appoggiarsi su elaborazioni di Nahuel Moreno degli anni ’80 del Novecento, esposte al congresso e alla direzione della Lit-Qi (4), in cui questi riprendeva a sua volta le elaborazioni di Lenin e Trotsky. È necessario segnalare che Moreno non poté approfondire queste caratterizzazioni (morirà pochi mesi dopo) e che le stesse andrebbero integrate con altre elaborazioni che aveva prodotto precedentemente.
Per riassumere, Moreno sosteneva che, al di fuori degli Stati operai, il mondo era per lo più diviso tra un piccolo gruppo di Paesi imperialisti e una grande maggioranza di nazioni dominate. Inoltre, in quel quadro, esistevano anche alcuni (pochi) “Paesi indipendenti” sorti da circostanze eccezionali: guerre anticoloniali vittoriose e rivoluzioni che avevano abbattuto dittature e distrutto le forze armate dei regimi precedenti, ma che avevano direzioni piccolo borghesi o nazionaliste borghesi.
A partire da queste rivoluzioni, si costruivano o ricostruivano Stati, regimi e governi borghesi che, per loro natura, erano relativamente indipendenti o autonomi dall'imperialismo (sottolineiamo “relativamente”) e, in alcune situazioni, attaccavano pure l'imperialismo. Era il caso di Paesi come Algeria, Libia, Nicaragua, Iran e Angola. 
In quanto governi borghesi, sono nemici dei lavoratori e dobbiamo combatterli. Però, come “Paesi indipendenti”, li difendiamo dagli attacchi dell'imperialismo, specialmente quando questi cerca di rovesciarli. È su questa tesi che Valério Arcary tenta di appoggiarsi per giustificare la sua posizione attuale.
Dimentica un aspetto centrale che Moreno rimarcava con chiarezza: questa categoria di “Paesi indipendenti” è estremamente instabile e caduca, perché l’indipendenza di quei governi conosce un’inevitabile e costante erosione nel tempo. Per questo motivo, riferendosi alla Libia e al suo leader, Moreno in quegli anni segnalava:
“Gheddafi è un cavallo di troia contro l'indipendenza. Se non provvederà all'espropriazione della borghesia, se non costruirà uno Stato operaio e un’economia pianificata, il pericolo costante di una crisi costringerà la borghesia indipendente a sottomettersi prima o poi alla dipendenza politica dall'imperialismo. La politica della piccola borghesia o della borghesia nativa alla testa di questi Stati conduce sempre alla perdita di indipendenza, ad un vicolo cieco: per mantenere l'indipendenza occorre avanzare verso il socialismo, ma questa non è la loro intenzione”.
A posteriori, la storia di questi Paesi e la trasformazione della maggioranza dei loro governi in agenti dell'imperialismo (in molti casi anche in regimi dittatoriali), ha confermato pienamente queste considerazioni di Moreno.
 
Cosa è accaduto in Venezuela?
Vi è una differenza molto importante tra i processi che diedero origine ai “Paesi indipendenti” analizzati da Moreno e il processo che portò il chavismo al potere. In Venezuela, vi è stato un processo rivoluzionario, aperto con il Caracazo nel 1989. Ma il chavismo non rappresentò la sua direzione (al contrario, Chavez in quel momento faceva parte dei repressori) e non ebbe accesso al potere come risultato diretto di quella rivoluzione. In articoli precedenti abbiamo affermato:
“Per la maggior parte delle correnti della sinistra che riabilitano il chavismo, il suo trionfo elettorale e il successivo governo sono il prodotto diretto del Caracazo e dell'ascesa che lo seguì, cioè la sua genuina e progressiva espressione politica. Per noi, invece, essendo un sottoprodotto del "Caracazo" e della sua ascesa, il chavismo è un movimento delle seconde linee dell'apparato di comando militare, che cavalcarono l'ascesa di quel movimento per frenarlo o, per lo meno, per controllarlo in modo che non si si trasformasse in una rivoluzione socialista e, in sostanza, per risanare la frattura creatasi nelle forze armate. E, in tal modo, per ricostruire completamente lo Stato borghese".
Cioè, il chavismo non solo non demolisce le forze armate borghesi, ma le ricompone e le rafforza. Fin dall'inizio, risulta molto accentuato questo aspetto regressivo contro la rivoluzione e, quindi, il grado di indipendenza del chavismo è sempre stato molto inferiore rispetto a quello di altri processi.
Ma al di là di questa considerazione, è vero che Chávez ebbe scontri reali con l'amministrazione Bush, la quale (insieme alla tradizionale borghesia del Venezuela) cercò di rovesciarlo attraverso un colpo di Stato e la serrata padronale nel 2002. In quella fase, le considerazioni di Moreno erano applicabili e si poté combattere in difesa del governo Chavez, così come la Lit-Qi e i suoi militanti fecero in Venezuela.
Ma da lì fino ad oggi molta acqua è passata sotto i ponti e la situazione è completamente diversa. Dopo il fallimento del colpo di Stato e della serrata si verificò un cambiamento fondamentale. Da un lato, Chavez perdonò i golpisti, rafforzò le forze armate borghesi e diede loro grandi privilegi economici, e si riconciliò con diversi gruppi economici che avevano sostenuto il colpo di Stato (come quelli di Cisneros e di Polar-Mendoza). Nel contempo, cambiò l'intera cupola delle forze armate e la integrò con generali che gli erano totalmente fedeli, consentendo loro di fare lauti affari. È la stessa cupola che si regge assieme a Maduro.
D'altro canto, l'imperialismo americano abbandonò la sua politica golpista e passò alla “convivenza” con i governi chavisti, approfittandone per fare ottimi affari, specialmente nel settore dell'estrazione del petrolio. La boliborghesia cominciò a fare investimenti in imprese e proprietà negli Stati Uniti. Al tempo stesso, l'imperialismo appoggiava l'opposizione di destra per capitalizzare elettoralmente il logoramento dei governi chavisti allo scopo di riconquistare il governo in seguito. Cioè, [l'imperialismo] inquadrò la sua politica nella tattica che abbiamo definito “reazione democratica”. È bene ricordare che Chávez ha governato quattordici anni e il governo Maduro ne ha già quattro.
Si tratta di una politica che cominciò ad essere applicata nel 1976 (con il governo di Jimmy Carter, dopo la sconfitta degli yankees nella guerra del Vietnam) e che prova ad utilizzare i meccanismi della democrazia borghese (elezioni, parlamenti, ecc.) per controllare e deviare le rivoluzioni. È una tattica diversa per raggiungere gli stessi obiettivi di dominio, adeguata ad una realtà più difficile per l'imperialismo. Dopo la sconfitta della politica molto più aggressiva di Bush (in Iraq e Afghanistan), Obama la riprese completamente. Trump ha una politica più oscillante, ma la “realtà” lo obbliga a non abbandonarla.
 
La prova dei fatti
Per valutare se il Venezuela e il governo Maduro sono “indipendenti”, è necessario uscire dalla loro retorica e sottoporli alla “prova cruda” dei fatti (cioè della loro reale politica).
Il centro dell'economia venezuelana è l'estrazione del petrolio e, negli anni '70, il governo di Carlos Andrés Pérez crea la Pdvsa [Petróleos de Venezuela S.A.: compagnia petrolifera statale venezuelana; ndt] come monopolio statale. La realtà è che con tutti i suoi governi, il chavismo ha approfondito molto  la “concessione del petrolio” avviata negli anni '90 da Rafael Caldera. Attraverso le imprese miste in associazione con Pdvsa o con concessioni dirette per l'estrazione, le imprese straniere (dalla statunitense Chevron sino a Petrochina) controllano il 50% del petrolio e del gas venezuelano. Nel caso della cosiddetta Faja del Orinoco (nell'est del Paese) il chavismo ha concesso loro il controllo di parti intere di territorio. In quella regione, inoltre, sta concedendo lo sfruttamento del patrimonio minerario.
In secondo luogo, questi governi hanno puntualmente pagato (e talvolta in anticipo, quando Chávez era in vita) l'immenso debito estero venezuelano e i relativi interessi. Anche in mezzo all'acutissima crisi sociale che colpisce la maggior parte dei venezuelani, il presidente Maduro stesso ha recentemente affermato: “Il Venezuela ha pagato 60 miliardi di dollari negli impegni internazionali durante gli ultimi due anni”. (5)
La consegna del petrolio alle compagnie straniere, il pagamento dei debiti esteri a costo di affamare le masse popolari. Cosa differenzia, dal punto di vista della reale indipendenza del Paese e delle necessità dei lavoratori e delle masse popolari, il governo “indipendente” di Maduro da altri governi dichiaratamente agenti dell'imperialismo, come quello di Temer in Brasile o di Macri in Argentina? In realtà, quello che sta facendo il governo di Maduro è perfino peggio, perché pagare il debito estero oggi condanna le masse popolari venezuelane alla fame. Non parliamo in senso figurato: famiglie venezuelane hanno raccontato che, come effetto di questa situazione, i loro membri hanno perduto sino a nove chilogrammi di peso.
È una falsificazione della realtà affermare che la lotta attuale in Venezuela sia tra un “governo indipendente” che difende (così debolmente) la sovranità del Paese ed altri che vogliono impossessarsi delle risorse naturali, in quanto la consegna di esse è già stata effettuata proprio dal chavismo.
Qual è allora il motivo della controversia tra la boliborghesia e i settori borghesi rappresentati dalla Mud?  È la lotta tra due settori borghesi per lo sfruttamento di quella parte della rendita petrolifera che resta al Paese e allo Stato. Sono due progetti di consegna [delle risorse] che combattono per il controllo di quella consegna. Nella migliore delle ipotesi hanno soltanto differenze nel quantitativo di consegna, in quanto la Mud è disponibile ad aumentare ulteriormente la percentuale di consegna del petrolio (pagare di più il debito estero sarebbe difficile) e ad eliminare definitivamente i programmi sociali, già profondamente deteriorati.
 
Qual è la vera politica dell'imperialismo?
Valério Arcary e tutti coloro che difendono il governo di Maduro potranno argomentare che, nonostante tutto, Trump ha minacciato il Venezuela di eseguire azioni militari in nome di un'ipocrita “difesa della democrazia”. Rifiutiamo queste minacce e, se tali azioni si concretizzeranno, non esiteremo per un secondo a difendere il Venezuela aggredito, così come segnalato nella recente dichiarazione della Lit-Qi.
Il governo degli Stati Uniti ha anche imposto minori sanzioni economiche, come il blocco dei beni di Maduro negli Stati Uniti. Però, se Trump volesse davvero attaccare ed isolare economicamente il governo venezuelano, gli sarebbe sufficiente smettere di acquistare petrolio venezuelano e la  situazione diverrebbe insostenibile.
Ecco perché diventa necessario rimuovere il rumore e analizzare la vera politica dell'imperialismo. Mentre Trump svolge pubblicamente il ruolo di “poliziotto cattivo”, la sua politica di fondo (e quella dell'imperialismo) consiste nel fare pressione su Maduro per un accordo con la Mud e per rendere possibili elezioni presidenziali e parlamentari che, molto probabilmente, sarebbero vinte dalla Mud. È la stessa politica che tentò di negoziare (nel mezzo delle elezioni per la Costituente) l'ex presidente spagnolo Zapatero. Una variante, un po' più aggressiva verbalmente, per imporre la “reazione democratica”.
L'imperialismo ha appreso dal fallimento della sua politica nel 2002 (e dal più generale fallimento della politica di George Bush nel mondo). Ora applica un'altra tattica. Una delle sue voci più lucide, il New York Times, ha pubblicato un articolo che spiega perché il governo statunitense non ha intenzione di promuovere un intervento militare: perché questo potrebbe provocare uno “shock più violento” nel Paese e in America latina. Tali “onde d'urto in tutto l'emisfero potrebbero creare maggiori complicazioni per il governo Usa nella fase in cui cerca di concentrarsi sulla Corea del Nord e sull'Iran”.
È possibile che in futuro, se Maduro e il chavismo non accetteranno questa negoziazione, l'imperialismo e la borghesia d'opposizione di destra passino ad un attacco più determinato per rovesciarlo con mezzi armati? Ammettiamo che potrebbe essere così, a maggior ragione considerando l'imprevedibilità di un personaggio come Trump. In tal caso, per i rivoluzionari si tratterebbe di sviluppare la stessa politica del 2002 (difesa del Paese dagli attacchi dell'imperialismo), e non esiteremmo per un secondo a promuoverla e ad essere in prima linea nella lotta. Ma questa non è la realtà attuale, e fare questi errori di valutazione conduce inevitabilmente a politiche totalmente sbagliate.
 
Chi sta facendo il golpe?
I castro-chavisti e Valério Arcary dicono bene quando affermano che in Venezuela è in corso un colpo di Stato. Ma coloro che stanno facendo il golpe sono proprio il governo di Maduro e il chavismo. Perché affermiamo questo?
La crisi economica e la caduta dei prezzi del petrolio hanno demolito la base materiale del chavismo. La conseguenza di tale situazione, e della politica adottata dal chavismo in questo quadro, è consistita nella rottura dei settori popolari che tradizionalmente lo sostenevano. Ecco perché nel 2015 l'opposizione di destra vinse largamente le elezioni parlamentari (ottenendo più di due terzi dei seggi). Da quel momento in poi, gli elementi democratici secondari si trasformarono in un ostacolo per il regime chavista.
Così ebbe inizio il colpo di Stato. Maduro ignorò il parlamento eletto, posticipò le elezioni dei governatori (che si sarebbero dovute tenere nel dicembre 2016) e impedì la convocazione di un “referendum revocatorio” (meccanismo previsto dalla Costituzione chavista del 2004) malgrado fossero state conseguite le firme previste, perché Maduro sapeva che sarebbe stato destituito.
In questo contesto, convocò  una “Assemblea costituente” che, nel migliore dei casi, ha il sostegno del 20% dei venezuelani. Questa “Costituente” si è dichiarata “il potere supremo” del Venezuela, ha eliminato il suffragio universale per l'elezione dei parlamentari e ha completamente distorto i criteri di rappresentanza. Tutto questo per trasformare una minoranza in una maggioranza. Il governo di Maduro e il regime chavista sono ormai totalmente minoritari. L'istituzione fondamentale su cui si appoggiano è diventata quella delle forze armate e la “Costituente” è solo uno strumento per esercitare il dominio dello Stato. Questo per quel che riguarda le istituzioni. Nel suo contenuto più profondo, è un regime che garantisce la consegna del petrolio, il pagamento del debito estero e gli affari della boliborghesia.
Nel contesto di una situazione sociale disperata per le masse (che sono letteralmente affamate) e con la boliborghesia che ostenta la sua ricchezza, Maduro e il chavismo non possono sostenere se stessi e imporre il loro colpo di Stato senza una durissima repressione: più di un centinaio di morti e centinaia di arrestati, leggi che criminalizzano la protesta (come quelle per punire coloro che manifestano “odio”). Congiuntamente a questa repressione “ufficiale” ci sono elementi crescenti di repressione paramilitare provenienti dal governo e dal regime: sono i “colectivos”, gruppi chavisti che reprimono le mobilitazioni e uccidono gli oppositori.
Con Valério Arcary partiamo da un elemento comune di caratterizzazione: il governo di Maduro “si basa su un regime bonapartista sostenuto, sempre più, dalle forze armate”. Questo tipo di regime (bonapartista sui generis, per essere più precisi) è stato caratterizzato da Trotsky in Messico alla fine degli anni 1930 come l'alternativa costruita dalla borghesia di alcuni Paesi, dominati dall'imperialismo, per ottenere un maggiore spazio di controllo del economia. Era tipico, ad esempio, dei “paesi indipendenti” analizzati da Moreno.
È un regime diverso da quello democratico-borghese poiché, con questo tipo di bonapartismo, le istituzioni centrali sono (con pesi variabili, a seconda dei casi) il leader o comandante, il partito-Stato e le forze armate. A volte si combinano con le istituzioni democratiche borghesi, come le elezioni presidenziali e parlamentari. Ma queste giocano sempre un ruolo secondario coadiuvante e vengono utilizzate solo se vi è la certezza che il nucleo dominante vincerà le elezioni. Nelle fasi di apogeo, attraverso il supporto di massa e, in quelle declinanti, attraverso le frodi (quando non si eliminano direttamente).
Anche nel loro periodo di apogeo, i più forti tra questi movimenti (come il peronismo argentino o il nasserismo egiziano) hanno sempre avuto un'importante componente repressiva. Il chavismo non ha rappresentato un'eccezione in tal senso: anche nei suoi “anni di gloria”, quando Chavez era vivo, sono numerosi gli esempi di repressione e di omicidi nel movimento operaio e di massa.
Quello che vediamo in Venezuela non è una novità: è il processo di trasformazione regressiva di questi movimenti nazionalisti borghesi e dei regimi bonapartisti sui generis che perdono il loro aspetto progressivo e, oltre ad essere borghesi, diventano completamente corrotti, dittatoriali, repressivi e antidemocratici. Lo abbiamo visto, per esempio, con Gheddafi in Libia e con Assad in Siria. In tutti questi Paesi, inoltre, il sostegno di massa che un tempo avevano questi regimi si è trasformato nel suo opposto: rottura delle masse e lotta per rovesciarli. Sulla base di un'analisi marxista possiamo affermare che è il corso inevitabile di questi movimenti, se i lavoratori non li rovesciano e si impadroniscono del potere. Ecco perché in Libia sostenemmo la lotta contro Gheddafi, e ora  facciamo lo stesso contro Assad in Siria.
 
Una metodologia sbagliata  Valério Arcary sbaglia grossolanamente il “campo di lotta” che ha scelto: chiama alla difesa di un “governo indipendente” che non esiste ed alla battaglia contro il golpe sbagliato. Ma ponendo per assurdo che la sua analisi fosse corretta, passiamo alle sue proposte politiche per la situazione: egli ci propone di stare nel “campo politico-militare” del chavismo e di formare un “fronte unico” col governo di Maduro. 
Moreno (che Valério Arcary pretende di rivendicare) diceva con assoluta chiarezza che se, per circostanze eccezionali (affrontare un golpe militare, intervenire in una guerra civile, lottare per abbattere una dittatura) dobbiamo stare nello stesso campo militare o di lotta con settori o governi borghesi, questa unità è solo circostanziale e transitoria. 
Senza abbandonare, nemmeno per un momento, la battaglia politica contro di essi, facciamo “unità d'azione” limitata nel tempo alla lotta contingente. Fu quello che fecero i bolscevichi con Kerensky di fronte al golpe di Kornilov, i trotskisti con la borghesia repubblicana nella guerra civile spagnola, o i militanti della Lit-Qi di fronte al golpe del 2002 contro Chávez. In merito a questo aspetto, Moreno fu sempre molto chiaro: mai, mai, mai… (neanche sotto quelle circostanze eccezionali nelle quali dobbiamo stare sullo stesso campo militare) siamo nel medesimo campo politico della borghesia né formiamo un “fronte unico” con governi borghesi. Quella è la politica dello stalinismo, non è certo la politica trotskista né morenista.
Dietro i grossolani errori di Valério Arcary e del Mais c'è un problema molto più profondo: anche loro hanno rimpiazzato l'analisi marxista della lotta di classe con un metodo per il quale i processi si producono dallo scontro tra “campi progressivi” e “campi reazionari” permanenti. Poiché si elimina o si subordina l'analisi di classe alla definizione di questi campi, la politica proposta è di totale capitolazione, di “vagone di coda” del settore borghese che compone il “campo progressivo”, al quale viene data una “copertura di sinistra”. 
Per questo metodo e questo tipo di politica è sempre bene avere “un golpe da affrontare”, perché ciò serve ad occultare la capitolazione. E se non esiste, lo si inventa. Per questo motivo, in Brasile, hanno avuto bisogno di inventare che la manovra parlamentare  (prevista dalla Costituzione che governa il regime democratico borghese brasiliano) che destituì Dilma e portò Temer al potere era un “golpe”, per poter così giustificare la loro capitolazione al Pt. A partire da lì, la loro politica è consistita principalmente nel porsi a difesa del governo Dilma per poi giustificare in questo modo la loro integrazione nel Frente do Povo sem Medo e nel Frente pelas Diretas Já (un fronte politico che include il Pt). 
In Venezuela, per giustificare la loro partecipazione al campo progressivo che hanno definito, si vedono obbligati ad ignorare il golpe reale promosso da Maduro e dal chavismo e ad inventare un “golpe pro-imperialista” che oggi non esiste. Siamo onesti, non sono gli unici che fanno questo: sono accompagnati dalla maggioranza della sinistra mondiale che ha adottato come proprio questo metodo di ragionamento stalinista. 
Tuttavia, non stiamo discutendo problemi metodologici o politici astratti. Stiamo discutendo nel quadro di fondo drammatico della situazione di fame e miseria delle masse venezuelane e della feroce repressione che un governo ed un regime bonapartista dittatoriale utilizzano contro di esse. Posizionandosi nel “campo politico-militare” del governo Maduro e del regime chavista, Valério Arcary ed il Mais si sono fatti complici di questa repressione e del golpe in corso. Agiscono allo stesso modo delle correnti che difendono il regime di Assad in Siria, usando lo stesso tipo di argomenti. Un ruolo molto triste per un dirigente ed un'organizzazione i cui membri erano, fino a poco tempo fa, militanti rivoluzionari.  

I “né-né”  Benché più brevemente, vogliamo fare riferimento adesso ad alcune organizzazioni che si oppongono alla Costituente di Maduro ed al suo governo. Con queste organizzazioni, ovviamente, c'è la possibilità e la necessità di realizzare azioni unitarie in Venezuela e nel mondo. È importante che ci siano settori di sinistra che si oppongono alla vocazione dittatoriale di Maduro e che non avallano la sua vergognosa repressione. In questo quadro, vediamo le contraddizioni presenti nelle loro analisi e proposte politiche. 
Esiste un settore che adotta una posizione centrista, possiamo chiamarla di “né-né”, rappresentato dalle organizzazioni argentine del Po, del Pts e del Nuovo Mas, e dalle rispettive correnti internazionali. Il Pts ha un'organizzazione gemella in Venezuela e, in un recente articolo del suo principale dirigente, fa appello a lottare contro il governo Maduro e la frode della Costituente: “La forza del governo Maduro proviene del grande appoggio e sostegno delle forze armate, fino ad ora incondizionato, nella cornice di una degradazione bonapartista, essendo un attore cruciale che ha accumulato interessi politici ed economici propri che lo mettono in una posizione assolutamente antagonistica di fronte alle sofferenze quotidiane dei lavoratori e del popolo venezuelano” (6). 
Tuttavia, siccome la principale forza dell'opposizione è la Mud (che qualificano correttamente come proimperialista e reazionaria), non avanzano come compito attuale quello dell'abbattimento del governo Maduro e del regime chavista, bensì fanno appello ad “affrontare entrambe le bande reazionarie”. Benché richiamino correttamente a “lottare per un'alternativa indipendente dei lavoratori”, la loro prospettiva è astratta perché non si propongono di realizzarla a partire dalla necessaria lotta contro la dittatura di Maduro, e così rimangono al livello di propaganda generale. 
In questo modo, il Pts commette ancora l'errore metodologico del quale abbiamo discusso nei casi della lotta contro Gheddafi in Libia e contro Assad in Siria (7): confondere i processi di lotta progressivi ed i compiti che nascono oggettivamente da essi con le direzioni che hanno influenza su quei processi. Come lottare contro la “degradazione bonapartista” del chavismo e la sua “posizione assolutamente antagonistica di fronte alle sofferenze quotidiane dei lavoratori e del popolo venezuelano” senza avanzare come compito attuale l'abbattimento di quel governo e di quel regime? Allo stesso tempo, come combattere l'influenza reazionaria e proimperialista della Mud e costruire “un'alternativa indipendente dei lavoratori” se non ne disputiamo contro di essa la direzione nelle condizioni concrete in cui la lotta si dà? 
Questo metodo del Pts, e delle altre correnti che lo condividono, ha gravi conseguenze politiche. In Libia li portò ad abbandonare l'appello alla lotta contro Gheddafi ed a sostenere che il suo rovesciamento era stato una “sconfitta del movimento di massa” perché i “ribelli” si erano trasformati in “truppa terrestre dell'imperialismo”. In Venezuela, non avanzando il compito della cacciata di Maduro, capitolano indirettamente al regime “bonapartista degradato” del chavismo ed al governo di Maduro.  

Il “chavismo critico”  Un'altra posizione è quella del cosiddetto “chavismo critico”: cioè la posizione di coloro i quali appoggiarono il chavismo ed ora ne prendono le distanze, ponendosi all'opposizione del governo di Maduro e del Psuv. Il suo principale esponente è l'organizzazione venezuelana Marea Socialista. In una recente dichiarazione (8), costoro dicono: 
“Il madurismo e la cupola del Psuv hanno attraversato la soglia che separava la loro vocazione autoritaria con maschera 'democratica e pacifica' dal terreno di un tentativo di controrivoluzione aperta, con metodi da guerra civile selettiva che già si stanno applicando”. Dopo aver denunciato la Mud e la “falsa polarizzazione” con Maduro e il Psuv, dicono che “c'è un terzo settore che ha continuato a prendere forza negli ultimi mesi, ha continuato a crescere, ha definito una propria identità ed incomincia ad apparire come un nuovo riferimento politico esterno a quei due campi. È quello che la stampa locale ed internazionale ha chiamato 'chavismo critico'”. Per la costruzione di questo terzo settore, “si tratta, a partire da una revisione critica ed autocritica degli errori del processo bolivariano, di ricostruire dalle fondamenta un progetto nazionale ed americano”. 
Esiste, in primo luogo, un dibattito sul bilancio di tutta l'esperienza chavista. Ricordiamo che Marea Socialista ha appoggiato il “socialismo del XXI secolo” e, fino a poco tempo fa, ha fatto parte del Psuv. Perciò, per questa organizzazione, l'attuale bruttezza del governo di Maduro e del Psuv non sono la conseguenza inevitabile (e, pertanto, essi non sono i veri eredi) della radice di classe borghese del chavismo e della sua politica volta a frenare la rivoluzione socialista, bensì della “vocazione autoritaria” della direzione attuale. In conclusione, le sue proposte si limitano a ritornare al “chavismo” delle origini, solo migliorandolo un po'. 
Oltre a rimandare al dibattito su questo bilancio necessario per preparare il futuro, avanziamo verso Marea socialista la stessa critica che muoviamo alle organizzazioni citate precedentemente: non pongono al movimento di massa, come compito concreto ed immediato, il rovesciamento del governo di Maduro e del suo regime, nonostante lo caratterizzino come “un tentativo di controrivoluzione aperta, con metodi da guerra civile”. Se questa è la caratterizzazione, non c'è altra alternativa se non affrontare quel regime e quel governo per sconfiggerli ed abbatterli. Non avanzando questa prospettiva, anche loro capitolano, indirettamente, al governo di Maduro.  

I “democratici”  Esistono anche settori riformisti e neoriformisti più prossimi alla socialdemocrazia che si contrappongono, benché in maniera limitata, al governo di Maduro e alla sua politica antidemocratica. È il caso del Bloco de Esquerda (Portogallo), di Jean-Luc Melenchón (Front de Gauche, Francia), e di una parte del Psol brasiliano. La presidente del Cile, Michelle Bachelet, si è pronunciata contro il golpe di Maduro, ed il governo uruguaiano del Fronte ampio ha appoggiato la sospensione del Venezuela nel Mercosur. 
Insistiamo nel dire che è buono che ci siano settori di sinistra, o che così sono percepiti dalle masse, che si pongono contro la repressione operata da Maduro. Ma queste organizzazioni e questi governi hanno limiti profondi, perché la loro politica è sempre incentrata sulle elezioni. Avanziamo inoltre una critica più importante: queste organizzazioni e questi governi accompagnano (alcuni con argomenti un po' più di sinistra) la politica dell'imperialismo europeo, consistente nel fare pressioni su Maduro per negoziare con la Mud e per richiamare ad elezioni generali. Ovviamente, non vogliono abbattere Maduro attraverso l'azione rivoluzionaria delle masse bensì rimpiazzarlo attraverso i meccanismi della “reazione democratica borghese”.  

Le nostre proposte  Nella dichiarazione della Lit-Qi e negli articoli dell'Ust [sezione venezuelana della Lit-Qi; ndt] già citati, sviluppiamo più in profondità la politica che proponiamo. Qua vogliamo presentare un riassunto. 
Il principale compito attuale che proponiamo ai lavoratori e alle masse venezuelane è di lottare contro il vero golpe in corso e per la cacciata di Maduro! Per abbattere il governo ed il regime proponiamo uno sciopero generale organizzato dalla base ed un “venezuelazo” che unifichi tutte le lotte contro Maduro. 
Nell'immediato, proponiamo la lotta contro la repressione e la realizzazione di elezioni generali libere; libertà ed autonomia sindacale: elezioni libere in tutti i sindacati, senza interferenza dello Stato! Per portare avanti questi compiti, promuoviamo la più ampia unità d'azione contro la dittatura di Maduro. 
In questo quadro, non diamo alcun appoggio alla Mud e la combattiamo, poiché questa vuole capitalizzare il malcontento della popolazione contro Maduro per imporre un governo che applichi un piano economico uguale o persino peggiore. Riteniamo necessario promuovere l'indipendenza politica dei lavoratori in relazione ai due blocchi borghesi. 
Per risolvere le pressanti necessità delle masse proponiamo l'applicazione di un programma economico dei lavoratori e delle masse popolari basato sull'esproprio delle multinazionali e delle grandi imprese, comprese quelle della boliborghesia. Prigione ed esproprio per gli speculatori. Non si deve pagare il debito estero. Scala mobile dei salari in linea con l'inflazione! Immediato congelamento dei prezzi degli alimenti, controllo operaio e popolare della produzione e distribuzione degli alimenti. 
Di fronte al golpe di Maduro e alla repressione, promuoviamo l'autodifesa dei lavoratori e richiamiamo la base delle forze armate a rompere con la sua direzione, a non reprimere i lavoratori e ad unirsi alle mobilitazioni con le armi. 
Per un governo socialista dei lavoratori che rompa la falsa dicotomia Maduro-Mud! Per la costruzione di una direzione rivoluzionaria in Venezuela.  

Alcune considerazioni finali 
A costo di essere ripetitivi, vogliamo riaffermare che le organizzazioni che appoggiano e/o difendono il governo Maduro stanno macchiando le loro bandiere col sangue dei lavoratori e delle masse popolari, oppresse da una dittatura borghese, corrotta ed assassina. La Lit-Qi non ha niente a che vedere con questo tradimento e si posiziona, senza dubbio, nel campo dei lavoratori e delle masse popolari venezuelane. Questo significa che, in Venezuela, staremo in trincee contrapposte.
 

Note
 
(1) Si veda ad esempio l'articolo “Adónde va Venezuela” del SI della Lit-Qi: https://litci.org/es/lit-ci-y-partidos/publicaciones/declaraciones/adonde-va-venezuela/ tradotto anche in italiano sul sito del Pdac:
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2464/1/
Per un’analisi storica più approfondita, consultare il libro Venezuela después de Chávez: un balance necesario. San Pablo: Ediciones Marxismo Vivo, 2013.
(2) Il Mais è nato da una recente rottura (2016) con la Lit-Qi e col Pstu, sezione brasiliana della Lit-Qi..
(3) Nahuel Moreno fu il fondatore della Lit-Qi (1982). Morì nel 1987.
Le citazioni di Arcary riportate in questo articolo sono tratte dalla pagina facebook del Mais: https://www.facebook.com/portalesquerdaonline/videos/vb.654339308067228/8616648306 e da un recente “post chiarificatore” (6/8/2017) pubblicato dallo stesso Valério Arcary sulla sua pagina https://www.facebook.com/valerio.arcary.9/posts/1131290907004392 . Entrambi i materiali sono in portoghese nell'originale, la traduzione è nostra.
(4) Tra questi: “Intervenciones en el CEI de abril de 1986” in: http://www.geocities.ws/moreno_nahuel/49_nm.html#_Toc536853247
(7) Vedere l'articolo “En defensa de la revolución permanente”. Su: Marxismo Vivo Nueva Época n.o 3 (San Pablo, 2013)
 
 
* Dal sito della Lit-Quarta Internazionale: www.litci.org
(traduzione dallo spagnolo di Max Dancelli, Salvo De Lorenzo e Mauro Buccheri)

Mentre si ridimensionato Guardia Forestale e Vigili del Fuoco, l'Italia brucia.

Partito della Rifondazione Comunista- Sinistra Europea, Federazione di Frosinone.

DIPARTIMENTO LAVORO
GIUSEPPE DI PEDE

Una delegazione del PRC-SE della federazione di Frosinone, ha incontrato il sindacato USB del settore vigili del fuoco al fine di capire i danni e le ripercussioni della riforma Madia voluta dal PD.

Dopo lo sciopero del settore, a cui Rifondazione ha aderito, nulla o poco e niente si è mosso. Intanto cosa sta succedendo in questi mesi mentre le fiamme divorano le foreste e copiose catastrofi naturali si abbattono sull’Italia? La domanda d’obbligo è: cosa ha portato la riforma del PD?

Nonostante un preoccupante sottorganico, 1 a 10 rispetto alle normative europee, i Vigili del fuoco continuano ad operare con abnegazione e a salvare vite nei terremoti e nelle catastrofi naturali, a cercare di salvare il nostro patrimonio boschivo e naturale.

La “genialità” della riforma,  che ha assegnato tutte le competenze in materia di incendi boschivi ai Vigili del Fuoco, togliendole al Corpo forestale dello Stato, accorpato quasi in blocco (sia di uomini che di mezzi aerei e terrestri) all’arma dei Carabinieri, ha generato una grande confusione, con la conseguenza che  mentre l’Italia brucia, Uomini competenti ed addestrati  non possono operare,  elicotteri e canadeir purtroppo fermi per intoppi burocratici e di competenze. Però le aziende private di noleggio aerei guadagnano cifre spaventose ogni ora di lavoro.

Il CFS, aveva a disposizione tutto per fare sia prevenzione che spegnimento, ma grazie alla burocrazia messa in campo dalla riforma del PD, oggi i VVFF possono utilizzare meno della metà della flotta aerea dell’ Ex CFS, e soprattutto, l’arma dei carabiniere non sa cosa farsene o li destina ad altri utilizzi.

È incomprensibile come degli 8000 uomini del CFS, soltanto 360 ne sono passato ai VVFF già in pesante sottorganico. Ma il tragico è che  i cosiddetti  reparti DOS (Direttori Operazioni Spegnimento) sono passati in blocco all’Arma dei Carabinieri, che chiaramente non sa come servirsi di tale competenze visto che ne è di fatto esonerata. Altro che ottimizzazione delle risorse, questo è puro sperpero e mortificazione di competenze.

In tutto questo, la provincia di Frosinone non è messa meglio della situazione generale Italiana. Qui il sottorganico è spaventoso, la dotazione strumentale è costituita da macchine obsolete e di vecchia generazione che funzionano grazie alle magie della manutenzione interna, mentre le macchine nuove sono ingestibili o bloccate da difetti elettronici e meccanici, aggravati dai problemi burocratici di competenze ed autorizzazioni dovuti dalla riforma.

Insomma un caos, dove a pagarla sono i cittadini e i Vigili stessi, che sono messi a dura prova ogni giorno sia dalle emergenze di tutti i tipi, che dalla burocrazia interna che rallenta le normali lavorazioni.

Solo per fare un esempio, ci vogliono mesi prima che il comando centrale possa autorizzare spese per nuovi acquisti per materiali necessari al lavoro quotidiano!

Questa è in sintesi la realtà in cui si trovano ad operare i Vigili del Fuoco ed è la prova che le riforme del PD fatte per questo paese sono dannose e peggiorative delle condizioni sociali.

Il Partito della Rifondazione Comunista ringrazia di cuore il grande Lavoro svolto quotidianamente dai VVFF che con il grande spirito di sacrificio dei loro uomini e delle loro donne fanno il bene della collettività con magri stipendi e mezzi obsoleti.   

Alitalia e diritto di sciopero: campagna internazionale in solidarietà con la lotta dei lavoratori

Fronte di Lotta No Austerity




Il governo e le associazioni padronali, con la complicità delle direzioni di Cgil, Cisl e Uil, stanno cercando di sferrare un altro duro colpo al diritto di sciopero, già fortemente limitato in alcuni settori a causa di leggi restrittive (come la L.146/90) e accordi sindacali liberticidi (come il Testo Unico sulla Rappresentanza del 2104).
Resistere e costruire un ampio fronte di lotta contro questi attacchi è necessario: lo sciopero è il principale strumento di cui dispongono lavoratori e lavoratrici per rivendicare i propri diritti.
Tanto più per questo, la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici Alitalia è emblematica
e assume un valore centrale in questa battaglia di resistenza e dignità.
Facciamo appello a tutti e tutte a sostenere questa campagna di solidarietà
internazionale, attivandosi – nei luoghi di lavoro, nei sindacati, nelle piazze – a raccogliere
adesioni e promuovendo iniziative di sostegno. 

CAMPAGNA INTERNAZIONALE IN SOLIDARIETÀ
CON LA LOTTA DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI DI ALITALIA!
NO AI LICENZIAMENTI!
DIFENDIAMO IL DIRITTO DI SCIOPERO!
Le lavoratrici e i lavoratori di Alitalia da alcuni mesi stanno conducendo una dura lotta contro un piano di ridimensionamento e svendita della compagnia, sostenuto dal governo e dagli azionisti, che prevede il taglio di migliaia di posti di lavoro, tagli stipendiali e aumento del carico di lavoro.
Questo piano è sostenuto anche dai grandi sindacati confederali Cgil Cisl e Uil.
I sindacati di base, a partire dalla Cub Trasporti, hanno organizzato 6 scioperi e grandi manifestazioni di protesta all’aeroporto di Fiumicino e a Roma, rivendicando la nazionalizzazione e il rilancio della compagnia. Gli scioperi hanno avuto un’altissima adesione con la cancellazione di centinaia di voli.
Azienda e sindacati confederali hanno cercato di utilizzare il ricatto, proponendo ai lavoratori Alitalia un referendum per approvare 1800 licenziamenti e tagli salariali. Durante la consultazione Referendaria anche il governo attraverso il premier Gentiloni è intervenuto pubblicamente a favore de SI, sostenuto da tutti gli organismi di stampa e dalle televisioni, minacciando la liquidazione della compagnia in caso di vittoria del NO. La Cub Trasporti insieme ad AirCrewCommittee hanno dato vita al Comitato del NO con la chiara indicazione di votare NO: il NO ha vinto ottenendo il 67% dei consensi tra i lavoratori, contro le indicazioni del governo e di Cgil, Cisl e Uil.
Nonostante la vittoria del NO, nonostante la riuscita degli scioperi, Alitalia sta andando avanti comunque col suo progetto di ridimensionamento e, con il tacito consenso del governo e dei sindacati burocratici, ha attivato la “cassa integrazione” (una misura per cui i lavoratori non possono lavorare e hanno ridotto lo stipendio) per circa 1400 lavoratori, tra cui alcuni attivisti sindacali della Cub Trasporti. Inoltre il governo, appoggiato dai sindacati burocratici, dopo la riuscita dello sciopero generale del 16 giugno (uno sciopero generale di tutti i trasporti e della logistica, lanciato dai lavoratori Alitalia e ripreso da molti sindacati di base), ha annunciato misure per limitare il diritto di sciopero nei trasporti (che in Italia ha già molte restrizioni).
Noi organizzazioni sindacali e attivisti sindacali:
- respingiamo il piano di ridimensionamento e svendita di Alitalia con migliaia di licenziamenti!
- respingiamo i tentativi del governo e delle burocrazie sindacali di limitare il diritto di sciopero!
- pretendiamo che sia rispettata la volontà della maggioranza dei lavoratori che nel referendum hanno rifiutato il piano di ristrutturazione, i licenziamenti, i tagli salariali!
- esprimiamo solidarietà al sindacato Cub Trasporti che sta organizzando gli scioperi, contro gli attacchi del governo e dell’azienda!
Primi firmatari internazionali:Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta
Csp Conlutas – Brasile
Union Syndicale Solidaires – Francia
Sindacato del trasporto aereo Sud Arién – Francia
Comissone dei lavoratori Groundforce – Portogallo
Co.Bas – Spagna
Sindacato dei lavoratori delle poste (PPSWU) – Palestina
Confederazione della classe lavoratrice (CCT) – Paraguay
Sindacato lavoratori chimici USTRIAL – Colombia
Assemblea dei delegati del settore educativo (ADE) – Colombia
Organizzazione democratica dei lavoratori dei trasporti (ODR) – Marocco
Associazione sindacale del settore educativo di Medellin – Colombia
Unione dei lavoratori della canna da zucchero (UTC) – Repubblica domenicana
Alternativa Sindacale dei Lavoratori (AST) – Spagna
SOS Handling – Portogallo
Sindacato indipendente dei lavoratori (IWGB) – Gran Bretagna
End Austerity Old Swan against cuts – Gran Bretagna
SITAVA - Sindacato dei lavoratori dell'aviazione e degli aeroporti del Portogallo
Liverpool Trade Union Council - Gran Bretagna
Sindacato Sintrasar – Cile
Piattaforma nazionale – organizzazione professionale dei lavoratori pubblici – Costa D’Avorio
Unione Generale dei Lavoratori dei Trasporti – Colombia
Sostengono e sottoscrivono l’appello:Fronte di Lotta No Austerity
Cub Trasporti
Unione Sindacale Italiana
Cub Sanità Salerno
Cub Sur Modena
Cub Caltanissetta
Il Sindacato è un’altra cosa Cremona
Marco Manodoro, operaio Bridgestone, Bari
Diego Bossi, operaio Pirelli Bollate, Cub
Matteo Moroni, operaio Pirelli Bollate, Cub
Ivan Maddaluni, Cub Trasporti, FLNA Firenze
Sara Bartoloni, Cub Trasporti, FLNA Firenze
Paolo Bartoli, Cub Trasporti, FLNA Firenze
Marco Fantechi, Cub Trasporti, FLNA Firenze
Maurizio Barsella, Cub Trasporti, FLNA Firenze
Marco Bracali, Orsa Spv, Firenze
Marzia Mecocci, Movimento Lotta per la Casa Firenze
Maurizio Legrazzi, Movimento Lotta per la Casa Firenze
Alessio Cammelli, Cub Edili, FLNA Firenze
Stefano de Montis, Fondo Comunista, FLNA Firenze
Davide Mattacchioni, Medicina Democratica, FLNA Firenze
Debora Landi, Cub, FLNA Firenze
Concetta Cappello, Quarrata (FI)
Mario Leonetti, Quarrata (FI)
Antonio Ginetti, pensionato, Pistoia
Marinella Ambretti, Fondo Comunista, FLNA Firenze
Fabiana Stefanoni, Cub Sur, Modena
Massimiliano Dancelli, direttivo provinciale Fiom, Cremona
Stefano Bonomi, Sol Cobas, Bergamo
Luis Seclen, Sol Cobas, Monza
Angelo Frigoli, Rsu Cub Sanità, Cremona
Alberto Madoglio, Il Sindacato è un’altra cosa, Cremona
Matteo Frigerio, FLNA, Milano
Conny Fasciana, Coordinatrice provinciale Cub Caltanissetta
Francesco Carbonara, Fiom ex OM Carrelli, Bari
Mauro Mongelli, Cobas Telecom, Bari
Patrizia Cammarata, Donne in Lotta No Austerity, Vicenza
Laura Sguazzabia, insegnante, Donne in lotta No Austerity, Cremona
Mauro Buccheri, insegnante, FLNA Caltanissetta
Cristina Fasciana, lavoratrice sanità, Caltanissetta
Corrado Drago, lavoratore Ministero gustizia, Caltanissetta
Vincenzo Indorato, lavoratore Ministero giustizia, Caltanissetta
Marianna Santoro, insegnante in pensione, Caltanissetta
Roberto Natale, Croupier, Malta
Simone Faini, Flai Cgil, Bagno a Ripoli (FI)
Vincenzo Asaro, FLNA, Trapani
Davide Primucci, FLNA Vicenza
Alba Clelia Leva, studentessa, Donne in Lotta, Barletta
Margherita Maisto, Donne in Lotta, Bari
Francesco Ricci, esecutivo nazionale Pdac
Salvatore De Lorenzo, Pdac, Bari
Giacomo Biancofiore, Pdac, FLNA Bari
Francesco Vacca, Pcl, Firenze
Alessandro Mazzolini, Pdac, FLNA Cremona
Francesco Paolo Manzo, Pdac Palermo
Rosa Cecilia Lemus, docente Ade, Ex membro esecutivo Clit, Bogotà, Colombia
Lorena Caceres, insegnante, Suteba, Buenos Aires, Argentina
Altino de Melo Prazeres, Sindacato lavoratori metropolitana San Paolo
Narciso Ferandes Soares, segretario Sindacato lavoratori metropolitana San Paolo
Renatata França, dirigente Sindacato lavoratori metropolitana di San Paolo
Herbert Claros, Relazioni Internazionali CSP Conlutas, Brasile
Cleber Rabelo, segretario Sindacato Edili Belem, Brasile
Célio Dìas da Silva, General Motors, segretario sindacato metalmeccanici SJC, Brasile
Vania Gobetti, delegata sindacale bancari, Rio de Janeiro, Brasile
Paulo Barela, Esecutivo nazionale Csp Conlutas, Brasile
Avanilson Arujo, direzione Luta Popular (occupazioni urbane), San Paolo
Ivan Targino P. Filho, direzione Metabase Inconfidentes, Minas Gerais, Brasile
Toninho Ferreira, Pstu, ex presidente Sindacato metallurgici SJC, Brasile
Gomes Da Silva Ferreira, Sindacato edili, Boa Vista, Brasile
Jeronimo Castro, consulente sindacale, Metabase Inconfidente, Mariana, Brasile
Fernando Martin Mendes, Opposizione metallurgica, Joinville, Brasile
José Dias de Freitas, operaio, Campinas, Brasile
Hertz da Conceipo Dias, coordinatore movimento HipHop “Quilombo Brasil”
Gustavo de Almeida Vieira, dirigente sindacato lavoratori della metropolitana di San Paolo
Leonardo Maia de Alenca, giornalista sindacato metropolitana, San Paolo
Gleydson Lima dos Santos, autista, Natal, Brasile
Luiz Roberto Rezende Martins, dirigente Adpuc (Associazione docenti), Minas Gerais, Brasile
Vinicius Feica, General Motors, dirigente Sindacato metalmeccanici SJC, Brasile
André Bucaresky, segretario Sindacato Sindipetro, Rio de Janeiro, Brasile
Eduardo Henrique, Federazione nazionale operai settore petrolifero (Fnp), Rio de Janeiro, Brasile
Claiton Coffy, Fnp, Rio de Janeiro, Brasile
Brayer Grudka, Fnp, Rio de Janeiro, Brasile
Vinicius Camargo, Fnp, Rio de Janeiro, Brasile
José Maria de Almeida, presidente Pstu, Brasile
Vera Lucia, presidente regionale Pstu, SE, Brasile
Weller, dirigente Sindacato metalmeccanici SJC, Brasile
Ailson Cunha, dirigente Sindacato edili, Belem
Roberto Rost, presidente Adat (Associazione vittime incidenti sul lavoro), Minas Gerais
Abel Moraes, vicepresidente Adat, Rio Grande do Sul, Brasile
Joao Augusto, delegato Sindacato dei lavoratori delle poste, Porto Alegre, Brasile
Raquel Polla, Movimento nazionale opposizione bancaria, San Paolo
Ariana M. Gonçalves, insegnante, dirigente opposizione sindacale, San Paolo
Camilo Martin, Movimento Alternativa Lavoratori Metropolitana, San Paolo
Flavia Bischain, dirigente Apeoesp (Sindacato insegnanti), San Paolo, Brasile
Claudio Reis, Opposizione metallurgica Abc, Brasile
Juliana Rocha, Anel (Associazione nazionale studenti), Brasile
Per sottoscrivere l’appello basta rispondere a questa mail
 o inviare una mail a
Vi chiediamo di indicare nome, cognome, città
ed eventuale sindacato/organizzazione
di appartenenza. È importante mandare anche adesioni collettive
di sindacati, associazioni, organizzazioni.
Pubblicheremo l’elenco aggiornato delle firme qui: www.frontedilottanoausterity.org

giovedì 31 agosto 2017

laica-mente

Una poesia di Alfonso Cardamone



 Quando Alfonso Cardamone mi ha inviato questa poesia su F.B.  ho commentato    scrivendo: “breve, incisiva, ma apre un mondo”. Infatti a mio giudizio pur nella sua perentorietà il lettore trae stimoli per  spaziare senza limiti su mille temi, mille suggestioni.  In vero il bello delle poesie è proprio la generosità  di spunti, di riflessioni, di sogni,  che   offrono al loro fruitore, e i versi  di Alfonso sono assolutamente stimolanti da questo punto di vista, oltre che straordinariamente  armoniche,  belle foneticamente. Per parte mia, ed è una interpretazione assolutamente personale,  vedo nel brano di Alfonso un gioco dei contrasti, un susseguirsi  di ossimori. Attraverso la morte, che è  negazione della vita, possiamo accedere all’onda dell’infinita cava notte che ci fece, cioè ci generò. Nella notte impera la Luna, che è potente generatrice  di vita,  come Alfonso ci ha insegnato nei sui libri  sui  miti preellenici.   La morte,  quindi, che conduce alla generazione della vita.  E ancora.  Una mente laica (evidentemente il concetto di morte qui  è assolutamente laico), resta in qualche modo inibita  dalla disattivazione delle sinapsi. La mente, la razionalità, contrasta con la disarticolazione dei contatti neuronali  che lascia  il pensiero razionale avulso dall’espressione di se. Anche il brano che ho scelto per accompagnare i versi di Alfonso, insieme alle straordinarie foto di Chiara Anna, è l’emblema di un contrasto. “Any colors you like” è un pezzo tratto dall’album dei Pink Floyd “The Dark Side of the Moon” . Il contrasto è chiaro:  alcuni colori che ti piacciono , all’interno del lato oscuro della luna. 
 Buone Suggestioni e buone vibrazioni.
Luciano Granieri.

laica-mente

morte è quando
disattivate le sinapsi
l'occhio invade l'onda
dell'infinita cava notte
che ci fece


mercoledì 30 agosto 2017

Il governo vara misure contro i poveri (non contro la povertà)

Luciano Granieri


"Italian first", per chi non conosce l’inglese, e non è fan di Donald Trump traduciamo. Prima gli Italiani. Era ora!  Dopo aver riempito  alberghi a 5 stelle  e immobili pregiati di immigrati,   serviti e riveriti.  Dopo aver contaminato  le piscine degli italiani con frotte  di negri, finalmente i governanti pensano anche a noi poveri cristi nazionali. 

L’esecutivo  ha varato il “Rei”, per chi conosce l’italiano, e non è fan di Renzi traduciamo: “Reddito d’inclusione per le famiglie indigenti”.  Ai più attenti non sfuggirà che questo provvedimento era già stato approvato in via definitiva al Senato attraverso una  legge delega nel marzo scorso. Ciò  che il governo ha varato ieri non sono altro che i decreti attuativi della norma licenziata a marzo. 

Ma la geniale strategia comunicativa  impone di auto incensarsi due volte per la stessa legge. La prima quando questa viene licenziata, la seconda quando ne vengono definite le modalità di attuazione. Quanto  scommettiamo che il prossimo annuncio strabiliante sarà, più o meno, a ridosso delle elezioni?  Quando cioè saranno definiti i decreti attuativi di un dispositivo già approvato,  la  cosiddetta Ape volontaria?  (tradotto per chi non è fan renziano “anticipo pensionistico”). Il  provvedimento in base al quale è consentito a chi lo richiede  di   andare   in pensione anticipatamente.  Sarà dura però farcela per la tornata elettorale . Infatti, per stessa ammissione dei dirigenti del ministero del lavoro, la legge è stata scritta con i piedi dai consulenti renziani di Palazzo Chigi, renderla operativa con un programma di attuazione decente richiederà, molto, ma molto tempo. 

Torniamo al Rei .  Per i nuclei familiari il cui reddito ISEE complessivo non supera i 6mila euro,al di sotto della soglia di povertà quindi, è possibile richiedere una card, su cui verranno caricati dai 190 ai 480 euro mensili, dipende da quanto sono disperate le famiglie beneficiarie. I nuclei  familiari che vivono al di sotto della soglia di povertà sono 1 milione e 619mila, ma i soldi resi disponibili per equesta misura bastano solo per 400 mila -500 mila famiglie al massimo. I fondi  stanziati, infatti,  sono la miseria di  1milardo e ottocentomilioni. Solo  un terzo di coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà potranno ricevere l’elemosina governativa.    

Chi vive al di sotto questa soglia  non ha il minimo indispensabile per una vita dignitosa: per alimentarsi, per vestirsi, curarsi e mettersi un tetto sulla testa. Tale  condizione coinvolge il milione e seicento mila famiglie povere nella loro totalità , non solo un terzo di esse.  Come si farà a stabilire che la famiglia inserita  nella posizione n. 499mila della  graduatoria sia  più meritevole di accedere ad una vita dignitosa della famiglia che sta al n.700mila? La condizione di povertà è certificata per tutti. 

E’ una passo in avanti? E’ una presa in giro. Ma niente paura. Prima gli italiani! Se il Rei non è il massimo, cari concittadini  consolatevi.  Fra qualche tempo non dovrete subire più l’odiosa invasione degli immigrati. Mentre il governo varava la Rei, a Parigi, Gentiloni, Macron, Merkel, e Rajoy decidevano con i leader di Ciad, Nigeria e al-Sarraj -il capo della Libia che riconosce solo  l’Europa -le tangenti che dobbiamo pagare ai presidenti dei  suddetti paesi africani, per fare in modo che gli immigrati, almeno quello economici, non arrivino neanche a prendere il mare. 


Saranno tanti soldi, perché si dovranno organizzare e insediare, campi profughi in Ciad in Niger e nella Libia di Tripoli.  Da qui si dovrà rendere possibile la divisione criminale fra richiedenti asilo  e migranti  economici, per consentire solo ai primi di partire .  Agli  altri ci penseranno i tagliatori di teste del Ciad del  Niger della Libia    che noi pagheremo profumatamente per tenere la deportazione lontana dal nostro suscettibile sguardo. Serviranno  risorse per   finanziare corpi militari particolari, incaricati di murare i nostri confini sin dalle zone sub-sahariane. Sarà necessario foraggiare le bande libiche per convincerli  come sia   più remunerativo, per loro, trattenere gli immigrati nei campi di concentramento, piuttosto che farli partire. 

A Erdogan, presidente turco, sono bastati sei miliardi per bloccare la rotta balcanica. Qui ce ne vorranno molti, di più. Sei, dieci, quindici? Però vuoi mettere il sollievo di annunciare ai propri cittadini, e in particolare a quelli poveri, che non dovranno più  brigare con l’immigrato che gli ruba, il lavoro, la casa, le panchine, e perfino  le donne?

 Eccole dunque le misure contro l’indigenza. Misure contro i poveri, non contro la povertà. Il nostro governo spenderà non meno di dieci  miliardi  per confinare la povertà africana al di là del Mediterraneo, fregandosene bellamente della gente che creperà nel deserto o nei campi di concentramento dei Paesi amici. Mentre  ha stanziato un miliardo e ottocentomila euro per prendere in giro i disperati nazionali. E’ brutto essere poveri sia al di qua che al di là del mediterraneo. Li ti condannano ad un destino infame, qua ti prendono per il culo. 

E se i soldi che generosamente elargiremo ai leader di Ciad, Niger e Libia , per bloccare gli immigrati, li destinassimo a reali misure contro la povertà, in aggiunta a quella miseria stanziata per il Rei? Parliamo, forse,  di  una decina di miliardi, o poco più. Con queste cifre si potrebbe realmente studiare un piano efficace per aiutare gli indigenti, i poveri conclamati  e quelli che lo diventeranno. Sarebbe possibile  pianificare seri piani   d’inclusione attiva anche nel mondo del lavoro. 

A questo ragionamento aggiungiamo che, al fine di  regalare a Intesa San Paolo gli asset remunerativi delle banche venete in fallimento,  qualche mese fa, sono stati trovati in un battibaleno 17miliardi di euro, più o meno gli stessi soldi che saranno spesi per umiliare i poveri al di qua e al di là del Mediterraneo. Allora  non sarà che la colpa dell’indigenza  e della povertà, che tutta insieme conta più di 4milioni di famiglie, anzichè degli immigrati   è di quelli che per il disturbo di comprarsi a 1 euro due banche hanno ricevuto in  regalo 17miliardi di denaro pubblico ?  

E non sarà che ulteriori colpe siano  da ascrivere anche ai politici  che i soldi li tolgono ai più deboli, per arricchire i banchieri?  Cerchiamo di valutare con più acume chi è il nemico e forse l’acredine e la rabbia saranno  indirizzate contro i veri responsabili,  anziché alimentare devastanti  guerre fra poveri tanto care a chi comanda.


30 MEZZI ANTINCENDIO NUOVI FERMI ALLA PISANA MENTRE UN’INTERA REGIONE VA A FUOCO.

Ufficio Stampa del Deputato Luca Frusone, Movimento 5 Stelle



“Ci sono ben 30 mezzi nuovissimi con modulo antincendio inutilizzati e parcheggiati alla Pisana, di proprietà della Regione Lazio che stanno lì fermi mentre in tutta la regione c’è un inferno che divampa. Parliamo di una spesa di ben 692mila euro per potenziare la colonna mobile regionale di protezione civile, che assurdamente la Protezione civile non ha avuto ancora il permesso di utilizzare. Ma cosa ci fa il Presidente Zingaretti ancora incollato a quella poltrona? Qualcuno sa spiegarmi la sua utilità?” – a denunciarlo è il Deputato 5 Stelle Frusone che continua – “Mi domando cosa impedisca l’utilizzo di questi mezzi, in un clima di emergenza tale che vede in seria difficoltà Vigili del Fuoco e Protezione civile. Quali sono le motivazioni di questo vergognoso immobilismo da parte di Zingaretti, che mai come in questo momento sta dimostrando tutta la sua incompetenza. Quando sappiamo bene che la Regione dovrebbe essere in prima linea dato che la competenza sull’antincendio boschivo è regionale, il patrimonio boschivo è regionale. Senza contare i finanziamenti per l’imboschimento e la prevenzione che sarebbero dovuti essere erogati secondo il piano di Sviluppo rurale regionale. Mi domando alla luce di quanto sta accadendo, ma quei soldi come sono stati spesi? Zingaretti e tutto il PD dovrebbero andare in tutti quei Comuni devastati dai roghi e chiedere scusa perché hanno sbagliato su tutta la linea, accorpando la forestale, riducendo allo stremo un corpo fondamentale come quello dei Vigili del Fuoco e di conseguenza la capacità antincendio del Paese. Tutte manovre politiche disastrose. E l’Italia ne sta pagando serie conseguenze.” – e conclude –  “La tragedia di questi incendi ha una responsabilità politica e per la maggior parte è di Zingaretti e del suo partito. Si parlava di sue dimissioni per un mero conteggio politico e di andare prima alle elezioni, lo facesse ora, ma per manifesta incompetenza. Questa è l’Italia che ci lasciano il centro sinistra di oggi e il centro destra di ieri, perché non dimentichiamo che la strana privatizzazione di canadair e servizi antincendio è passata anche per il centrodestra. Di solito non faccio promesse ma visto il totale disastro che hanno compiuto, non sarà di certo difficile fare meglio una volta al Governo, anche perché mi chiedo con che faccia si ripresenterà chi ha mandato letteralmente in fumo la Regione e il Paese.”

martedì 29 agosto 2017

Trio Lescano, la forza dello swing nell'oscurantismo fascista.

Luciano Granieri




In un  uggioso pomeriggio del novembre 1936, dall’imponente  radio che troneggiava sul mobile più prezioso della sala, la propaganda fascista si alternava a programmi di musica commerciale. Fra uno sfrigolare,  e un proclama del duce, dall’altoparlante incastonato in una solida scatola di legno si diffondevano armonie e melodie orchestrali, a volte banali, a volte intriganti. 

Era l’orchestra Cetra diretta dal maestro  Pippo Barzizza che dagli studi EIAR di Torino, allietava gli ascoltatori con brani di grandi successo. I componenti del gruppo diretto da Barzizza erano fior di musicisti. Molti di loro, al pari del   direttore, erano stregati dai ritmi sincopati che giungevano dagli Stati Uniti. Due eccellenti sassofonisti come Marcello Cianfanelli ,  Sergio Quercioli, il trombonista Beppe Mojetta e il pianista arrangiatore Ezio Gheri erano fra questi. 

In realtà di jazz da quell’altoparlante incastonato nella scatola di legno ne usciva ben poco. Questa musica era considerata dal regime come espressione demo-plutocratica-massonica e dunque vietata. Nonostante l’ostracismo fascista ,  Barzizza riusciva ogni tanto ad intrufolare nella programmazione qualche standard jazzistico, avendo l’accortezza di tradurre i titoli dei brani in Italiano e di attribuirli  ad autori, dal nome chiaramente autoctono. 

Ad esempio qualche volta si potevano ascoltare pezzi  come il classico di Woody Herman “At the Woodchopper’s Ball”, solo che veniva presentato con il titolo  “Al ballo del taglialegna” e il suo autore era Giovanni (Joe) Venuti, il violinista italo americano che mai avrebbe pensato gli sarebbe stata attribuita la paternità  del brano di Herman. In realtà i gerarchi non riuscivano neanche a distinguere un brano di jazz. Si poteva suonare di tutto, basta che il titolo fosse in italiano e l’autore non fosse americano ed ebreo. 

Negli anni fra il 1936 e il 1942 l’orchestra fu  molto attiva sia nelle esecuzioni radiofoniche  che nelle incisioni di dischi. Sedute nelle quali Barzizza e i suoi orchestrali accompagnavano i cantanti dell’EIAR, veri e propri divi della radio. Molte di quelle  esibizioni non avevano nulla di particolare, la solita sdolcinata e sbarazzina sequenza armonica a far da sfondo ad una melodia spesso banale. Ma  fra i molti cantanti che si  esibirono  con l’orchestra Cetra, il trio delle sorelle olandesi Leschan (Lescano era il nome italianizzato) si distaccò non poco dal solito  mieloso  clichè.  

Sandra, Giuditta e Caterinetta, questi i nomi  delle ragazze  , possedevano innegabilmente, un tratto particolare   nel loro modo di rendere la melodia,  vogliamo chiamarlo swing?  Adriano Mazzoletti nel suo libro “Il jazz in Italia” (Laterza)  cosi descrive lo stile del trio: “Le Lescano non furono certamente delle cantanti di jazz, ma possedevano un certo senso del ritmo (Sandra e Giuditta erano state ballerine) e riuscivano a copiare in modo discreto le Boswell Sisters ( un  trio vocale femminile, originario dalla Lousiana, che negli anni ’30 imperversava nei locali e nei teatri americani ndr).  Le sorelle Lescano hanno rappresentato per l’Italia di allora qualcosa di particolare, diverso: quel sottile senso dello swing, quel loro modo di dividere la melodia (così differente da quello dei loro colleghi) quelle voci quasi infantili, ma accattivanti, quel loro accento mitteleuropeo (ma che risentiva dell’influenza americana), le fecero amare da un pubblico a cui piaceva la musica swing”

Sandra Giuditta e Caterinetta Leschan, nate rispettivamente nel 1910,1913 e 1919, la prima a Gouda le altre a L’Aja, erano cattoliche, ma con una madre ebrea. E nel periodo delle persecuzioni razziali, passarono momenti molto difficili. 

Ricorda Sandra,in un’intervista rilasciata a Mazzoletti: “Siamo arrivate a Torino nel 1935, eravamo io mia sorella Giuditta  mia madre, Caterinetta aveva 15 anni ed era in collegio ad Amsterdam. Insomma arrivammo in Italia con un contratto come ballerine. Mia madre era una cantante che aveva sposato un musicista di origine ungherese. A Torino incontrammo, quasi per caso, il maestro Carlo Prato che ci sentì cantare ed ebbe l’idea di formare un complesso vocale. Facemmo venire anche Caterinetta e nacque un trio sul tipo delle Boswell Sisters. Quando facemmo l’audizione all’EIAR venimmo scartate perché la nostra dizione non era piaciuta  ai dirigenti che ci invitarono a riprendere il nostro mestiere di ballerine. Ma tempo dopo, fummo invitate alla Cetra per incidere il nostro primo disco. L’EIAR ci richiamò.  La nostra prima trasmissione venne fatta sotto la direzione del Maestro Petralia. Nel 1936 cominciammo a cantare con Barzizza, poi con Angelini, ed incidemmo tanti dischi con queste orchestre, con Funaro e con tanti cantanti dell’EIAR.  Dopo la promulgazione delle leggi razziali fummo costrette a nascondere nostra  madre (era ebrea ndr) E malgrado fossimo cattoliche, avessimo italianizzato il nostro nome in Lescano, avessimo preso anche la nazionalità del paese che ci aveva dato la celebrità, ci fu qualcuno che per interesse, ci denunciò ai Tedeschi. Erano tre ragazze che volevano prendere il nostro posto e che avevano formato un trio vocale. Fummo costrette ad andarcene e a nasconderci”  


Fra i tanti  dischi incisi dalle Lescano, sia da sole che insieme ad altri cantanti, se ne possono citare alcuni orientate verso un’impostazione prettamente swing: St. Louis Blues, Tuli-Tulip-time, C’è un’Orchestra Sincopata, Danza con me, Non sai tu (con un assolo del sassofonista Marcello Cianfanelli, che era all’epoca geloso fidanzato di Giuditta) . 

Nell’immediato dopoguerra  le Lescano si trasferirono in Sud America. Si sposarono, Giuditta e Caterinetta rimasero in Venzuela , Sandra tornò a Parma  con suo marito, per poi trasferirsi a Salsomaggiore .  

In quell’uggioso pomeriggio di novembre del 1936, dall’imponente radio che troneggiava, sul mobile più prezioso della sala, il prorompente swing del trio Lescano, accompagnato dall’orchestra Cetra del maestro Pippo Barzizza, illuminava l’oscuro scenario  gonfio di nubi e della tensione alimentata dalla propaganda fascista. Un raggio di luce musicale nel buio dell’odio razziale.