Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 15 novembre 2019

PETIZIONE CHE CHIEDE AI SENATORI E AI DEPUTATI DI PROMUOVERE IL REFERENDUM COSTITUZIONALE



Chiediamo ai Deputati e ai Senatori di sottoscrivere la richiesta di referendum costituzionale per garantire agli elettori che possano decidere con il referendum (ex articolo 138) se approvare o, come noi crediamo, respingere il taglio dei parlamentari, votato dal parlamento.
Come nel 2016 solo il voto dei cittadini può decidere su questa modifica della Costituzione.
Il taglio dei parlamentari è motivato dai risparmi, ma in realtà è un paravento che serve a nascondere che vengono scaricate solo sul parlamento le responsabilità della crisi di funzionamento di tutto il sistema democratico italiano.
Nella nostra Costituzione il parlamento ha un ruolo fondamentale di rappresentanza dei cittadini, pena la crisi del sistema istituzionale che caratterizza la nostra democrazia.
Avevamo chiesto ai parlamentari di esaminare alternative a questa scelta ma non ci è stato consentito. Per riequilibrare gli effetti del taglio dei parlamentari ora si vorrebbero introdurre altre modifiche alla Costituzione. Tuttavia queste modifiche non correggono gli errori e gli effetti del taglio dei parlamentari e per di più è buio pesto sulla legge elettorale, che noi ribadiamo deve essere proporzionale e garantire ai cittadini il diritto di scegliere direttamente i propri rappresentanti e di chiudere la fase dei nominati dai capi.
Il taglio dei parlamentari sommato alle norme elettorali in vigore apre una ferita nella capacità di rappresentare i cittadini, i territori, le posizioni politiche esistenti nel paese e di fatto crea per legge una maggioranza parlamentare che potrebbe avere in futuro i numeri anche per cambiare da sola la Costituzione.
Promuovere il referendum costituzionale costringerebbe ad affrontare la riforma elettorale.
Dopo il porcellum, dichiarato incostituzionale, anche il rosatellum ha dato pessima prova e la legge elettorale voluta dalla Lega, da applicare dopo il taglio dei parlamentari, ne perpetua i difetti distorcendo la rappresentanza.
Inoltre la Lega ha forzato nelle regioni dove è al governo per promuovere un referendum abrogativo per cancellare il proporzionale e per di più non nasconde di volere l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, vagheggiata da Salvini addirittura per il 2029.
Legge elettorale ipermaggioritaria e presidenzialismo sono due obiettivi della Lega. Anche se questa iniziativa della Lega non dovesse essere ammessa dalla Corte obbliga a mettere in campo una alternativa chiara che rafforzi la Costituzione e approvi una legge elettorale proporzionale come mezzo per ricostruire un rapporto di fiducia tra parlamentari e elettori.
Oggi il rapporto tra parlamento e governo è di fatto capovolto, al punto da fare approvare al parlamento leggi che non solo non possono essere modificare ma neppure lette.
L’obiettivo del taglio dei parlamentari e di un esasperato maggioritario è un parlamento più piccolo ma ancora più obbediente ai capi.
La centralità del parlamento è seriamente a rischio e da qui potrebbe partire una deriva centralizzatrice e autoritaria.
Per questo occorre consentire ai cittadini di esprimersi sul taglio dei parlamentari e obbligare ad approvare una nuova legge elettorale proporzionale.

Coordinamento per la Democrazia Costituzionale


FIRMATE LA PETIZIONE CHE CHIEDE AI SENATORI E AI DEPUTATI DI PROMUOVERE IL REFERENDUM COSTITUZIONALE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI, CONTATTATE DIRETTAMENTE QUELLI CHE CONOSCETE.  PER FIRMARE LA PETIZIONE PROMOSSA DAL   COORDINAMENTO ANDATE SU QUESTO INDIRIZZO DI CHANGE ORG:


martedì 12 novembre 2019

Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari è molto probabile, prepariamoci

Alfiero Grandi 



I senatori che hanno firmato per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari sono ormai 50. I promotori sono convinti di arrivare alla soglia minima di 64. Comunque hanno tempo fino al 12 gennaio, termine dei 3 mesi previsti per raccogliere le firme necessarie. È ragionevole ritenere che questo traguardo verrà raggiunto e come conseguenza si terrà il referendum costituzionale previsto dall’articolo 138. Sui tempi di effettuazione la situazione è più incerta. La legge consente al governo di differire entro un massimo di sei mesi la convocazione del referendum se vi sono altre modifiche della Costituzione in corso per riunire il voto in un giorno solo. In effetti ci sono altre modifiche costituzionali in arrivo perché è la stessa maggioranza che le promuove dopo che, con una piroetta politica di 180°, il Pd e Leu hanno deciso di votare a favore del taglio dei parlamentari, mentre nelle precedenti tre votazioni avevano votato contro. Probabilmente agli occhi di chi ha condotto la trattativa per il Pd con il M5Stelle la modifica costituzionale del taglio dei parlamentari è sembrato un prezzo accettabile per formare il nuovo governo.
La Costituzione non dovrebbe entrare tra gli argomenti per costituire maggioranze di governo, non fosse altro perché la temporalità delle due materie è diversa. La costituzione di un governo e la formazione di una maggioranza sono iniziative che hanno come prospettiva al massimo una legislatura, mentre la modifica della Costituzione dovrebbe guardare ad un periodo molto più lungo. Aggiungo che la nostra Costituzione meriterebbe maggiore rispetto, non solo perché ha svolto bene i suoi compiti per oltre 70 anni ma soprattutto perché, come è noto, è nel mirino da tempo di centri finanziari e di potere internazionali che hanno messo nel mirino le Costituzioni mediterranee, a partire da quella italiana. La nostra Costituzione ha principi derivanti dalla vittoria sul nazifascismo e dalla Resistenza, quindi è stata scritta con il contributo anche delle forze di sinistra. Prima di aprire la strada alle modifiche bisognerebbe sempre preoccuparsi del rischio di sfondamenti e ribaltamenti dell’asse costituzionali. Quando un governo decide di (tentare di) cambiare la Costituzione compie un gesto spesso improprio e strumentale perché la sede propria per discutere della necessità di questo percorso dovrebbe essere il parlamento, in cui sono rappresentate anche le componenti che non sono parte della maggioranza. Da tempo purtroppo non è così perché da qualche tempo i governi appena insediati sembrano pervasi dalla mania di modificare la Costituzione.
La ragione non sta, come qualcuno ha detto, nel cercare di entrare nel pantheon dei padri della patria, ma più banalmente nel cercare di trovare giustificazioni altrove per le proprie incapacità di governo (se la Costituzione è da cambiare la colpa non è nostra…) o per imporre vincoli, come è accaduto con la modifica dell’articolo 81 che ha incorporato il pareggio di bilancio. Le ulteriori modifiche della Costituzione per cercare di compensare l’errore di votare il taglio dei parlamentari sono una scelta francamente incomprensibile. Se proprio il taglio dei parlamentari doveva entrare nel programma della nuova maggioranza si poteva cercare di prendere impegni temporali per concludere tutto il percorso ma con l’impegno a ridiscutere almeno le modalità sul taglio dei parlamentari, tenendo conto che per tanti anziché due camere azzoppate nel numero sarebbe preferibile averne almeno una in grado di rappresentare effettivamente i cittadini, i territori e le opinioni politiche nel modo migliore.
Le modifiche che dovrebbero riequilibrare il taglio dei parlamentari in realtà c’entrano ben poco, tranne l’inevitabile riduzione dei rappresentanti delle regioni nel collegio per eleggere il Presidente della Repubblica. Anzi la parificazione delle modalità per eleggere ed essere eletti al Senato ha l’effetto di rendere ancora più uguali i rami del parlamento e quindi meno comprensibile la scelta. Il buco nero è la legge elettorale. La legge con cui abbiamo votato il 4 marzo 2018 (rosatellum) è sbagliata, non permette agli elettori di scegliere chi votare e ha una potenziale distorsione maggioritaria. La Lega invece sostiene il rosatellum da quando ha capito che con queste modalità elettorali potrebbe avere un risultato parlamentare formidabile e prenotare non solo la vittoria politica della destra ma ottenere una maggioranza talmente ampia da arrivare ad imporre altre ben più impegnative modifiche costituzionali. Per questo la Lega, in testa Calderoli, ha già fatto approvare dalla precedente maggioranza una legge elettorale che sconta il taglio dei parlamentari e che entrerà in vigore automaticamente se il parlamento non sarà in grado di approvare una nuova legge proporzionale prima delle prossime elezioni. Quindi la tenaglia è composta dalla riduzione dei parlamentari già approvata e dalla legge elettorale che piace alla Lega già approvata. Chi ha condotto la trattativa per il programma del governo non sembra essere stato molto lucido.
Con la babele di lingue esistenti nella maggioranza e anche nel Pd il parlamento attuale potrebbe non riuscire ad approvare una nuova legge elettorale. Invece la Lega ha già messo in cantiere una proposta di referendum per togliere tutta la proporzionalità esistente come deterrente per evitare che si arrivi ad una nuova legge elettorale proporzionale. È vero che la Lega ha proposto un referendum cervellotico che probabilmente non passerà l’esame della Corte, questa almeno è l’opinione prevalente tra i costituzionalisti, tuttavia in questo modo la Lega ha chiarito il suo obiettivo che è semplice: ottenere ad ogni costo una maggioranza blindata attraverso una legge elettorale che consente a Salvini di scegliere direttamente i parlamentari. Ha imparato da Renzi e ora rischia di superare il maestro. Perché ci si sia infilati in questo pasticcio è difficile da capire, tuttavia il punto che conta è che occorre scongiurare ad ogni costo che la Lega ottenga una maggioranza parlamentare fuori controllo e per ottenere questo risultato ci sono solo due mosse possibili.
La prima è il referendum costituzionale, ormai quasi certo. Per essere chiari: affrontando la campagna elettorale con una chiara posizione per il No. Il referendum costituzionale è anche una forte spinta per arrivare ad una nuova legge elettorale proporzionale, che sarebbe una scelta importante se garantirà ai cittadini di poter scegliere direttamente la persona che li deve rappresentare, iniziando la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra elettore ed eletto. Per questo, pieno appoggio ai senatori che firmano la richiesta di referendum, augurio che altri vogliano farlo e impegno a prepararsi nel modo migliore alla campagna referendaria. Per quanto mi riguarda scegliendo il no. Battaglia persa? Vedremo, può accadere, ma vale la pena di combatterla perché costringerà tutti a pronunciarsi e non sarebbe la prima volta che si scopre che ciò che veniva dato per scontato così scontato poi non è. È troppo evidente che il tentativo è di scaricare solo sul parlamento tutte le responsabilità di una crisi di credibilità istituzionale, che certo esiste, ma che gli elettori potrebbero giudicare come un maldestro tentativo di scaricare sul parlamento responsabilità che sono in realtà dei governi che tentano di sopraffare il suo ruolo, dei partiti e della loro dirigenza, dei loro difetti.
Il parlamento oggi è nel mirino, ma i cittadini potrebbero decidere che è meglio tenersi questa Costituzione, con i suoi limiti, piuttosto che affidarsi ad un’avventura che potrebbe portare ben altri dolori. Perfino chi ha condiviso il taglio dei parlamentari potrebbe essere convinto a ripensarci e in ogni caso è una battaglia politica che va fatta perché prima di ogni altra cosa viene l’esigenza di fare decidere i cittadini e l’augurio a tutti noi è che ci sia l’occasione per farlo.
coordinamentodemocraziacostituzionale.it

domenica 10 novembre 2019

GRETA SI E’ FERMATA A TARANTO

Marco Bersani


Ogni volta che Greta parla in sede pubblica, leader politici di ogni estrazione culturale si sbracciano per tributarne la saggezza, per applaudirne le dichiarazioni o, più pragmaticamente, anche solo per fare un selfie che male non fa. Salvo poi rimuoverne totalmente tanto il messaggio quanto l’indignazione non appena le contraddizioni s’inverino in carne e ossa e diventino realtà.

La realtà di Taranto e dell’impianto siderurgico più grande d’Europa.

Eccoli allora di nuovo tutti inginocchiati al sacro altare del Pil, che decresce da cinquant’anni ma guai a farsene una ragione; eccoli di nuovo a riscoprire, soprattutto a sinistra e dentro comode sedi con l’aria condizionata, il mito prometeico dell’operaio che sfida l’altoforno; eccoli di nuovo proni al profittatore di turno travestito da imprenditore.

Nessuno che trovi neanche un barlume di coraggio per dire alcune sacrosante verità.

L’Ilva è un mostro climatico. Nelle statistiche della Commissione Europea, occupa il 42esimo posto  in Europa -e il quarto in Italia- nella classifica delle principali fonti di emissione di CO2 (4.700.000/tonn/anno). Ma, se consideriamo anche le due centrali termoelettriche CET2 e CET3 asservite al suo ciclo siderurgico, le tonnellate/anno diventano 10.688.650 e l’Ilva balza al primo posto in Italia ed entra nella top ten continentale.

L’Ilva uccide. Sono almeno 90 all’anno i morti direttamente attribuibili all’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico. Il paradosso è che molti di questi sono in primo luogo i lavoratori dell’azienda, che si ammalano tanto dentro la fabbrica, quanto dentro le proprie case nei quartieri a ridosso dell’impianto. E muoiono i bambini, in percentuali superiori del 54% rispetto alla media.

L’Ilva non garantisce occupazione. In un contesto di sovrapproduzione mondiale dell’acciaio, ArcelorMittal l’ha comprata solo per garantirsi il profitto dettato dal vantaggio competitivo derivante dal cosiddetto “scudo” -ora finalmente rimesso in discussione- che permetteva all’azienda di gestire uno stabilimento senza fare alcun investimento per la riconversione tecnologica e chiamandosi fuori da ogni obbligo su sicurezza ed inquinamento.

Questi dati sono tanto incontrovertibili quanto rimossi nella discussione pubblica, dove tutto pare incentrato sulla necessità della riconferma dello status quo di un modello che ha da tempo fatto cortocircuito.

E’ una rimozione non priva di fondamento. Perché prendere atto delle verità sopra descritte obbligherebbe tutti gli attori politici e sindacali a dover fare i conti con un altro nodo di fondo: la trappola del debito e la gabbia di Maastricht.

Cosa servirebbe infatti oggi a Taranto? Il coraggio di dire che l’Ilva non è sostenibile da nessun punto di vista, che va portata alla chiusura in sicurezza e che l’intera area deve essere coinvolta in un progetto di bonifica e di riconversione produttiva, in grado di garantire occupazione e reddito a tutti gli attuali lavoratori.

Ma chi può finanziare un progetto di tale dimensione? Naturalmente solo lo Stato. Ma, per poterlo fare, deve prendere di petto la trappola del debito che ogni anno ci obbliga a pagare 60 miliardi di interessi, quando ne basterebbero tre per ridare un futuro ai bambini di Taranto; e deve ribaltare le regole di Maastricht, che impediscono al pubblico di perseguire l’interesse generale, costringendolo a fare il vigile urbano degli interessi finanziari privati e multinazionali.

Da qualsiasi parte la si prenda, ogni contraddizione che attraversa il paese rimanda sempre allo stesso nodo: possiamo continuare a sacrificare vita, salute, diritti e futuro sull’altare dei sacerdoti del Pil e dei fanatici del pareggio di bilancio?

Il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta” diceva Robert Kennedy. E’ già passato più di mezzo secolo.



Pubblicato su Il Manifesto del 9.11.2019