Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 10 marzo 2018

A quando un governo contro gli strozzini europei?

Luciano Granieri



Ore ed ore di sbattimento televisivo, fiumi e fiumi d’inchiostro versati sui giornali, una marea di analisi, opinioni, sentenze, previsioni , profuse generosamente da giornalisti, analisti, politologi, scienziati,  quanta energia sprecata per delle elezioni  inutili! 

E ancora non è finita, perché la canea si sposta sulle possibili combinazioni governative che una legge elettorale sciagurata lascia in uno  stucchevole limbo. A proposito di legge elettorale! Il risultato delle elezioni ha certificato ancora di più la dabbenaggine di coloro i quali si sono impegnati a mettere in piedi un dispositivo caotico. Un artificio  fatto apposta per far perdere i  5 stelle che invece , guarda un po’,  hanno trionfato. Solo per questo chi ha partorito un obbrobrio simile si dovrebbe dimettere dalla vita politica. 

Ma torniamo alla incomparabile noia della telenovela sul prossimo governo. Perché affannarsi tanto a capire chi guiderà l’esecutivo ed in base a quali programmi?  E’ tutto già deciso. Pierre Moscovici,  Commissario Europeo agli affari economici, si dice fiducioso  sul fatto che Mattarella faciliterà la formazione di un governo capace di confermare gli impegni presi dall’Italia con l’Europa.  Inoltre,  ha aggiunto in un’intervista  rilasciata al quotidiano la Repubblica, che in questa fase non è possibile varare misure sociali  a  causa  del probabile  aumento  del  debito e dello spread.  

A Moscovici, fa eco Valdis Dombrovoskis Vice Presidente della Commissione Europea, il quale ricorda come l’Italia, al pari di Croazia e Cipro,  presenti “squilibri macroeconomici eccessivi”, crescita molto al di sotto della media europea, bassa produttività e debito troppo alto. Per rispondere a tali criticità il nuovo governo deve  proseguire con le riforme neo liberiste, senza minimamente toccare quelle varate in passato,  in più,  aumentare    il programma di privatizzazioni che ad oggi appare insufficiente. 

Anche il presidente della Banca Centrale Europea ,Mario Draghi ha detto la sua sul quadro post elettorale italiano. In caso di nuove criticità di bilancio, l’intenzione della  BCE sarebbe quella di porre fine all’acquisto mensile dei bond  statali attraverso il Quantitative Easing. Ovvero se il futuro  governo avesse intenzione di cancellare le riforme fin qui acquisite, o mettere in discussione i trattati europei in vigore, il cash flow, assicurato dalla Banca Centrale attraverso l’acquisto di titoli di Stato  italiani - unico vero motore  della moderata crescita del Pil -  potrebbe esaurirsi.  Secondo Draghi  l’Italia, avendo il secondo debito pubblico più alto dopo la Grecia, deve mantenersi sui binari di una politica di bilancio responsabile.  

Ecco quindi belli che liquidati il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle e l’abolizione leghista della legge Fornero, due capisaldi della campagna elettorale che hanno decretato il successo di Di Maio, Salvini e soci. Mettiamoci che per ogni manovra, minimo 20miliardi dovranno servire a disinnescare le  clausole di salvaguardia sempre in agguato, e che dal 2019   il Fiscal Compact, da trattato intergovernativo,   diventerà legge europea  - con la conseguenza di costringere i governi a  reperire  almeno 50 miliardi a botta per ridurre il rapporto debito Pil, fino a potarlo al 60% nei prossimi vent’anni -diventa  impensabile immaginare una qualsiasi cosa che assomigli ad un reddito di cittadinanza,   all’abolizione della Fornero, o ancora all’introduzione della flat tax.  

A meno che il prossimo governo, a guida pentastellata o leghista che sia, non abbia intenzione di mettere in discussione tutta la dinamica del debito imposta dai vincoli Europei  da Maastricht in poi, e rompere la trappola innescata dai cravattari della UE.  Cravattari è la definizione giusta perché se dal 1980 ad oggi abbiamo pagato  3.400 miliardi di interessi  ed è rimasto  in piedi ancora  un  debito di  2.250 miliardi, significa che stiamo in mano agli strozzini. 

A occhio non mi pare che né la Lega né il Movimento 5 Stelle abbiano  contezza di ciò. Gli uni   erano contro l’euro, adesso non è l’opzione principale,  se la prendono con  l’Europa che accoglie gli immigrati, la UE che impone le quote latte e la misura minima delle zucchine.  Gli altri erano contro l’Europa dell’euro, da cancellare attraverso referendum, poi si sono addolciti contestando solo alcune parti dei trattati, adesso non si capisce  più quale sia la loro posizione in merito. 

Gli unici movimenti che avevano nel programma l’uscita dall’Europa dei mercati,  il rifiuto dell’imposizione del debito, e la fuoriuscita da questa tagliola, non attraverso   fascismi sovranisti e patriottardi, ma grazie all’internazionalizzazione del modello socialista, anticapitalista e antiliberista, hanno raccolto le briciole nelle urne.  Di questo hanno grandi responsabilità i partiti riformisti, da tempo traditori della classe popolare , e quelle formazioni, pure definitesi comuniste ,  che nella continua ricerca di uno strapuntino da Palazzo hanno sempre cercato di stringere accordi   con i citati traditori del popolo, e per questo si sono disintegrati. Rifondazione Comunista è un fulgido esempio.  

Partendo da queste considerazioni, a mio giudizio, per ricostruire una piattaforma su cui basare un fronte comunista condiviso, oggi dissolto , è necessario partire dal contrasto duro all’Europa della Troika, dei mercati, smontare pezzo per pezzo l’ipocrisia del debito, dietro la quale si nasconde l’obiettivo della comunità finanziaria di mercificare persino l’aria che respiriamo. 

Ignoro i futuri sviluppi politici italiani è un argomento che poco mi appassiona,  ma una cosa è certa o si rovescia la gabbia di Maastricht o ogni minimo intervento volto alla protezione sociale sarà impossibile, reddito di cittadinanza e abolizione della Fornero compresi.

Giro d’Italia: Giornata internazionale d’azione #CambiaGiro – 10 Marzo 2018

BDS Movement
traduzione Luciano Granieri


Gli appelli si stanno moltiplicando verso l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI), l'istituzione di  governo del ciclismo, per mettere in atto azioni concrete volte  a spostare la partenza  del Giro D’Italia una delle  corse  ciclistiche più famose.

Gli organizzatori della corsa,RCS Media Group prevedono di incassare per questa operazione, secondo quanto si apprende, 10 milioni di euro da parte di Israele per ospitare la partenza dell’edizione del giro i prossimi 4 e 5 maggio.

In cambio, RCS sta attivamente supportando il governo di Israele nel fornire un quadro falso di Gerusalemme est occupata come parte di Israele e della sua capitale  unificata. Scegliendo, insieme al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di porsi in contrasto con l’intera  comunità internazionale.

L’UCI  non sta accettando passivamente il fatto che una delle sue corse più famose è utilizzata per  coprire le violazioni delle leggi internazionali e dei diritti dei palestinesi da parte di Israele, ma si sta impegnando , con  la Federazione Ciclistica di Israele, gli sponsors delle squadre ciclistiche israeliane, per promuovere la corsa attraverso i territori palestinesi occupati.

Intensifichiamo la pressione sul ciclismo professionistico. Appoggiamo l’ impegno per #Relocate the Race  (spostare la corsa)

Israele ha appreso molto  dal manuale  del regime dell’apartheid in Sud Africa, nell’usare lo sport per nascondere la sua lunga decennale occupazione e il sistema dell’apartheid  imposto al popolo Palestinese.

Più di 120 organizzazioni attive in difesa dei diritti umani rappresentate dalla rete dei Cristiani Palestinesi,  da rinomati giuristi, da funzionari palestinesi e membri del Parlamento Europeo, hanno tutti fatto appello affinchè la corsa sia spostata.

Sosteniamo questo appello 



























































































venerdì 9 marzo 2018

Rilanciare la lotta nelle fabbriche e nelle piazze! Diamo una "calda accoglienza" al prossimo governo!

Esecutivo nazionale Pdac
 

Si sono tenute domenica 4 marzo, tra conferme largamente attese e relative sorprese, le elezioni politiche italiane. La prima conferma che esce dalle urne è che non vi è ancora un progetto per far ripartire il meccanismo dell’accumulazione del capitale italiano (che sui giornali viene detto eufemisticamente «uscita dalla crisi», ma che in realtà non corrisponde minimamente agli interessi dei lavoratori)  che abbia riscosso il consenso maggioritario della borghesia italiana, che si è trovata più divisa del solito tra i vari schieramenti: sintomo di questa divisione era la legge elettorale stessa, una legge che parrebbe irrazionale, scritta con lo scopo manifesto di non far vincere nessuno schieramento.
Perciò, diversi commentatori borghesi si aspettavano la nascita di una «grande coalizione» di governo all’indomani delle elezioni, e qui arriva la prima sorpresa: ampi settori di proletariato e di piccola borghesia colpiti dagli effetti della crisi, riconoscendo nel Pd e in Forza Italia i due partiti che, al di là del gioco delle parti, avevano gestito le politiche anti-popolari degli anni di crisi fin dai governi «tecnici» di Monti, hanno severamente punito elettoralmente questi partiti, rendendo di fatto impossibile una coalizione che non comprenda anche Lega o Movimento 5 stelle. La coalizione del Partito democratico perde 2,5 milioni di voti assoluti, una batosta elettorale che parrebbe aver messo fine ai giorni di Renzi come segretario, mentre Forza Italia ne perde 2,8 milioni e, sebbene pari il colpo grazie all’alleanza con la Lega, Berlusconi è ora relegato al ruolo di «co-primario» nel centrodestra.
La Lega di Salvini aumenta i propri consensi di 4 milioni di voti, mentre il Movimento 5 stelle «solo» di 2 milioni: entrambe queste forze si candidano a governare il Paese, pur non avendo al momento i numeri in parlamento per formare un governo stabile. La sorpresa relativa (soprattutto per chi analizza la politica con una visione di classe) è l’apertura di Di Maio all’alleanza governativa con il Pd (e con «chi ci sta», infatti Liberi e Uguali ha già accettato): le prime dichiarazioni ufficiali del leader dei Cinque stelle dopo le elezioni erano tutte volte ad accreditarsi come governante responsabile verso la borghesia italiana ed internazionale, oltre che verso lo stesso Mattarella che dovrà poi decidere se affidare un mandato governativo o se ritornare alle urne. Invece le dichiarazioni di Salvini rimangono marcatamente populiste, in linea coi suoi principali riferimenti europei, Le Pen in primis: questo potrebbe suggerire a Mattarella di tentare la strada Di Maio, soprattutto se settori del Pd decidessero di sostenere un eventuale esperienza governativa. Non sono comunque escluse ipotesi di governi tecnici.
Sul versante della sinistra riformista e centrista (cioè semi-riformista) non ci sono invece sorprese, ma la conferma che le prospettive elettoraliste non hanno nessun futuro: l’esperimento che, a detta di alcuni, aveva risvegliato la passione degli attivisti e dei lavoratori per la politica, Potere al popolo, riesce a prendere la metà dei voti che aveva preso la già fallimentare Rivoluzione civile alle ultime politiche e un terzo dei voti che la lista Tsipras, anch’essa diretta da Rifondazione comunista come le due liste citate, aveva preso alle elezioni europee l’anno successivo. Non riteniamo assolutamente che l’assemblea nazionale convocata il 18 marzo possa ridare vita a questo progetto, ma al massimo può tenerlo in vita artificialmente, giusto perché rilanciare Rifondazione è sostanzialmente impossibile senza mascherare il solito vecchio progetto riformista dietro una fraseologia nuova ma ugualmente vuota.
Difficile trovare un aggettivo per descrivere il dato di «Per una sinistra rivoluzionaria», cartello elettorale di Pcl e Scr. Sinistra rivoluzionaria ha preso quattro volte meno dei voti che il solo Pcl aveva preso alle elezioni del 2013, cosa che pone seri dubbi sullo stato di salute di questi due partiti, ma al di là del dato numerico (0,08%), che comunque per le analisi dei rivoluzionari ha un valore del tutto marginale, rivolgiamo nuovamente a questi compagni la domanda che già avevamo posto prima del voto: su quali basi si è costituito questo fronte elettorale? Le basi ci paiono assai poco solide se, poco dopo il voto, cominciano le recriminazioni su scelta di nome e simbolo (fossero questi i problemi principali poi…). Torniamo a chiedere loro che tipo di programma «rivoluzionario» hanno presentato: Bellotti (candidato premier della lista) in campagna elettorale rivendicava le esperienze di alcuni governi «di sinistra», cioè di collaborazione di classe, come i governi «progressisti» latinoamericani e addirittura il «primoTsipras», nonché figure quali Corbyn e Bernie Sanders (cioè esponenti di partiti borghesi). Come avevamo analizzato (leggi l’intervista a Ricci che fa un quadro sullo scenario elettorale https://www.alternativacomunista.it/content/view/2527/1/) questo fronte elettorale è stato l’antitesi della politica leninista di uso delle elezioni per propagandare il programma rivoluzionario: ciò conferma la nostra scelta di non accettare l’invito a partecipare a questo cartello elettorale. Avendo misurato l’assenza di spazi per sviluppare una visibile propaganda rivoluzionaria, anche a causa delle leggi anti-democratiche dello Stato borghese, abbiamo rinunciato a presentarci alle elezioni, avviando però parallelamente una campagna contro alcune delle leggi maggiormente anti-operaie approvate negli ultimi anni (la campagna «Mobilitiamoci per fermarli!» https://www.alternativacomunista.it/content/view/2526/1/ )

Nessuna risposta alla crisi dalle urne. Rilanciamo le lotte!
È difficile dire oggi chi governerà l’Italia tra qualche settimana, non si può nemmeno escludere un ritorno alle urne in verità, ma una cosa è certa: in questi prossimi mesi il governo del Paese sarà in una posizione molto debole e delegittimata (pensiamo ad esempio al ministro dell’interno Minniti delegittimato, oltre che dalla sconfitta del suo partito, anche dalla sua sconfitta elettorale personale). Qualunque governo i lavoratori si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi sarà un governo ancora più debole del governo Gentiloni dei mesi scorsi, difficilmente, ad esempio, sarà in grado di imporre una nuova legge anti-sciopero o altre misure anti-operaie se i lavoratori scenderanno in piazza per opporvisi, ed è per questo che il movimento operaio deve ripartire dalle grandi battaglie che già stava portando avanti contro i padroni e il loro governo, a partire dalla campagna per la nazionalizzazione dell’Alitalia, dalla battaglia contro il Jobs act e la legge Fornero, fino alla lotta delle maestre, degli insegnanti e degli studenti contro la «Buona scuola» di Renzi. Solo partendo dalle lotte contro il capitalismo potremo cambiare in meglio la società negli interessi dei lavoratori.

 

mercoledì 7 marzo 2018

RIFLESSIONE SUL DOPO ELEZIONI DEL 4 MARZO 2018

Umberto Franchi



Il quadro sociale in cui si sono  svolte le elezioni vede :

1)      una frantumazione del mondo del lavoro nella stessa azienda con lavoratori a tempo indeterminato con diritti (anche l’art.18) e paghe dignitose, e lavoratori in appalto, subappalto, e precari di tutti le tipologie che non hanno diritti , sono sfruttati e ricattati, ed hanno misere paghe pur svolgendo le stesse mansioni;



2)      un impoverimento del tessuto produttivo dove l’innovazione è ancora poca cosa … mentre  le scelte imprenditoriali sono soprattutto finalizzate a risparmiare sul costo del lavoro mettendosi in concorrenza con l’estero attraverso il taglio dei salari, dello stato sociale, delle pensioni, dei diritti, della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro;



3)     la mancanza nel nostro Paese di  un piano di conversione ecologica dell’apparato industriale; un piano di risanamento ambientale dei territori; un piano di risanamento abitativo pubblico e privato; un piano di investimenti  innovativi ed infrastrutturali,  per fare competizione “alta”, preferendo di fatto puntare al maggiore sfruttamento della manodopera occupata;



4)     una situazione per cui  oggi il 10% della popolazione detiene il 55% di tutta la ricchezza esistente in Italia , addirittura 70 persone hanno un terzo della ricchezza esistente pari a quella di 20 milioni di persone. Ma le scelte della maggioranza degli imprenditori, di coloro che si sono appropriati della ricchezza trasferendo risorse dalle classi proletarie  e medie (del lavoro) nelle loro tasche  e che continuano a  fare intensi  profitti, finisce per essere quella della finanziarizzazione e speculazione  dei propri capitali e non quella degli investimenti produttivi/occupazionali…    che per loro  comporterebbero  maggiori rischi.

Ora , in questo contesto, mentre i voti dati alla destra  sono a stragrande maggioranza legati alla protesta per la realtà degli extracomunitari, ed  in Salvini & C. vedono quelli che bloccheranno gli arrivi e  faranno i rimpatri…a mio parere la marea di voti andati al M5S   sono soprattutto di  persone  che , in precedenza, a stragrande maggioranza   votavano a sinistra e che vedono nel M5S quelli  che aboliscono la corruzione, la casta, ed hanno un progetto politico,  che riusciranno a fare  applicare la Costituzione, con la speranza    di fermare l'esito della feroce ristrutturazione capitalista e della controrivoluzione che ha restituito alle classi dominanti il predominio e l´egemonia sulle scelte economiche, sociali, civili, culturali, ambientali, rimuovendo di fatto, (salvo sacche di resistenza)  anche il conflitto sociale che il secolo scorso ci aveva lasciato in eredità, con i sindacati e le sinistre che si sono dimostrati incapaci di reagire in modo adeguato .

Quindi , non basta dire che i 5 stelle non sono ne di destra ne di sinistra ma un minestrone dove c’è dentro tutto ed il contrario di tutto…. Oggi, dobbiamo soprattutto   analizzare  la sconfitta della sinistra… dovremmo farlo dicendo chiaramente che non siamo stati capaci , non solo  di unificare le forze sociali e civili, e quelle politiche esistenti alla sinistra del PD  , ma nemmeno a sviluppare  lotte "di classe" con i movimenti sociali ,  in grado di produrre livelli di scontro e modelli organizzativi alternativi, rompendo la gabbia di cui siamo prigionieri nell'epoca della globalizzazione liberista, da circa 30 anni.

Credo che la macelleria sociale avviata in modo strisciante da circa 30 anni , con la perdita quasi totale dei diritti nei luoghi di lavoro, con  le nuove generazioni di soggetti subordinati e precari , con l'uscita dalla fabbrica, e dalla politica, con il non voto...   sono legati soprattutto alla perdita di ruolo dei partiti di sinistra (non solo PD) e dei sindacati dei lavoratori.



Certo la crisi economica nata nel 2007 ha indebolito la sinistra politica e sociale,  ma questo non significa che dobbiamo perdere l'abitudine ad operare nei luoghi di lavoro e nei territori,  e rinunciare ogni ruolo... come è avvenuto  in questi ultimi 10 anni soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, sia di categoria che confederali.



Quindi , quello che oggi raccogliamo in termini di risultati elettorali, non va attribuito soltanto al Renzi ed al PD, ma anche a come le OO.SS.  hanno operato negli ultimi 30 anni, finendo , di fatto, per  cambiare pelle, riducendo i sindacati  ad enti burocratizzati che  gestiscono  in termini assistenziali  , le ricadute negative sui lavoratori, le scelte economiche e sociali effettuate dai governi e dagli imprenditori.



Basta pensare al blocco dei contratti pubblici deciso dal governo Berlusconi oltre 8 anni fa  e sbloccati dal governo Gentiloni (troppo tardi) per  far recuperare consensi al PD,  ed accettato dai sindacati senza un'ora di sciopero... oppure le gravi ricadute con il taglio delle pensioni e l'allungamento dell'età pensionabile della controriforma delle pensioni Fornero, che hanno visto le Organizzazioni Sindacali (compresa la CGIL) proclamare uno ridicolo sciopero di 4 ore.


Ma dobbiamo anche dire che oggi non basta più una sinistra che fa una seconda assemblea del Brancaccio (il 18 marzo)  per tentare di rimettere assieme  la sinistra politica e sociale… NO,  o siamo in grado di sostenere un progetto rivendicativo finalizzato a cambiare i rapporti di forza fra le classi e migliorare la qualità della vita , dell'ambiente, dei diritti, dei redditi…  oppure la sinistra di LeU e Potere a Popolo, quella sociale, del lavoro legata  alla CGIL, dei movimenti locali e generali di massa, esistenti in Italia, che si autodefiniscono  ambientalisti, pacifisti, contro il razzismo, quelli femministi, o contro la globalizzazione , ecc... finirà per costruire un guscio vuoto e continuare a galleggiare senza niente smuovere in termini di cambiamento.


Non bastano più i movimenti, che privilegiano modelli organizzativi , magari orizzontali , antigerarchici, con al centro la Persona... non basta più  spostare l'asse del conflitto sociale sul terreno della rivendicazione di nuovi diritti, privilegiando quelli civili rispetto ai diritti del lavoro e sociali e dei diritti dei singoli o minoranze rispetto ai diritti collettivi… serve molto di più … un piano rivendicativo  che abbia come finalità anche il controllo e governo della macchina statale

Per questo credo che sia un errore pensare che oggi la priorità, debba essere quella di ricomporre i cocci scaturiti dalle elezioni… di andare a costruire il " nuovo contenitore (partito)   della sinistra"  … le nostre massime energie dovremmo invece spenderle per fare ridivenire il lavoro egemone, nel promuovere lotte ad ogni livello (fabbrica, territorio, generale).

8 Marzo: non lasciamoci zittire!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia


Lavinia è una maestra precaria, una coerente antifascista che alcuni giorni prima delle elezioni politiche è scesa in piazza a Torino per cercare di impedire un comizio dei neofascisti.
Assieme agli altri manifestati, ha subito le manganellate e gli idranti della polizia. Esasperata, ha protestato a viva voce contro i poliziotti, esprimendo tutta la sua rabbia e la sua indignazione contro un apparato militare schierato per reprimere chi ripudiava il fascismo e il razzismo.  
Nei giorni seguenti, Lavinia è stata sottoposta al linciaggio mediatico, aggredita da tutti i politicanti borghesi, insultata e minacciata da esponenti delle “forze dell’ordine”.
Ora Lavinia è indagata e rischia il licenziamento politico per antifascismo, su ordine di Renzi (che intanto è stato licenziato da milioni di lavoratrici e di lavoratori). E’ una minaccia alla sua vita lavorativa, al suo salario, ai suoi diritti, ai diritti di tutte le lavoratrici e i lavoratori. E’ una grave forma di violenza di Stato, aggravata dal fatto che Lavinia è una donna, lavoratrice e precaria.
Invece chi fa apologia del fascismo, chi commette atti fascisti, chi riorganizza partiti fascisti, vietati dalla Costituzione democratico-borghese, non subisce alcuna conseguenza. E’ un segno inequivocabile dell’avanzare dell’autoritarismo e della reazione.
Il caso di Lavinia è emblematico. Viviamo in una società in cui sulla donna ricade gran parte del lavoro domestico e di cura dei figli e degli anziani. Le donne ricevono salari più bassi. Sono segregate in settori caratterizzati da bassi salari e minori tutele, nei livelli inferiori delle differenti categorie. Sono discriminate e oppresse nei posti di lavoro e in famiglia. Quando alzano la testa, quando lottano contro i padroni, quando si oppongono al maschilismo e al fascismo, alle violenze che subiscono, sono represse, punite, aggredite, licenziate in tronco, come si vuol fare con la coraggiosa maestra antifascista.
Le operaie, le braccianti, le lavoratrici dei servizi e della scuola, le casalinghe povere, sono state negli ultimi anni un bersaglio delle politiche di austerità e neoliberiste, dell’offensiva dei capitalisti e dei loro governi, dell’oscurantismo clericale.
Parallelamente si è inasprita la violenza contro le donne: femminicidi, stupri, attacchi di ogni tipo. I dati dimostrano che questo fenomeno avanza in forma inquietante in tutti i paesi, inclusi i più “democratici” e sviluppati. La violenza assume diverse forme (economica, sociale, politica, sessuale, psicologica, sanitaria, etc.) e colpisce un’alta percentuale di donne. Lo Stato borghese fa poco o nulla per arginare questa violenza, spesso la giustifica, la incoraggia e la pratica.
Il caso di Lavinia parla chiaro: la violenza politica contro le donne è un’espressione diretta della trasformazione reazionaria dello Stato e della società. E’ un mezzo utilizzato dalla classe dominante per mantenere soggiogate le donne oppresse e gli sfruttati mentre avanzano i progetti antidemocratici. Una violenza che la macchina statale, la Chiesa, i mezzi di comunicazione, etc. producono e riproducono costantemente.
Vogliono zittire Lavinia per zittire tutte le donne. Ma Lavinia ci insegna che ribellarsi è giusto e necessario, che la lotta contro la violenza sulle donne deve essere una lotta contro la disuguaglianza e lo sfruttamento, contro un sistema che genera costantemente miseria, guerra e fascismo, ma che allo stesso tempo produce e sviluppa le condizioni affinché le donne si lancino nella lotta per le loro rivendicazioni specifiche e uniscano la loro lotta a quella di tutti i lavoratori.
L’Otto Marzo scioperiamo, manifestiamo, sviluppiamo il movimento e l’organizzazione delle donne per l’uguaglianza economica e sociale, per l’occupazione sicura, con tutele e migliori condizioni di lavoro, per servizi sociali e sanitari pubblici e gratuiti, per la difesa dei diritti conquistati con decenni di lotte, contro la violenza statale, padronale e maschilista, contro la reazione politica e l’oscurantismo clericale,  per l’edificazione di una società fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, condizione per la piena emancipazione delle donne.

Solidarietà a Lavinia, no ai licenziamenti politici!

Viva l’Otto Marzo, giornata internazionale di lotta delle donne!
 

martedì 6 marzo 2018

L'Italia non è paese per socialisti

Luciano Granieri



Che l’Italia non fosse un paese per socialisti, o comunisti, lo sapevamo da tempo. I risultati delle elezioni politiche non hanno fatto altro che confermare questa lapalissiana verità.  

Da quando è successo?  

E’ un processo che non riguarda solo il  nostro Paese e  risale a molto  tempo fa , quando cioè tutti maggiori partiti socialisti hanno sposato la causa riformista, consistente nel convincere i poveri a votare per i ricchi. La cosa è andata avanti per un po’ di anni fino a quando il gioco non è stato scoperto, per cui la credibilità della formazioni riformiste nei riguardi dei propri rappresentati, truffati anziché difesi, si è trasformata in sorda rabbia, nel  rancore tipico di  chi si è sentito  tradito. 

Anche versioni più soft del riformismo, proprie di movimenti, definiti da qualcuno “sinistra radicale” non hanno retto l’urto della collera dei traditi.  Tanto che l’opzione socialista è completamente sparita dalle possibili soluzioni utili alla promozione sociale delle classi subalterne. Rimane  fuori da ogni immaginario politico  la possibilità di sollevarsi da una situazione di precarietà attraverso la condivisione dei problemi, e la partecipazione  collettiva.

 Le elezioni di domenica  hanno rilasciato  un quadro nitido in merito. Una parte di Italiani ha creduto di risolvere i propri affanni  dando addosso ad altri disperati,  approdati sulle nostre coste in fuga da guerra e povertà . Immigrati accusati di rubare il lavoro e campare sulle spalle degli  autoctoni.  Barbari  responsabili  di ogni nefandezza violenta  perpetrata ai danni della eletta razza italica. Un’altra consistente parte di Italiani,  ha identificato nei privilegi della Casta e nella sua predisposizione al raggiro e alle ruberie legalizzate la causa di tutti i mali. 

Un comune sentire di insicurezza e precarietà è sedimentato  nell’immaginario collettivo convincendo le persone che la pratica difensiva fosse  l’unica opzione possibile. Per difendersi dagli immigrati e da ogni altro  derelitto usurpatore, si è votato Lega.  Per difendersi dai soprusi della casta si è votato Movimento 5 Stelle, scambiando  inesperienza e  incapacità per trasparenza e volontà di non contaminarsi con i giochi di Palazzo . Nessuna delle due ipotesi sarà efficace.  Perché né gli immigrati, né la casta sono i problemi.  Il problema sono i ricchi, coloro cioè che continuano a usurpare spaventose quote di capitale  dai redditi da lavoro  e dal patrimonio pubblico. E non mi pare che   Lega e  M5S abbiano preso in considerazione l’ipotesi di combattere questo nemico. Sembra perfino  che i ricchi  non vengano considerati nemici nemmeno  dagli stessi poveri, proprio perché l’opzione socialista non è più sul campo. Morta e sepolta dietro i colpi subdoli di un’irresponsabile azione riformista. 

Allora la questione vera riproposta con forza da questa tornata elettorale è la necessità, per evitare la barbarie, di provare  a rimettere in campo l’opzione socialista, quando non comunista. Non sarà facile perché ciò comporta una scossa culturale rivoluzionaria . Anni di abiure volontarie della propria identità comunista , anni di dannato revisionismo storico  fautore dell’ equiparazione di una ideologia deviata -come quella fascista - al comunismo, anni di uscite del tipo “si ma i ragazzi di Salò avevano le stesse motivazioni dei giovani partigiani”, anni  di esaltazione della competizione e di abiura della condivisione, hanno modificato, quasi geneticamente, il DNA  delle classi subalterne non più recettive ai valori socialisti. 

Allora al di la di troppi discorsi, per  provare a rigenerare questa idea è necessario condividere  con il  nuovo variegato  proletariato le preoccupazioni  , provare a trasformare le paure in speranza di risveglio sociale. Non con le elemosine  tipo reddito di cittadinanza, ma con l’impegno quotidiano .  Ad esempio organizzare presidi sanitari con medici volontari per curare chi non può permetterselo,  aprire mense sociali, luoghi di solidarizzazione, centri per anziani che non ce la fanno a campare  con la loro pensione sociale. 

E’ ciò che già sta facendo un’importante galassia  di organizzazioni e movimenti sociali.  Quella galassia su cui si è costruita l’esperienza elettorale di Potere al Popolo.  Quei movimenti, con la loro attività fanno politica tutti i giorni, sono portatori, per così dire, spontanei, di valori libertario-comunisti, la loro partecipazione alle elezioni non è stata che una tappa, un inizio per dimostrare  che la solidarietà può essere  una scelta  politica potente.

Dopo il voto, ne sono certo,  l’impegno nel Popolo e per il Popolo continuerà tutti i giorni, ancora di più. Sarebbe auspicabile che altre forze si unissero a questi movimenti,  buttando a mare il miraggio della sinistra  di governo e valutando la potenza di una sinistra da strada. Non sarebbe che un piccolo ma decisivo passo per riportare all’attenzione dei cittadini l’unico modo per tornare ad essere padroni del proprio destino, non difendendosi dalle mille paure di cui sono vittima, ma costruendo attivamente  con la partecipazione  il proprio futuro. 

Un futuro in cui sia chiaro che l’unica via per uscire dalla barbarie è il socialismo o ancora meglio il comunismo. E chissà  forse alle prossime elezioni sarà possibile  proporre all’elettorato una via d’uscita socialista alla crisi economica e sociale.