Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 9 marzo 2018

Rilanciare la lotta nelle fabbriche e nelle piazze! Diamo una "calda accoglienza" al prossimo governo!

Esecutivo nazionale Pdac
 

Si sono tenute domenica 4 marzo, tra conferme largamente attese e relative sorprese, le elezioni politiche italiane. La prima conferma che esce dalle urne è che non vi è ancora un progetto per far ripartire il meccanismo dell’accumulazione del capitale italiano (che sui giornali viene detto eufemisticamente «uscita dalla crisi», ma che in realtà non corrisponde minimamente agli interessi dei lavoratori)  che abbia riscosso il consenso maggioritario della borghesia italiana, che si è trovata più divisa del solito tra i vari schieramenti: sintomo di questa divisione era la legge elettorale stessa, una legge che parrebbe irrazionale, scritta con lo scopo manifesto di non far vincere nessuno schieramento.
Perciò, diversi commentatori borghesi si aspettavano la nascita di una «grande coalizione» di governo all’indomani delle elezioni, e qui arriva la prima sorpresa: ampi settori di proletariato e di piccola borghesia colpiti dagli effetti della crisi, riconoscendo nel Pd e in Forza Italia i due partiti che, al di là del gioco delle parti, avevano gestito le politiche anti-popolari degli anni di crisi fin dai governi «tecnici» di Monti, hanno severamente punito elettoralmente questi partiti, rendendo di fatto impossibile una coalizione che non comprenda anche Lega o Movimento 5 stelle. La coalizione del Partito democratico perde 2,5 milioni di voti assoluti, una batosta elettorale che parrebbe aver messo fine ai giorni di Renzi come segretario, mentre Forza Italia ne perde 2,8 milioni e, sebbene pari il colpo grazie all’alleanza con la Lega, Berlusconi è ora relegato al ruolo di «co-primario» nel centrodestra.
La Lega di Salvini aumenta i propri consensi di 4 milioni di voti, mentre il Movimento 5 stelle «solo» di 2 milioni: entrambe queste forze si candidano a governare il Paese, pur non avendo al momento i numeri in parlamento per formare un governo stabile. La sorpresa relativa (soprattutto per chi analizza la politica con una visione di classe) è l’apertura di Di Maio all’alleanza governativa con il Pd (e con «chi ci sta», infatti Liberi e Uguali ha già accettato): le prime dichiarazioni ufficiali del leader dei Cinque stelle dopo le elezioni erano tutte volte ad accreditarsi come governante responsabile verso la borghesia italiana ed internazionale, oltre che verso lo stesso Mattarella che dovrà poi decidere se affidare un mandato governativo o se ritornare alle urne. Invece le dichiarazioni di Salvini rimangono marcatamente populiste, in linea coi suoi principali riferimenti europei, Le Pen in primis: questo potrebbe suggerire a Mattarella di tentare la strada Di Maio, soprattutto se settori del Pd decidessero di sostenere un eventuale esperienza governativa. Non sono comunque escluse ipotesi di governi tecnici.
Sul versante della sinistra riformista e centrista (cioè semi-riformista) non ci sono invece sorprese, ma la conferma che le prospettive elettoraliste non hanno nessun futuro: l’esperimento che, a detta di alcuni, aveva risvegliato la passione degli attivisti e dei lavoratori per la politica, Potere al popolo, riesce a prendere la metà dei voti che aveva preso la già fallimentare Rivoluzione civile alle ultime politiche e un terzo dei voti che la lista Tsipras, anch’essa diretta da Rifondazione comunista come le due liste citate, aveva preso alle elezioni europee l’anno successivo. Non riteniamo assolutamente che l’assemblea nazionale convocata il 18 marzo possa ridare vita a questo progetto, ma al massimo può tenerlo in vita artificialmente, giusto perché rilanciare Rifondazione è sostanzialmente impossibile senza mascherare il solito vecchio progetto riformista dietro una fraseologia nuova ma ugualmente vuota.
Difficile trovare un aggettivo per descrivere il dato di «Per una sinistra rivoluzionaria», cartello elettorale di Pcl e Scr. Sinistra rivoluzionaria ha preso quattro volte meno dei voti che il solo Pcl aveva preso alle elezioni del 2013, cosa che pone seri dubbi sullo stato di salute di questi due partiti, ma al di là del dato numerico (0,08%), che comunque per le analisi dei rivoluzionari ha un valore del tutto marginale, rivolgiamo nuovamente a questi compagni la domanda che già avevamo posto prima del voto: su quali basi si è costituito questo fronte elettorale? Le basi ci paiono assai poco solide se, poco dopo il voto, cominciano le recriminazioni su scelta di nome e simbolo (fossero questi i problemi principali poi…). Torniamo a chiedere loro che tipo di programma «rivoluzionario» hanno presentato: Bellotti (candidato premier della lista) in campagna elettorale rivendicava le esperienze di alcuni governi «di sinistra», cioè di collaborazione di classe, come i governi «progressisti» latinoamericani e addirittura il «primoTsipras», nonché figure quali Corbyn e Bernie Sanders (cioè esponenti di partiti borghesi). Come avevamo analizzato (leggi l’intervista a Ricci che fa un quadro sullo scenario elettorale https://www.alternativacomunista.it/content/view/2527/1/) questo fronte elettorale è stato l’antitesi della politica leninista di uso delle elezioni per propagandare il programma rivoluzionario: ciò conferma la nostra scelta di non accettare l’invito a partecipare a questo cartello elettorale. Avendo misurato l’assenza di spazi per sviluppare una visibile propaganda rivoluzionaria, anche a causa delle leggi anti-democratiche dello Stato borghese, abbiamo rinunciato a presentarci alle elezioni, avviando però parallelamente una campagna contro alcune delle leggi maggiormente anti-operaie approvate negli ultimi anni (la campagna «Mobilitiamoci per fermarli!» https://www.alternativacomunista.it/content/view/2526/1/ )

Nessuna risposta alla crisi dalle urne. Rilanciamo le lotte!
È difficile dire oggi chi governerà l’Italia tra qualche settimana, non si può nemmeno escludere un ritorno alle urne in verità, ma una cosa è certa: in questi prossimi mesi il governo del Paese sarà in una posizione molto debole e delegittimata (pensiamo ad esempio al ministro dell’interno Minniti delegittimato, oltre che dalla sconfitta del suo partito, anche dalla sua sconfitta elettorale personale). Qualunque governo i lavoratori si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi sarà un governo ancora più debole del governo Gentiloni dei mesi scorsi, difficilmente, ad esempio, sarà in grado di imporre una nuova legge anti-sciopero o altre misure anti-operaie se i lavoratori scenderanno in piazza per opporvisi, ed è per questo che il movimento operaio deve ripartire dalle grandi battaglie che già stava portando avanti contro i padroni e il loro governo, a partire dalla campagna per la nazionalizzazione dell’Alitalia, dalla battaglia contro il Jobs act e la legge Fornero, fino alla lotta delle maestre, degli insegnanti e degli studenti contro la «Buona scuola» di Renzi. Solo partendo dalle lotte contro il capitalismo potremo cambiare in meglio la società negli interessi dei lavoratori.

 

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