Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 5 luglio 2014

Scuole aperte fino alle 22, anche d'estate escluso Agosto? A Genova chiudono il sabato, mancano i soldi

Renato Caputo

"Chiusura al sabato degli istituti superiori gestiti dalla Provincia di Genova e orario curricolare esteso su cinque giorni settimanali a decorrere dal prossimo anno scolastico 2014-2015".
I motivi? Il "perdurare della crisi finanziaria determinata dai pesanti tagli ai trasferimenti agli Enti locali e aggravata dai provvedimenti governativi".
La notizia è dell'ANSA, la circolare della Provincia di Genova che ha dato comunicazione ai Dirigenti scolastici.
Una notizia che cozza con le prospettive annunciate ieri dal Sottosegretario Reggi che ha anticipato un progetto per le scuole italiane che le vorrebbe aperte fino alle 22 e anche d'estate.
Alla base la necessità dei fondi, che dovranno servire al Ministero per pagare di più i docenti, per gestire il personale ATA che dovrà garantire l'apertura fisica delle strutture. Ma basterà tutto ciò?
Genova ci dice di no. Dato che i costi di gestione vanno ben oltre il pagamento del personale e che riguardano i trasporti, i riscaldamenti, i minuti interventi.
Si tratta di una situazione che riguarda molte realtà italiane, soprattutto del Sud, dove la presenza della scuola dovrebbe essere maggiormente presente.
Al Governo questi problemi li hanno presenti? Progetteranno soltanto le questioni strettamente legate al personale o considereranno anche il contesto in cui si opera?
Assemblea cittadina della scuola contro il terribile piano del governo – mobilitiamoci in fretta!


Di fronteall’ennesimo e terribile attacco alla scuola pubblica e ai lavoratori della scuola che sta preparando il governo e che, secondo le anticipazioni, comporterà:

-       la liberalizzazione e la flessibilità dell’orario di lavoro (fino a 36 ore);
-       la gerarchizzazione del corpo docente e maggiori poteri al Dirigente scolastico (deputato a premiare gli insegnanti “più meritevoli”);
-       l’eliminazione delle graduatorie d’istituto (ciò comporterà il licenziamento di 130.000 precari della scuola);
-       Il taglio di un anno di scuola e la revisione dei cicli.

Organizziamoci e discutiamo insieme quanto prima per esprimere nettamente il nostro dissenso attraverso una grande mobilitazione

Martedì 8 Luglio ore 17,00

Assemblea cittadina della scuola
presso “il cielo sopra l’esquilino”, via galilei 57 (metro A Manzoni)


La lotta contro l'accordo della vergogna non deve fermarsi!

Fabiana Stefanoni video a cura di Luciano Granieri


Finalmente, dopo mesi di silenzi ed esitazioni da parte delle organizzazioni sindacali conflittuali, a fine giugno ha avuto inizio una importante, seppur tardiva, mobilitazione contro l'accordo vergogna sulla rappresentanza, accordo siglato da Confindustria (ora anche Confcooperative), Cgil, Cisl e Uil. E' un accordo che estende il "modello Marchionne" applicato nel gruppo Fiat a tutte le aziende private. Il Testo prevede che solo i sindacati che "accettino espressamente, formalmente e integralmente i contenuti del presente accordo" potranno partecipare alle elezioni rsu e nominare rsa, nonché tentare di partecipare alle trattative. Ma i sindacati che firmano perdono automaticamente il diritto di sciopero e di azione sindacale conflittuale! Come ben spiegato nel testo della campagna promossa da No Austerity contro la firma dell'accordo, "laddove un contratto/accordo (aziendale o nazionale) fosse sottoscritto dal 50% + 1 delle rsu/rsa o sindacati di categoria, né i sindacati firmatari né le rsu potranno più organizzare iniziative di sciopero, di lotta o di contrasto sindacale in generale contro quel contratto/accordo. I sindacati firmatari che organizzeranno azioni contro un contratto/accordo che non hanno approvato potranno subire sanzioni economiche (multe) e la soppressione di importanti diritti sindacali. Non solo: non sarà nemmeno più possibile organizzare proteste o scioperi durante le trattative!" (per leggere il testo completo della campagna si veda il sito di No Austerity www.coordinamentonoausterity.org).
Le titubanze del sindacalismo conflittuale e l'avvio della campagna
Nonostante si siano pronunciate contro questo accordo la maggioranza delle Confederazioni sindacali conflittuali e "di base" (Usb, Cub, Conf. Cobas, Si.Cobas, ecc), il vuoto di iniziative di lotta non è passato, nei mesi scorsi, inosservato. Al di là dei giochi di parole della direzione Fiom - che pur dichiarandosi contraria all'accordo non ha messo in atto nessuna azione di lotta e di reale contrasto, preparandosi a far digerire ai suoi attivisti la firma dell'accordo - altre titubanze hanno ostacolato lo sviluppo di una campagna di massa.
Usb e l'area della Cgil che fa riferimento a Cremaschi (l'area congressuale La Cgil è un'altra cosa - Opposizione Cgil) ha depositato in tribunale un ricorso contro l'accordo "per incostituzionalità". E' nota la vicenda di Cremaschi a cui, in un'assemblea della Cgil alla Camera di lavoro di Milano, è stato impedito di parlare, con tanto di aggressione fisica e strattoni da parte del servizio d'ordine della Camusso. Ma sia la direzione di Usb che Cremaschi ad oggi non hanno lanciato nessuna mobilitazione contro l'accordo. Sperare che sia la magistratura borghese - laddove anche accettasse il ricorso per incostituzionalità - a risolvere i problemi della classe operaia è quantomeno illusorio, e rischia di trasformarsi in un autogol. Il ricorso in tribunale della Fiom per rientrare nel gruppo Fiat è un esempio istruttivo: anche se la Fiom ha vinto il ricorso e i delegati Fiom oggi vengono riconosciuti dall'azienda, di fatto il conflitto operaio negli stabilimenti del gruppo è ridotto ai minimi termini e gli stessi delegati Fiom non hanno spazi di agibilità reale.
Il caso più grave è quello della Confederazione Cobas: il settore privato (Cobas del Lavoro Privato) ha avallato l'accordo (sebbene con una presunta clausola per garantirsi la possibilità di vertenze legali contro le aziende), arrivando persino a rivendicare la firma dello stesso in tribunale nel caso delle elezioni rsu nel gruppo Comdata. Per ora la direzione nazionale della Confederazione Cobas sembra orientata a siglare l'accordo: anche se la partita è tutta da giocare: molto dipenderà dalle posizioni che assumeranno le realtà di base della confederazione.
La Cub - uno dei sindacati di base che risentirà di più degli effetti nefasti di questo accordo, per la presenza prioritaria nel privato - dopo una situazione di stallo per lunghi mesi (con prese di posizione ambigue e con un pericoloso affidamento della "battaglia" ai parlamentari del reazionario M5S) ha finalmente preso posizione pubblica contro la firma dell'accordo. Pensiamo che si tratti di un risultato importante, raggiunto anche grazie all'adesione di molte realtà di base della Cub alla campagna promossa dal coordinamento No Austerity. Questa campagna, con l'appello a promuovere iniziative di lotta nei territori, ha infatti contribuito a fare in modo che la Cub sciogliesse la riserva e promuovesse una giornata di mobilitazione il 26 giugno.
Analoghe iniziative sono state organizzate il 23 e il 25 giugno. Particolarmente importante, per la riuscita di queste iniziative, l'impegno del coordinamento No Austerity (ma anche di molte realtà di base della Cub, come ad esempio la Cub Toscana) per favorire la massima unità tra le diverse sigle sindacali. A Modena, al presidio davanti a Confindustria, il 23 giugno è stata organizzata un'iniziativa unitaria con attivisti della Cub, della Fiom (i delegati Fiom Ferrari ed esponenti della sinistra Cgil), dell'Usi-Ait, oltre che di operai del gruppo Fiat (Fiat Cnh). A Bari, sempre il 23 giugno, è stata organizzata un'assemblea unitaria con rappresentanti della sinistra Cgil, della Cub, dei Cobas. A Firenze, il 25 giugno, la Cub e i Cobas (insieme con varie realtà di lotta cittadine, come Clashcityworkers) hanno organizzato un presidio unitario davanti alla stazione. A Vicenza il 26 giugno, grazie all'appello unitario del coordinamento No Austerity, al presidio davanti alla sede Cgil erano presenti anche numerosi attivisti di Usb. A Cremona davanti alla sede dell'Unione industriali hanno manifestato, uniti, dirigenti locali della Cub, della Fiom, della Cgil e di Usb (tutte le iniziative sono documentate sul sito di No Austerity).
La lotta è solo all'inizio!
Le giornate del 23, 25 e 26 giugno sono un primo passo importante. Ma non basta. Occorre rilanciare a settembre, per promuovere una mobilitazione ampia e unitaria che possa veramente respingere questo accordo liberticida. Premessa di tutto, è incentivare nei territori una campagna di controinformazione, coinvolgendo quante più realtà possibili, al fine di chiarire, prima di tutto, che solo i sindacati che non firmano questo accordo potranno continuare ad essere dei sindacati conflittuali. Chi firma, chi cioè, con questa o quella clausola, entra nei meccanismi dell'accordo, è destinato ad abdicare al ruolo di sindacato di lotta. Particolare importanza riveste, quindi, la campagna di No Austerity contro la firma dell'accordo (qui l'appello con le firme aggiornate:
Una campagna che anche come compagne e compagni del Pdac abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere attivamente. Facciamo appello a tutte le organizzazioni politiche della sinistra di classe ad aderire alla campagna, contribuendo a rafforzarla ed estenderla.

martedì 1 luglio 2014

La partecipazione dei cittadini, quale assicurazione migliore contro il furto?

Luciano Granieri

Aeroporto di Frosinone Spa , Multiservizi Spa.  Le due società per quanto diverse e distanti fra di loro, furono accomunate qualche anno fa, da un parere della Corte dei Conti.  All’epoca della messa in liquidazione della Multiservizi  Spa, la società partecipata  le cui azioni erano detenute dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Frosinone, dal Comune di Frosinone e dal Comune di Alatri, emerse un parere dei giudici contabili in base al quale, l’azienda che si occupava dei servizi ai cittadini della Provincia di Frosinone, malgrado le enormi passività, avrebbe potuto continuare ad operare previo un piano industriale improntato alla razionalizzazione delle risorse.  Nello stesso pronunciamento invece la Corte evidenziò come la Società Aeroporto di Frosinone, al contrario della Multiservizi, avrebbe dovuto immediatamente essere posta in liquidazione per improduttività. 

  Di questo parere nessuno volle tener conto e infatti la società Aeroporto di Frosinone ha continuato la sua attività nel rastrellare i soldi dei cittadini per produrre solo  carte e il mal celato tentativo di dar corso ad l’ennesimo episodio di speculazione edilizia. Anche la sorte della Multiservizi è rimasta sorda al pronunciamento dei giudici contabili proseguendo il suo triste cammino verso la liquidazione con il licenziamento  di lavoratori o il peggioramento  delle condizioni di lavoro, al limite dello schiavismo, per gli addetti che hanno accettato di passare sotto il controllo delle cooperative. 

Da questo blog , dai lavoratori della Multiservizi  venne l’insistita implorazione agli enti azionisti affinchè la ventilata riorganizzazione aziendale, così come suggerito dalla Corte dei Conti, si realizzasse attraverso la ripubblicizzazione della società con l’assunzione diretta del lavoratori, strada percorribile pur nelle strette tenaglie della spending review. Anzi fu calcolato che i costi di una società pubblica erano infinitamente inferiori, rispetto all’elefantiaca organizzazione di una società in-house con tutto il suo carrozzone di manager e consulenti al seguito. 

Proprio la voracità, gli sprechi e la mala gestione del management sono state la causa del fallimento di un'azienda  a cui le commesse non sono mai mancate, i servizi alle città e alla Provincia, del resto devono essere svolti per forza da qualcuno, per cui a rimetterci sono stati i lavoratori e i cittadini. 

Stesse denunce di movimenti e parte della cittadinanza  furono rivolte alla società Aeroporto di Frosinone- Ferentino, la quale ha fagocitato quasi 6 milioni di euro, nel tentativo di progettare un’opera irrealizzabile, la cui incompatibilità con il territorio fu palese sin da subito a tutti, tranne che allo stuolo di amministratori pubblici che ne peroravano la causa solo per alimentare,  interessi particolari, uno dei quali, come già citato, rendere appetibile alle mire della speculazione edilizia un’area  il cui progetto aeroportuale, indipendentemente dalla sua realizzazione, avrebbe reso edificabile.  

Per anni tutto quanto è stato sopra scritto fu  contestato da cittadini e lavoratori ad una classe politico-amministrativa tesa esclusivamente a tutelare i propri interessi, ad alimentare il proprio bacino elettorale a soddisfare gli appetiti dei propri cortigiani. Ora arrivano le indagine delle procure,  che orientano le inchieste  proprio sugli elementi da sempre denunciati da organizzazioni e movimenti. 

Guarda caso , dopo che è stata decretata, finalmente, la  chiusura della società Aeroporti di Frosinone, nonostante la variante Asi che definisce l’edificabilità dell’area destinata a servizi per l’aerostazione non sia stata ancora ritirata, sono partite le indagini della Procura della Repubblica di Frosinone  nei confronti delle varie amministrazioni pubbliche  che hanno gestito l’affare. Il reato contestato  è  peculato. Contestualmente sono in corso ulteriori indagini della Corte dei Conti per il reato di danno erariale. Vogliamo sperare che ci sia almeno il coraggio da parte della Regione Lazio di costituirsi parte civile, qualora le inchieste dovessero  determinare il rinvio a giudizio. 

Ugualmente è partita l’indagine sul management della Multiservizi. La guardia di finanza avrebbe accertato irregolarità nell’affidamento degli incarichi dirigenziali, di consulenze e collaborazioni, nonché la costituzione di società in-house  per l’affidamento diretto dei servizi senza procedere alle relative gare d’appalto. Inoltre si sarebbero rilevate violazioni per il mancato rispetto del patto di stabilità interno, con l’attribuzione di compensi e ed incentivi non spettanti e spese per personale non giustificate. 

Cioè nella Multiservizi, esisteva una deriva gestionale devastante che consentiva a manager e collaboratori di arricchirsi sulle spalle dei lavoratori, oltre che un sistema premiante per alcuni dipendenti amici degli amici ai quali era concesso di tutto e di più, mentre agli addetti, che sulla strada, ogni giorno, curavano la città e i servizi per i cittadini, veniva progressivamente ridotto lo stipendio, fino ad arrivare al licenziamento. Dal 2007 al 2012, questo sistema clientelare e truffaldino avrebbe prodotto il saccheggio di 5 milioni di denari pubblici  che uniti agli oltre sei milioni ingurgitati dall’aeroporto  fanno 11 milioni. Furto di cui molti cittadini movimenti e associazioni erano consapevoli. 

La storia di queste due società, non fa altro che confermare e rilanciare la necessità di un controllo diretto della collettività  sulle  dinamiche inerenti l’erogazione di beni e servizi da parte delle amministrazioni. Solo chi paga può avere a cuore il destino del proprio denaro.  E la possibilità di spartirsi piatti così ricchi spiega anche come la gestione partecipata dei beni pubblici sotto  il diretto controllo della cittadinanza sia, per amministratori pubblici e faccendieri, da evitare come la peste. Svegliamoci la questione della partecipazione non è solo uno sterile fatto ideologico, figlio di una obsoleta cultura collettivista, comunarda, da primi soviet. Multiservizi e Aeroporto di Frosinone stanno a dimostrare come la partecipazione possa costituire anche e soprattutto  la migliore polizza contro il furto.

Qualche valutazione intorno al corteo e al prossimo controsemestre

Collettivo Militant

In concomitanza con l’elezione del presidente della Commissione Europea, dell’avvio del semestre europeo di presidenza italiana, e proprio nel mentre della celebrata vittoria renziana nelle trattative sulla linea politica europea dei prossimi anni, sabato si è aperto anche il controsemestre popolare. Un corteo importante, che come tutti i cortei dal 19 ottobre scorso ad oggi ha mostrato più limiti che potenzialità, ma che comunque segna l’avvio di un percorso di lotta per niente facile da organizzare e su cui è doveroso ragionare senza inganni retorici o false (auto)rappresentazioni.

Guardando all’agenda politica “ufficiale”, il corteo ha avuto la capacità di inserirsi perfettamente nel timing dettato dalle dinamiche di potere. Come detto, tra il 27 giugno ed oggi si sono sciolti alcuni nodi dirimenti della politica europeista, quella stessa politica che determinerà lo stato di cose presenti nei singoli contesti nazionali, il modello di sviluppo e le sue ricadute sulle fasce popolari. L’elezione di Junker, in fondo, è l’elemento meno rilevante. Molto più interessante interpretare la presunta vittoria di Renzi in Europa. Il ricatto imposto ai “paesi deboli” dal processo di unificazione europeista, e cioè la concessione di maggiore flessibilità finanziaria riguardo allo sforamento del fatidico 3% in cambio di un’accelerazione delle politiche neoliberiste, viene fatta passare come “vittoria” di tali paesi, mentre in realtà rappresenta l’esatto opposto. Avallando tale processo, ai paesi finanziariamente “deboli” vengono imposte quelle contro-riforme volte a rimodulare il mercato del lavoro, il sistema sociale, nonché avviando l’ennesimo piano di privatizzazioni volto a svendere quote di economia pubblica al settore privato. Nonostante questo fatto determinerà il panorama politico e il tipo di sviluppo economico dei prossimi anni, secondo le statistiche del Corriere della Sera di sabato scorso un italiano su due non è a conoscenza dell’avvio del semestre italiano di guida della UE, e men che meno del dibattito presente all’interno della stessa UE e della posta in palio. Quelle che vengono percepite come futili discussioni di palazzo, inerenti una sfera della politica sempre più distante dai cittadini, sono in realtà il cuore del potere europeista che decide su se stesso, nella totale indifferenza della popolazione europea.
Questa breve introduzione è necessaria per cogliere l’importanza di una mobilitazione che ha cercato, e cercherà per tutto il controsemestre, di tenere alta l’attenzione su queste dinamiche, che oggi costituiscono il cuore delle politiche europee per ciò che riguarda lo sviluppo economico nei singoli Stati. Nonostante ciò, anche sabato abbiamo toccato con mano l’inconsistenza delle forze della sinistra di classe di mobilitare qualcosa che non sia la propria base militante, sempre più ristretta. A ricordare le stantie sfilate sindacali, così come la triste cerimonia del corteo autunnale di Rifondazione, fino a un decennio fa, pur nella loro sostanziale a-conflittualità (da non confondere questa con “scontri di piazza”, sebbene anche quel livello vada praticato e mantenuto), un pregio ce lo avevano: quello di portare in piazza centinaia di migliaia di persone. Quella di raffigurare plasticamente un’opposizione popolare, magari silenziata dalle scelte di dirigenze politiche fallite, ma viva, concreta, esistente. Oggi quei numeri sono un lontano e sempre più sbiadito ricordo. Centomila persone, che fino ad un decennio fa rappresentavano il “minimo sindacale” da raggiungere, oggi costituirebbero il sogno di qualsiasi soggetto politico. Dobbiamo dunque ragionare su questo scenario, cercando invertire la tendenza, consci che sarà un lavoro lungo e che non darà frutti immediati.
Tutti i cortei, quantomeno romani, che sono seguiti al 19 ottobre scorso, non hanno visto mai il superamento delle 10.000/15.000 persone. Il corteo di sabato si inserisce in questo solco. Difficilmente quantificabile in termini di numeri: la questura ha riferito di 4.000 persone, mentre alcuni organizzatori hanno dichiarato 8.000. In linea di massima, dunque, un corteo di circa 6.000 persone. Un corteo dignitoso dunque, ma che certo si inserisce in una parabola discendente della partecipazione politica da cui non possiamo non partire per valutare queste mobilitazioni. Per di più, numeri di questo tipo, organizzati attorno ad una piattaforma molto politica come quella del controsemestre, che non parte da lotte esclusivamente territoriali, possono essere letti in maniera positiva, ed in effetti confermano le previsioni della vigilia, che certo non si aspettavano folle oceaniche.
Il problema, nel corteo di sabato, non sono i numeri, ma la composizione. La difficoltà di una certa sinistra di mobilitare al di fuori della propria base militante si è espressa in tutta la sua evidenza. Un corteo di soli militanti, compagni, per di più da varie parti d’Italia, che però non è riuscito ad intercettare settori popolari, non è stato capace cioè di inserirsi in quella diffusa opposizione alle politiche neoliberiste della UE: questo è il dato critico da cui partire. Certo, era solo il primo passaggio, per di più oscurato o criminalizzato dai media, dunque non era certo immaginabile niente di veramente differente. Ma se c’è una direzione verso cui dovrà marciare l’organizzazione del controsemestre, questa sarà quella di declinare nelle lotte sociali, territoriali, sindacali, il tema dell’opposizione alla UE. C’è tutto il tempo ma, allo stesso modo, è qui che si gioca la partita. E questa partita non è possibile giocarla con l’esclusivo apporto delle forze politiche scese in campo ieri. Forze politiche che da anni hanno perso qualsiasi internità nelle contraddizioni sociali, difficilmente potranno recuperarla per questo controsemestre. E’ necessario allora un allargamento del fronte, un dialogo con altri pezzi di società, una parte di quelli intercettati dal M5S, oppure rifluiti nell’astensionismo senza presa di coscienza politica.
A differenza delle trite manifestazioni sindacali e politiche, però, quella di sabato non è stata una semplice sfilata pacificata. Durante il percorso diverse azioni sono state prodotte, proprio per colmare la distanza esistente tra l’indicazione politica data dagli organizzatori e i soggetti sociali a cui si rivolgeva. Striscioni sul salario accessorio, lotta che ha caratterizzato la primavera romana dei dipendenti pubblici, così come l’azione, nei pressi del Campidoglio, del “Comitato Operaio AMA” contro la futura privatizzazione della municipalizzata dello smaltimento rifiuti. Proprio il nostro lavoro dentro l’AMA si inserisce nel ragionamento precedente, cioè quello di definire il nemico delle quotidiane lotte sociali e sindacali e di sviluppare lotte che non siano esclusivamente economiciste. Perché il futuro dell’AMA è determinato dalle decisioni di Renzi a Bruxelles degli scorsi giorni, e cioè il procedere alla privatizzazione garantendo, attraverso lo sforamento del 3%, margini di mediazione politica tale da disinnescare il probabile conflitto con elargizioni una tantum, sullo stile degli 80 euro al mese in busta paga.
I momenti di tensione finali verso la Commissione Europea confermano la volontà radicale di parte della manifestazione. Sebbene la presenza davanti la Commissione fosse prevista dalla trattativa con la Questura, questa veniva negata a corteo finito, provocando l’indignazione di una parte dei manifestanti che hanno cercato comunque di arrivare sotto il portone della sede romana della Commissione Europea (già sanzionato due giorni prima da ignoti). Nonostante i numeri non consentissero grandi alternative, vista anche la sproporzione di forze dell’ordine in campo, è evidente che il segnale lanciato sia stato colto. Anche le mobilitazioni politiche hanno urgenza di esprimersi in termini conflittuali, intelligentemente e puntando a riempire quel vuoto di partecipazione di questi anni. Con sabato si potrebbe aprire una nuova fase. Da settembre sta a noi, intesi come pezzi sparsi dei movimenti di classe, riempire questo vuoto politico mettendo in campo tutto il nostro potenziale conflittuale. Non esiste alternativa possibile al carro armato renziano in piena espansione. O procederemo verso una sintesi politica delle lotte capace di essere alternativa alla visione dominante, o il PD ingloberà anche il rifiuto per “il palazzo” e le istanze di cambiamento provenienti dai vari settori popolari, oggi più attratti dagli 80 euro che da prospettive di lotta

Ucraina, genesi di un conflitto

Rossana Rossanda . Fonte:http://www.sbilanciamoci.info/


Stampa e Tv disegnano il quadro di un’Ucraina povera ma democratica che si dibatterebbe nelle grinfie dell’orso russo che, dopo avere strappato la penisola di Crimea, se la vorrebbe mangiare tutta. Ma la storia dei rapporti tra Russia e Ucraina è tutt’altro che lineare. E l’Europa sembra avere dimenticato storia, geografia e politica.

L’Europa non è certo nata in chiave antiamericana ma, date le dimensioni e il numero degli abitanti, almeno come grande mercato autonomo e con una moneta forse concorrenziale; e per alcuni anni questo è stata. Ma da qualche tempo ha sottolineato in modo sbalorditivo un ruolo che una volta si sarebbe detto “atlantico”. Non più sotto il vessillo anticomunista, il comunismo essendo scomparso da un pezzo, ma antirusso.
Qualche anno fa, Immanuel Wallerstein mi diceva che, spento ogni scontro ideologico, le nuove guerre sarebbero state commerciali. E quale altro senso dare al conflitto in corso a Kiev? Esso sembra avere per oggetto l’identità nazionale dell’Ucraina. Eccezion fatta per il manifesto, tutta la stampa e le tv disegnano il quadro di un’Ucraina povera ma democratica che si dibatterebbe nelle grinfie dell’orso russo; il quale le ha già strappato la penisola di Crimea e se la vorrebbe mangiare tutta. Manca poco che la Russia non sia definita un nuovo terzo Reich. In occasione del settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il presidente francese Hollande è stato accusato di aver invitato alle celebrazioni anche Putin - come se la battaglia di Stalingrado non avesse permesso agli Stati Uniti il medesimo sbarco, distraendo dal Nord Europa il grosso della Wehrmacht - nello stesso tempo invitando niente meno che dei reparti tedeschi a partecipare alla rievocazione del primo paracadutaggio alleato sul villaggio di Sainte-Mère-l’Eglise.
Da qualche giorno poi sappiamo che gli Stati Uniti, neppure il presidente Obama, ma il suo ex rivale Mc Cain - hanno ammonito la Bulgaria, la Serbia e gli altri paesi coinvolti in un progetto di gasdotto per trasportare il gas russo in Europa (con un tracciato che evitava l’Ucraina, perché cattiva pagatrice) a chiudere i cantieri in corso, preferendo un nuovo tragitto attraverso l’Ucraina a quello diretto per l’Europa occidentale. Stupore e modeste proteste di Bruxelles, convinta che si tratti di una minaccia simbolica. Che tuttavia va inserita nel quadro di un cambiamento delle esportazioni Usa, ormai indirizzate al commercio del gas di scisto, per altro non ancora avviato.
L’Europa teme dalla Russia rappresaglie per avere applaudito all’abbattimento del presidente ucraino filorusso Yanukovic da parte delle forze (piazza Maidan) che sono ora al governo a Kiev. Ma la storia dei rapporti tra Russia e Ucraina è tutt’altro che lineare. Il principato di Kiev è stato la prima forma del futuro impero russo, annesso da Caterina II alla Russia verso la metà del XVIII secolo, stabilendo in Crimea la sua più forte base navale. La sua cultura, il suo sviluppo e i suoi personaggi, da Gogol a Berdiaev, sono stati fra i protagonisti della letteratura russa del XIX secolo. L’intera letteratura russa resta segnata dalla guerra fra Russia, Inghilterra e Francia, che hanno cercato di mettervi le zampe sopra: si pensi soltanto a Tolstoi e alla topografia delle relative capitali ricche di viali e arterie che la commemorano (Sebastopoli). Ma il paese, che all’origine era stato percorso, come l’Italia, da una moltitudine di etnie, dagli Sciti in poi, ha stentato a unificarsi come nazione, distinguendosi per lotte efferate e non solo ideali fra diversi nazionalismi, spesso di destra. Il culmine è stato nella prima e seconda guerra mondiale: nella prima sotto la presidenza di Petliura, nazionalista di destra, quando l’Ucraina è stata l’ultimo rifugio dei generali “bianchi” Denikin e Wrangel, con lo scontro fra lui e la repubblica sovietica di Karkov. Solo con la vittoria definitiva dell’Urss si è consolidata la Repubblica sovietica nata a Karkov, destinata a diventare negli anni trenta il centro dell’industrializzazione. Industrializzazione sviluppatasi esclusivamente all’est (il bacino del Donbass, capoluogo Karkov), mentre l’ovest del paese restava per lo più agricolo (capoluogo Kiev, come di tutta la repubblica); e questo rimane alla base del contenzioso fra le due parti del paese. Nella seconda guerra mondiale, poi, l’occupazione tedesca ha incontrato il favore di una parte del panorama politico ucraino, un’eredità evidentemente ancora viva nei recenti fatti di piazza Maidan: il partito esplicitamente nazista circola ancora e non è l’ultima delle ragioni per cui il paese resta diviso fra la zona orientale e quella occidentale. Nel secondo dopoguerra, Kruscev dette all’Ucraina piena autonomia amministrativa, Crimea compresa, senza alcuna conseguenza politicamente rilevante perché restava un processo interno all’Unione Sovietica.
È soltanto dal 1991 e dal crollo dell’Urss che, anche su pressione polacca e lituana, il governo dell’Ucraina guarda all’Europa (e alla Nato) e incrementa lo scontro con la sua parte orientale. Sembra impossibile che in occidente non si sia considerato che l’Unione Sovietica non era solo una formula giuridica: scioglierla d’imperio e dall’alto, come è avvenuto nel 1991, significava creare una serie di situazioni critiche sia nelle culture che nei rapporti economici che attraversavano tutto quel vasto territorio. Da allora, Kiev non ha nascosto di puntare a un’unificazione etnica e linguistica anche forzosa delle due aree, fino a interdire l’uso della lingua russa agli abitanti dell’est cui era abituale.
L’Europa e la Nato non hanno mancato di appoggiare le politiche di Kiev, e poi l’insurrezione contro il presidente Yanukovic assai corrotto, costretto a tagliare la corda in Russia. Ma la zona orientale non lo rimpiange certo: non tollera il governo di Kiev e la sua complicità con la Nato, ma non perché abbia nostalgia di questo personaggio. Si è rivoltata contro la politica passata e recente di Kiev che ha tentato perfino di impedire l’uso della lingua russa, usata dalla maggioranza della popolazione all’est. L’Europa e la Nato, appoggiate da Polonia e Lituania, affermano che non si tratta di un vero e spontaneo sbocco nazionalista, ma di una ingerenza diretta della Russia, e così dicono stampa e televisione italiana. Non c’è dubbio che la Russia abbia voluto il ritorno della Crimea nel suo grembo, ma la proposta dell’est di andare a una federazione con l’ovest, garantendo l’autonomia di tutte e due le parti, è stata bocciata da Kiev e dal governo degli insorti. La decisione di votare in un referendum all’est contro Kiev è stata presa non da Putin, messo in imbarazzo, ma dalla popolazione dell’est che ha votato in questo senso al 98%. Non si tratta di un processo regolare (non accetteremmo che l’Alto Adige votasse una delle prossime domeniche la sua appartenenza all’Austria, senza alcun precedente negoziato diplomatico), ma non è stato neppure una manovra russa come l’Europa tutta ha sostenuto.
È sorprendente che perfino il poco che resta delle sinistre europee abbia sposato questa tesi e che in Italia le riserve di Alexis Tsipras sulle politiche di Bruxelles non abbiano alcuna eco. C’è perfino chi evoca in modo irresponsabile azioni armate contro Mosca. La deriva dei conflitti, anche militari, e non solo in Ucraina, rischia di segnare sempre di più un’Europa che ha dimenticato storia, geografia e politica.

lunedì 30 giugno 2014

I patti clandestini di Renzi

Rossana Rossanda. fonte http://www.sbilanciamoci.info/

La democrazia italiana ha un sistema di regole che in questo momento appare quanto mai irriso e confuso. C’è un livello politico di accordi fuori sistema che tuttavia valgono più degli accordi formali. E così riformare la Costituzione è diventato più semplice che far votare una legge.

A quale maggioranza risponde l’attuale governo? Nel parlamento italiano, il PD ha i non molti voti strappati nella sua tornata elettorale più infelice in ambito nazionale; il fatto che le successive europee dell’ultimo 25 maggio gli abbiano dato un tutt’altro peso delle elezioni nazionali – peso non registrabile dalle Camere – costituisce in sé un problema che potrebbe essere risolto soltanto da un nuovo scrutinio nazionale. Senonché Renzi si muove sfruttando l’immagine del “partito del 40%”, non tenendo conto né della maggioranza formale italiana tuttora valevole, né di quella delineata dalle elezioni continentali, per quanto riguarda la Lega e Forza Italia. Se, come il nostro baldo premier assicurava, l’Italicum fosse passato in quattro e quattr’otto, per assicurarsi una maggioranza parlamentare egli non avrebbe bisogno di nessuno.
Insomma, il governo italiano si regge e si comporta in un quadro di passaggio, né formale, né sostanziale. In realtà, il premier continua a cercare un accordo con Forza Italia e Lega come prima delle europee e sempre in termini informali, derivanti dall’obbligo, tutto politico e non istituzionale, di attenersi alle “larghe intese”.
Quando Anna Finocchiaro, plenipotenziaria per il PD, assieme a Calderoli, plenipotenziario per la Lega, ha riscritto i lineamenti del Senato – ridotto di numero e non più eletto – gli ha lasciato il privilegio dell’immunità parlamentare, scatenando proteste da tutte le parti. Nei giorni scorsi, la senatrice del PD ha protestato altamente per essere stata abbandonata su questo punto dal governo. “Ma che cosa vogliono da me?”, si intende: Renzi e le sue chiomate ministre. Domanda da non farsi, perché è ovvio che i colloqui informali del premier con Lega e Forza Italia sono vincolanti, ma non lo si può dire, basta lasciarlo scrivere dalla stampa. Quindi Renzi le ha fatto sapere con qualche ruvidezza che considera l’immunità parlamentare per i senatori un problema del tutto secondario – dichiarazione alquanto bizzarra in un momento in cui chiunque ne abbia la possibilità sta gettandosi a capofitto all’assalto dei beni pubblici.
C’è da chiedersi che idea ha l’Italia, governo e stampa compresi, della democrazia rappresentativa. Se ne può pensare anche malissimo, ma è innegabile che essa ha un sistema rigido di regole che attualmente viene violato e ignorato nel nostro paese. Ci sono una serie di accordi politici fuori sistema che tuttavia valgono più degli accordi formali: nessuno si sogna di ricondurre il PD del 40% alla percentuale molto più bassa che gli avevano assegnato le ultime legislative; nel medesimo tempo se ne tiene conto, sempre informalmente, come se questo risultato fosse stato ratificato da un voto nazionale. Se, come potrebbero pensare i maligni, si teme che un’elezione nazionale smentisca o almeno diminuisca il risultato europeo, continuerà il governo a procedere a vista fino alla scadenza del mandato? In verità, è il carattere del Presidente del Consiglio, tutto volitivo e autocentrato, a tenere il posto di una vera e propria legislazione, e sembra che la cosa sia gradita all’Italia come all’estero, riconducendo a più miti consigli sul terreno degli obblighi finanziari perfino Angela Merkel.

È sorprendente che nessuno dei nostri giuristi metta in guardia stampa e governo sull’anomalia di questo modo di procedere: bisogna persuadersi che il fascino dell’ex sindaco fiorentino è irresistibile? E che, quando il peso elettorale del Cavaliere sta venendo meno, resteranno obbligatorie le “larghe intese”, constringendoci per esempio ad accordarci con Grillo?

Mondiali, lotte in Brasile Entra in campo la gioventù lavoratrice!

Clara Saraiva (*)


Dopo 64 anni, il Brasile, il Paese del calcio, ospita nuovamente la Coppa del Mondo.
La presidente Dilma sperava che la festa dello sport fosse un momento per conquistare l'appoggio popolare al suo governo, preparando la sua rielezione nel mese di ottobre. Tuttavia, i piani del governo federale non si sono concretizzati.
Nonostante l'enorme propaganda ufficiale dei grandi  mezzi di comunicazione di massa, le masse popolari brasiliane non credono che la realizzazione della Coppa del Mondo avrà positive ricadute sociali. La Coppa del Mondo non ha portato più investimenti, posti di lavoro e sviluppo nel Paese. Piuttosto, la sua realizzazione sta approfondendo le disuguaglianze sociali e causando numerosi attacchi alla sovranità nazionale.
Dalle giornate del giugno 2013, il Brasile è sulla rotta delle grandi mobilitazioni internazionali, che scuotono tutto il mondo dal 2011. In tutti i continenti, c'è una nuova generazione di giovani che diventa protagonista di  rivoluzioni e insurrezioni popolari. L'avanguardia di questo processo sono i giovani senza futuro egiziani, gli indignados spagnoli, la generazione precaria (geração à rasca) portoghese e ora anche i giovani lavoratori brasiliani.
Sono i più giovani, in particolare donne e neri, che soffrono di più a causa della disoccupazione, dei bassi salari e della precarietà del lavoro. Il Brasile non è diverso. A milioni sono entrati recentemente nel mercato del lavoro regolare, occupando i peggiori posti di lavoro, spesso terziarizzati e a tempo determinato.
Sono questi giovani, la nuova generazione di lavoratori in lotta, che rappresenta il futuro del proletariato mondiale. In Brasile, sono loro che stanno trasformando la Coppa del Mondo Fifa nell'incubo non solo delle selezioni di Spagna, Italia e Inghilterra, ma anche del governo Dilma e delle classi dominanti.

Il Brasile è già il campione dell'ingiustizia!
La Coppa del Mondo è un evento privato, controllato dalla Fifa e dai suoi sponsor. La maggioranza della popolazione brasiliana, nera e povera, è ben lontana dai nuovi e lussuosi stadi. E le ingiustizie non si fermano qui.
La preparazione del mega evento ha provocato la crescita della speculazione immobiliare, dell'evacuazione forzata delle comunità delle periferie e la criminalizzazione della povertà. Inoltre, crescono anche il turismo sessuale e la privatizzazione degli spazi pubblici.
La “Legge Generale della Coppa” legalizza ogni ingerenza della Fifa, che determina quali prodotti debbano essere venduti e quali esercizi commerciali possano aprire nelle vicinanze degli stadi. La Fifa è stata esentata dal pagamento di tutte le tasse e le imposte sul lavoro derivanti dalle sue attività economiche nel Paese.
Appare così chiara, ancora una volta, la volontà della presidente Dilma di essere un'alleata indispensabile dell'imperialismo. Dopo aver garantito l'occupazione di Haiti, con le truppe brasiliane al comando della Minustah, e le varie esenzioni fiscali concesse alle multinazionali, il governo federale ha superato sé stesso di fronte agli eccessi della Fifa.
Sono state spesi quasi 35 miliardi di reais (circa 12  miliardi di euro, ndt) di fondi pubblici per la costruzione di stadi, la ristrutturazione degli aeroporti e nelle opere infrastrutturali. Un investimento statale per finanziare un evento privato, che fa guadagnare le aziende e i monopoli della comunicazione. La Fifa stessa guadagnerà più di dieci miliardi di reais (circa 3 miliardi di euro) in Brasile.
I giovani sono il settore della società più colpito dalle ingiustizie della Coppa del Mondo, specialmente i giovani lavoratori. La militarizzazione e la privatizzazione degli spazi pubblici hanno aumentato la segregazione territoriale e culturale, che impedisce ai giovani poveri il loro diritto alla città. La criminalizzazione della povertà ha incrementato il genocidio della gioventù nera delle periferie. Il turismo sessuale fa delle giovani donne, comprese bambine e adolescenti, le sue principali vittime.

Una nuova generazione di lavoratori all'attacco
Il contrasto tra i privilegi della Fifa, da un lato, e le pessime condizioni dei servizi pubblici e i bassi salari, dall'altro, ha aumentato il disagio sociale. La nuova situazione politica in Brasile, apertasi con le famose giornate di giugno 2013, si sta approfondendo.
I cortei e le manifestazioni contro le ingiustizie della Coppa del Mondo Fifa hanno aperto la strada e ora sono i giovani lavoratori che entrano in campo, dando continuità all'offensiva del movimento di massa.
Numerose categorie sono scese in lotta, all'interno della più grande ondata di scioperi nel Paese dal 1989. Sono scesi in piazza gli spazzini, gli operai edili, i dipendenti pubblici, gli insegnanti e i lavoratori dei trasporti, in particolare i settori più oppressi e sfruttati, che si sono mobilitati.
L'avanguardia di queste lotte è una nuova generazione di lavoratori, che hanno raggiunto la maturità politica quando le vecchie direzioni opportunistiche del movimento di massa già stavano governando il Paese. Una nuova generazione che non ha il peso delle sconfitte del passato sulle spalle e che può capire più rapidamente cos'è il Pt di Lula.
Lo sciopero degli autoferrotranvieri di San Paolo è stato il più grande simbolo di questo nuovo momento. Sono stati cinque giorni di paralisi, durante i quali i lavoratori hanno affrontato la stampa, l'intransigenza del governo statale, dell'azienda e la repressione poliziesca, che ha invaso le stazioni della metropolitana per rompere i picchetti.
Lo sciopero, che è stato messo fuori legge dalla magistratura, si è concluso con il licenziamento di quarantadue conducenti, tra cui riconosciuti dirigenti sindacali delle lotte. Tuttavia, la categoria non ha abbassato la testa e continua la lotta, organizzando una campagna per la reintegrazione dei lavoratori licenziati.

Campagna Internazionale "Lottare non è un crimine!"
La borghesia brasiliana ha approfittato della Coppa del Mondo per giustificare la repressione e la criminalizzazione dei movimenti sociali e delle lotte popolari. Con la scusa di garantire la sicurezza del mega evento, è stata elaborata una legislazione speciale, d'eccezione, legalizzando gli arresti arbitrari e le indagini di polizia contro gli attivisti.
Lo Stato brasiliano ha creato nuovi reati, prevedendo perfino l'arresto dei venditori ambulanti che vendano prodotti con le immagini legate al mondiale. I crimini vengono giudicati rapidamente da tribunali speciali, installati nelle vicinanze degli stadi, senza tutelare il diritto alla piena difesa dell'imputato.
Alla vigilia della apertura della Coppa del Mondo, questo processo ha raggiunto il suo punto più alto. Il 12 giugno, la manifestazione contro l'ingiustizia sociale è stata brutalmente repressa. Pochi giorni prima, il 9 giugno, lo studente e militante Pstu Murilo Magalhães è stato arrestato e torturato dalla Polizia Militare dello Stato di San Paolo, dopo aver partecipato a un manifestazione di solidarietà agli autoferrotranvieri licenziati.
La gioventù è l'obiettivo principale dei governi e delle autorità brasiliane. Le centinaia di attivisti licenziati, arrestati e, oggi,  indagati hanno tra i venti ed i trenta anni d'età. Sono lavoratori e studenti, soprattutto dirigenti dei movimenti, vittime della polizia e della magistratura.
Il maggiore esempio di questa intensificazione repentina della repressione è l'accusa rivolta alla dirigenza del “Blocco delle Lotte” della città di Porto Alegre, nello stato di Rio Grande do Sul. Quattro giovani sono stati ingiustamente accusati di "formazione di milizia privata e danneggiamento del patrimonio pubblico", tra gli altri crimini. Matheus Gomes, militante dei giovani del Pstu e dell'Assemblea Nazionale degli Studenti – Libera (Anel), è uno dei dirigenti incriminati.
Il Pstu brasiliano e la Lit chiamano il movimento di massa dell'America Latina e del mondo, in particolare le organizzazioni del movimento studentesco, a costruire una vasta campagna internazionale contro la criminalizzazione dei movimenti sociali nel nostro Paese. Organizziamo azioni di solidarietà per la fine delle incriminazioni, degli arresti e dei licenziamenti. Lottare non è un crimine!

(*) dirigente dei giovani del Pstu (sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale) e del sindacato studentesco Anel
(traduzione dallo spagnolo di Giovanni "Ivan" Alberotanza)

SOS Siria

Comitato ANPI Provincia di Frosinone

Frosinone, 28/06/2014

Si è svolta ieri, nella Sala S. Tommaso del Comune di Roccasecca, la conferenza dell’ANPI sui problemi della guerra in Siria. La conferenza è stata tenuta dal giornalista siriano NAMAN TARCHA, residente in Italia e direttamente informato sui fatti di Siria, che ha illustrato non soltanto il livello attuale della crisi, sia dal punto di vista della tenuta dello Stato siriano sia da quella delle sofferenze imposte alla popolazione, sia ancora della distribuzione del conflitto nelle diverse aree del Paese arabo; ma anche sul quadro generale dell’area, su quello che si muove e suscita i diversi tentativi di destabilizzazione con il classico obiettivo del controllo economico e strategico delle zone cruciali per l’economia occidentale.
La partecipazione è stata numerosa ed attenta, erano presenti cittadini di molte zone della provincia, e sono stati molti gli interventi mirati all’approfondimento della conoscenza della reale situazione mediorientale e siriana in particolare, ed alla proposta operativa pratica sul da farsi nei limiti delle possibilità.
Naman Tarcha ha spiegato molto diffusamente e con grande chiarezza che il primo problema che hanno i siriani vittime delle violenze dell’integralismo jihadista è quallo di far giungere nel mondo, all’opinione pubblica ed alle istituzioni dei paesi democratici, le informazioni corrette su quanto accade, altrimenti il rischio che si corre è quello di far passare per combattenti per la libertà dei gruppi sanguinari che non hanno alcuna legittimazione popolare ma operano al servizio di centrali estranee al paese ed al suo popolo, ed in nome di concezioni criminali della politica e della società.
Si è molto soffermato sull’apparente contraddizione che c’è nei media occidentali – ed anche di alcuni paesi arabi, come il Qatar e l’Aabia Saudita attraverso, rispettivamente al-Jazzeera e al-Arabyia – che continuano a definire terroristi i combattenti jihadisti dell’ISIL in Iraq mentre tratta come ribelli e combattenti per la libertà, legittimandoli politicamente e culturalmente oltre che militarmente con massicci aiuti, gli stessi identici gruppi quando combattono in Siria.
In realtà, questa apparente confusione è dettata dalla differente situazione in cui si svolgono le azioni di questi gruppi di fondamentalisti armati: mentre in  Siria favorirebbero la caduta di un regime “scomodo” per gli interessi occidentali in materia di controllo delle fonti energetiche critiche (gas e petrolio), in Iraq essi favoriscono tali interessi, almeno per il momento (salvo poi riaprire un nuovo Afghanistan per gli stessi motivi).
I lavori si sono protratti oltre il previsto data l’attenzione riservata dai presenti ed espressa anche con diversi interventi, alcuni anche molto qualificati e critici.
L’ANPI ha espresso la volontà di replicare l’iniziativa ovunque, nel territorio provinciale, sia possibile organizzare momenti di informazione e di confronto su questo aspetto troppo sottovalutato dei rischi che stiamo correndo anche in Europa rimanendo impacciati e privi di una politica estera di pace e di cooperazione reali. Inoltre, poiché il tema ha evidenti implicazioni istituzionali, si farà promotrice di una iniziativa più ampia, coinvolgendo le sue strutture superiori fino al Comitato nazionale affinché solleciti con forza il Governo italiano a farsi carico delle responsabilità democratiche che gli competono, e che competono ad un Paese come l’Italia, perché si impegni sulla via della difesa e della promozione dei valori della pace, della libertà e della democrazia che fondano la nostra Costituzione e la stessa Unione Europea di cui fra due giorni saremo presidenti.
Abbiamo chiesto a Naman Tarcha di aggiornarci con le informazioni di cui lui dispone, in modo che noi possiamo diffonderle e commentarle,  contribuendo così a costruire una cultura consapevole ed informata su quanto avviene in luoghi a noi vicini più di quanto si percepisca.
Nell’esprimere la nostra soddisfazione per l’ottima riuscita di quella che consideriamo una partenza di un impegno più duraturo e vasto, siamo lieti di ringraziare, insieme a tutti gli intervenuti, il Comune di Roccasecca ed in special modo l’Assessore alla Cultura Dott. Marcuccilli che ha sostenuto l’iniziativa con il patrocinio morale e con il suo lavoro personale. Un grazie anche all’Assessore Rezza, presente per tutto lo svolgimento della conferenza. A loro chiediamo di fare il possibile perché anche altre Amministrazioni si rendano disponibili a sostenere iniziative come questa ovunque sia possibile.

L’ANPI ha rivolto ripetutamente un appello ai propri iscritti presenti in sala in gran numero, affinché promuovano nei loro comuni nuove occasioni di riflessione su questo tema, che investe direttamente la nostra funzione di popolo democratico in difesa della pace e dei diritti umani ovunque siano offesi.

domenica 29 giugno 2014

Commemorazione liberazione piedimonte san germano

Comitato ANPI Provincia di Frosinone

Frosinone, 29/06/2014

Su invito dell’Amministrazione comunale di Piedimonte San Germano, l’ANPI di Frosinone ha partecipato oggi alla terza manifestazione in ricordo della liberazione del comune stesso, avvenuta il 27 Maggio 1944.
La commemorazione si è svolta nella frazione Ruscito, alla presenza dei cittadini e delle autorità. Il programma prevedeva una commemorazione religiosa in memoria delle vittime italiane e polacche dell’esercito che lì ha combattuto fino allo sfondamento delle linee tedesche, gli interventi del Sindaco, di un reduce di quei giorni e del Presidente provinciale dell’ANPI.
L’intervento è stato accolto con molto calore da parte dei presenti, e l’Amministrazione ha già chiesto la presenza attiva dell’ANPI nelle prossime iniziative sul tema che si terranno in altre contrade e frazioni del piccolo centro del basso Frusinate.

L’ANPI, nel ringraziare l’Amministrazione ed i cittadini di Piedimonte per l’invito e la cordiale accoglienza, sottolinea l’importanza che le Amministrazioni siano impegnate a coltivare la memoria e la consapevolezza del lascito di civiltà e di libertà democratica che la Liberazione rappresenta, non come mera operazione museale ma come chiave per la costruzione delle condizioni dello sviluppo civile e sociale dell’Italia e per mezzo di essa dell’Europa di oggi e di domani.

Autoconvocati Cgil, la via maestra? LAVORO E COSTITUZIONE

Autoconvocati CGIL

Sabato 31 maggio si sono tenute, in contemporanea ed in diretta streaming, le assemblee degli autoconvocati Cgil a Reggio Emilia, Roma e Napoli. 
Al termine delle stesse sono stati approvati i due documenti che riproduciamo in sintesi

Gli Autoconvocati CGIL sono Delegati e delegate attivi nei luoghi di lavoro. Ci siamo ritrovati poichè dissentiamo dall’impostazione sindacale generale che sta coinvolgendo la CGIL, alla stregua di CISL e UIL, e rivendichiamo, per tutti i lavoratori e le lavoratrici, una pratica sindacale attiva, che riteniamo necessaria per ridare forza e radicamento
all’azione rivendicativa e contrattuale del sindacato nei luoghi di lavoro, pubblici e privati.
E’ nostra intenzione favorire il dialogo tra territori e categorie, contrastando con forza le derive burocratiche, autoritarie ed antidemocratiche che stanno proponendosi all’interno della CGIL. Per far ciò e fondamentale riaprire spazi di confronto sia interni alla nostra organizzazione che con tutti coloro che, uomini e donne, non sono iscritti a nessuna organizzazione sindacale, ma subiscono le conseguenze delle decisioni che esse prendono.
La ‘Linea Maestra’ degli Autoconvocati e’ la Costituzione Italiana che va difesa ed applicata, essedo ancor oggi attuale garante di diritti e doveri di ognuno di noi: lavoratori e lavoratrici, Istituzioni e imprenditori.
La Costituzione, all’art. 1 dicendo che L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, definisce il lavoro come uno dei valori più alti della nostra vita civile; ne consegue che l’assenza di lavoro mina alle fondamenta l’esistenza stessa della Repubblica.
Com’è possibile che ciò si realizzi in presenza di: lavoro nero, lavoro precario a vita, lavoro determinato ciclico, lavoro a chiamata e tutte le altre 44 tipologie di lavoro oggi esistenti ?
L’art. 4, il lavoro è riconosciuto come diritto di tutti i cittadini, sancendo anche il dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
L’art. 3 assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che limitano di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini.
L’art. 32 afferma che la repubblica tutela la salute, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Perché oggi siamo costretti a vivere in una condizione sociale in cui sfruttamento, malattie professionali, morti sul lavoro, nuove schiavitù, dati che contrastano con l’idea di lavoro che emerge dall’insieme di questi tre articoli?
L’art. 35, titolo III, rimarca il dovere per la repubblica di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
L’art. 36 dichiara il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a se e alla propria famiglia una esistenza libera e dignitosa.
Sono compatibili queste affermazioni con: – le fabbriche dormitorio, – gli scantinati di produzione per le grandi marche, – la riduzione in schiavitù di lavoratori clandestini e non, ricattati dalla necessità di sostentamento, – la cosciente mancanza di prevenzione che produce migliaia di morti sul lavoro per migliaia di malattie professionali, che riducono i lavoratori a essere permanentemente sofferenti?
L’art. 41 stabilisce che la liberta’ economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, definendo il lavoro come strumento di produzione di benessere sociale.
Perché mai esistono attività economiche come la Thyssen Kroup e l’Ilva di Taranto, che anziché avere utilità sociale seminano morte e disperazione così come anche l’Eternit e l’Icmesa di Seveso o tutte le attività produttive affaristico – mafiose, che hanno generato la terra dei fuochi.
E’ evidente come non esista solo una non applicazione della Costituzione, ma una progressiva operazione di svuotamento, che non potendo essere fatta in modo trasparente, è attuata attraverso una serie di azioni e controriforme:
1. aumento della precarizzazione del lavoro, contrabbandato come aumento dell’occupazione,
2. deroghe sugli inquinanti,
3. modifiche al decreto legislativo riguardante la sicurezza negli ambienti di lavoro (81/08), che impoverendo le regole di controllo e tutela nei luoghi di lavoro, favorisce il permanere nell’ambiente di sostanze nocive alla salute, senza che i proprietari paghino nulla per le mancate bonifiche.
La Costituzione italiana è stata scritta per impedire il ritorno di ogni forma di fascismo, dando agli italiani garanzia di piena e sicura libertà.
Siamo costretti a prendere atto che si stanno realizzando vigorose forme di autoritarismo attraverso il degrado sempre più grande del mondo del lavoro, della sua organizzazione, e quindi, conseguentemente, della Repubblica!
Bisogna dunque ripristinare vere regole democratiche all’interno della CGIL, che consentano ai lavoratori e alle lavoratrici di decidere della propria condizione nei luoghi di lavoro con una legge vera sulla rappresentanza, non con una operazione di accordo tra i vertici sindacali e organizzazioni datoriali.
Riteniamo utile promuovere la libera informazione tra le categorie e i territori, perche’ solo con la consapevolezza si crea vera confederalità, consapevolezza e libera scelta.
E’ necessario creare trasparenza nel sistema degli appalti rafforzando la solidarietà concreta di tutti i soggetti coinvolti nell’appalti e vigilare sulle gestioni aziendali per impedire che gli Imprenditori rubino a loro stessi svuotando progressivamente l’Azienda e lasciandola morta ed incapace di creare utile e lavoro.
Si deve ripristinare un sistema previdenziale equo, che affermi il principio secondo cui la pensione non è l’anticamera della morte, bensì la continuazione di una vita dignitosa e socialmente utile.
Vogliamo che le risorse pubbliche siano erogate solo ad attività che creano lavoro, nelle forme e nei modi previsti dal dettato costituzionale; che si penalizzi la speculazione finanziaria, dirottando risorse verso la ricerca, la formazione e l’innovazione; che le risorse pubbliche siano impiegate per la tutela del territorio e la gestione delle risorse rinnovabili e in favore di sempre più alte tutele per la salute e l’assistenza di chi ha più bisogno.
Per fare tutto ciò è necessario trovare le risorse, anche, attraverso una lotta vera ed efficace all’evasione fiscale e all’elusione contributiva.
L’obiettivo degli Autoconvocati CGIL e’ di mantenere aperti spazi di confronto e dialogo per attivare percorsi comuni. Per realizzarlo c’e’ bisogno del contributo fattivo di tutti, iscritti e non iscritti.
Le nostre iniziative di aggregazione e dibattito servono a questo ... a trovarci, a trovare una lingua comune ed a raggiungere gli obbiettivi che ci siamo prefissati!
Autoconvocati CGIL

DOCUMENTO CONCLUSIVO ASSEMBLEE NAPOLI, REGGIO EMILIA E ROMA
Le assemblee di delegate e delegati della Cgil autoconvocati FIOM, FP, FLC, FISAC, FILCAMS, SLC, FILLEA, FILT, FILTEM, FLAI, SPI a Reggio Emilia, Napoli e Roma ringraziano le lavoratrici, i lavoratori, le compagne ed i compagni che hanno condiviso e sostenuto il percorso nato a Bologna il 15 febbraio scorso e sviluppatosi in questi mesi con iniziative territoriali di discussione e informazione sul Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014.
Nel corso dei mesi successivi all’assemblea di Bologna è aumentato il consenso in termini di adesioni di delegate e delegati che come noi avevano una visione diversa in merito a questioni vitali per la nostra organizzazione.
La decisione di sperimentare una nuova forma assembleare, in streaming su tre piazze, nasce dalla necessità di trovare nuovi modi per tenere in contatto tutte le realtà sparse sul territorio nazionale.
Dalle assemblee odierne è emersa la necessita e la voglia di proseguire nel percorso intrapreso e di mettere in campo iniziative future sui temi trattati.
Testo Unico sulla Rappresentanza
Nel corso di questi mesi abbiamo più volte denunciato il metodo con cui la nostra Organizzazione ha firmato il Testo Unico, senza un confronto preventivo a nessun livello, e continuiamo a non condividere nel merito i punti che circoscrivono la rappresentanza e vincolano le minoranze anche se in dissenso prevedendone la sanzionabilità, cambiando di fatto il modello contrattuale.
Non condividiamo il metodo di consultazione applicato perché riteniamo che una discussione così importante per il futuro della nostra organizzazione non possa essere fatta nel mezzo del dibattito congressuale e deve essere fatta nel merito dell’accordo, quindi non ne riconosciamo l’esito.
Il Testo Unico limita fortemente l’azione dei delegati nei luoghi di lavoro e crediamo che proprio da lì possa arrivare un’azione di contrasto forte ad esso, cosi come sta avvenendo in alcune aziende mediante la contrattazione di secondo livello.
Per questi motivi continueremo la nostra campagna d’informazione e sensibilizzazione fra i delegati al fine di aumentare il consenso intorno alle nostre proposte.
Pensioni
Sul disastro fatto sulle pensioni la Cgil ha delle forte responsabilità.
Dire che si è perso, come è accaduto a Rimi al Congresso Nazionale della CGIL, è falso. Le battaglie si perdono quando si combattono.
Con sole tre ore di sciopero era inimmaginabile pensare di poter contrastare l’azione messa in campo dalla Fornero. E’ una vergogna l’ulteriore allungamento di questa riforma (dai 66 anni in su, ben presto verso i 70 !). I lavoratori resteranno più a lungo nei posti di lavoro mentre i giovani tarderanno ad entrare nel mondo del lavoro aggravando i livelli di disoccupazione. Perciò vanno ripristinate le pensioni d’anzianità (40 anni) e introdotte forme di flessibilità per il pensionamento di vecchiaia a partire dai 60 anni. Con i nuovi meccanismi di calcolo le prossime pensioni saranno a livelli da fame (anche meno del 50% dell’ultimo stipendio) generando un vero e proprio esercito di nuovi poveri. Vanno garantiti i diritti sociali anche di chi ha avuto storie lavorative sfortunate. Va riformato l’INPS facendone uno strumento delle lavoratrici e dei lavoratori, occorre inoltre dividere la previdenza dall’assistenza.
Democrazia
Le decisioni prese senza una reale consultazione con la base, gli spiacevoli episodi che hanno visto coinvolti delegati e funzionari che non condividevano la linea di qualche segretario sono solo alcuni punti che denotano come all’interno della nostra organizzazione si stia andando sempre più verso una gestione autoritaria del dissenso.
La crisi di rappresentanza non si supera facendo accordi che limitano l’azione  dei delegati ma va affrontata cercando nuove forme di partecipazione, coinvolgendo tutti i livelli dell’organizzazione partendo proprio dai luoghi di lavoro e ridando la parola a chi quotidianamente lotta per portare avanti i valori che hanno reso grande la Cgil.
Serve un cambio di direzione per restituire forza alla contrattazione sui posti di lavoro e per ridare centralità alla difesa integrale dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione.

La crisi economica, prodotta dal grande capitale finanziario e dalle banche, da un lato aggredisce i diritti conquistati in anni di lotte operaie e dall’altro peggiora le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di lavoratrici e lavoratori esponendoli, tra le altre cose, all’aumento esponenziale di carichi, ritmi ed a continue minacce di chiusure e cassa integrazione; produce precarietà ed emargina disoccupati e inoccupati, ricattandoli e mettendoli in diretta concorrenza con gli occupati allo scopo di limitarne i diritti ed abbassare il costo del lavoro; umilia tutte e tutti coloro che vedono allontanarsi il meritato momento della pensione dopo anni di duro lavoro e contributi ed esponendoli in età avanzata, tra l’altro, a non pochi rischi per l’altrui e la propria sicurezza.
Per ribaltare questa gravissima situazione sociale occorre una Cgil in grado di contrattare e mobilitarsi a difesa dei diritti di chi lavora e chi no, riscoprendo il vero valore della confederalità che si basa sulla condivisione la solidarietà e sulla visione comune di un mondo migliore.
Dalle assemblee di Reggio Emilia, Roma e Napoli a cui hanno partecipato delegate e delegati autoconvocati di varie categorie, anche con delegazioni da altri territori, emerge la necessità di proseguire con il percorso degli autoconvocati aderenti all’appello “Per il lavoro e la democrazia” ed avviatosi a Bologna il 15 febbraio 2014, per ribaltare e rendere inapplicabili tutti i punti negativi del Testo Unico, la riforma Fornero sulle pensioni e per invertire la rotta che la Cgil ha intrapreso, da un modello sindacale di lotta e contrattazione verso uno “di servizio” che storicamente non le appartiene e che va in direzione opposta a quanto servirebbe particolarmente in questo momento storico.

Lavoriamo per rafforzare il coordinamento tra delegate e delegati autoconvocati in Cgil su tutto il territorio e per favorire l’organizzazione delle compagne e dei compagni su tutto il territorio nazionale.
Reggio Emilia, Roma, Napoli 31 maggio 2014