Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 15 marzo 2014

Incontro delle Associazioni con la direttrice della Asl di Frosinone Isabella Mastrobuono

Francesco Notarcola – Presidente della Consulta delle associazioni della Città.

Nel corso dell’incontro delle associazioni con  la direttrice generale della Asl di Frosinone, che si è tenuto il 13 c.m.,  l’attenzione si è fortemente focalizzata sulla necessità di ripristinare la legalità e il diritto nella gestione della Asl.
In via prioritaria si è concordato e riconosciuto l’importanza  di dare piena e completa attuazione a tutte le norme di legge relative alla partecipazione, alla trasparenza e alla lotta alla corruzione, quale premessa per favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali  e sull’utilizzo delle  risorse pubbliche.
Si è altresì sottolineato l’urgenza di attivare tutte le iniziative opportune per un efficace lotta agli sprechi, ben noti e ampiamente analizzati in passato, a cui le precedenti amministrazioni non hanno mai posto rimedio. Si è messo ancora  l’accento sull’importanza del ruolo responsabile della dirigenza e della sua capacità manageriale.
Le associazioni, dopo avere delineato l’estrema precarietà della sanità  ospedaliera e territoriale della provincia, in cui hanno prosperato illegalità e  clientelismo, hanno illustrato le proprie proposte. La dott.ssa Isabella Mastrobuono, nel suo intervento di replica ha riconosciuto giudizi e valutazioni, tanto da affermare che in questi anni la Asl di Frosinone non è stata governata, dichiarando la sua disponibilità a proseguire il dialogo per affrontare le questioni poste, coinvolgendo, potenziando e  rilanciando le istanze di partecipazione.
   L’esiguità del tempo disponibile non ha permesso un confronto  sulle problematiche  del pronto soccorso, delle liste d’attesa, del centro trasfusionale e della carenza dei posti letto, anche  a causa dell’intemperanza verbale di alcuni presenti non riconducibili alle associazioni.
Il dialogo continua con il pieno accordo delle parti e con una volontà fortemente espressa nell’incontro nel tentativo difficile ma necessario, di costruite un’organizzazione sanitaria, moderna ed efficiente rispondente alle esigenze di salute delle nostre popolazione.

Frosinone 15 marzo 2014

Il paradigma taylorista applicato alla sanità. Ecco la nuova frontiera

Luciano Granieri

Giovedì scorso, 13 marzo, anche il sottoscritto ha partecipato all’incontro con la dottoressa Isabella Mastrobuono  direttrice della Asl di Frosinone.  La mia partecipazione era in rappresentanza dell’Osservatorio Peppino Impastato di Frosinone, una delle  34 associazioni con cui la neo dirigente dell’azienda sanitaria provinciale intendeva confrontarsi per ragionare sulla drammatica situazione della sanità nella nostra Provincia  .  

Per cercare di illustrare al meglio l’infinità di problemi che di fatto impediscono nel nostro territorio la piena attuazione del dettato costituzionale sul   diritto alla salute riconosciuto ad ogni cittadino,  ciascuna associazione, avrebbe dovuto illustrare una criticità. Noi dell’Osservatorio avremmo dovuto porre il tema delle liste di attesa e dell’attuazione del decreto 314 2013, da parte della Asl  che regola tale materia.  Non è stato possibile affrontare la questione, per problemi di tempo.  Per  lo stesso motivo  altri temi, come la drammatica situazione del pronto soccorso,  il trasferimento del centro trasfusionale,  la carenza di posti letto, non sono stati compiutamente sviscerati.  

La dottoressa Mastrobuono,  comunque ci ha fornito un quadro di come sarà organizzata la sanità nel prossimo futuro   nella nostra provincia e non solo.  Su tali aspetti vorrei  proporre alcune considerazioni  che, tengo a precisare, sono a carattere del tutto personale.  Lascio da parte le  stronzate profuse  a piene mani  degli idioti del terzo millennio presenti all’incontro,  non  sappiamo a che titolo, visto che i principali devastatori della sanità del Lazio sono camerati  da loro un tempo venerati. Sorvolo anche  sulla  disgraziata abilità che questi  ignoranti  hanno  nello  strumentalizzare problemi seri per pisciare fuori dal pitale.  

Preferisco concentrarmi su quanto ha illustrato la Mastrobuono.  Ho appreso che il fulcro del sistema sanitario 2.0 sono le Case della Salute. Dei presidi sanitari di prossimità, nella nostra Provincia  saranno quattro,  in cui  verrà  attivata “Una rete di servizi per le assistenze primarie”.   Detto in parole meno asettiche nelle case della salute verranno interconnessi,  i servizi di accettazione, con i laboratori di analisi, di radiologia e di altri esami diagnostici, in aggiunta alle prestazioni ambulatoriali  di terapia  medica e di chirurgia a media complessità.  Solo i malati più gravi, i codici rossi per intenderci, dopo essere stati stabilizzati, verranno trasferiti presso gli ospedali. Per far funzionare il tutto ci si avvarrà di una guardia medica, di  medici generali presenti a turno 12 ore , di  specialisti incaricati di fornire prestazioni e a basse e media complessità, ma soprattutto fondamentali saranno gli infermieri specializzati che dovranno coordinare il tutto.  

Con le case della salute  il vecchio e rassicurante posto letto, va in soffitta, è roba di altri tempi.  Per assicurare l’assistenza a 3.000 pazienti trattati chirurgicamente,  basteranno solo due posti letto.  Lo confesso questa sorta di paradigma taylorista applicato alla sanità mi fa un po’ impressione. Un tizio arriva e viene trattato come un  componente di una macchina su una catena di montaggio.  Caricato su un nastro trasportatore, passa dalla guardia medica, transita per il medico di base,  scorre verso il laboratorio di analisi, si catapulta in sala operatoria,  e dopo l’operazione rimane un po’ su un letto in attesa di collaudo, per poi essere dimesso più in forma di prima .  Questa sequenza inquietante  mi balzava  alla mente mentre la dottoressa Mastrobuono parlava.  

Poi  ho chiesto se l’attuale disponibilità di personale sanitario, fosse in grado di far funzionare l’ingranaggio.  La prescrizione della Regione Lazio, in base alla quale dei 1150 addetti andati in pensioni solo il 10%  potrà essere rimpiazzato con nuove assunzioni, cioè 115 medici da distribuire in tutta la Regione,  è stata il principale dubbio che la Mastrobuono  ha espresso rispetto alla possibilità che il personale sia sufficiente a rendere funzionali le case della salute. 

Dunque il nodo si trasferisce ad un livello superiore. Che fosse la Regione responsabile del proprio sistema sanitario lo indica la riforma del titolo V della Costituzione sulle autonomie  locali. Che la Regione Lazio sia in confusione lo dimostra  il comma  B  dell’art.5 del “piano regionale delle liste d’attesa”,  in cui è prescritto che “le Aziende Sanitarie per accorciare  i tempi d’attesa possono prevedere l’estensione dell’utilizzo  delle apparecchiature della diagnostica per  “immagini” pesanti,  sino ad un massimo di 12 ore lavorative dal lunedì al sabato”. Ma è del tutto evidente (anche questo è scritto nero su bianco) che essendo la Regione commissariata e sottoposta al piano  di rientro, per cui è attivo il blocco del turn over,  l’applicazione di tale misura  sarà difficoltosa. Della serie: ti consento di prolungare l’attività dei macchinari, ma con quali medici sono c… affari tuoi.  

Che le Regioni non   abbiano  alcuna intenzione di mollare l’osso dell’affare sanità è altrettanto chiaro. Il mercimonio che le istituzioni regionali architettano con la sanità privata vale 30 miliardi. Basterebbe fermare questo losco affare per rimettere in  piedi l’intero sistema.  

Ma per altra via  si  apprende anche che un gruppo di giornalisti e politici greci nel 2012 ha presentato alla Corte Penale Internazionale  dell’Aja  una denuncia per sospetti crimini contro l’umanità  ai sensi dell’art.7 dello statuto di Roma della Corte Penale dell’Aja . La denuncia era a  carico del presidente della Commissione europea Barroso, della direttrice del Fondo Monetario Internazionale  Lagarde, del presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, nonché dalla Cancelliera Merkel e del suo ministro delle finanze Schauble.  Tali crimini si configurano in base alle politiche illegali  imposte alla Grecia le cui conseguenze hanno comportato, fra l’altro, la liquidazione della sanità pubblica. 

Un  rapporto uscito a fine febbraio su una delle più autorevoli riviste mediche “Lancet” indica  come,  a causa delle politiche di austerità imposte alla Grecia,  un cittadino ellenico che soffre di cancro non riesce più a procurarsi le medicine necessarie  perché troppo costose. Sono ricomparse, dopo quarant’anni, malaria e tubercolosi. Chi fa uso di droga non dispone più di siringhe sterili distribuite dal sistema sanitario, per cui utilizza più volte la stessa siringa. Risultato: i casi di infezione Hiv rilevati sono passati  dai 15 del 2009 ai 484 del 2012. I suicidi sono aumentati del 45%. 

Anche l’Italia per gli stessi motivi appare avviata sulla medesima strada della Grecia. Da noi i tempi di attesa per le prestazioni mediche si sono allungati perché i medici che vanno in pensione non sono rimpiazzati. Molti rinviano o rinunciano alle cure mediche perché non possono far fronte alla spesa dei ticket  notevolmente aumentata. Chi si reca in un laboratorio convenzionato si sente dire che la tariffa privata costa meno del ticket.   Riassumendo:  le politiche di austerità, gli aggiustamenti, le privatizzazioni imposte agli Staiti membri dai vertici Ue ovvero dalla Troika, stanno infliggendo privazioni insostenibili, a cominciare dall’impossibilità di curarsi.  

Come è evidente la crisi della sanità è una questione estremamente complessa, con una serie di responsabilità che si articolano  su più livelli. Dunque per affrontarla bisogna avere una visone ampia, una salda consapevolezza politica  e preparazione nel merito.  Si può contestare la direttrice Mastrobuono?  E’ legittimo, ma sarebbe molto più produttivo sfruttare l’occasione che la dottoressa ha offerto alle associazioni di partecipare ai processi  conoscitivi di gestione della Asl attraverso il coinvolgimento nella conferenza dei servizi.  Verificare se la disponibilità al perseguimento della legalità attraverso il controllo dei cittadini espressa dalla Mastrobuono,  sia reale, o strumentale al governo  del dissenso.  Per altro verso invece sarebbe giusto e doveroso, chiedere conto con forza e determinazione al Commissario, nonché governatore della Regione Lazio  Zingaretti , del continuo diniego alle proposte di confronto che gli sono state inviate dalle associazioni .  

In questo caso la contestazione è sacrosanta perché fino ad  oggi non è stata attivata alcuna iniziativa per risolvere la questione, anzi, i tagli, il blocco del turn over ,  hanno continuato la loro opera devastatrice, aggiungendosi allo scempio messo in atto da altri governatori responsabili della chiusura di sette ospedali.  

Né può essere meno duro un contrasto alle politiche di austerità imposte dalla Troika, che di fatto hanno estorto ai cittadini europei  un diritto naturale quale quello della sopravvivenza.   Strillare a vanvera senza identificare strategie e obbiettivi di azione e di lotta precisi  non ha alcun senso. Ed è necessario per  le associazioni e i movimenti che hanno intenzione di intraprendere un serio percorso di contrasto al disfacimento della sanità, liberarsi  di certi urlatori beceri mossi dal solo obbiettivo  di creare consenso attorno alla loro paccottiglia  pseudo ideologica fatta di rigurgiti razzisti violenti e discriminatori.

giovedì 13 marzo 2014

L'importante è esagerare

Luciano Granieri.


 Turbo Renzi nella sua schizofrenica ansia da prestazione velocistica si è trovato ieri a dire qualcosa di sinistra. E’ stata una sorpresa per uno che se la fa con i campioni dell’hedge fund e che sconfessa Bobbio sul tema dell’eguaglianza sociale come valore fondante della sinistra. 

Nella sua pirotecnica conferenza stampa, con tanto di slide e  telecomando (roba da ridicolizzare Berlusconi con la sua preistorica lavagna e la scrivania in noce su cui su vergò il patto con gli italiani a suon di un milioni di posti di lavoro) sono venute fuori cose decisamente comuniste.  

Al netto della paraculaggine di intestarsi riforme già proposte dal governo precedente, come il piano casa e il piano scuola, è deflagrato  sulla stampa, in  fremente attesa, il taglio del cuneo fiscale a totale favore dei lavoratori, i quali  secondo il piano illustrato, se hanno un reddito mensile inferiore ai 1.500 euro lordi, si troveranno in busta paga 80 euro. A parziale indennizzo dei poveri imprenditori turbo Renzi ha previsto anche  un taglio del 10% dell’Irap. Il tutto a partire dal 1 maggio, guarda caso la festa dei lavoratori. L’intera operazione dovrebbe costare 10 miliardi di euro. 

Al che uno si chiede: se Letta ha sudato le fatidiche sette camice per racimolare i quattro miliardi e spicci necessari a coprire l’ammanco dell’Imu utilizzata come gentile omaggio alla propaganda dell’allora alleato Berlusconi, come farà Renzi a recuperarne più del doppio?  Facile è l’uovo di Colombo, finanziando parte  dei 10 miliardi in deficit, come Keynes comanda. 

Aumentando il deficit in rapporto al  Pil dal 2,6% attuale al 3%, rimanendo comunque nell'alveo delle prescrizioni delle troika, si  possono racimolare  6 miliarducci tondi tondi. Non solo ma usando i risparmi  per i minori interessi sul debito pubblico, se non lo spread che è calato a fare, è possibile accantonare altre 3 miliardi. 

Per continuare su questa imbriacatura di anticapitalismo il taglio del 10% dell’Irap sarà finanziato dall’aumento dell’aliquota fiscale sulle rendite finanziarie (bot esclusi) dal 20 al 26% per un ricavo di 2,4miliardi. 

Grande Renzi!!!!! Stavolta si che hai messo a tacere i tanto odiati frammenti sparsi  di reduci comunisti. Solo che, non per essere il solito disfattista, mi si dovrebbe spiegare come l’operazione potrà andare il porto  entro il primo maggio. Esiste un decreto legge su tale materia scritto nero su bianco da presentare alle camere per un voto urgente? Non mi pare. E non potrebbe essere diversamente . 

Napolitano è già in fibrillazione per la brutta figura che l’Italia rischia di fare in Europa dopo le sviolinate contabili  di Letta e Monti  , Il ministro  Padoan è in difficoltà, per gli strali che dovrà subire dalla Merkel  e i suoi compagni di merende della troika. Che insulto aumentare il deficit per finanziare misure sociali! Fermi tutti. Non si può fare. Bisogna  prima modificare il Def (documento di economia e finanza)  e per fare ciò:  campa cavallo. 

Neanche il revisore della spending  Cottarelli può venire in aiuto. Dei 7 miliardi ventilati ne può raggranellare solo 3 e mezzo. Vendere le auto blu non è un problema, ma privatizzare i servizi, compreso l’erogazione dell’acqua, alla faccia dei referendari,  e aumentare le tariffe sono operazioni che non si fanno dall’oggi al domani. Dunque caro Matteo, bella l’idea, belle le slide, belle le battute, bello tutto. Ma la vedo dura a concretizzare i colpi di teatro della conferenza di ieri. 

Piuttosto, considerato che ti piace esagerare e visto che una mezza idea ti era venuta, ESAGERA!  Non accontentiamoci del misero 0,4% di aumento deficit/pil, andiamo dai signori della Bce, della Ue e dell’Fmi a dire che il Fiscal Compact , con il quale ci impiccheremo comunque l’anno prossimo, è una misura da strozzini inumana che rifiutiamo con decisione. Sbattiamolo veramente sto’ pugno sul tavolo, per dire che il TFUE, il Mes sono accordi  da cravattari che condannano  mezza  Europa ad un destino di povertà e di stenti. Caro Matteo, esagera, abbi il coraggio di imporre una moratoria del debito e un audit per selezionare e non pagare i debiti contratti con il malaffare finanziario. L’importante è esagerare, ma come tu insegni o si esagera per bene o è meglio lasciar perdere.


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mercoledì 12 marzo 2014

QUANDO L'INGIUSTIZIA SI FA LEGGE, RIBELLARSI È NECESSARIO!

LIBERI TUTTI E LIBERE TUTTE



Assemblea Nazionale dei Movimenti Sociali Contro l’Austerity e la Precarietà

Passano gli anni e i mesi, ma le parole dei governanti di turno che blaterano di un’imminente “uscita dalla crisi” non trovano mai riscontro nella realtà. Al contrario le nostre condizioni di vita peggiorano sotto i colpi di una “crisi” che si rappresenta esclusivamente come strumento d’imposizione di politiche di austerity, di precarietà, di privatizzazioni e di ulteriore devastazione dei territori.
I diktat della Troika, gli interessi delle banche, delle lobby finanziarie, dei potenti vengono oramai imposti, senza nessuna mediazione, da una governance totalmente asservita e screditata, che ora cerca persino di cambiare ulteriormente le regole del cosiddetto “gioco democratico”, per imporre saldamente a tutti e tutte, anche attraverso governi di estrema minoranza, il dominio e lo sfruttamento di pochi sulle nostre vite.
Di contro, in opposizione a tutto questo, tanti fronti di lotta nascono, crescono, si rafforzano, si intrecciano, si alleano e si contaminano tra loro per opporsi radicalmente al dilagare delle logiche di sfruttamento e profitto. In ogni angolo del nostro paese (e non solo), si moltiplicano esperienze di lotta per la casa, il reddito, il salario e i diritti, ci si organizza per difendere il territorio da nocività e devastazioni e al tempo stesso si affinano linguaggi, rivendicazioni e pratiche comuni.
Queste lotte sempre più spesso travalicano coscientemente i limiti angusti della legalità per ribellarsi e liberare “pezzo dopo pezzo” le nostre vite da questa feroce morsa. Sempre più spesso queste lotte e queste forme di illegalità incontrano una repressione accanita e in molti casi preventiva da parte dello stato. Accade per esempio a chi difende la casa da un pignoramento o da uno sfratto, a chi occupa per riconquistare il diritto all’abitare o per aprire un nuovo spazio sociale, a chi blocca la didattica in una scuola o in un’università, a chi lotta per il diritto alla salute, a chi impedisce che il territorio venga massacrato da una nuova speculazione. Accade a chi porta avanti la pratica del picchetto o altre forme di sciopero e di blocco dei flussi produttivi che entrano in contrasto con le norme e con gli accordi esistenti e quindi viene multato, precettato, denunciato o licenziato, come recentemente è accaduto ai lavoratori del trasporto pubblico, agli esternalizzati della ristorazione in sanità, a quelli della logistica, fino ai gravissimi arresti di Bologna. Sempre più spesso, dunque, le questioni sociali e le lotte vengono affrontate come mere questioni di ordine pubblico. Non solo. Chi lotta, chi esprime la propria rabbia e il proprio dissenso incontra una repressione giudiziaria sempre più tagliente e feroce. La mole di processi che si stanno abbattendo sui protagonisti delle lotte sociali in questo paese è impressionante. Come è impressionante il tentativo sempre più frequente di delegittimare le lotte sociali trasformando chi esige diritti in un “criminale estorsore” , in un “delinquente organizzato” o in un pericoloso “terrorista”. Dentro questo quadro, il processo ai compagni/e per i fatti di Genova 2001, il maxi-processo ai NO TAV e il processo per i fatti del 15 Ottobre 2011 rappresentano dei veri e propri laboratori di repressione del dissenso e del conflitto sociale.
La tempistica e le modalità con cui vanno avanti questi processi parlano chiaro e mostrano, infatti, che la questione è tutta di natura politica: in un paese in cui la “giustizia” dei tribunali è tradizionalmente lentissima, in cui guarda caso la criminalità padronale e i misfatti della “casta” vanno quasi sempre incontro alla prescrizione, i processi alle lotte sociali vanno invece avanti a passo di carica paralizzando letteralmente le attività di tribunali come quello di Roma e quello di Torino, con ritmi e una gestione delle udienze che riducono al minimo l’agibilità e il diritto alla difesa. Agli imputati di questi processi sono state inflitte e si vogliono infliggere, attraverso i procedimenti ancora aperti, condanne che hanno dell’incredibile per il loro accanimento e la loro sproporzione: consolidando la “riesumazione” di reati come quello di “devastazione e saccheggio” (direttamente importato dal codice Rocco e sempre più applicato in via ordinaria), o l’accusa di “terrorismo”, si vuole affibbiare condanne che possono arrivare a oltre 10 anni per una vetrina rotta durante un corteo o per il sabotaggio alle macchine di un cantiere.
L’intento, tanto palese da risultare ovvio, è quello di terrorizzare e di annichilire, per mezzo di condanne esemplari, ogni soffio di ribellione e di alternativa allo stato di cose presenti. In particolare, nel giro di pochi mesi, dopo le già pesantissime condanne inflitte con il rito abbreviato, con un processo che rischia di finire sul guinness dei primati per la sua rapidità, si prevede si possa arrivare di nuovo a sentenza per ciò che è accaduto durante la manifestazione del 15 Ottobre del 2011 a Roma, mentre il maxi-processo NO TAV si avvia anch’esso velocemente alla conclusione del primo grado.
Chi è sceso in piazza nelle grandi giornate del 18 e 19 Ottobre scorsi, chi tutti i giorni lotta per conquistare diritti negati, non può accettare che questa concreta minaccia si abbatta sulle lotte e sui movimenti sociali. Le importanti iniziative e manifestazioni che hanno generato e costruito il 19 Ottobre e i numerosi conflitti che ne sono seguiti, infatti, vogliono essere solo l'inizio di un’offensiva destinata ad andare fino in fondo. Per questo, rigettando qualsiasi tentativo di divisione fra buoni e cattivi, riteniamo necessario sviluppare un ragionamento che affronti il tema della repressione del conflitto sociale e del dissenso, costruendo passaggi comuni di riflessione e mobilitazione. Del resto, è oggi necessario affrontare e porre questi temi, per difendere la possibilità di sviluppo dei movimenti e quindi l’idea di una radicale trasformazione dell’esistente. Non dobbiamo vivere la “logica” repressione che si abbatte su chi non si piega e lotta per cambiare come qualcosa di ineluttabile e quindi da subire. Dobbiamo al contrario reagire, affrontando questo tema come elemento necessariamente integrante dei processi di liberazione che vogliamo, sempre con maggiore intensità, alimentare. Reagire alla repressione, dunque, rilanciando. Articolando un ragionamento complessivo che denunci e si contrapponga alle logiche del controllo sociale e che quindi ponga la questione drammatica del carcere come quella dei CIE, delle gabbie che rinchiudono (e a volte uccidono) le vite di tanti precari, abitanti delle periferie, migranti. Il tema delle leggi liberticide, a partire dalla Bossi-Fini ( e Turco Napolitano) e dalla Fini- Giovanardi, che insieme ai provvedimenti speciali colpiscono particolari categorie come i migranti e le tifoserie, criminalizzano comportamenti sociali diffusi e limitano in generale le libertà civili. Il tema della sorveglianza diffusa e della militarizzazione dei territori. Che non dimentichi, affinché non accada ancora, le tante vittime dello stato, torturate e uccise nelle carceri, nelle caserme, nelle strade del nostro paese.
Il movimento NO TAV ha convocato per il 22 Febbraio un’importante giornata di lotta dislocata sul territorio nazionale, per riportare in piazza la solidarietà agli arrestati per terrorismo e rilanciare la lotta contro il Tav e il sistema delle grandi opere. Pensiamo sia doveroso raccogliere questo appello e assumere collettivamente questa giornata, anche come passaggio di costruzione di una mobilitazione nazionale concentrata a Roma.

Prevediamo, quindi, per Venerdì 14 Marzo una giornata di incontro e convegno nazionale e soprattutto, per Sabato 15 Marzo, una MANIFESTAZIONE NAZIONALE che attraversi le strade della capitale. Una mobilitazione che si collegherà politicamente alle iniziative che verranno prodotte nella giornata del 16 Marzo, ad 11 anni di distanza dalla “notte nera di Milano” in cui Dax venne assassinato per mano fascista.

martedì 11 marzo 2014

Servi e serve

Luciano Granieri


Doppia preferenza con due capilista, un maschio e una femmina, in modo che gli elettori possano  votare un candidato donna e un candidato uomo.    Questo è l’unico sistema per assicurare la parità di genere  nella composizione delle Camere.  Guarda caso una tale proposta  era oggetto di un emendamento all’Italicum presentato dal Pd, e  affossato dal Pd con un clamoroso autogol . 

 E’ del tutto evidente che le quote rosa,  e tutte le diverse alchimie oggetto degli emendamenti sulla  parità di genere  bocciati alla Camera , in un  sistema di liste bloccate sono pura ipocrisia.  Il Cavaliere resuscitato  non tollera che qualcuno, o qualcosa, possa  compromettere  la distribuzione dei pani e dei pesci  nei vari collegi che lui e solo lui può e deve decidere.  Il capo, anche se decaduto,anche se prossimo all’assegnazione ai servizi sociali, anche se non ha più il passaporto è sempre il pregiudicato di Arcore. 

I servi e le serve, cioè quel vasto popolo che sottomettendosi a Berlusconi ha vinto al lotto senza giocare, così come ebbe una volta a dire la Santanchè,  è destinato  a piegare la schiena .  Gli sguaiati starnazzi di qualche palmipede in bianco, paladino della parità di genere, sono scaramucce destinate a evaporare in cambio di una sostanziosa offerta del boss.  C’è da giurare che la Ravetto, la Polverini,  e le loro compagne femministe-neoliberiste  riporranno la tunica bianca quando ci sarà da riproporsi per una candidatura.  

Tutta questa manfrina è film già visto fra le truppe cammellata berlusconiane.  Anche dall’altra parte la scenografia, pur se insolita,  non era così inaspettata.  I servi, le serve  ingrossano anche le fila del partito di maggioranza relativa.  Ciò che rimane oscuro e come la sottomissione democratica, sia manifesti in  ossequiosa genuflessione verso  il capo del partito antagonista  che si è sempre schifato. 

Berlusconi aveva ordinato ai suoi di votare contro gli emendamenti sulla parità di genere.  Ma lo stesso ordine è arrivato anche ai servi dell’altra parte dell’emiciclo, con una tecnica più  sottile e ingegnosa .  Era lo stesso Renzi , dopo aver cercato di confondere  le acque facendo finta di concedere ai  propri parlamentari il voto secondo coscienza , a farsi portatore dei desiderata dello statista pregiudicato.  

Come?  Dettando la linea a suon di sms verso i fedelissimi:  Boschi, Lotti e compagnia cantando.  Quegli stessi fedelissimi che si sono poi incaricati di avvertire  e tranquillizzare le truppe forza italiote sul buon andamento dell’operazione.  I capannelli fra Lotti e Santanchè, fra  Boschi e Santanchè,  sono stati una costante  della seduta della Camera di ieri.  

Per cui grazie a Berlusconi che telecomandava Renzi, che telecomandava  i suoi deputati attraverso la Boschi,  la blindatura delle liste bloccate è rimasta intatta, minimamente scalfita dal maldestro attacco di quattro deputate sciamannate   incaponite sulla parità di genere. 

Che Berlusconi potesse disporre a piacimento dei propri servi e delle proprie serve, al di là di qualche intemperanza,  era scontato.  Era meno prevedibili invece che lo stesso Berlusconi potesse disporre di serve e servi anche nel Pd.  Dopo aver ripudiato il comunismo, dopo aver liquidato il socialismo, dopo aver edulcorato il riformismo,  schifato la  cultura dell’eguaglianza propria della sinistra , (vedi la prefazione di Renzi al libro di Bobbio) oggi siamo al rifiuto dell’antiberlusconismo.  

Si  compie così definitivamente il processo di devastazione e disintegrazione di quei valori che pure avevano assicurato al Pd  una certa sopravvivenza nel blocco sociale di rifermento, ormai anche questo in disgregazione.  Dunque ha poco da lamentarsi la Boschi per la parodia che la caratterista Virginia Raffaele gli ha dedicato.  Nella  galleria di personaggi femminili imitati dalla Raffaele quali: Nicole Minetti, Francesca Pascale , Michaela Biancofiore, Maria Elena Boschi entra con pieno diritto e merito.  Come tanti altri del suo partito è serva di un servo di  Berlusconi. 



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Iniziativa delle donne a Cassino .

Comitato ANPI Provincia di Frosinone


Domenica 9 Marzo, nel corso delle iniziative promosse dalle donne di Se non ora, quando? di Cassino, è stato presentato il libro di Lucia Fabi ed Angelino Loffredi “Nord e Sud un cuore solo”, sull’infanzia di Cassino e della Ciociaria salvata dalla solidarietà delle famiglie del Nord Italia nel 1946. Gli autori hanno illustrato il loro lavoro alla presenza di una sala gremita ed attenta fino alla fine dei lavori.
Il libro, pubblicato nel 2011, raccoglie documenti dell’epoca e testimonianze dirette di persone coinvolte, e ricostruisce una pagina nobile quanto sconosciuta della storia italiana. Sconosciuta non certo per crudele casualità o per beffa del destino, ma perché quella pagina straordinaria, all’indomani della Liberazione e delle tragedie della guerra, fu scritta dai comunisti, ed in particolare dalle donne comuniste. Ce n’è quanto basta per far storcere il naso ad ogni risma di benpensanti, di quanti vorrebbero che le differenze fossero derubricate a semplice questione di tattica, e non fossero invece quello che sono, ossia il discrimine fra chi aveva in animo la conquista della libertà e della dignità per tutti e chi era fiero di servire un padrone, meglio se guerriero, purché si potesse illusoriamente ritagliare in quella servitù un angolino di privilegio.
Cassino visse quei nove mesi, e l’ultimo inverno soprattutto, nella miseria più nera, straziata dalla vista di centinaia di innocenti, molti ancora bambini,            dilaniati dopo mesi di fame, di pidocchi, di sporcizia, di abbrutimento totale, ridotti a meno che animali in preda alla paura. Tutto questo non finì con la fine dei combattimenti. Furono le donne, le donne comuniste che avevano da poco finito di combattere la Guerra di Liberazione, le donne del Nord, che o erano state in montagna con gli uomini a combattere contro l’invasore ed i suoi accoliti collaborazionisti, o erano state in trincee ancora più pericolose, ad assistere, a rifornire, ad informare, a nascondere i partigiani in lotta, furono loro a decidere, spesso imponendosi agli uomini, a passare ancora una volta all’azione, pretendendo che il loro partito organizzasse, anche se con le difficoltà che oggi non riusciamo nemmeno ad immaginare, la solidarietà militante, trasportando i bambini denutriti e seminudi in zone più favorevoli, accogliendoli nelle case dei militanti, nutrendoli e restituendo loro la dignità che a Cassino non avrebbero avuto per molto tempo ancora.
Le donne ricordano oggi le loro madri, le loro nonne, raccolgono il loro insegnamento e lo offrono alla Città Martire.

L’ANPI è grata a queste donne per l’invito rivoltole, ed ha partecipato con diversi iscritti presenti e con un  accorato intervento del presidente provinciale. Siamo grati alle donne di Se non ora, quando? per aver donato alla Città le loro riflessioni, la loro sensibilità civile, la loro esperienza partecipativa, ed auguriamo di rinnovare le occasioni di collaborazione nella battaglia senza fine della dignità.

Video a cura di Luciano Granieri.
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La storia di cinque ragazzi di Hares

http://haresboys.wordpress.com/

Questo sito è dedicato a cinque ragazzi: Mohammed SuleimanAmmar Souf,Mohammed KleibTamer Souf e Ali Shamlawi, detenuti nelle prigioni Israeliane con 25 capi d’accusa per tentato omicidio basati sul presunto lancio di pietre, senza che vi sia alcuna prova. I ragazzi sono considerati dei terroristi senza che un’inchiesta obiettiva sia stata condotta. Prima ancora che “confessassero” sotto tortura di aver lanciato le pietre, imedia israeliani li hanno additati come colpevoli.
L’ordinamento giudiziario militare israeliano, che condanna i bambini palestinesi al 99,7% e che farebbe impallidire di invidia i peggiori regimi totalitari del ventesimo secolo, ha negato a questi ragazzi qualsiasi forma di giustizia. Tu, come essere umano dotato di una coscienza, hai il diritto di conoscere i crimini commessi da un sistema brutale e discriminatorio come l’ordinamento giudiziario militare israeliano. I ragazzi di Hares hanno il diritto di vivere la loro giovinezza senza che il regime gliela tolga con un processo montato ad opera d’arte.
Se sei un giornalista, un citizenjournalist, un blogger, una madre, un padre o anche tu stesso un giovane, e vuoi batterti per i ragazzi di Hares, per favore, diffondi le informazioni in questo sito nella tua cerchia sociale, il più diffusamente possibile. E, ancor più importante, per favore leggi la nostra pagina “che cosa puoi fare”, e agisci.
Se vuoi prendere parte alla nostra campagna, questo è il nostro indirizzo email: haresboys@gmail.com. Grazie.
Il nostro mondo può diventare un mondo migliore per tutti solamente se staremo dalla parte del DIRITTO.


L’incidente in macchina
Intorno alle 18:30 di giovedì 14 marzo 2013, una macchina si è schiantata contro il retro di un camion mentre percorreva la Strada 5, nel governato di Salfit, territori palestinesi occupati. La donna al volante della macchina e le sue tre figlie sono rimaste ferite, una delle quali ha riportato lesioni gravi. Al momento dell’incidente la conducente, AdvaBiton, stava tornando nell’insediamento illegale di Yakir. La donna ha in seguito dichiarato che l’incidente è avvenuto a causa del lancio di pietre contro la macchina da parte di alcuni ragazzi palestinesi. L’autista del camion ha in un primo momento dichiarato di aver sbandato a causa di una ruota a terra, ma ha poi ritrattato dicendo di aver visto delle pietre sulla strada. L’incidente non ha avuto testimoni. Nessuno ha visto bambini o ragazzi lanciare pietre.
Gli arresti
Nelle prime ore di venerdì 14 marzo 2013, alcuni soldati israeliani incappucciati con dei cani da combattimento, hanno invaso il villaggio di Hares, vicino alla Strada 5. Più di 50 soldati hanno sfondato le porte di alcune case del villaggio, chiedendo alle famiglie dove fossero i loro figli adolescenti. Dieci ragazzi sono stati arrestati quella notte, bendati, ammanettati e condotti in una destinazione sconosciuta. Alle famiglie non è stata resa nota la ragione dell’arresto dei loro figli.
Due giorni più tardi è stata compiuta una seconda ondata di arresti violenti. Attorno alle tre del mattino, l’esercito israeliano, accompagnato dallo Shabak (il servizio segreto israeliano), ha fatto irruzione nelle case di tre adolescenti palestinesi. Alcuni fogli riportavano i loro nomi in ebraico. Dopo aver obbligato tutti i membri della famiglia ad entrare in una stanza senza telefoni così che non potessero chiamare aiuto, i soldati israeliani hanno interrogato i presenti interrogati e ammanettato i ragazzi, tutti tra i 16 e i 17 anni.
“Bacia tua madre e dille addio”, ha dettoun agente dello Shabak a uno dei ragazzi, “potresti non vederla più”.
Una settimana dopo, le jeep israeliane hanno fatto nuovamente irruzione nel villaggio e hanno arrestato alcuni adolescenti di ritorno da scuola. I soldati hanno allineato i ragazzi, tra cui un bambino di 6 anni, e con una pistola hanno minacciato loro zio, il quale chiedeva che almeno il più piccolo fosse rilasciato. I soldati hanno poi selezionato tre di loro, li hanno ammanettati, bendati e portati via. Alle famiglie non è stata data alcuna informazione sulla destinazione o sulle accuse rivolte ai loro figli.
In totale, 19 ragazzi dai villaggi di Hares e di KiflHares sono stati arrestati perché accusati di aver provocato l’incidente stradale. Nessuno di loro era stato precedentemente implicato in episodi legati al lancio di pietre. Dopo brutali interrogatori, la maggior parte dei minori sono stati rilasciati, mentre cinque di loro sono rimasti nel carcere israeliano di Megiddo, un centro di detenzione per adulti.
Questi sono i Ragazzi di Hares.
L’interrogatorio
I ragazzi arrestati sono stati vittime di una serie di abusi e maltrattamenti che possono essere considerati come tortura. Dal momento della detenzione, sono stati posti in celle di isolamento per de settimane. Uno dei ragazzi rilasciati ha descritto la sua cella: un buco senza finestre lungo un metro e largo due; non c’erano materassi o delle coperte per dormire; il bagno era sporco; le sei luci erano lasciate costantemente accese, facendo in modo che il ragazzo perdesse cognizione del passare del tempo; il cibo lo faceva star male. Al ragazzo è stato negato un avvocato; è stato interrogato brutalmente tre volte in tre giorni e poi rilasciato in seguito all’assoluzione ottenuta nel processo.
Altri ragazzi hanno raccontato ai loro avvocati di aver ricevuto trattamenti simili. Hanno “confessato” di aver lanciato delle pietre dopo essere stati ripetutamente sottoposti ad abusi in prigione e durante gli interrogatori.
Le accuse
Sui cinque ragazzi di Hares pendono 25 capi d’accusa, tutti per tentato omicidio, apparentemente uno per ogni pietra lanciata. L’accusa insiste nel dire che i ragazzi “intendevano uccidere” coscientemente e chiede il massimo della pena: 25 anni di prigione. Il caso si basa sulla “confessione” rilasciata dai ragazzi sotto tortura e sulle dichiarazioni di 61 “testimoni”, alcuni dei quali dichiarano di aver subito danni alle loro auto mentre percorrevano la Strada 5.
Queste dichiarazioni sono apparse solo dopo la grande attenzione dei media per l’incidente, definito un “atto terroristico”. Il Primo Ministro israeliano, Benyamin Natanyahu ha commentato l’arresto dei ragazzi dicendo “abbiamo preso i terroristi che hanno compiuto quest’atto”. Tra i “testimoni” ci sono agenti di polizia e dello Shabak, non presenti al momento dell’incidente. Non è chiaro se i 61 “testimoni” siano stati interrogati attentamente, se le loro dichiarazioni siano state messe a confronto con la registrazione a circuito chiuso o con il registro di ammissione dell’ospedale. Non è chiaro neanche se il  presunto danneggiamento delle auto sia stato fotografato o documentato in altro modo. Queste informazioni non sono state rese disponibili neanche ai legali dei ragazzi.
Le implicazioni
La condanna dei ragazzi creerebbe un precedente che permetterebbe all’ordinamento militare israeliano di condannare bambini o ragazzi palestinesi per tentato omicidio in caso di lancio di pietre. I ragazzi hanno adesso 16-17 anni. Se condannati, i ragazzi torneranno dalle loro famiglie solo all’età di 41 anni, nella migliore delle ipotesi. Cinque vite rovinate senza alcuna prova della loro colpevolezza sono un insulto ai principi comuni di giustizia umana.

Percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana

http://www.oltreloccidente.org/



Percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana”
Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, è subordinato al superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Lo si può evitare con la frequentazione gratuita di un corso di lingua italiana presso i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti o presso i corsi che dal 10 marzo Casa dei Diritti Sociali, con il supporto delle associazioni Oltre l’Occidente e La Lanterna offrono sino al 15 giugno.
I corsi sono funzionali AL CONSEGUIMENTO DEI LIVELLI A1 E A2 SENZA IL TEST, necessari per la documentazione per la permanenza sul territorio a parte del cittadino straniero. I corsi sono di 100 e 80 ore a seconda del livello e si terranno a Frosinone e Arce.

E’ previsto il babysitteraggio, aiuto a tenere i bambini durante le ore di lezione, e un parziale rimborso per i titoli di viaggio.

SULLA NEONATA LISTA “L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS”

Claudio Portici   http://anticapitalista.org/

La lista “L’Altra Europa con Tsipras” è infine nata con la presentazione delle 73 candidature suddivise nelle cinque circoscrizioni elettorali delle elezioni europee.
I nomi della lista corrispondono all’impostazione politica e al profilo che il comitato dei garanti aveva avanzato: il rigetto di una linea politica supina alle politiche liberiste dell’attuale Unione Europea e alle forze bipartisan che la gestiscono, mantenendo però un profilo europeista (l’altra Europa da costruire) e il rifiuto non meno netto di un ripiegamento nazionalista.  Non è una proposta strategica anticapitalista, ma un rispettabile orientamento politico alternativo che mette l’accento sulla democrazia e sull’umanesimo; si tratta di una linea di modifica radicale degli assetti europei caratterizzata da una forte spinta riformista neokeynesiana contro il pensieromainstream dominante, di cui l’ultima espressione in Italia è il nuovo presidente del Consiglio.
Le teste di lista e i garanti che guidano questo progetto elettorale rappresentano bene l’orientamento politico richiamato ed anche le ambiguità possibili di rapporto con le forze politiche socialiberiste, espresse chiaramente da uno dei referenti forti della lista, Vendola, quando afferma che bisogna essere “nella terra di mezzo” tra Schultz e Tsipras: affermazione che non costituisce una grande invenzione strategica, ma una delle tante coperture “narrative” dell’opportunismo del capo di Sel.
La composizione della lista che ha visto alcuni passaggi difficili ed anche un voto a maggioranza nel comitato dei garanti risulta ineccepibile nella composizione di genere; è fortemente caratterizzata da giornalisti, intellettuali e professori di indubbio valore, esprime soggetti che si sono fortemente investiti in battaglie per i beni comuni, a partire dalla campagna sull’acqua, ma non solo e che vogliono rappresentare i territori. Resta debole, molto debole la presenza dei lavoratori, circoscritta in larga parte ad alcuni esponenti metalmeccanici, mentre credo sarebbe stato giusto dare una rappresentanza più ampia agli esponenti diretti della classe lavoratrice, compreso anche al lavoro pubblico non meno sotto attacco, a partire dai servizi e dalla sanità. Dispiace, in proposito, che nessuna delle due candidature operaie avanzate dall’assemblea di Brescia abbia trovato posto nella circoscrizione Nord ovest.
Il nodo centrale è proprio la condizione della classe lavoratrice; la risposta alle politiche dell’austerità ruota intorno alla difesa dei suoi diritti, del salario, dell’occupazione e la riattivazione della classe resta essenziale per poter sconfiggere le politiche liberiste che la lista Tsipras vuole combattere.
I principali partiti che la sostengono, segnatamente SEL, Rifondazione, ma anche Alba, hanno avuto i loro riconoscimenti; non ha invece ottenuto alcun candidato il PdCI e forse pour cause, considerato la sua attività e ruolo nel paese. Anche il gruppo dirigente della Fiom ha espresso i suoi rappresentanti.
Si è molto discusso sulle modalità di decisione della lista, che è nei fatti di coalizione, e sulla scelta molto discutibile dei garanti di sussumere (per diritto divino?) su di loro ogni determinazione alla luce delle cattive esperienze del passato. Premesso che non esiste la soluzione perfetta, (non lo era certo quella dei segretari di partito che hanno deciso la lista Ingroia), e tanto meno che sia evitabile una trattativa intensa più o meno segreta tra i principali protagonisti e i garanti, che naturalmente c’è stata, lascia però perplessi che le duecento candidature avanzate non abbiano avuto una particolare rilevanza pubblica. Essa avrebbe permesso di giudicare e valutare anche meglio la coerenza delle decisioni che sono state infine prese dai garanti.
Ora comincia però il gioco reale che ha il suo primo tempo nella raccolta delle firme, molto onerosa e difficile, una delle tante leggi che oggi rendono impervia non solo l’elezione di rappresentanti della sinistra nelle istituzioni, ma la stessa partecipazione (in Francia una lista per presentarsi alle Europee deve depositare la spropositata cifra di un milione di euro) alla competizione elettorale.
Sarà buona cosa per tutti se le firme necessarie saranno raccolte e sarà così garantito un fondamentale diritto democratico.
Sul piano politico sarà compito della lista dimostrare di essere capace di portare ad una platea molto larga proposte chiare ed alternative alle politiche dell’austerità, a trasmettere a settori popolari più ampi un messaggio di speranza e diverso nei contenuti rispetto alle ideologie liberiste e reazionarie dominanti e a conquistarsi quindi anche un significativo voto delle elettrici e degli elettori.
E’ su questa base che nelle prossime settimane formuleremo anche una più precisa indicazione di voto.
Infatti, pur non avendo aderito alla lista per le ambiguità prima richiamate, manteniamo però un’attenzione particolare a quanto essa esprimerà e produrrà ed una dialogo politico aperto con tutte e tutti quelle/i che la sostengono.
Sinistra Anticapitalista svilupperà una sua specifica campagna elettorale europea, con un’impostazione di fondo anticapitalista e internazionalista, incentrata contro le politiche dell’austerità, contro l’Europa del Fiscal compact, per l’unità delle lotte delle lavoratrici dei lavoratori, per la costruzione di un’altra Europa.
Soprattutto vogliamo mettere l’accento e l’attenzione sulla costruzione di una mobilitazione concreta contro le misure del governo e contro i ricatti delle politiche dell’Unione europea: decisiva infatti, come sempre sarà la capacità di lotta per i propri obiettivi della classe lavoratrice, sconfiggendo anche le subalternità e le complicità delle burocrazie sindacali alle scelte padronali.
Per questo nel quadro della campagna politica assume un particolare rilievo l’organizzazione della manifestazione che le forze politiche anticapitaliste, il sindacalismo di classe e diversi movimenti sociali stanno organizzando per il 12 aprile a Roma contro le politiche dell’austerità.
Il 12 e 13 aprile sono anche le due giornate di mobilitazione che in Francia sono state indette dal Front de Gauche e dall’NPA sulla base di un piattaforma comune contro il neofascismo del FN di Le Pen. Giornate che possono vedere una rinnovata iniziativa internazionalista della sinistra di classe nei due paesi in stretto rapporto con le lotte che in tutti i paesi europei si manifestano a partire naturalmente dalla Grecia.
E domenica 13 aprile Sinistra Anticapitalista organizzerà a Roma unmeeting anticapitalista e internazionalista con la partecipazione di compagni francesi, greci e dello Stato spagnolo.

lunedì 10 marzo 2014

Intervista a Julián Isaías Rodríguez Díaz, Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia

fonte: Resistenza n.3  - 2014

Dal mese di febbraio gli imperialisti USA hanno lanciato un’operazione di destabilizzazione per arrivare a un colpo di Stato (come nel 2002 contro il presidente Chavez). Quali sono le principali forze su cui fanno leva all’interno del paese?
Tentativi di questo genere ce ne sono stati anche prima. Già nel ’98 e prima, successivamente si sono concretizzati in un colpo di Stato nel 2002, una serrata del settore petrolifero nel 2003, e, in sequenza, azioni esattamente uguali a queste sono state messe in atto nel 2004, nel 2005 e nel 2007. Non è certo la prima volta che in Venezuela ci troviamo in una situazione di questo tipo. Questi avvenimenti sono parte di ciò che è stato definito “golpe morbido”. Una variante della guerra di quarta generazione, con la quale gli USA inizialmente non si mostrano, non si intromettono in maniera diretta, come è avvenuto in Cile. Agiscono disarticolando la società per generare il caos e in maniera che venga attribuita la responsabilità al governo venezuelano e, successivamente, attraverso i mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali, manipolano i fatti, ingigantendo e amplificando ciò che sta avvenendo.

In Venezuela in questo momento ci troviamo in una situazione economica difficile e complessa proprio a causa dei fatti di cui sopra, e che ancora oggi accadono. In Venezuela andiamo a dormire con il nemico, ci conviviamo. È una situazione diversa da quella che vive Cuba e che hanno vissuto altri paesi che hanno provato a costruire una società alternativa. Come accade in Bolivia, in Ecuador, o nello stesso Brasile, questa strategia di destabilizzazione il Venezuela la sta vivendo da molto tempo. Non si tratta semplicemente di un problema di ordine economico. È un problema inerente al fatto che c’è chi non vuole che esista alcun riferimento alla costruzione di un sistema diverso dal capitalismo. Noi siamo questo riferimento, continueremo ad esserlo e siamo assolutamente certi che il popolo venezuelano, i cittadini venezuelani che hanno sconfitto la reazione 17 volte nelle ultime 18 elezioni, faranno fallire i tentativi di destabilizzazione. 


Possiamo dire che questa operazione è il segno che il tentativo delle forze reazionarie interne di rovesciare il governo bolivariano per via elettorale è andato a vuoto? I risultati delle elezioni amministrative dell’8 dicembre scorso da questo punto di vista parlano chiaro…
Nella domanda è già insita la risposta. Come dicevo, in Venezuela in 18 elezioni il processo popolare rivoluzionario si è imposto per ben 17 volte. Le ultime tre sono state chiare: Capriles perde con Chávez, Capriles perde con Maduro e, successivamente, con le elezioni municipali, la differenza tra le forze rivoluzionarie e l’opposizione è superiore ad un milione di voti garantendoci la vittoria nel 71% dei municipi. Questo ha fatto pensare, non all’opposizione venezuelana, ma a coloro che la animano, a coloro che la utilizzano, che non c’è alcuna possibilità di imporsi con le elezioni e la democrazia.
L’imperialismo, il fascismo non si fanno problemi nell’inventare qualsiasi cosa che non sia democratica, elettorale e pacifica per prendere il potere.  È per loro fondamentale mantenere il potere per continuare a tenere in piedi le relazioni capitaliste appoggiando tutte le azioni utili ad allargare il dominio dell’imperialismo neoliberista. Se per fare ciò hanno bisogno di ricorrere alla violenza fascista, lo fanno… e abbiamo già diversi esempi: il più recente è quello dell’Ucraina, ma prima c’è stato l’attacco contro la Siria e quello contro l’Egitto, nulla di nuovo quindi. Specialmente nei paesi produttori di petrolio: non in Arabia Saudita né in Qatar, ma in quei paesi che possono offrire una resistenza all’imperialismo e che possono in qualche modo offrire un’immagine di rinnovamento della società in funzione di una maggiore giustizia e uguaglianza. 
Da noi i giornali che non hanno collaborato alla campagna di disinformazione e diversione made in USA hanno principalmente denunciato l’operato delle squadre fasciste e la falsità delle notizie (e delle immagini!) partite dalla CNN. Noi vorremmo concentrarci sull’azione che il governo sta conducendo per continuare la rivoluzione bolivariana e avanzare verso il socialismo. Recentemente infatti il presidente Maduro ha annunciato un piano in 4 punti: 1. lotta alla speculazione sui prezzi nel commercio al minuto, 2. lotta contro l’insicurezza e la criminalità diffusa con interventi per creare posti di lavoro, 3. lotta per rafforzare le amministrazioni locali (comunali), 4. lotta contro la cospirazione. Quali sono le forze mobilitate per attuarlo e i risultati a oggi raggiunti?
La lotta contro l’insicurezza, contro la speculazione, contro l’irreperibilità dei prodotti, è una lotta che stiamo portando avanti da molti anni e che negli ultimi tempi si sta approfondendo. E’ una lotta permanente, perché uno dei modi per destabilizzare il nostro processo rivoluzionario da parte di questo nemico con cui andiamo a dormire, che abbiamo in casa, è provocare l’irreperibilità dei prodotti attraverso il controllo del commercio, quello che ancora sta nelle loro mani, e della produzione di alcuni beni di prima necessità e materie prime, che ancora conservano, per mettere in difficoltà il governo. Per arginare questa situazione stiamo agendo in maniera creativa [ndt: il riferimento implicito è alla frase di Simón Rodríguez “o inventamos, o erramos”, che può essere tradotta con “se non siamo creativi, commettiamo un errore”]. Stiamo dando una risposta nuova, promuovendo la mobilitazione popolare, delle donne, degli anziani, dei diversamente abili, dei lavoratori dell’industria petrolifera, affinché il Paese prenda coscienza che la sua forza fondamentale, pacificamente, sta nella mobilitazione di massa per dare sostegno al governo. E affinché il governo si esprima con forza con la voce delle comunità, pacificamente e nel migliore dei modi, con l’obiettivo di disarticolare le manifestazioni violente del fascismo. La violenza di coloro che vogliono trascinare nel caos e nel disordine la nostra società per generare eventuali scontri con il governo e quindi dimostrare che il governo è repressivo e che bisogna liberarsene con ogni mezzo, anche in maniera non democratica. Alla luce del fatto che non sono riusciti a raggiungere questo obiettivo, rimane solo la carta del golpe e dell’intervento esterno di terzi. Nel paese sono già sconfitti, sanno di non avere alcuna possibilità elettorale e nessuna possibilità democratica di imporsi e stanno intraprendendo forme non democratiche per arrivare al potere. Ma questo meccanismo non darà loro alcun risultato.
Il governo sta affrontando le questioni economiche, della giustizia, dell’occupazione, della sanità, abitative e dell’educazione. La Rivoluzione non si è mai fermata e possiamo vantare, di fronte al mondo, cifre e statistiche grazie alle quali la nostra Rivoluzione, agli occhi del mondo, non è solo una parola, ma conta su conquiste, fatti concreti, progressi sociali che danno profonda dignità alla società venezuelana. Ci sono meno poveri e ci sono molti più studenti di prima, siamo al quinto posto nel mondo per numero di nuovi iscritti all’Università. La popolazione del Venezuela è giovane, con una età media di 35 anni, e questa popolazione aspira ad un futuro migliore, come si è visto nelle elezioni: nell’ultima tornata elettorale il rapporto tra maggioranza e opposizione si è attestato al 60% contro il 40%.
Siamo perfettamente coscienti che tutto ciò è un riferimento mondiale nella lotta contro il capitalismo. 
Che dimensioni ha la classe operaia di fabbrica in Venezuela? come è organizzata? che orientamento e che ruolo ha nell’attuazione del piano in 4 punti?
Facevo prima riferimento al fatto che una delle mobilitazioni di appoggio al Governo rivoluzionario è stata una manifestazione di migliaia di lavoratori dell’industria del petrolio a Caracas. Una manifestazione così non c’era mai stata prima in Venezuela, una manifestazione dei soli lavoratori del settore petrolifero che sono scesi in piazza per sostenere pacificamente Maduro. La classe operaia si organizza in sindacati, ci sono centrali operaie nazionali, esistono diverse organizzazioni sindacali e reti sociali. Indubbiamente, con il processo rivoluzionario i più favoriti sono stati i lavoratori: c’è più lavoro, ci sono salari migliori, abbiamo il salario minimo più alto dell’America latina. Ci sono diverse opportunità per i figli dei lavoratori, opportunità di educazione e di formazione, ci sono opportunità di studio per gli stessi lavoratori: la giornata lavorativa è stata ridotta, i lavoratori hanno molto più tempo libero, hanno più tempo a disposizione per la formazione intellettuale, accademica, pratica, spirituale. Soprattutto esiste la certezza che la società marcia verso l’uguaglianza dei cittadini, marcia per dare risposte ai problemi di chi ha meno e fra questi ci sono i lavoratori. Non è un caso che la campagna di destabilizzazione si sia basata sulla categoria degli “studenti”, in nessun caso hanno provato a coinvolgere i lavoratori. Questo indica che i lavoratori sono parte fondamentale del processo rivoluzionario. 
Nel 2002, all’epoca del colpo di Stato contro il governo del presidente Chavez, il grosso delle Forze Armate venezuelane rimase fedele alla Costituzione e alla rivoluzione. Qual è attualmente il loro orientamento?
Una delle cose interessanti delle Forze Armate venezuelane è che rappresentano le uniche Forze Armate dell’America latina di estrazione popolare. La maggior parte delle caste che si sono formate in America latina tra le FA viene dall’élite della società, dell’aristocrazia sociale, invece in Venezuela proviene dal popolo e questo fa sì che abbiano una visione del paese molto più aderente e reale, con maggiore senso di responsabilità rispetto ad altre dell’America latina. Inoltre abbiamo avuto anche un altro elemento importante, con il Presidente Chávez, che proviene dalle fila delle Forze Armate con un’estrazione popolare: un contadino, un uomo di famiglia molto povera che è arrivato ad essere un comandante delle FA ed è arrivato ad essere Presidente della Repubblica uscendo da una caserma. Questo ha generato nelle FA una visione che noi chiamiamo “civico-militare”, che mette insieme l’elemento civile e militare con l’obiettivo di costruire il Paese. Uniti per costruire il Paese. In nessun altro Paese si è verificata una situazione di questo genere, ed è qualcosa che difficilmente può accadere dove le FA non hanno un’estrazione popolare. Inoltre hanno anche una maggiore coscienza politica. Il militare non è solo colui che ha come missione la difesa dello Stato, ma piuttosto la difesa della società. Questa difesa della società si articola in azioni che non sono necessariamente di guerra, ma in azioni con le quali i militari partecipano al lavoro civile con l’obiettivo di dare senso, formazione e conquiste alla società rivoluzionaria. I nostri soldati partecipano permanentemente alle attività per far fronte al problema degli approvvigionamenti alimentari, alla lotta al contrabbando, per evitare che gli alimenti vengano contrabbandati fuori dal paese. Trasporto, educazione, salute: i militari partecipano a tutte queste attività che sono attività civili. Ma l’aspetto più importante, che noi consideriamo imprescindibile, è che i militari sono strettamente legati al concetto di sovranità del nostro paese: per loro la cosa più importante è che il nostro paese sia un paese sovrano (concetto fondamentale di qualsiasi forza armata che sia tale), integrando a questo l’idea della società, della propria famiglia, dei propri fratelli, e facendo proprie le idee dei libertadores. Le nostre FA sono forze liberatrici, per liberare il nostro paese dall’oppressione. 
Sempre nel 2002, la gerarchia ecclesiastica (in particolare l’allora vescovo di Caracas Velasco Garcia) ebbe una parte importante nel colpo di Stato. Che forza ha la gerarchia ecclesiastica in Venezuela? qual è oggi il suo atteggiamento?
Esistono due Chiese. Quella dall’alto e quella dal basso. Quella che dirige la Chiesa e quella che milita, che partecipa alla Chiesa. Quella che partecipa alla Chiesa con contenuto popolare, non sarà mai domata né addomesticata da questa gerarchia ecclesiastica. Questa gerarchia ecclesiastica risponde agli interessi fondamentali di dominazione, ma coloro che stanno in basso, i dominati, sanno che devono liberarsi di questi gerarchi e sanno che devono liberarsi da questi elementi di dominazione. La Chiesa in Venezuela ha sempre giocato un ruolo determinante contro la liberazione. Nell’epoca di Bolívar la Chiesa provò a frenare l’emancipazione del Venezuela e in tutte le altre occasioni la Chiesa, per quanto concerne la sua gerarchia, è stata una Chiesa assolutamente conservatrice. Oggi continua ad avere lo stesso ruolo. Ma, insisto, esistono due Chiese: una cosa sono quelli che la dirigono e altro sono coloro che partecipano alla Chiesa. Chi partecipa alla Chiesa non necessariamente si identifica con i cardinali, con i vescovi. Inoltre ci sono molti sacerdoti in America latina che fanno ancora parte della Teologia della Liberazione e sono impegnati in un’interessante attività al fine di usare lo strumento della religione per unirsi al popolo e organizzare nelle fila del popolo una forza di liberazione.  
Ringraziamo Ciro Brescia, redattore di ALBAinFormazione - per l'amicizia e la solidarietà tra i popoli, che ha curato la traduzione dell’intervista.