Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 11 marzo 2014

La storia di cinque ragazzi di Hares

http://haresboys.wordpress.com/

Questo sito è dedicato a cinque ragazzi: Mohammed SuleimanAmmar Souf,Mohammed KleibTamer Souf e Ali Shamlawi, detenuti nelle prigioni Israeliane con 25 capi d’accusa per tentato omicidio basati sul presunto lancio di pietre, senza che vi sia alcuna prova. I ragazzi sono considerati dei terroristi senza che un’inchiesta obiettiva sia stata condotta. Prima ancora che “confessassero” sotto tortura di aver lanciato le pietre, imedia israeliani li hanno additati come colpevoli.
L’ordinamento giudiziario militare israeliano, che condanna i bambini palestinesi al 99,7% e che farebbe impallidire di invidia i peggiori regimi totalitari del ventesimo secolo, ha negato a questi ragazzi qualsiasi forma di giustizia. Tu, come essere umano dotato di una coscienza, hai il diritto di conoscere i crimini commessi da un sistema brutale e discriminatorio come l’ordinamento giudiziario militare israeliano. I ragazzi di Hares hanno il diritto di vivere la loro giovinezza senza che il regime gliela tolga con un processo montato ad opera d’arte.
Se sei un giornalista, un citizenjournalist, un blogger, una madre, un padre o anche tu stesso un giovane, e vuoi batterti per i ragazzi di Hares, per favore, diffondi le informazioni in questo sito nella tua cerchia sociale, il più diffusamente possibile. E, ancor più importante, per favore leggi la nostra pagina “che cosa puoi fare”, e agisci.
Se vuoi prendere parte alla nostra campagna, questo è il nostro indirizzo email: haresboys@gmail.com. Grazie.
Il nostro mondo può diventare un mondo migliore per tutti solamente se staremo dalla parte del DIRITTO.


L’incidente in macchina
Intorno alle 18:30 di giovedì 14 marzo 2013, una macchina si è schiantata contro il retro di un camion mentre percorreva la Strada 5, nel governato di Salfit, territori palestinesi occupati. La donna al volante della macchina e le sue tre figlie sono rimaste ferite, una delle quali ha riportato lesioni gravi. Al momento dell’incidente la conducente, AdvaBiton, stava tornando nell’insediamento illegale di Yakir. La donna ha in seguito dichiarato che l’incidente è avvenuto a causa del lancio di pietre contro la macchina da parte di alcuni ragazzi palestinesi. L’autista del camion ha in un primo momento dichiarato di aver sbandato a causa di una ruota a terra, ma ha poi ritrattato dicendo di aver visto delle pietre sulla strada. L’incidente non ha avuto testimoni. Nessuno ha visto bambini o ragazzi lanciare pietre.
Gli arresti
Nelle prime ore di venerdì 14 marzo 2013, alcuni soldati israeliani incappucciati con dei cani da combattimento, hanno invaso il villaggio di Hares, vicino alla Strada 5. Più di 50 soldati hanno sfondato le porte di alcune case del villaggio, chiedendo alle famiglie dove fossero i loro figli adolescenti. Dieci ragazzi sono stati arrestati quella notte, bendati, ammanettati e condotti in una destinazione sconosciuta. Alle famiglie non è stata resa nota la ragione dell’arresto dei loro figli.
Due giorni più tardi è stata compiuta una seconda ondata di arresti violenti. Attorno alle tre del mattino, l’esercito israeliano, accompagnato dallo Shabak (il servizio segreto israeliano), ha fatto irruzione nelle case di tre adolescenti palestinesi. Alcuni fogli riportavano i loro nomi in ebraico. Dopo aver obbligato tutti i membri della famiglia ad entrare in una stanza senza telefoni così che non potessero chiamare aiuto, i soldati israeliani hanno interrogato i presenti interrogati e ammanettato i ragazzi, tutti tra i 16 e i 17 anni.
“Bacia tua madre e dille addio”, ha dettoun agente dello Shabak a uno dei ragazzi, “potresti non vederla più”.
Una settimana dopo, le jeep israeliane hanno fatto nuovamente irruzione nel villaggio e hanno arrestato alcuni adolescenti di ritorno da scuola. I soldati hanno allineato i ragazzi, tra cui un bambino di 6 anni, e con una pistola hanno minacciato loro zio, il quale chiedeva che almeno il più piccolo fosse rilasciato. I soldati hanno poi selezionato tre di loro, li hanno ammanettati, bendati e portati via. Alle famiglie non è stata data alcuna informazione sulla destinazione o sulle accuse rivolte ai loro figli.
In totale, 19 ragazzi dai villaggi di Hares e di KiflHares sono stati arrestati perché accusati di aver provocato l’incidente stradale. Nessuno di loro era stato precedentemente implicato in episodi legati al lancio di pietre. Dopo brutali interrogatori, la maggior parte dei minori sono stati rilasciati, mentre cinque di loro sono rimasti nel carcere israeliano di Megiddo, un centro di detenzione per adulti.
Questi sono i Ragazzi di Hares.
L’interrogatorio
I ragazzi arrestati sono stati vittime di una serie di abusi e maltrattamenti che possono essere considerati come tortura. Dal momento della detenzione, sono stati posti in celle di isolamento per de settimane. Uno dei ragazzi rilasciati ha descritto la sua cella: un buco senza finestre lungo un metro e largo due; non c’erano materassi o delle coperte per dormire; il bagno era sporco; le sei luci erano lasciate costantemente accese, facendo in modo che il ragazzo perdesse cognizione del passare del tempo; il cibo lo faceva star male. Al ragazzo è stato negato un avvocato; è stato interrogato brutalmente tre volte in tre giorni e poi rilasciato in seguito all’assoluzione ottenuta nel processo.
Altri ragazzi hanno raccontato ai loro avvocati di aver ricevuto trattamenti simili. Hanno “confessato” di aver lanciato delle pietre dopo essere stati ripetutamente sottoposti ad abusi in prigione e durante gli interrogatori.
Le accuse
Sui cinque ragazzi di Hares pendono 25 capi d’accusa, tutti per tentato omicidio, apparentemente uno per ogni pietra lanciata. L’accusa insiste nel dire che i ragazzi “intendevano uccidere” coscientemente e chiede il massimo della pena: 25 anni di prigione. Il caso si basa sulla “confessione” rilasciata dai ragazzi sotto tortura e sulle dichiarazioni di 61 “testimoni”, alcuni dei quali dichiarano di aver subito danni alle loro auto mentre percorrevano la Strada 5.
Queste dichiarazioni sono apparse solo dopo la grande attenzione dei media per l’incidente, definito un “atto terroristico”. Il Primo Ministro israeliano, Benyamin Natanyahu ha commentato l’arresto dei ragazzi dicendo “abbiamo preso i terroristi che hanno compiuto quest’atto”. Tra i “testimoni” ci sono agenti di polizia e dello Shabak, non presenti al momento dell’incidente. Non è chiaro se i 61 “testimoni” siano stati interrogati attentamente, se le loro dichiarazioni siano state messe a confronto con la registrazione a circuito chiuso o con il registro di ammissione dell’ospedale. Non è chiaro neanche se il  presunto danneggiamento delle auto sia stato fotografato o documentato in altro modo. Queste informazioni non sono state rese disponibili neanche ai legali dei ragazzi.
Le implicazioni
La condanna dei ragazzi creerebbe un precedente che permetterebbe all’ordinamento militare israeliano di condannare bambini o ragazzi palestinesi per tentato omicidio in caso di lancio di pietre. I ragazzi hanno adesso 16-17 anni. Se condannati, i ragazzi torneranno dalle loro famiglie solo all’età di 41 anni, nella migliore delle ipotesi. Cinque vite rovinate senza alcuna prova della loro colpevolezza sono un insulto ai principi comuni di giustizia umana.

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