Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 30 gennaio 2021

FRANCO CERRI'S B-DAY PER I SUOI 95 ANNI



 Racconta Franco Cerri...

«Eravamo e siamo rimasti diversi» racconta Cerri parlando di Intra, «io sono tonale. Già il be-bop, al primo incontro, mi aveva un po’ frastornato. Figuriamoci il free, un altro mondo. C’era stato un concerto al Lirico, il gruppo di Miles Davis con John Coltrane al sassofono e gli appassionati milanesi si erano divisi. Alcuni ne erano usciti entusiasti, altri poco convinti. Io capivo che si trattava di musica di altissima qualità ma facevo fatica a digerirla, avevo bisogno di tempo. Enrico, invece, assorbiva tutto, si sentiva a suo agio in tutto ciò che ci arrivava di nuovo, come accadeva ad Enrico Rava, a Massimo Urbani, a Giorgio Gaslini e ad altri ancora. Io faccio musica come se scrivessi un racconto, ho bisogno di seguire una certa logica, il free spezza ogni cosa, sconvolge i temi, li disperde in tante schegge; un’operazione molto intellettuale, nella quale non mi ritrovavo. Ciononostante, o forse proprio per questo, le nostre due nature riuscivano a conciliarsi. Sentivo che Enrico a volte doveva tenere a freno la fantasia, così come io cercavo di adeguarmi, mi sentivo demodé e volevo allargare il mio panorama. Eppure le nostre due nature finivano per conciliarsi. E più avanti nel tempo avevamo formato un Quartetto, con Azzolini al basso e Gilberto Cuppini alla batteria, che dura ancora, sia pure cambiando a volte basso e batteria, Lucio Terzano e poi Marco Vaggi, Paolo Pellegatti e Tony Arco. Una sera Cuppini non era arrivato a Lecce. Avevamo pensato di far saltare l’esibizione, poi Enrico aveva detto: suoniamo in Trio, come Art Tatum, come Oscar Peterson e ci eravamo resi conto che anche così la musica funzionava»

TANTI AUGURI AD UN GRANDE DELLA MUSICA JAZZ


giovedì 28 gennaio 2021

Pratiche e atti inqualificabili sul piano politico, morale e storico, si stanno moltiplicando da parte di alte cariche istituzionali cittadine.

 

Frosinone, 28/01/2021



L’ANPI di Frosinone esprime la propria profonda indignazione per il ripetersi di atti, esternazioni e comportamenti da parte di personaggi con alte responsabilità politiche ed amministrative in merito ad argomenti che meriterebbero la più seria considerazione.

Da tempo si susseguono dichiarazioni e fatti concreti che spiegano molto chiaramente quale sia la concezione di questi soggetti del ruolo che ricoprono. Una idea arrogante, padronale del potere che li porta a sbeffeggiare non solo i loro oppositori ma addirittura la storia e le sofferenze di coloro che subirono la ferocia dei carnefici nazisti e fascisti.

Solo negli ultimi giorni, e solo per parlare degli Amministratori di Frosinone, abbiamo assistito a multe indegne comminate a volontari ambientalisti per “affissione abusiva” (mentre non si perde occasione per riempirsi la bocca di ecologismo di maniera, tanto per sembrare alla moda), a spiritosi tentativi di accostamento della pandemia con il concentrazionismo e la “soluzione finale”, all’uso di sedi istituzionali per propaganda di partito (naturalmente neofascista, perché per gli altri vige il regolamento che vieta tutto e le numerose istanze che presentano rimangono inevase al protocollo per anni) fino alla carnevalata del tatuaggio che scimmiotta il dramma dei deportati dei lager. Cos’altro ci aspetta? I cittadini che ci chiamano (perché non tutti si divertono a queste indegne manifestazioni di cinismo) vorrebbero capire. Ma è difficile prevedere fino a che punto il potere possa infischiarsene delle regole e dei valori fondanti una democrazia sostanziale e non solo formale, nell’intento di acquisire consensi a buon mercato.

Siamo convinti che il sindaco di Frosinone, così come il consigliere autore del post infamante e delle successive scuse forse peggiori del post stesso, non avessero l’intenzione di ridicolizzare l vittime dell’Olocausto, ebree o no; anche perché le loro espressioni fanno ritenere che non abbiano nemmeno troppo chiaro di cosa si tratti, visto che ne parlano come si parlerebbe di una scampagnata. Tuttavia il ruolo che ricoprono richiede la massima consapevolezza, la massima serietà, quella “disciplina e onore” scritti nero su bianco nella Costituzione (art. 54, ma il sindaco lo sa). E prendere come un giochino la memoria di ciò che è stato fatto nella civilissima Europa, farsi i numerini sul braccio (o sulla mano, dove si vedono meglio) può aiutare nella degenerazione mediatica della politica, non certo nella consapevolezza del terrore, così ridotto a barzelletta. Sarebbe invece ora, se davvero volessero dimostrare e non solo dichiarare in occasioni rituali, di aderire alla Repubblica che rappresentano ed amministrano, a partire dalla Costituzione sulla quale giurano e dalla Storia che l’ha prodotta, di liberarsi e liberare l’Amministrazione della Città da ingombranti presenze di nostalgici dichiarati che operano indisturbati coltivando nella società l’odio e nelle Istituzioni l’arroganza e l’autoritarismo.

Il Sindaco sa bene che i primi, se non gli unici, a pagare le conseguenze dell’odio razziale e sociale sono i più deboli, i più poveri, quelli che a chiacchiere e genericamente tutti dicono di voler difendere ma che immancabilmente si trovano soli e indifesi di fronte ad ogni genere di difficoltà. Per questo, per l’importanza che ha il ruolo che ricopre, per le aspettative di tutti i cittadini ad essere rappresentati, più che imbrattarsi il polso sarebbe utile a commemorare degnamente le vittime dello sterminio che il Sindaco avviasse serie e concrete politiche di contrasto al razzismo, alla xenofobia, al negazionismo o al riduzionismo, all’esclusione sotto qualsiasi forma e da chiunque praticati. E ci risparmiasse scene disgustose e preoccupanti di sottovalutazione di drammi di cui ancora alcuni sembrano non riuscire ad avere piena coscienza.

L’ANPI non entra nel confronto elettorale e non sponsorizza partiti o coalizioni, fedele al suo ruolo sociale di promozione dei principi costituzionali e della conoscenza della storia che li ha determinati; pertanto per noi non si tratta di questioni di schieramento, se non sui fondamenti democratici e sul rispetto della storia, delle conquiste e delle legittime opinioni. Le nostre preoccupazioni investono fatti e comportamenti che, ripetuti su tutto il territorio della Penisola, stanno producendo un progressivo smottamento verso il degrado civile e di conseguenza sociale. Vorremmo poter confidare nella consapevolezza dei delegati del popolo nella loro decisiva funzione per impedirlo; ma temiamo che l’affezione al potere possa continuare a sottomettere ogni questione di rilevanza etica e ogni progetto di lungo respiro.

A.N.P.I. Sezione Cittadina di Frosinone Il Presidente (Simone Campioni)

martedì 26 gennaio 2021

Alla Bolognina si è chiusa la Repubblica

 Michele Prospero fonte "Profondo Rosso" supplemento del quotidiano "il manifesto"

La generazione dei quadri post ’68 non ha assorbito il nucleo del togliattismo, ha tenuto il realismo politico e ha rinunciato alla strategia di cambiamento. La svolta ha alzato un’onda che alla lunga ha lesionato le stesse istituzioni.



Prima ancora che i pezzi di muro lo graffiassero, il Pci aveva già subito una mutazione. L’inizio anagrafico del partito risale al gennaio del ’21. E al mito dell’ottobre è connessa la formazione del suo primo gruppo dirigente, per tanti versi eroico. Ma la nascita, per così dire, logica del soggetto politico è databile solo 1944. Il congresso di Lione e altre fantasiose ricostruzioni di oggi, suggerite pigramente dal Gramsci, c’entrano ben poco. Un partito clandestino in dottrina non è infatti considerato un vero partito, o lo è in un senso molto sui generis. Un organismo deve partecipare al voto competitivo, svolgere attività pubblica per essere una forma-partito.

È quindi il ’44, ovvero la lotta armata contro il nazifascismo e la ricostruzione dello Stato in virtù del moderno Principe, che segna la genesi reale del Pci da avanguardia combattente a partito con vocazione maggioritaria. Le categorie politiche del nuovo partito sono quelle messe a punto da Togliatti: rinnovato mito sovietico, che si proietta dalla epica trincea di Stalingrado all’armata rossa liberatrice che alza la bandiera con la falce e martello sopra Berlino, partito di massa, democrazia rappresentativa, elementi di socialismo graduali. Il realismo politico e il radicamento nella società, l’insediamento nella cultura alta e in quella di massa: questi sono gli ingredienti della giraffa. Capace di pubblicare Rinascita e Vie nuove, Società e il Calendario del popolo, il Pci sapeva come calibrare alto e basso, élite e massa, propaganda e pensiero.

Questo modello di partito, ideato nel ’44 per saldare classe dirigente e popolo, ha retto per quarant’anni e ha espresso un ceto politico di prim’ordine. La assorbente sintesi togliattiana, entro cui si distinguevano sensibilità plurali con differenziazioni anche accentuate come quelle sorte tra Ingrao e Amendola, che si affrontavano sul piano dell’analisi e però lo facevano nella condivisione dei pilastri di una stessa enciclopedia teorica, esplode negli anni Ottanta. Più che con la morte di Berlinguer è con l’elezione di Occhetto alla segreteria che il Pci subisce una irreversibile alterazione del marchio identitario delle origini.

Di recente Occhetto ha dichiarato che egli apparteneva, per cultura politica, a un filone molto eccentrico, eterodosso rispetto al ceppo togliattiano. E, in effetti, come leader ha rivoltato per intero il paradigma togliattiano, cercandone un altro. Da Togliatti a Flores, dal partito di integrazione alla cosa-carovana, dalle sezioni ai club, dalla democrazia che si organizza alla società civile che invia fax: ha tentato, da leader della discontinuità, una metamorfosi che va oltre la riarticolazione degli scopi, evoca una sostituzione dei fini, un altro sistema di credenze.

Quando Veltroni ha asserito che non è mai stato comunista in effetti, sia pure con il ricorso all’assurdo sotto il profilo della certificazione dell’itinerario biografico, diceva a suo modo una verità. Toccava anche a lui celebrare i sessant’anni dell’Ottobre al teatro Adriano o mostrare quanto meno di condividere gli altri riti dell’ortodossia rossa che andavano rappresentati in pubblico. Ma la generazione politica dei quadri del dopo ’68 non ha mai compreso o assorbito il nucleo del togliattismo, che poi è l’anima autentica del Pci. Il canone del realismo politico, secondo una retorica della svolta di Salerno concepita sempre più come un accomodamento furbesco, è stato recepito ma esso, depurato dalla strategia togliattiana di un cambiamento radicale della società, si riduce a semplice ambizione di carriera, a gioco tattico per alimentare incentivi di status.

Con la conquista del comando a Botteghe Oscure, questo nuovo gruppo dirigente non ha cambiato soltanto simbolo, nome, organizzazione. Ha destrutturato anche le «cose» che il Pci ha edificato lungo la storia repubblicana. Quando Occhetto ha inaugurato la «fuoriuscita dal sistema politico» ha intrecciato la rinuncia all’orizzonte del comunismo con la critica alla democrazia «consociativa» togliattiana in una miscela di elementi rivelatasi da subito, con il trionfo annunciato di Berlusconi, micidiale.

La Bolognina non ha soltanto spezzato il mito salvifico del grande salto, per cui ai militanti spaesati, e senza più la meta ultima promessa a chi viene da lontano e va lontano, tocca percepire che sanza speme vivemo in disio. La svolta ha avviato un’onda lunga che ha lesionato le strutture dell’organizzazione statale. A compimento della sua impresa Occhetto non a caso invocò la necessaria «rivolta profonda contro la società politica». Con la sua candidatura a dirigere «una alternativa al regime, non solo alla Dc» aveva appiccato la miccia per far deflagrare ogni cosa.

Lo scioglimento del Pci, unito alla decapitazione giudiziaria e referendaria dei partiti storici, è stato l’elemento più traumatico dell’Italia repubblicana che ha finito per travolgere l’ordinamento, le culture, la società civile. Senza Partito, è ovvio, niente democrazia dei partiti, puro conteggio delle schede. E quindi, a conclusione della nefasta parabola discendente, da un sistema di partito in cui nei tempi migliori la sinistra alle elezioni aveva il volto di Berlinguer, De Martino, Magri e il centro moderato contava su Zaccagnini, La Malfa, Saragat, Zanone, oggi tocca scegliere tra Conte, Renzi, Salvini, Meloni. Una tragedia che affonda le radici anche nel sacrificio del Pci ordinato in nome della rimozione della democrazia bloccata.

Più che la nostalgia di ciò che è venuto a mancare, il sentimento di oggi dovrebbe essere ispirato a un senso di vergogna, nella accezione marxiana del concetto. «La vergogna è una sorta di ira che si rivolge contro se stessa. Chi si vergogna realmente è come il leone, che prima di spiccare il balzo si ritrae su se stesso». Per ricominciare un giorno a spiccare il balzo serve ritrarsi in un principio di vergogna per ciò che la chiusura del Pci ha provocato in una repubblica senza più una striscia di rosso e perciò sfregiata e irriconoscibile.


lunedì 25 gennaio 2021

Boom della speculazione edilizia a Frosinone

 Luciano Granieri




Boom nell’edilizia e gru nei quartieri” 

è il mirabolante messaggio che deborda dalla pagina Facebook del comune di Frosinone, nella quale si magnifica la lungimiranza dello Zar Ottaviani (evviva la rivoluzione russa, anche quella liberale, guarda un po’) nello sbloccare, in tempo di crisi per l’edilizia, 45 milioni di euro a favore delle solite lobby private del mattone. Già ma in cambio il munifico sindaco avrà opere compensative in modo da rendere possibile la“ricucitura e la riqualificazione del contesto urbano e sociale delle aree, oggetto d’intervento” testuale.  Ovvero concediamo pezzi di città al privato, in cambio questo ci sistema il tessuto urbano a favore della cittadinanza. 

Ma sarà proprio così? Facendo un rapido conto sulle cubature, si rileva che sui nove progetti in cui esse sono quantificate si cede al privato la bellezza di 104.491,51 metri cubi di città, in cambio di opere compensative per 13.355,46. Al netto regaliamo ai signori del mattone ben 91.136,05 metri cubi di cemento, in un contesto urbano che prolifica di case vuote,  preda di uno spopolamento irrefrenabile, con i giovani che, privi di prospettive, scappano da Frosinone. Un’operazione che cela, dietro la solita propaganda , una molto più concreta e devastante, speculazione urbanistica. In cui si privilegia l’interesse privato e lobbistico al benessere dei cittadini. 

Giova ricordare che di questa ulteriore colata di cemento la nostra città non ne ha bisogno, in quanto dal rapporto Ispra risulta che Frosinone ha realizzato un incremento del 29% dal 2018 ad oggi, di insediamenti abitativi e industriali, per area definita, rispetto alla media provinciale che è del 7%. E’ il cosiddetto consumo di suolo quattro volte superiore in città rispetto allo sfruttamento del territorio disponibile in tutta la Provincia. 

Una sciagura che comporta l’annullamento dell’effetto filtro del terreno sugli inquinanti, la drastica diminuzione dell’effetto di assorbimento del particolato da parte degli alberi. Una ferita enorme per l’equilibrio ambientale della città, che nessuna scala mobile, nessun ascensore inclinato, nessuna pista ciclabile potrà risanare. E pensare che con i 45 milioni sbloccati si sarebbe potuta pianificare una grande operazione di riqualificazione urbanistica basata sulla valorizzazione di siti ad alto interesse culturale e paesaggistico,  di aumento degli spazi di condivisione sociale, di salvaguardia dell’equilibrio idrogeologico della città, oggi notevolmente compromesso. 

Una pianificazione benefica per la cittadinanza, ma inaccettabile per l’industria del mattone. Infatti se andiamo ad analizzare la natura delle opere compensative che i privati dovrebbero realizzare in favore dei cittadini, ci rendiamo conto che molte di esse sono funzionali alla fruizione logistica del manufatto privato. Si tratta di strade di accesso e parcheggi utili ai futuri ipotetici inquilini degli immobili in costruzione. 

In relazione all’aumento di posti di lavoro connessi a questa ennesima colata di cemento, sappiamo bene come l’occupazione di questo comparto si basi su lavoro in subappalto, sullo sfruttamento degli addetti, senza garanzie e con paghe da fame. Ma mettiamo pure il caso, e non lo è, che una tale mole di  lottizzazioni sia indispensabile. Perché non richiedere, in cambio di inutili ed insufficienti opere compensative , un bel po’ di quattrini per oneri concessori? 

Ah dimenticavo! Mai parlare di oneri di urbanizzazione a Frosinone, è come parlare di corda in casa dell’impiccato.