Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 26 novembre 2016

Hey men le sorelle fanno da sole.

Rosa-X




Roma 26 novembre 2016 siamo in centomila nel  corteo contro la violenza sul genere femminile. Centomila? Forse di più sicuramente NON UNA DI MENO. Donne... tantissime donne. Ma anche uomini...no, non li abbiamo accerchiati. Quello lo facevamo con i cortei di femministe.

Oggi tanti sorrisi...tanti colori e tanti slogan.... il più simpatico?

Questo "la lotta partigiana ce lo insegna, Antifascista sempre, obietta su sta fregna".  comunque dal nord al sud un solo grido... NON UNA DI MENO. Dedichiamo la kermesse a quei coglioni che reputandosi  grandi uomini credono  di fare un complimento alla loro donna dicendo : “Dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna” Chissà perché, anche se grande, la donna rimane sempre nell’ombra dell’uomo? Basta parlare a vanvera!  Una donna  è grande da sola senza nessun uomo dietro grande o piccolo  che sia (Sisters are doin’t for themselves)


RISOLUZIONE/SOLUZIONE ACEA ATO 5 SpA: Definiamo il nuovo Ambito di Bacino Idrografico “Sacco” Fermiamo le operazioni di acquisizione di Acea SpA I CITTADINI SONO IN CAMPO, I SINDACI CHE FANNO?

Comitato provinciale Acqua Pubblica Frosinone

Giovedì 24 novembre 2016, presso il Salone di rappresentanza della Provincia di Frosinone gremito di cittadini stanchi del grosso imbroglio dell’attuale gestione del servizio idrico e dei soprusi di Acea e certi di poter proporre un’alternativa giusta e sostenibile, è stata messa in scena la prima Assemblea dei comuni dell’Ambito di Bacino Idrografico “Sacco”, così come dovrebbe essere se si attuasse la Legge Regionale n. 5/2014 “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque”. Una sorta di provocazione, vista l’inerzia della Regione Lazio nel dare attuazione a tale norma rivoluzionaria, coerente con l’esito del Referendum del 2011 sull’acqua. Dopo gli approfondimenti del dott. Bengasi Battisti fondatore del Coordinamento nazionale Enti locali per l’Acqua Bene Comune, nonché sindaco firmatario della proposta della suddetta legge, e del prof. Alberto Lucarelli, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Napoli Federico II, nonché redattore dei quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua, l’Assemblea ha deliberato i seguenti punti: 

- la costituzione dell’Ambito di Bacino Idrografico “Sacco”, con la relativa Convenzione di Cooperazione tipo, come da Proposta di legge regionale n. 238/2015; 

- l’immediata risoluzione della Convenzione di Gestione in essere in danno di ACEA ATO 5 S.p.A.; 

- la destituzione da ogni incarico dei componenti della Segreteria Tecnica Operativa e l’avvio dell’azione legale volta al risarcimento dei cittadini per il suo operato in danno degli stessi; 

- l’impegno dei comuni ricadenti nell’Ambito di Bacino Idrografico “Sacco” alla costituzione dell’azienda speciale consortile “Acqua Bene Comune Sacco”, brevemente ABC Sacco, alla quale affidare la gestione del SII;

 - la ricerca di adeguati strumenti di finanza pubblici, come i Buoni Ordinari di cui all’articolo 35 della legge 23 dicembre 1994 n.724 per il finanziamento del Piano degli Investimenti collegato al Piano d’Ambito che verrà adottato.

 - di chiedere alla sindaca di Roma l’adozione degli atti necessari alla sostituzione/nuova nomina del management di ACEA S.p.A.; di approvare atti formali volti alla dismissione da parte di ACEA S.p.A. di tutte le partecipazioni in società che operano al di fuori del Comune di Roma; 

Quest’ultimo punto è necessario per fermare le operazioni societarie di Acea SpA, rese ufficialmente note in questi giorni, volte a realizzare il disegno di diventare il grande gestore del centro sud Italia inglobando tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici. L'azienda di Piazzale Ostiense, ha infatti acquisito da Veolia il 100% delle quote di Idrolatina, che a sua volta detiene il 49% di Acqualatina, e il 19,2 % di GEAL (gestore del servizio idrico di Lucca), giungendo così a detenere il 48% delle partecipazioni. Inoltre ha acquisito il 100 % di Severn Trent Italia, che a sua volta deteneva il 64 % di Umbriadue Servizi Idrici, e l'80 % di ISECO, entrambe dalla multinazionale britannica Severn Trend Plc. 

Chiediamo a tutti i sindaci del “vecchio” ATO5 di prendere in esame il modello di gestione proposto, frutto del lavoro svolto a valle del Referendum del 2011 dai cittadini attivi nei comitati per l’acqua pubblica, in quanto alternativa concreta a quello attuale, e sostenere la proposta di delibera votata all’unanimità dai cittadini durante l’Assemblea del 24 novembre u.s., e di inserirla nell’odg della prossima Consulta d’Ambito convocata per il 30 novembre  p.v. e quindi della successiva Assemblea dei sindaci.

E' morto Castro ma non la prospettiva rivoluzionaria

Luciano Granieri.





Fidel  Castro è morto nell'alba italiana . Aveva  90 anni. Media e web si stanno scatenando nel  celebrare o denigrare la figura del grande rivoluzionario. Come al solito  a farmi venire l’orticaria sono i commenti delle sirene riformiste. “Con  la scomparsa Fidel cade l’ultimo retaggio rivoluzionario del  ‘900” dicono autorevoli commentatori del quotidiano di casa Renzi , della serie: ormai le rivoluzioni socialiste sono roba vecchia da svendere come cimeli nel magazzino di un rigattiere .  Non sono uno storico,  forse potrà essere anche vero, ma una cosa è certa al riformismo liberale occidentale non pareva vero di proclamare il de profundis della rivoluzione.

 Resta l’utopia. Un’utopia la cui concretezza  rimane nel discorso  dello stesso Castro , quando, nel 1989 stroncò le parole  di  Gorbaciov in visita a Cuba. L’allora segretario del Pcus   sosteneva che le riforme in senso capitalista erano imprescindibili  così come la perestroika  sovietica stava dimostrando. Il Lider Maximo rispose  che Cuba  a differenza dell’Unione Sovietica non doveva fare i conti con lo stalinismo dunque non erano  necessarie  contrizioni e stravolgimenti  particolari. 

Ugualmente stucchevole è la narrazione sulla  dittatura  del proletariato  Castrista  , ammorbidita e addomesticata dalle azioni pastorali dei Papi  e dalla illuminata azione pacifista di Barak Obama. Manca solo l’affermazione per cui grazie all’azione del vaticano e del presidente americano  uscente , Fidel Castro, se fosse arrivato vivo al 4 dicembre, avrebbe fatto l'endorsment per il si alla riforma costituzionale. 

La verità è che la grandezza di Castro è proprio quella di aver alitato sul collo del capitale la pressione comunista e antimperialista. Una storia quella dell’imperialismo americano che comincia ben prima di Castro.  Alla fine dell’ 800  per mitigare le rivolte e le sommosse che proliferavano  negli Stati Uniti, a causa delle devastazioni che già allora le corporations capitalistiche stavano arrecando al corpo sociale, fu necessario predisporre un piano di espansione territoriale, per dimostrare la grandezza imperialista della nuova grande Nazione e quindi  distogliere operai,  neri e classi subalterne  dal conflitto sociale . 

Cuba in particolare fu oggetto di queste attenzioni  anche perché nell’ìsola caraibica, molto vicina alla Florida, le grandi multinazionali avrebbero potuto implementare il loro profitto . Dopo poco più di trent’anni dal disastro della guerra civile, gli Stati Uniti. nel 1898 s’impegnarono in un conflitto con  la  Spagna per il dominio di Cuba. Una nave americana, la Maine, che era alla fonda presso l’Avana,  saltò  in aria. Gli americani accusarono le autorità spagnole di aver provocato lo scoppio. Gli spagnoli negarono ogni addebito, ma per fare chiarezza proposero di affidare la soluzione del caso al giudizio di una commissione dì inchiesta internazionale. La proposta fu rifiutata dagli Stati Uniti senza neppure discuterla. Così il presidente McKinley chiese al Congresso di autorizzarlo ad estromettere gli spagnoli dall’isola con l’utilizzo dell’esercito qualora fosse stato necessario. Il 19 aprile il Congresso approvò,  e dopo quattro mesi di guerra Cuba fu liberata dagli spagnoli. Oltre all’isola caraibica  gli americani si impossessarono di altre colonie spagnole come Portorico e le Filippine. Già le Hawai  erano possedimento statunitense ricco di redditizie attività. 

Evidentemente la prorompente azione imperialista fu utile per distogliere i pensieri del popolo dal malcontento interno.  Ma fu proprio l’avvento di Castro, più di sessant’anni dopo, che spaventò gli americani. In quella tranquilla colonia, conquistata alla fine del ‘900,  dove imperava il malaffare gestito in tutta tranquillità dal fantoccio dittatore  Fulgencio Batista,  grazie alla rivoluzione  castrista, il comunismo non fu mai così vicino alla corazzata imperialista. Il Comunist Control Act del 1954 aveva messo fuori legge il partito comunista americano . Era in realtà un documento che garantiva al cittadino americano medio la protezione contro quel non meglio definito “pericolo rosso” il quale era molto lontano, fino ad allora, dal  territorio statunitense. Aveva dimora in Europa, in Asia.  Ma dopo la rivoluzione cubana, il “pericolo rosso” era a li a due passi da Maiami, dalla Florida.

 Al di là dell’aspetto ideologico la fine della dittatura di Batista costituì un grave danno per gli interessi degli imprenditori e del crimine organizzato americano. Non era più possibile  per i miliardari annoiati effettuare la solita scappatina all’Avana per acquistare i sigari , frequentare  le bische gestite  dal racket del gioco d’azzardo. I gangsters statunitensi, prima della destituzione di Batista, si arricchivano   controllando i loschi affari della  prostituzione, della droga.   Fidel Castro aveva cacciato dall’isola, oltre che i malavitosi, le multinazionali americane che a Cuba erano padroni di tutto.   Insomma una piccolo Paese antimperialista  stava li a sfidare il colosso americano costituendo anche una non trascurabile minaccia militare. 

E’ questo affronto che gli americani e le società occidentali imperialiste non potranno  mai perdonare  a Castro e alla rivoluzione.  E anche l’affannarsi della vulgata riformista, ad affermare che  dopo la morte di Castro quelle dinamiche ormai non sono altro che vecchi arnesi del ‘900 testimoniano come la storia di quella rivoluzione fa ancora paura.  Su  questa paura , che mostra di non essersi mai sopita, bisogna costruire una nuova prospettiva rivoluzionaria anticapitalista. E’ difficile in un periodo in cui è stata distrutto ogni tipo di condivisione sociale, ma basta cominciare da piccole (o grandi) cose.  Gli eredi di quelle corporations che Castro caccio da Cuba, oggi s’impegnano, mettendo bocca su materie che non gli competono, a promuovere la riforma Renzi.Boschi. Votare No a quella riforma è un primo piccolo passo per ripartire dalla lezione castrista. Adelante  Companeros , hasta la victoria siempre sin dal 4 dicembre.



venerdì 25 novembre 2016

Riforma costituzionale, c'è accozzaglia e accozzaglia.

Luciano Granieri



Chi sta con chi? A Pochi giorni dal referendum costituzionale, è partito l’ennesimo tormentone. Parliamo  delle compagnie impresentabili. Quelli del Si sostengono che il fronte avverso è composto da un’accozzaglia comprendente   Bersani,  D’Alema, Grillo, Berlusconi, Salvini,  fascisti variamente declinati (Fratelli d’Italia Casapound). Allo stesso modo chi vota No denuncia  la presenza di un’altrettanta eterogenea compagine sotto i  vessilli del Si, da Verdini, ad Alfano, fino a Casini passando da ex comunisti quali Migliore, oltre a  tutta la nuovelle vague piduista che fa capo a Renzi.  

E' insopportabile constatare  che le accozzaglie dei  comitati elettorali,  variamente assemblate, di qua come di la, usano la Costituzione per regolare conti interni, per rivalersi contro avversari ex capobastone e infami  traditori. Questo ulteriore scempio la nostra Carta non lo merita. 

Tuttavia anch’io, oltre che votare No perché ritengo la riforma Renzi-Boschi una iattura per la tenuta  democratica del paese,  lego il mio rifiuto ad una accozzaglia tifosissima della Deforma.  Dopo  una rapida ricognizione  emerge che sono a favore del  Si: Marchionne, Confindustria (i padroni dunque) banche d’affari come J.P.Morgan, agenzie di rating, quali Moody’s, il 98% dei manager di  grosse aziende e fondi d’investimento. Ce n’è abbastanza per decidere che se lor signori votano  Si io convintamente voterò  No. 

Le ragioni, al di la del merito della riforma, sono sostanzialmente due. La prima, da sempre per un comunista come il sottoscritto, ma anche per chi si professa socialista, padroni, banche e manager sono stati personaggi da combattere. Sono le figure tipiche di quel capitalismo neoliberista che ha ridotto i lavoratori da entità fondanti della Repubblica a merce che si vende per poco.  E  quando sei  fuori dalle richieste del mercato, rimani  a casa, o al massimo ti vendi in tabaccheria con voucher.  

La seconda,  i suddetti personaggi sono stati la rovina dell’economia reale, arrecando  povertà  alla  maggior parte dei cittadini del sud Europa. J.P. Morgan, insieme a Goldmann Sachs sono state le prime responsabili della grande crisi del 2008. Hanno riempito con i loro titoli  tossici, anche le casse di alcuni Stati, portandoli alla bancarotta. La Grecia ne è l’esempio più eclatante. 

I manager  sono un’altra categoria malsana. Parliamo di quelle persone, dagli stipendi milionari, che vedono un’azienda non come unità produttiva, ma come fonte di dividendi per azionisti sempre più ricchi e famelici. Spesso questi personaggi portano al fallimento le società che guidano, e anziché essere licenziati, ricevono una lauta liquidazione, dall’impresa che hanno dissanguato, poi vanno a fare danni da un'altra parte con retribuzioni sempre più principesche, lasciando sul terreno, disoccupazione e precarietà. 

In buona sostanza se i principali colpevoli della crisi economica più grave de dopoguerra  e i maggiori artefici di devastazioni produttive immani votano Si è chiaro che, anche solo per un istinto di sopravvivenza, devo votare No.



Di seguito il video dell’intervento di Giorgio Cremaschi all’assemblea sulla riforma Costituzionale organizzata ad Isola Liri il 23 novembre scorso dal comitato per il No di Isola Liri. Incontro che ha visto protagonisti anche la giornalista Luisella Costamagna e l’avvocato esperto di diritto costituzionale Carla Corsetti. 

video di Giuseppe Guerra.

giovedì 24 novembre 2016

I sindaci-cittadini hanno deciso per la rescissione del contratto con Acea e la ripubblicizzazione dell'acqua

Luciano Granieri


Giovedì  24 novembre 2016, presso il Salone di rappresentanza della Provincia di Frosinone, i cittadini della Valle del Sacco e i rappresentanti dei loro Comuni si sono riuniti  nella prima Assemblea dei comuni dell’Ambito di Bacino Idrografico “Sacco”.
L’Ambito, che interessa 45 comuni e 350 mila abitanti, è stato così definito autonomamente dai cittadini in applicazione della Legge Regionale n. 5/2014 “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque, vista l’inerzia della Regione Lazio nel dare attuazione a tale norma rivoluzionaria, coerente con l’esito del Referendum del 2011 sull’acqua.
La legge  propone, in sostituzione degli attuali ATO, la costituzione degli Ambiti di Bacino Idrografico (ABI), quali territori in cui effettuare il governo della risorsa acqua e la gestione del servizio idrico integrato.
Il bacino del Sacco è un territorio che, per conformazione idrogeologica e morfologica, per ragioni storiche e condizioni socio-economiche, quindi per ragioni ecologiche, ha tutte le caratteristiche per poter essere definito quale ABI autonomo.
L’assemblea ha approvato tutti i punti all’ordine del giorno e cioè: 
- Risoluzione del contratto con il gestore Acea Ato5 S.p.A. e revoca dell’incarico alla Segreteria Tecnica Operativa; 
- Avvio del processo di ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato; 
- Costituzione di una Società di diritto pubblico (Azienda speciale) per l’ABI “Sacco” e reperimento dei finanziamenti necessari alla gestione;
- Rapporti e solidarietà con l’ABI “Liri-Garigliano”, che interessa la parte restante della provincia di Frosinone. 
All’assemblea hanno partecipato cittadini autoproclamatisi sindaci, e non quelli eletti. Sui beni comuni, come l’acqua , non esiste alcun Ato, o gestore privato.  Nessuna segretaria tecnica operativa può determinare costi o conguagli, non esiste remunerazione del capitale o consulte d’ambito che approvano piani industriali e tariffe vessatorie. Gli unici deputati a gestire i beni comuni e l’erogazione idrica sono i cittadini.
Nessuno gli ha eletti sinaci? Pazienza neanche il presidente del consiglio Matteo Renzi   è stato eletto eppure si permette, attraverso il decreto sblocca Italia, i decreti Madia e la DEFORMA costituzionale di rendere l’accesso all’acqua e ai beni comuni fonte di profitto per le multinazionali private. Per questo i cittadini-sindaci devono lottare per la ripubblicizzazione  dell’acqua, impegnandosi affinchè i decreti Madia non vengano approvati e la riforma costituzionale venga bocciata, votando No al prossimo referendum costituzionale. L’acqua è fonte di vita, non di profitto.


RIFONDAZIONE COMUNISTA ADERISCE AL PRESIDIO NO WELCOME RENZI E MARCHIONNE A PIEDIMONTE SAN GERMANO E INVITA I LAVORATORI A NON PIEGARE LA TESTA DAVANTI AI PADRONI

Il segretario Provinciale PRC-SE Paolo Ceccano

    
                                                                                                     
          RENZI E MARCHIONNE  LA SMETTANO  DI FARE PROMESSE, GIULIA NON DECOLLA E PER GLI OPERAI SOLO CASSA INTEGRAZIONE E PRECARITA’. LE ISTITUZIONI FACCIANO SQUADRA PER FERMARE IL DRAMMA DEL LAVORO IN PROVINCIA DI FROSINONE.
Nello stabilimento FCA di Piedimonte SG si consuma ancora una volta la messinscena degli annunci. L’esultanza irradiata dal Quirinale e da palazzo Chigi per l’avvio della produzione della Giulia Alfa Romeo, non corrisponde a quelle che erano le aspettative per l’incremento dell’occupazione etanto entusiasmo in realtà nasconde, in questo stabilimento,l’ennesimo dramma per il lavoro. 
L’assunzione di operai e tecnici, quale conseguenza dell’avvio della nuova produzione, si è risolta, da parte della dirigenza aziendale, con una dichiarazione di 1763 esuberi su 3800 dipendenti: orario tagliato, stipendi ridotti per tutti. Per evitare i licenziamenti sono scattati i contratti di solidarietà, che significa fare incancrenire il lavoro precario. L’attività dell’indotto ovviamente non riparte e questo implica che le cifre negative per l’occupazione si amplificano.
Eppure le linee sono sottoutilizzate producendo soltanto 100 vetture al giorno anziché le 480 potenzialmente realizzabili. E ancora, il mercato sta crescendo per cui l’offerta di auto deve essere aumentata.
Saremo al fianco degli operai e dei cittadini liberi per ribadire ancora una volta il nostro NO, senza piegare la testa davanti ai padroni.                                 

mercoledì 23 novembre 2016

In difesa della Rivoluzione russa

Eduardo Almeida



È la sera del 25 ottobre 1917 (7 novembre nel calendario gregoriano). I reggimenti guidati dal Comitato militare rivoluzionario di Pietrogrado circondano il Palazzo d'inverno, quartier generale del governo di Kerensky. Esigono la resa dei battaglioni che ancora sono schierati a difesa di Kerensky. I soldati non oppongono resistenza.
Quella stessa sera inizia il Congresso dei soviet, col ruggito della battaglia in sottofondo. Lenin si presenta alla sessione del giorno successivo. Secondo Victor Serge: “Nel momento in cui apparve ci fu una grande ovazione. Egli aspettò con calma che finisse, guardando nel frattempo la folla esultante. E poi, mettendo entrambe le mani sul tavolo, con le larghe spalle rivolte leggermente verso l'uditorio, disse in modo semplice, senza gesticolare: 'adesso avviamo la costruzione della società socialista'”.
Un'insurrezione dei lavoratori aveva appena cambiato la storia della Russia e del mondo: è la Rivoluzione russa, che celebrerà 100 anni nel 2017.
Per la prima volta, la classe operaia prese ed esercitò il potere, dimostrando che il potere delle classi dominanti non è una “attribuzione divina” né “qualcosa di naturale”. Il potere dei soviet mostrò un esempio rivoluzionario di Stato alternativo, un genere diverso di Stato rispetto a quelli conosciuti sino ad allora.
Il Partito bolscevico divenne un punto di riferimento mondiale per le avanguardie delle lotte. I partiti socialdemocratici operai in tutto il mondo si spaccarono, coi settori di sinistra che bussarono alla porta della III Internazionale. Durante quegli anni, si registrò una riorganizzazione politica rivoluzionaria del proletariato come mai si era visto nella storia.
Quella fase storica è stata cancellata dalla mente dei lavoratori di tutto il mondo. Oggi, la Rivoluzione russa e lo stalinismo sono rappresentati come se fossero la stessa cosa. Costituisce una farsa storica l'equiparazione della Rivoluzione russa con la politica controrivoluzionaria che trasformò il regime operaio in una mostruosità burocratica.
Perciò, è molto importante ricordare ciò che accadde durante i primi sette anni della Rivoluzione. Per farlo, occorre rimuovere il grosso accumulo di polvere prodotto dalla propaganda imperialista e stalinista. Per rivivere la fantastica esperienza di un nuovo potere, di un nuovo Stato. Una democrazia molto più ampia di qualsiasi democrazia borghese esistente.
Alcune verità sulla Rivoluzione russa
La Rivoluzione russa rovesciò uno Stato borghese e costruì un altro tipo di Stato, uno Stato proletario. Fu un'esperienza inedita nella storia.
I due mesi di esistenza della Comune di Parigi furono studiati approfonditamente dai bolscevichi, che trassero da essa conclusioni essenziali ai fini della realizzazione della vittoria del 1917. Ma la Comune durò solamente due mesi; mentre in Russia si stava prendendo il potere e lo si sarebbe mantenuto. Fu proprio ciò che accadde durante i primi sette anni della rivoluzione, un'esperienza storica molto ricca ed affascinante.
Il nuovo Stato si basava sui consigli (soviet). I soviet locali erano la base del potere, collegata direttamente ai lavoratori di fabbrica, ai luoghi di lavoro e ai quartieri.
L'obiettivo principale era collegare le attività quotidiane delle masse popolari coi problemi vitali dello Stato e dell'economia. In questo modo, si cercava di evitare che l'amministrazione di quelle questioni fosse privilegio di una burocrazia staccata dalle masse. I mandati erano revocabili in qualsiasi momento, gli incarichi pubblici erano elettivi, il salario dei funzionari non poteva essere più alto di quello medio di un operaio.
Nella democrazia borghese, le masse votano ogni 4-5 anni, e il candidato eletto fa ciò che vuole sino all'elezione successiva. Nella Repubblica sovietica, i lavoratori discutevano quotidianamente delle questioni relative allo Stato, sceglievano i loro rappresentanti che potevano essere revocati in qualsiasi momento.
L'elezione era diretta: nelle città, un rappresentante ogni 25 mila persone; nelle campagne, uno ogni 125 mila. Ognuno poteva eleggere ed essere eletto, eccetto i borghesi. C'era piena libertà per i partiti che erano presenti nei soviet, cioè per quelli che facevano parte del governo (bolscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra, in un primo momento) ed anche per i menscevichi e per i socialisti rivoluzionari di destra, fino a quando non si armarono contro la rivoluzione e pertanto vennero messi fuori legge.
Diversamente dalla democrazia borghese, che suddivide il potere (esecutivo, legislativo e giudiziario) affinché la borghesia possa meglio manovrare e decidere tutto nell'ombra, il potere dei soviet era globale e diretto. I consigli discutevano, decidevano e davano direttamente applicazione alle loro decisioni. I rappresentanti dei soviet locali si riunivano nei soviet regionali che, allo stesso modo, eleggevano i rappresentanti per il Congresso dei soviet, anch'essi revocabili in qualsiasi momento.
I lavoratori russi discutevano e decidevano nei loro soviet del corso dell'economia, della pace e della guerra (ad esempio il Trattato di Brest-Litovsk), dell'organizzazione dell'Armata Rossa.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con la democrazia borghese che in realtà è la dittatura del capitale. La borghesia controlla le grandi imprese e finanzia le campagne elettorali dei partiti al governo e di quelli di “opposizione”. La borghesia controlla anche i mezzi di  comunicazione (tv, giornali, internet), e può influenzare direttamente l'opinione pubblica.
Le masse popolari votano ma non decidono nulla. Chiunque vinca, è la borghesia a vincere. Anche i partiti riformisti eventualmente vincenti (come il Pt, Syriza o Podemos) sono già addomesticati e allineati coi piani borghesi.
Questo spiega perché nasce un governo, ne cade un altro, ma i piani economici e neo-liberali rimangono sempre gli stessi. Le forze di opposizione ottengono i voti per cambiare i piani economici ma una volta al governo non cambiano nulla. Quattro o cinque anni dopo le persone voteranno di nuovo per essere nuovamente ingannate.
Con la Rivoluzione russa i borghesi furono espropriati, e le risorse del Paese furono messe a disposizione dei lavoratori. Ciò che pesava nel dibattito erano le idee, non il capitale. I partiti borghesi (ammesso che non sostenessero la lotta armata contro il regime) potevano candidarsi, ma non avevano soldi per finanziarsi la campagna. Il controllo dei rappresentanti nei luoghi di lavoro e nei quartieri era la maggiore espressione della democrazia operaia. Era anche il miglior modo per evitare la piaga della corruzione, presente in tutti gli altri tipi di Stato. Se non esistono controllo dalla base e revocabilità dei rappresentanti non c'è alcun modo di evitare la corruzione.
Come disse Lenin, confrontando la democrazia borghese col regime sovietico: “Alla borghesia piace lodare le sue elezioni definendole 'libere', 'eguali', 'democratiche' e 'universali'. Queste parole sono volte a occultare la verità, cioè il fatto che i mezzi di produzione e il potere politico rimangono nelle mani degli sfruttatori, e che perciò la vera libertà e la vera uguaglianza sono impossibili per gli sfruttati, ovvero per la maggioranza enorme della popolazione” (Democrazia e Dittatura).
Questo nuovo Stato era, come ogni altro Stato, una dittatura. Solo che questa volta era una dittatura del proletariato, dei lavoratori, non della borghesia. Assicurò una larga democrazia per i lavoratori e anche la sua difesa dagli attacchi inevitabili della borghesia e dell'imperialismo.
Questi attacchi si manifestarono a livello militare in maniera durissima. Il nuovo Stato fu attaccato da tutti i lati, dalle armate bianche e dagli eserciti di 14 Paesi, inclusi quelli delle più potenti nazioni imperialiste. E vinse.
Anche in questa situazione di guerra civile, fu il regime più democratico per la classe operaia e per le masse popolari che la storia abbia mai conosciuto.
Non è per caso che da tale libertà, da tale effervescenza, emerse un'arte incisiva, critica e molte volte geniale, che ha lasciato un marchio nella storia in diversi campi. Non c'era un'arte “ufficiale”, il Partito bolscevico e lo Stato erano categoricamente contrari. Si limitarono a garantire i mezzi affinché i movimenti artistici potessero fiorire.
Nel cinema, Ejzenstejn e Dziga Vertov ruppero la narrativa lineare hollywoodiana. Majakovsky e Alexander Blok scardinarono le regole della poesia. Nelle arti plastiche, Malevic e il suo suprematismo riflettevano l'ebollizione europea del surrealismo, dell'espressionismo e del futurismo. Usando le parole di Majakovsky: “non c'è arte rivoluzionaria senza forma rivoluzionaria.”
La Rivoluzione russa fu anche la dimostrazione storica che solo così è possibile eliminare le oppressioni. La lotta delle donne conobbe un avanzamento storico con la conquista del diritto al divorzio, all'aborto e al salario uguale agli uomini, mentre le mense, le lavanderie e gli asili pubblici colpirono alla radice la schiavitù del lavoro domestico. Tutte le leggi contro gli omosessuali furono annullate insieme con la legislazione zarista. Il matrimonio tra omosessuali fu approvato dai tribunali sovietici. L'oppressione sulle nazionalità della Russia zarista si trasformò in una libera unione, l'Urss.
L'espropriazione della borghesia e la pianificazione dell'economia produsse il più grande mutamento mai visto nella storia economica. L'Urss, uno dei Paesi più arretrati dell'Europa e dell'Asia, divenne in alcune decadi un Paese con uno sviluppo economico che non aveva eguali.
Questo fatto smaschera l'ideologia dell'“inefficienza del pubblico”, una della basi delle politiche di privatizzazioni neo-liberali. La proprietà privata delle grandi imprese, alla ricerca di profitto, porta miseria per i lavoratori, anarchia della produzione e crisi cicliche. La combinazione fra la statalizzazione delle grandi imprese e la pianificazione dell'economia resero possibile un progresso gigantesco per l'Urss.
Persino dopo la controrivoluzione stalinista i vantaggi di un'economia statalizzata e pianificata erano ancora forti. Come disse Trotsky: “Non è necessario discutere coi signori economisti borghesi: il socialismo ha dimostrato il suo diritto alla vittoria, non sulle pagine de Il capitale ma in un'area economica che costituisce un sesto della superficie terrestre; non nel linguaggio della dialettica, ma in quello dell'acciaio, del cemento e dell'elettricità” (In difesa del marxismo).
Uno degli esempi più categorici in merito è il confronto fra l'evoluzione dell'Urss e la profonda crisi capitalista del 1929. Mentre il mondo capitalista stava affrontando la depressione più profonda con arretramenti intorno al 20% del Pil annuo in molti Paesi, l'industria dell'Urss conosceva una crescita del 16% annuo tra il 1928 e il 1940.
Questa è la verità storica, rimossa dalla memoria dei lavoratori in tutto il mondo. Questo è ciò che noi vogliamo far riemergere nella celebrazione dei 100 anni della Rivoluzione russa.
Bolscevismo e  stalinismo sono la stessa cosa?
I bolscevichi depositarono sempre le loro speranze nella prospettiva della rivoluzione internazionale, a partire da quella europea. La Rivoluzione russa riuscì a spezzare la catena capitalista nel suo anello più debole, nell'arretrata Russia. Ma la strategia socialista presuppone la pianificazione internazionale dell'economia, non “il socialismo in un solo Paese”. Soltanto lo sviluppo delle forze produttive su scala internazionale può fornire le basi materiali per avanzare in direzione del socialismo. Il socialismo è, per sua natura, internazionale, e può trionfare definitivamente solo sconfiggendo il capitalismo su scala mondiale.
Però la rivoluzione fu sconfitta in Germania nel 1919, e anche in Ungheria. Nel 1923 ci fu una nuova sconfitta in Germania e nel 1927 in Cina. La Rivoluzione russa restò isolata.
Al contempo, il proletariato russo dovette fronteggiare e sconfiggere gli eserciti dei Paesi imperialisti. Pagò un prezzo altissimo per questo, con larga parte degli operai (in particolare la sua avanguardia) deceduta nei campi di battaglia.
L'isolamento non permise all'economia di avanzare oltre un certo punto. Il proletariato, logorato dalla perdita dei suoi migliori combattenti, non riuscì a preservare il regime creato nel 1917. Dal proletariato stesso nacque la burocrazia, che approfittò della sconfitta della rivoluzione a livello mondiale e dell'isolamento della Rivoluzione russa per "scippare" il potere.
L'arretratezza economica della Russia provocò tendenze burocratiche, spiegate magistralmente da Trotsky: “L'autorità burocratica ha come base la povertà di generi di consumo, e la lotta di tutti contro tutti che ne consegue. Quando ci sono tanti prodotti in un negozio, gli acquirenti possono venire ogni qual volta lo vogliono. Quando ci sono pochi prodotti, gli acquirenti sono costretti a stare in fila alla porta. Quando la fila è eccessivamente lunga, è necessaria la presenza di un poliziotto che mantenga l'ordine. Questo è il punto di partenza della burocrazia sovietica. Essa 'sa' a chi dare e chi deve aspettare. A prima vista, il miglioramento della situazione materiale e culturale dovrebbe ridurre la necessità di privilegi, restringere il dominio del “diritto borghese” e, quindi, togliere spazio alla burocrazia, guardiana di questi privilegi. Tuttavia, è accaduto l'opposto: la crescita delle forze produttive è stata accompagnata, finora, da uno sviluppo estremo di ogni tipo di diseguaglianza e privilegio, e della burocrazia.” (In difesa del marxismo).
La controrivoluzione stalinista cambiò completamente il regime dei soviet. La democrazia interna fu soppressa nel partito bolscevico e poi nei soviet. La vecchia guardia bolscevica fu imprigionata e, in gran parte, sterminata. Molti furono giudicati nei “processi di Mosca” e fucilati. Trotsky fu assassinato in esilio, nel 1940. Ogni opposizione nei soviet fu perseguitata e annientata.
L'ambiente artistico smise di essere libero e critico, a causa dell'imposizione di una censura stupida e reazionaria. Il “realismo socialista” divenne l'“arte ufficiale”, cioè uno strumento di propaganda per il regime. Film, manifesti e dipinti ultrarealisti esaltavano il popolo, il lavoro... e Stalin. Majakovsky si suicidò nel 1930; Malevic morì in solitudine nel 1935.
Furono azzerate le conquiste precedenti, che avevano avuto l'obiettivo di contrastare ogni forma di oppressione. L'Urss ancora una volta divenne – così come era stata la vecchia Russia zarista - una “prigione dei popoli”.
La III Internazionale cessò di essere una leva per la rivoluzione mondiale per diventare un braccio obbediente alla burocrazia sovietica, fino a che Stalin non la sciolse nel 1943, come dimostrazione all'imperialismo della sua buona volontà.
La propaganda imperialista identifica lo stalinismo col bolscevismo, supportata in ciò dall'apparato stalinista. Si tratta di una manipolazione ideologica essenziale per cancellare i primi anni della Rivoluzione russa. In realtà, lo stalinismo fu l'agente e l'espressione della sconfitta della rivoluzione. Si impose solo attraverso una guerra civile. La dittatura stalinista massacrò più di 700 mila persone, cominciando dalla maggioranza del Comitato centrale del partito che aveva diretto la rivoluzione del 1917.
La restaurazione del capitalismo fu l'ultimo grande tradimento dello stalinismo
Lo stalinismo fu il più grande apparato controrivoluzionario della storia all'interno del movimento operaio. Usava l'autorità usurpata della Rivoluzione russa, più una grande quantità di risorse per via del controllo dell'apparato di Stato dell'Urss (e, in seguito, degli altri Stati operai burocratizzati). Poteva convincere o corrompere gran parte dell'avanguardia di tutto il mondo.
L'ideologia ufficiale dello stalinismo combinò la costruzione del “socialismo” nell'Urss (“il socialismo in un solo Paese”) e la coesistenza pacifica con l'imperialismo. Ciò condusse a grandi sconfitte dei processi rivoluzionari.
La direzione già in via di stalinizzazione della III Internazionale fu responsabile della sconfitta del 1923 in Germania e di quella del 1927 in Cina. In seguito, lo stalinismo agevolò la vittoria di Hitler in Germania rifiutando la politica di fronte unico, durante il cosiddetto “terzo periodo” ultrasinistro. Virò poi a destra promuovendo la politica dei fronti popolari (coalizioni con le borghesie “progressive”, tattica che non avrebbero più abbandonato), conducendo la rivoluzione spagnola alla sconfitta.
Nell'immediato dopoguerra, Stalin decise che i partiti comunisti in Francia e in Italia avrebbero dovuto riconsegnare alla borghesia il potere che questa aveva perduto con la sconfitta del nazifascismo. In questo modo, lo stalinismo consentì all'imperialismo di sopravvivere nel centro dell'Europa.
I riflessi sull'economia dello Stato operaio russo si sarebbero sentiti presto. Il fallimento della strategia del “socialismo in un solo Paese” era evidente. In un primo momento, quei limiti erano relativi e non impedirono all'economia di crescere. Ma più tardi divennero dei limiti assoluti.
Poiché la rivoluzione non si estendeva a livello mondiale, l'economia russa era sempre più sottomessa al controllo dell'imperialismo. Trotsky, analizzando la superiorità dell'economia sovietica pianificata, fece una previsione geniale: “Il ruolo progressivo della burocrazia sovietica coincide col periodo di assimilazione da parte dell'Unione sovietica degli elementi più importanti della tecnica capitalista. La maggior parte del lavoro di imitazione, di innesto, di trasferimento, di adattamento è stato fatto sul terreno preparato dalla rivoluzione. Finora non si è posta la questione di innovare sul piano della tecnica, della scienza e dell'arte. Si possono costruire fabbriche giganti secondo i modelli importati dall'estero sotto il controllo burocratico sebbene, di certo, pagandolo al triplo del loro prezzo. Ma più si andrà avanti e più ci si scontrerà col problema della qualità, che sfugge alla burocrazia come un'ombra. La produzione sembra contrassegnata dal marchio grigio dell'indifferenza. Nell'economia nazionalizzata, la qualità presuppone la democrazia dei produttori e dei consumatori, la libertà di critica e di iniziativa, tutte cose incompatibili con il regime totalitario della paura, della menzogna e dell'apologia. In relazione al problema della qualità, se ne pongono altri, più grandiosi e complessi, che possono essere compresi nella categoria dell'azione creatrice tecnica e culturale indipendente. Un filosofo dell'antichità sostenne che la discussione era la madre di tutte le cose. Dove la battaglia delle idee è impossibile, non si può avere creazione di nuovi valori” (La rivoluzione tradita, capitolo 11).
L'economia dell'Urss, così come quella degli altri Stati operai burocratizzati, cominciò a declinare durante gli anni '60. Le burocrazie approfondivano progressivamente i loro legami con l'imperialismo, specificamente attraverso il meccanismo del debito estero. Inoltre, iniziavano lentamente a introdurre riforme economiche con sempre maggiori elementi di mercato.
I lavoratori, sempre più provati, si rivoltarono contro le dittature staliniste. Le rivoluzioni politiche in Germania (1953), Ungheria (1956), Cecoslovacchia (1968) e Polonia (1980) condussero lo stalinismo a una grave crisi. Ma quelle rivoluzioni furono sconfitte dalla repressione diretta dell'Urss o delle burocrazie staliniste.
La burocrazia alla fine mise da parte i piani parziali di riforme e si orientò verso la restaurazione del capitalismo in quei Paesi. Le burocrazie nazionali guidarono il processo di restaurazione in quegli Stati, cominciando dalla Jugoslavia durante gli anni '60, poi la Cina alla fine degli anni '70 e l'Urss con Gorbaciov fra il 1985 e il 1987.
Le insurrezioni in Urss e nell'Europa dell'Est durante gli anni '90 nacquero dalla brutale caduta della qualità della vita (ribasso dei salari, iperinflazione, penuria di generi alimentari, speculazione selvaggia) determinata dalla restaurazione capitalistica. Le masse si scontrarono con le dittature staliniste che ormai erano alla testa di Stati borghesi. L'apparato mondiale dello stalinismo finì per essere sconfitto dall'azione delle masse.
La restaurazione del capitalismo fu l'ultimo tradimento dello stalinismo alla causa della classe operaia mondiale. L'imperialismo approfittò di questo per lanciare una gigantesca campagna sulla “morte del socialismo”, identificando stalinismo e socialismo. La campagna puntava a mostrare il capitalismo come l'unica alternativa per l'umanità, e la democrazia borghese come la meta ultima di tutti i popoli.
Ciononostante, la crisi economica mondiale del 2007-2008 ha scosso l'ideologia neo-liberale. Il vero volto dello sfruttamento capitalista è ogni giorno sempre più evidente. Elementi di barbarie dilagano nella realtà quotidiana.
Socialismo o barbarie
La maggioranza dei lavoratori pensa che oggi una rivoluzione socialista sia impossibile. Vorremmo richiamare la frase di Trotsky: “Ogni rivoluzione è impossibile... finché diviene inevitabile”.
I lavoratori oggi si trovano davanti al ribasso dei salari, alla precarizzazione della maggior parte della forza lavoro (solamente un quarto dei lavoratori ha impieghi stabili), alla pessima condizione della sanità e della scuola pubbliche. La speranza di relativi miglioramenti sociali in relazione alle generazioni precedenti, che c'era una volta, adesso è venuta meno, anche nei Paesi imperialisti.
Il pianeta, nel XXI secolo, vive una profonda decadenza sul piano economico, culturale, morale ed ecologico.
I rifugiati di guerra sono 60 milioni; la disoccupazione, che prima riguardava una minoranza della popolazione che il capitalismo usava come “esercito industriale di riserva”, oggi interessa popolazioni intere. La metà delle persone vive in condizioni di indigenza e miseria. Una nuova crisi recessiva a livello mondiale si annuncia all'orizzonte.
La violenza contro le donne, i neri e gli omosessuali raggiunge livelli assurdi. Ci sono segnali chiari di barbarie nella periferia di tutte le grandi città del mondo. Il riscaldamento globale minaccia il futuro del pianeta.
In prossimità del centenario della Rivoluzione russa, una conclusione è d'obbligo: mai come oggi, la vera alternativa è: socialismo o barbarie. O i lavoratori riprenderanno l'esempio della Rivoluzione russa oppure il capitalismo condurrà inevitabilmente il mondo verso la barbarie.
Insieme ai segnali di una barbarie che avanza, si approfondiscono i segni dell'instabilità economica e politica in gran parte del pianeta. C'è una crescente polarizzazione sociale, economica e politica, che può dare origine a nuovi processi rivoluzionari.
I riformisti dicono che una rivoluzione socialista non è possibile perché “non è nella coscienza delle masse”. Ci piacerebbe richiamare le parole pronunciate da Lenin su questo tema, quando polemizzava coi riformisti dell'epoca: “Quando si tratta di sostenere e sviluppare l'effervescenza rivoluzionaria che cresce fra le masse, allora Axelrod risponde che questa tattica delle azioni rivoluzionarie di massa sarebbe giustificabile se fossimo alla vigilia di una rivoluzione sociale, come accadde per esempio in Russia, dove le manifestazioni studentesche del 1901 annunciarono la prossimità delle battaglie decisive contro l'assolutismo. Ma oggi tutto ciò sarebbe un'utopia. L'ineffabile Axelrod dimentica semplicemente che nel 1901 in Russia nessuno sapeva, né avrebbe potuto sapere, che la prima 'battaglia decisiva' si sarebbe avuta quattro anni più tardi – non dimenticate, quattro anni più tardi – e non sarebbe stata decisiva. E ciononostante, solamente noi marxisti rivoluzionari vedevamo lontano in quel momento: non ridicolizzammo i Kritchevski e i Martinov che proponevano l'assalto immediato. Solo noi incitammo i lavoratori a respingere gli opportunisti e a sostenere, intensificare, allargare con tutta la loro forza le mobilitazioni e le altre azioni rivoluzionarie di massa. La situazione attuale in Europa è perfettamente analoga: sarebbe insensato fare appello all‘assalto 'immediato'. Ma sarebbe vergognoso autodefinirsi 'socialdemocratici' [oggi diremmo 'comunisti', ndt] senza incitare i lavoratori a rompere con gli opportunisti e a consolidare, approfondire, espandere e intensificare con tutta la forza il movimento rivoluzionario e la mobilitazione che si sviluppa. La rivoluzione non precipita mai dal cielo già pronta, e all'inizio dell'effervescenza rivoluzionaria nessuno sa ancora se essa condurrà, e quando, a una rivoluzione 'vera', 'autentica”.
Lenin scrisse queste parole poco meno di due anni prima della Rivoluzione d'Ottobre, quando lottava in assoluta minoranza contro i partiti socialdemocratici che stavano capitolando alle borghesie imperialiste in guerra.
Ciò non vuol dire che profetizziamo una rivoluzione socialista nel giro di pochi anni. Evidentemente, è ancora lunga la strada della costruzione di un partito rivoluzionario con influenza di massa sul proletariato, come fu il partito bolscevico. Stiamo polemizzando coi riformisti, che fanno di tutto per fare arretrare la coscienza dei lavoratori e poi usano l'argomento della “arretratezza della coscienza” per sostenere che la rivoluzione è impossibile. Con lo stesso metodo di Lenin, incoraggiamo la lotta diretta dei lavoratori e li incitiamo a rompere con le direzioni riformiste.
Imparare dalla Rivoluzione Russa...
Per noi la Rivoluzione russa è più che un fatto storico importante. È un punto di riferimento per comprendere cosa occorre fare per cambiare il mondo.
La maggior parte di coloro i quali commemoreranno il centenario della Rivoluzione del 1917 parlerà di essa come di un fatto del passato, una reliquia. Per noi invece è un modello per l'azione.
I bolscevichi studiarono profondamente la Comune di Parigi per potere affrontare la sfida di fare una rivoluzione in Russia. Allo stesso modo, noi dobbiamo studiare la Rivoluzione russa, imparare dai suoi successi e dai suoi errori, se vogliamo realizzare il proposito di guidare una nuova rivoluzione socialista.
Non abbiamo la presunzione, in questo articolo iniziale [che apre un ciclo di pubblicazioni nel quadro della campagna internazionale promossa dalla Lit per ricordare i 100 anni dell'Ottobre, ndt], di farci carico di una simile sfida. Il nostro obiettivo è un altro, e cioè incitare tutti i rivoluzionari a farsene carico collettivamente.
In questo momento vogliamo limitarci a fare riferimento a due fra i tanti insegnamenti che la Rivoluzione russa ci lascia. Il primo riguarda la lotta del bolscevismo contro i riformisti; il secondo è relativo a come la Rivoluzione russa fu quasi sconfitta dalla democrazia borghese.
È impossibile avanzare verso la rivoluzione senza lottare contro il riformismo
Lenin diceva che senza superare l'influenza politica del riformismo sulla classe operaia è impossibile la vittoria della rivoluzione.
Questa valutazione leninista è in contrasto con un luogo comune molto diffuso fra gli attivisti: molti pensano che la “sinistra” sia una specie di famiglia che include settori più a sinistra e settori più a destra. Tutti sarebbero parte della stessa famiglia.
Lenin pensava l'opposto. I riformisti sono i rappresentanti dell'influenza della borghesia nel movimento operaio. Se i lavoratori non rompono col riformismo, la rivoluzione è impossibile. Ciò non vuol dire accantonare le tattiche necessarie all'unità d'azione e al fronte unico nel movimento di massa. Tuttavia, queste tattiche devono servire a disputare la direzione delle lotte e la coscienza del movimento di massa contro i partiti riformisti.
L'esperienza della Rivoluzione russa lo dimostra. I riformisti menscevichi e socialisti rivoluzionari avevano la maggioranza nei soviet durante la maggior parte del 1917. Si rifiutarono di rompere con la borghesia e di prendere il potere. Perseguitarono e arrestarono i dirigenti bolscevichi. Non volevano porre fine alla guerra, non espropriarono le terre dei latifondisti. Solamente quando i bolscevichi raggiunsero la maggioranza nei soviet fu possibile prendere il potere e fare la rivoluzione.
Trotsky sintetizza bene la nostra opinione sul riformismo: “Le tre tendenze del movimento operaio contemporaneo - riformismo, comunismo e centrismo - derivano inevitabilmente dalla situazione oggettiva del proletariato sotto il regime imperialista della borghesia. Il riformismo è la corrente che è emersa dagli strati superiori e privilegiati del proletariato, dei quali riflette gli interessi. Specialmente in alcuni Paesi, l'aristocrazia e la burocrazia operaia formano una cappa molto importante e potente, con una mentalità che nella maggior parte di casi è piccolo-borghese in virtù delle loro condizioni di esistenza e del modo di pensare; ma questo strato burocratico deve cercare di adattarsi al proletariato, dato che cresce sulla sua pelle. Alcuni di questi elementi raggiungono grande potere e benessere attraverso i canali del parlamentarismo borghese. (…) Nella fase imperialista, col crescente aggravarsi delle contraddizioni, la borghesia è costretta a trasformare i principali gruppi riformisti in veri e propri attivisti a supporto dei monopoli e delle manovre governative borghesi. Questa è la caratteristica del nuovo – e molto più alto - grado di dipendenza del riformismo dalla borghesia imperialista, che dà un'impronta alla sua psicologia e alla sua politica, rendendolo adatto per prendere direttamente il timone degli affari dello Stato borghese. Questo strato superiore di 'riformisti' è quello cui meno di tutti si applica la frase 'non hanno niente da perdere se non le loro catene'. Al contrario: per tutti questi primi ministri, ministri, sindaci, deputati e burocrati sindacali la rivoluzione socialista significherebbe il venir meno delle loro posizioni di privilegio. Questi cani da guardia del capitale non proteggono soltanto la proprietà in generale, ma principalmente la loro stessa proprietà. Sono ferocemente nemici della rivoluzione finalizzata alla liberazione del proletariato.” (Cos'è il centrismo? 1930).
Oggi, il riformismo non difende nemmeno più, come faceva in passato, una “via parlamentare al socialismo”. Difende le riforme all'interno del capitalismo, da attuare attraverso la via elettorale.
Quando arriva al potere, la socialdemocrazia entra nei governi borghesi che applicano rigidamente i piani neo-liberali della borghesia. Questo è stato il cammino seguito dalla socialdemocrazia europea, dal Pasok greco al Psoe spagnolo, che ha portato quei partiti a una crisi enorme.
Al fine di occupare gli spazi politici lasciati scoperti dalla crisi della socialdemocrazia, nascono nuovi partiti riformisti come Syriza (Grecia), Podemos (Spagna), Psol (Brasile) e il Fronte ampio (Costa Rica). Questi partiti hanno la medesima strategia parlamentare della socialdemocrazia classica.
L'esperienza di Syriza al governo greco è altamente esemplificativa. Dopo essere stata eletta per opporsi ai piani dell'Unione europea, dopo un referendum nel quale le masse popolari greche hanno respinto quei piani, Syriza ha applicato il piano neo-liberale più pesante che il Paese abbia mai conosciuto.
Il Pt brasiliano ha seguito la strada della socialdemocrazia, guidando governi borghesi per tredici anni in Brasile. Ciò ha provocato la rottura della maggioranza dei lavoratori con questo partito. Quando il Pt ha perso la sua base nella classe lavoratrice, la borghesia al governo col Pt ha scartato quel governo attraverso l'impeachment.
Il Psol, un nuovo partito riformista, cerca di occupare lo spazio aperto dalla crisi del Pt. Ha fatto parte del campo borghese raccolto attorno al governo del Pt, sostenendolo “contro un colpo di Stato di destra”. In realtà non c'è stato alcun colpo di Stato ma due campi borghesi (quello dell'opposizione borghese di destra e quello del governo del Pt), col Psol e tutti i riformisti allineati con uno dei due campi.
Presentatosi alle elezioni municipali a Rio de Janeiro, Marcelo Freixo, uno dei principali esponenti del Psol, ha proposto il “Compromesso con Rio”, un testo simile alla “Lettera ai brasiliani” di Lula del 2002, nel quale si impegna a rispettare tutti gli accordi di “equilibrio fiscale” fatti con la borghesia.
Il riformismo – quello nuovo alla stregua di quello vecchio – svolge nel XXI secolo sempre lo stesso ruolo di braccio della borghesia nel movimento di massa. La lezione della Rivoluzione russa è sempre attuale: senza sconfiggere il riformismo non c'è possibilità di vittoria per la rivoluzione.
Democrazia borghese e rivoluzione
Trotsky ha scritto un noto testo intitolato Le lezioni dell'Ottobre nel quale invita gli attivisti a studiare la rivoluzione russa. In quel libro egli tratta a un certo punto di un momento chiave, nel quale la rivoluzione stava quasi per essere sconfitta.
A settembre, poco meno di un mese prima dell'insurrezione di ottobre, il Comitato centrale bolscevico si divise sulla politica da seguire per il pre-parlamento. Come scrive Trotsky: “Abbiamo visto come i destri concepiscono lo sviluppo della rivoluzione: i soviet che trasferiscono progressivamente le loro funzioni a istituzioni qualificate (municipi, zemstvos, sindacati e, infine, all'Assemblea Costituente), abbandonando in questo modo la scena politica. Attraverso il pre-parlamento, il pensiero politico delle masse dovrebbe dirigersi (secondo costoro) verso l'Assemblea Costituente, coronamento della rivoluzione democratica. I bolscevichi avevano la maggioranza nei soviet di Mosca e di Pietrogrado, la nostra influenza nelle file dell'esercito cresceva di giorno in giorno. Non si trattava ormai più di previsioni né di prospettive ma di scegliere la via nella quale sarebbe stato necessario incamminarsi”.
Quindi, i riformisti menscevichi miravano alla dissoluzione del doppio potere nelle istituzioni della democrazia borghese, puntando al pre-parlamento ed alla Costituente. L'ala destra del Comitato centrale (CC) bolscevico proponeva la medesima strada e puntava a raggiungere la maggioranza in questo ambito. Soltanto la pressione esplicita di Lenin riuscì a far cambiare strada al CC e a costringere i bolscevichi ad abbandonare il pre-parlamento. Poco più di un mese dopo, presero il potere.
Purtroppo, questo non fu il medesimo esito della rivoluzione tedesca del 1919. Alla fine della guerra, con la Germania sconfitta, il Paese andò incontro a una crisi brutale, cadde la monarchia e si instaurò un governo socialdemocratico. In Germania si diffusero i Consigli operai. Ciononostante, il primo Congresso degli operai e dei soldati, nel dicembre 1918, votò (344 voti contro 98) contro la mozione di dare ai consigli il potere legislativo ed esecutivo, e di mantenere il sistema dei consigli “come fondamento della Costituzione della Repubblica socialista”. Al contrario, votò per la convocazione di un'Assemblea Costituente. Lì cominciò la sconfitta della rivoluzione.
A quelli che ancora pensano che i rivoluzionari e i riformisti siano, di là dalle differenze, “una famiglia” è bene ricordare che il governo socialdemocratico tedesco uccise Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht nel 1919.
Da allora, la democrazia borghese fu usata innumerevoli volte per deviare la rivoluzione e sconfiggerla. Fu così con la rivoluzione portoghese del 1974-75, e con la rivoluzione in America Centrale alla fine degli anni ‘70.
Questa divenne la politica principale dell'imperialismo a partire dal governo Carter negli Stati Uniti, e fu essenziale per deviare le rivoluzioni in America Latina all'inizio del XXI secolo, in Ecuador, in Bolivia e in Argentina.
Oggi la pressione della democrazia borghese continua a influenzare fortemente la sinistra. L'Accordo di pace tra le Farc ed il governo colombiano rientra in quest'ottica. È lo stesso tipo di accordo che portò le direzioni della guerriglia in Nicaragua ed El Salvador all'integrazione nel quadro della democrazia borghese.
Il socialismo è un'utopia?
Molti lavoratori credono che il socialismo sia solo un'utopia. Non vedono come l'umanità possa riuscire a raggiungerlo. Ricordiamo a tal proposito un passo di Trotsky: “La base materiale del comunismo dovrà consistere in uno sviluppo così alto del potere economico dell'uomo che il lavoro produttivo smetterà di essere un fardello e un castigo, non necessiterà di alcun pungolo, e la distribuzione dei beni, in costante abbondanza, non richiederà - come oggi già accade in una famiglia benestante - alcun controllo se non quello dell'educazione, dell'abitudine e dell'opinione pubblica. Parlando francamente, è necessaria una gran dose di stupidità per considerare come utopica una prospettiva in fin dei conti così modesta. Il capitalismo ha preparato le condizioni e le forze della rivoluzione sociale: la tecnica, la scienza e il proletariato. Tuttavia, la società comunista non può sostituire immediatamente quella borghese. L'eredità culturale e materiale del passato è oltremodo insufficiente. All'inizio, lo Stato operaio non può ancora permettere a ciascuno di 'lavorare secondo le sue capacità' o, in altre parole, quanto può e vuole; né dare a ciascuno 'secondo le sue necessità', indipendentemente dal lavoro realizzato. Per aumentare le forze produttive è necessario ricorrere alle norme consuete di pagamento salariale, ovvero alla distribuzione dei beni secondo la quantità e la qualità del lavoro individuale. Marx chiamava questa prima tappa della nuova società 'la fase inferiore del comunismo', per distinguerla da quella superiore durante la quale, con gli ultimi fantasmi della necessità, scompare anche la diseguaglianza materiale.” (La rivoluzione tradita).
Oggi lo sviluppo delle forze produttive permetterebbe già di porre fine alla fame nel mondo. Ciò già costituirebbe un passo avanti sul piano qualitativo in tutto il mondo. Ma saremmo ancora al di sotto delle necessità dei lavoratori, necessità che vanno ben oltre il cibo. Le necessità variano secondo l'evoluzione della tecnica.
Come affermava Trotsky: “Di certo l'Unione sovietica sorpassa oggi, per le sue forze produttive, i Paesi più avanzati dell'epoca di Marx. Ma, in primo luogo, nella competizione storica fra i due regimi non si tratta tanto di livelli assoluti ma di livelli relativi: l'economia sovietica si oppone al capitalismo di Hitler, Baldwin e Roosevelt, non a quello dei tempi di Bismarck, Palmerston o Abramo Lincoln. E, in secondo luogo, l'ampiezza stessa delle necessità dell'uomo si modifica radicalmente con la crescita a livello mondiale della tecnica. I contemporanei di Marx non conoscevano le automobili, la radio e gli aeroplani. Una società socialista sarebbe impensabile ai nostri tempi senza il libero godimento di questi beni” (La rivoluzione tradita).
Attualizzando Trotsky, una società socialista oggi sarebbe impensabile senza il libero utilizzo di smartphone e computer. Ma è altresì innegabile che lo sviluppo di computer, internet e mezzi di comunicazione facilita di molto l'amministrazione delle imprese e delle istituzioni. Una repubblica basata sui consigli sovietici oggi potrebbe coinvolgere più facilmente le masse lavoratrici nel controllo dello Stato e della società.
Siamo realisti... per questo siamo rivoluzionari 
Molte volte ci accusano di non essere “realisti” per il fatto che sosteniamo la rivoluzione. Noi rispondiamo che proprio perché siamo realisti difendiamo una rivoluzione socialista come quella russa del 1917.
Cosa sostengono i nostri critici “realisti”? In generale, sostengono il cammino delle riforme nel quadro del capitalismo in alleanza con settori borghesi “progressivi” attraverso le elezioni. Ma ciò significa essere realisti? Quali cambiamenti si spera di ottenere in questo modo?
Questo è stato il percorso seguito dai riformisti. Molti nutrirono speranze nel riformismo del Pt brasiliano, nella possibilità di cambiare dall'interno le istituzioni, attraverso la via elettorale. Invece, è il Pt che è stato cambiato dallo Stato borghese, e oggi è un partito che applica le ricette neo-liberali ed è impregnato della corruzione propria di tutti i partiti borghesi.
Altri hanno nutrito speranze nel nazionalismo borghese del chavismo, il cosiddetto “socialismo del XXI secolo”. Ma Chavez non aveva nulla di socialista. Il suo era un nazionalismo borghese che si rifiutava di scontrarsi con l'imperialismo e di avanzare verso il socialismo. Guardiamo la situazione attuale del Venezuela.
Il nuovo riformismo di Syriza in Grecia, e di Podemos, del Psol e del Fronte ampio, sta seguendo la stessa via.
Non è la nostra via. Noi difendiamo l'esempio della Rivoluzione russa. Il “realismo” dei nuovi e dei vecchi riformisti non conduce ad alcun cambiamento profondo, non conduce alla rottura col capitalismo. La proposta riformista sì che è un'utopia, un'utopia reazionaria.
Le masse lavoratrici stanno lottando in molte parti del mondo. In Medio Oriente, in Europa e in America Latina, piani di austerità sempre più duri costringono i lavoratori a mobilitarsi. I lavoratori abbattono governi, ma tante volte ne nascono altri uguali o persino peggiori. L'oppressione brutale di dittature come quella siriana obbliga le masse popolari a lottare eroicamente. I palestinesi si scontrano con lo Stato nazi-fascista di Israele.
La strada realistica verso la rivoluzione è molto difficile, piena di ostacoli. Molte sconfitte, poche vittorie. Ma è l'unica strada possibile.
Solo attraverso la mobilitazione rivoluzionaria della classe operaia e degli altri settori sfruttati potremo un giorno farla finita col capitalismo, con la miseria, con la fame, con la disoccupazione, con ogni tipo di oppressione, coi pessimi servizi sanitari e d'istruzione ecc., così come fece la Rivoluzione russa.
Per avanzare in quella direzione, è necessario superare la crisi di direzione rivoluzionaria, cioè distruggere l'egemonia delle direzioni riformiste e superare la debolezza delle direzioni rivoluzionarie.
Il nostro più grande omaggio alla Rivoluzione russa consiste nel seguire oggi il suo esempio. E trasformare l'impossibile in possibile.

(* Traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri e Francesco Ricci
dal sito della Lit-Quarta Internazionale www.litci.org )


Partecipa alla campagna della Lit-Quarta Internazionale
per i 100 anni dell'Ottobre bolscevico!
Il 7 novembre del 1917 i rivoluzionari guidati dal partito bolscevico di Lenin e Trotsky presero il potere in Russia. L'anno prossimo cadranno i cento anni di questa rivoluzione operaia e socialista c
he ha cambiato la storia dell'umanità.
La Lit-Quarta Internazionale promuove una campagna che realizzeremo per tutto l'arco del 2017, per divulgare la vera storia della rivoluzione russa. Perché continuiamo a rivendicare questa rivoluzione come il nostro riferimento strategico nella costruzione di una rivoluzione socialista oggi.
La campagna prevede, oltre a assemblee e seminari in tutti i continenti, organizzati dalle sezioni
della Lit-Quarta Internazionale presenti in decine di Paesi, la pubblicazione di video, film e articoli e saggi di approfondimento che saranno pubblicati in varie lingue (portoghese, spagnolo, inglese, arabo) sul sito della Lit. Sul sito del Pdac e sulle pubblicazioni cartacee della sezione italiana della Lit
 (il nostro mensile, Progetto Comunista, e la nostra rivista teorica, Trotskismo oggi)
pubblicheremo la traduzione in italiano di questo materiale.
Segnaliamo i link ai primi quattro brevi video realizzati dall'Internazionale
(sul sito della Lit-Quarta Internazionale e su quello del Pdac si trovano già altri materiali
e anche direttamente i quattro video: www.lit-ci.org)

La campagna per la rivoluzione russa (Rosa Lemus)
http://urly.it/21puu

Dalla Comune di Parigi alla rivoluzione russa (Francesco Ricci)
http://urly.it/21puv

Il significato dello stalinismo e la restaurazione del capitalismo (Martin Hernandez)
http://urly.it/21puw

L'attualità della rivoluzione russa (Zé Maria)
http://urly.it/21pux

lunedì 21 novembre 2016

Un invito ad aderire alla settimana internazionale di boicottaggio contro Hewlett Packard, di Comitato "Palestina nel cuore"

Il Comitato “Con la Palestina nel cuore” aderisce alla campagna internazionale contro Hewlett Packard!

Il Comitato Palestina nel cuore aderisce alla campagna internazionale contro HP e invita tutti gli amici della Palestina a partecipare a un’iniziativa di informazione e volantinaggio sulla campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) contro Israele, che si terrà sabato 3 dicembre nell’ambito della settimana internazionale contro HP.
Hewlett Packard (HP), leader mondiale dell’informatica che produce stampanti, computer, sistemi informatici, ecc., collabora alla brutale occupazione israeliana della Palestina fornendo tecnologie per l’infrastruttura informatica alle forze di occupazione israeliane, sistemi per l’identificazione biometrica dei palestinesi ai checkpoint, servizi e attrezzature alle carceri israeliane, dove i prigionieri politici palestinesi sono detenuti spesso senza processo e sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Questi investimenti militari che Israele sta facendo con la collaborazione di Hewlett Packard si configurano come sperimentazioni usate adesso contro i palestinesi, ma non tarderanno, in un prossimo futuro, ad essere esportati e utilizzati ai danni di tutte le situazioni di conflitto.
HP è stato individuato dal Movimento BDS palestinese come un obiettivo di primaria importanza della campagna di boicottaggio contro Israele per la sua complicità con il sistema di apartheid israeliano, che discrimina i Palestinesi e li priva dei loro diritti fondamentali, riconosciuti dall’ONU e dalle convenzioni internazionali.
NOI NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA 
E CI UNIAMO AL MOVIMENTO INTERNAZIONALE NELLA CAMPAGNA 
“IO NON COMPRO HP!”
Invitiamo a partecipare al nostro volantinaggio informativo presso il centro commerciale “HAPPIO”, in via Appia Nuova civ. 448 (metro Furio Camillo) - Roma
dalle 17 alle 20 di SABATO 3 DICEMBRE

Trump. Quale futuro per la Palestina?

Bassam Saleh

Trump conferma l’alleanza con Israele. Al Fatah verso il congresso sul nodo dei due stati.

La storia dell’umanità è piena di sorprese. Ed è anche spesso imprevedibile. Le elezioni americane, inaspettatamente, hanno portato il miliardario Trump alla casa Bianca, quando la stragrande maggioranza prospettava e si aspettava la vittoria della Clinton. Il neo Presidente ha capovolto tutti i sondaggi, e tutti i media che hanno tifato per la signora Clinton. Trump non ha solo vinto, ha sconfitto l’industria elettorale, compreso lo stesso sistema socioeconomico e perché no, anche politico culturale, che ha sempre avuto la sua supremazia nelle elezioni americane.
Trump, il candidato preso in giro, ridicolizzato e sotto valutato, ha vinto ed è il presidente degli Stati Uniti. Un personaggio contradittorio, ignorante, razzista, sessista, pericoloso, antisistema, forse innovativo. Con tutto ciò, ha avuto i voti della classe media schiacciata dalla crisi economica, dei giovani e della lobby sionista americana, il 90% dei voti della lobby ebraica secondo i giornali israeliani.
Henry Kissinger, l’ex segretario di stato, anche lui fra i tifosi della Clinton, in un’intervista al giornale “The Atlantic” dice che bisogna riconoscere la realtà che Trump è il presidente degli Usa, e invita a dargli il tempo per sviluppare la sua filosofia. Kissinger afferma che “la maggior parte delle politiche estere mondiali sono rimaste sospese per 6 o 9 mesi in attesa dei risultati elettorali americane” e le grandi potenze valuteranno gli eventi dei prossimi mesi, ma forse ad un certo momento tale eventi richiederanno di prendere una decisione”. Kissinger insinua “l’eccezione, e intendo quei gruppi irregolari (terroristi), che potrebbero innescare un’azione, per misurare la reazione americana, e questa può danneggiare la posizione americana a livello mondiale”.
Quindi Trump e la politica estera americana saranno all’esame delle cancellerie internazionali, dalla Russia alla Cina, e dall’Iran alle diverse capitali arabe e europee. Per quanto riguarda i conflitti in atto in Sira come in Ucraina, o l’eterno conflitto israelo palestinese, secondo la vecchia volpe della politica estera americana, c’è la possibilità di continuare come prima, se il nuovo presidente sarà chiaro nella sua filosofia con la gente, che potrebbe non essere conforme alla passata politica ma convergere negli obbiettivi.
Bisogna avere pazienza, per dare un giudizio sull’era Trump. In considerazione dei discorsi elettorali, com’è solito nella politica, si dicono tante stupidaggini e altrettante promesse, che volano con il vento. Si afferma che le circostanze sono cambiate o ci sono fattori nuovi che obbligano a cambiare rotta. È successo con il premio Nobel per la pace Obama ancora prima di iniziare il suo mandato, dalle grandi promesse di pace democrazia al mondo arabo/islamico, è passato a fare sette guerre ed ha continuato a sostenere i diversi estremisti gruppi armati in Siria con il pretesto della guerra al terrorismo jihadista. Gruppi di cui la signora Clinton ha riconosciuto la paternità e l’aiuto economico e militare.
Il neo eletto Presidente Trump, nella campagna elettorale, davanti alla platea dell’Aibac, la più grande lobby ebraica americana, ha fatto un discorso infiammando la sala, promettendo mare e monti all’unico grande alleato Israele: ha promesso di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, ha promesso che lo stato di Israele è e sarà sempre uno stato ebraico e che le colonie saranno legali. Ancora, secondo Trump Israele ha il diritto di difendersi dai bambini palestinesi perché sono armati di coltelli e istruiti all’odio verso gli ebrei! Un discorso pieno di contradizioni e violazioni dei principi del diritto internazionale. Non una parola in favore della pace se non la pace eterna della morte per i palestinesi.
La vittoria di Trump e stata accolta con gioia e festeggiamenti negli ambienti dell'estrema destra israeliana, il ministro dell’educazione Naftali Bennett commenta “è finita l’era dello stato palestinese” e aggiunge il leader del partito di destra religiosa Focolare Ebraico, stretto amico dei coloni, ”la vittoria di Donald Trump, è una formidabile occasione per Israele per annunciare l’immediata revoca del concetto di uno Stato palestinese nel cuore della nostra terra, che va direttamente contro la nostra sicurezza e contro la giustezza della nostra causa” e conclude “questa è la concezione del presidente eletto cosi come compare nel suo programma politico e di sicuro deve essere la sua politica”.
In una dichiarazione del 13 Novembre al Wall Street Journal, il Presidente Trump esprime l’intenzione di voler risolvere il conflitto arabo israeliano, utilizzando un suo linguaggio da imprenditore, vorrebbe fare una commessa fra gli israeliani e i palestinesi per mettere fine all'eterno conflitto. I media israeliani hanno scatenato l’inferno nei confronti di Trump. Yediot Ahronot ha pubblicato a grandi titoli “Trump cambia direzione” e “Trump inizia la discesa dall’albero delle promesse elettorali”. Una campagna per condizionare il neo eletto presidente. Walid Faris, consigliere di Trump ha risposto: ”Tanti sono i presidenti che hanno lanciato delle promesse, queste promesse devono però trovare una maggioranza per essere realizzate”. Il riferimento è al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
I palestinesi hanno espresso gli auguri al nuovo presidente americano con l’auspicio di lavorare per una giusta soluzione del conflitto con Israele. La leadership palestinese, è impegnata in questi giorni nella preparazione del settimo congresso del movimento al Fatah, che si terrà a fine novembre a Ramallah. Un congresso che deve valutare gli ultimi 20 anni di trattative con i governi israeliani, ed in particolare i novi anni dei rapporti con il governo Netanyahu, mettere i puntini sulle i e scegliere la strategia palestinese per mettere fine all’occupazione. L’attenzione è rivolta, anche, verso la soluzione dei due Stati, che dimostra il suo smarrimento davanti alle politiche coloniali ed espansionistiche del governo di estrema destra religiosa che non ha nessuna intenzione di arrivare a tale soluzione. Ai congressisti di Fatah il compito più arduo della lotta palestinese, lasciare la linea dei due Stati e proclamare la strategia dello Stato democratico contro il regime coloniale di apartheid che continua la sua occupazione senza nessun costo, visto che gli Usa e l’Ue continuano a pagare il costo di una occupazione che non accenna a finire. La leadership palestinese è determinata a internazionalizzare la questione dell’occupazione israeliana della Palestina, uno stato riconosciuto dall’Onu come membro osservatore, Israele deve quindi assumersi le sue responsabilità da potenza occupante.
L’amministrazione americana, ha avuto un’enorme responsabilità nel fallimento del processo di pace in quanto era il Padrino e l’unico arbitro. Sempre un arbitro di parte, sempre dalla parte di Israele. Si spera che la nuova amministrazione possa essere neutrale se vuole continuare nel suo ruolo in questo processo, anche se abbiamo motivo di dubitarne.
Il presidente Trump e la sua amministrazione, diversamente da Obama, ha davanti a se una regione divenuta teatro di guerra grazie alle politiche di Obama stesso. Una regione colma di tensione e instabilità, dove il grado d’insoddisfazione rispetto alle politiche americane è al massimo livello. Il presidente siriano Assad, in un’intervista alla tv portoghese, ha detto che se Trump decidesse di combattere veramente il terrorismo, troverebbe la Siria insieme alla Russia e all’Iran nella stessa battaglia, per liberare la regione di questi gruppi. Assad ha si è espresso usando il condizionale, anche perché Trump non ha esperienza politica e si deve aspettare il 20 gennaio per capire quale sia la politica del nuovo presidente. Il mondo arabo è in attesa di qualche segnale non solo dagli Usa ma dalla Russia e dall’Unione Europea, con tutte le riserve necessarie su questa ultima.
Una vera e giusta soluzione politica per tutti i conflitti in Medio Oriente deve iniziare con la soluzione della questione palestinese, una soluzione giusta equa e durevole, al momento si trova solo nell’attuazione delle risoluzioni internazionali che garantiscono il diritto internazionale e il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Senza questa soluzione, continuerà il caos e l’instabilità, che sono ormai alle porte dell’Europa.