Trump conferma l’alleanza con Israele. Al Fatah verso il congresso sul nodo dei due stati.
La storia dell’umanità è piena di sorprese. Ed è anche spesso imprevedibile. Le elezioni americane, inaspettatamente, hanno portato il miliardario Trump alla casa Bianca, quando la stragrande maggioranza prospettava e si aspettava la vittoria della Clinton. Il neo Presidente ha capovolto tutti i sondaggi, e tutti i media che hanno tifato per la signora Clinton. Trump non ha solo vinto, ha sconfitto l’industria elettorale, compreso lo stesso sistema socioeconomico e perché no, anche politico culturale, che ha sempre avuto la sua supremazia nelle elezioni americane.
Trump, il candidato preso in giro, ridicolizzato e sotto valutato, ha vinto ed è il presidente degli Stati Uniti. Un personaggio contradittorio, ignorante, razzista, sessista, pericoloso, antisistema, forse innovativo. Con tutto ciò, ha avuto i voti della classe media schiacciata dalla crisi economica, dei giovani e della lobby sionista americana, il 90% dei voti della lobby ebraica secondo i giornali israeliani.
Henry Kissinger, l’ex segretario di stato, anche lui fra i tifosi della Clinton, in un’intervista al giornale “The Atlantic” dice che bisogna riconoscere la realtà che Trump è il presidente degli Usa, e invita a dargli il tempo per sviluppare la sua filosofia. Kissinger afferma che “la maggior parte delle politiche estere mondiali sono rimaste sospese per 6 o 9 mesi in attesa dei risultati elettorali americane” e le grandi potenze valuteranno gli eventi dei prossimi mesi, ma forse ad un certo momento tale eventi richiederanno di prendere una decisione”. Kissinger insinua “l’eccezione, e intendo quei gruppi irregolari (terroristi), che potrebbero innescare un’azione, per misurare la reazione americana, e questa può danneggiare la posizione americana a livello mondiale”.
Quindi Trump e la politica estera americana saranno all’esame delle cancellerie internazionali, dalla Russia alla Cina, e dall’Iran alle diverse capitali arabe e europee. Per quanto riguarda i conflitti in atto in Sira come in Ucraina, o l’eterno conflitto israelo palestinese, secondo la vecchia volpe della politica estera americana, c’è la possibilità di continuare come prima, se il nuovo presidente sarà chiaro nella sua filosofia con la gente, che potrebbe non essere conforme alla passata politica ma convergere negli obbiettivi.
Bisogna avere pazienza, per dare un giudizio sull’era Trump. In considerazione dei discorsi elettorali, com’è solito nella politica, si dicono tante stupidaggini e altrettante promesse, che volano con il vento. Si afferma che le circostanze sono cambiate o ci sono fattori nuovi che obbligano a cambiare rotta. È successo con il premio Nobel per la pace Obama ancora prima di iniziare il suo mandato, dalle grandi promesse di pace democrazia al mondo arabo/islamico, è passato a fare sette guerre ed ha continuato a sostenere i diversi estremisti gruppi armati in Siria con il pretesto della guerra al terrorismo jihadista. Gruppi di cui la signora Clinton ha riconosciuto la paternità e l’aiuto economico e militare.
Il neo eletto Presidente Trump, nella campagna elettorale, davanti alla platea dell’Aibac, la più grande lobby ebraica americana, ha fatto un discorso infiammando la sala, promettendo mare e monti all’unico grande alleato Israele: ha promesso di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, ha promesso che lo stato di Israele è e sarà sempre uno stato ebraico e che le colonie saranno legali. Ancora, secondo Trump Israele ha il diritto di difendersi dai bambini palestinesi perché sono armati di coltelli e istruiti all’odio verso gli ebrei! Un discorso pieno di contradizioni e violazioni dei principi del diritto internazionale. Non una parola in favore della pace se non la pace eterna della morte per i palestinesi.
La vittoria di Trump e stata accolta con gioia e festeggiamenti negli ambienti dell'estrema destra israeliana, il ministro dell’educazione Naftali Bennett commenta “è finita l’era dello stato palestinese” e aggiunge il leader del partito di destra religiosa Focolare Ebraico, stretto amico dei coloni, ”la vittoria di Donald Trump, è una formidabile occasione per Israele per annunciare l’immediata revoca del concetto di uno Stato palestinese nel cuore della nostra terra, che va direttamente contro la nostra sicurezza e contro la giustezza della nostra causa” e conclude “questa è la concezione del presidente eletto cosi come compare nel suo programma politico e di sicuro deve essere la sua politica”.
In una dichiarazione del 13 Novembre al Wall Street Journal, il Presidente Trump esprime l’intenzione di voler risolvere il conflitto arabo israeliano, utilizzando un suo linguaggio da imprenditore, vorrebbe fare una commessa fra gli israeliani e i palestinesi per mettere fine all'eterno conflitto. I media israeliani hanno scatenato l’inferno nei confronti di Trump. Yediot Ahronot ha pubblicato a grandi titoli “Trump cambia direzione” e “Trump inizia la discesa dall’albero delle promesse elettorali”. Una campagna per condizionare il neo eletto presidente. Walid Faris, consigliere di Trump ha risposto: ”Tanti sono i presidenti che hanno lanciato delle promesse, queste promesse devono però trovare una maggioranza per essere realizzate”. Il riferimento è al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
I palestinesi hanno espresso gli auguri al nuovo presidente americano con l’auspicio di lavorare per una giusta soluzione del conflitto con Israele. La leadership palestinese, è impegnata in questi giorni nella preparazione del settimo congresso del movimento al Fatah, che si terrà a fine novembre a Ramallah. Un congresso che deve valutare gli ultimi 20 anni di trattative con i governi israeliani, ed in particolare i novi anni dei rapporti con il governo Netanyahu, mettere i puntini sulle i e scegliere la strategia palestinese per mettere fine all’occupazione. L’attenzione è rivolta, anche, verso la soluzione dei due Stati, che dimostra il suo smarrimento davanti alle politiche coloniali ed espansionistiche del governo di estrema destra religiosa che non ha nessuna intenzione di arrivare a tale soluzione. Ai congressisti di Fatah il compito più arduo della lotta palestinese, lasciare la linea dei due Stati e proclamare la strategia dello Stato democratico contro il regime coloniale di apartheid che continua la sua occupazione senza nessun costo, visto che gli Usa e l’Ue continuano a pagare il costo di una occupazione che non accenna a finire. La leadership palestinese è determinata a internazionalizzare la questione dell’occupazione israeliana della Palestina, uno stato riconosciuto dall’Onu come membro osservatore, Israele deve quindi assumersi le sue responsabilità da potenza occupante.
L’amministrazione americana, ha avuto un’enorme responsabilità nel fallimento del processo di pace in quanto era il Padrino e l’unico arbitro. Sempre un arbitro di parte, sempre dalla parte di Israele. Si spera che la nuova amministrazione possa essere neutrale se vuole continuare nel suo ruolo in questo processo, anche se abbiamo motivo di dubitarne.
Il presidente Trump e la sua amministrazione, diversamente da Obama, ha davanti a se una regione divenuta teatro di guerra grazie alle politiche di Obama stesso. Una regione colma di tensione e instabilità, dove il grado d’insoddisfazione rispetto alle politiche americane è al massimo livello. Il presidente siriano Assad, in un’intervista alla tv portoghese, ha detto che se Trump decidesse di combattere veramente il terrorismo, troverebbe la Siria insieme alla Russia e all’Iran nella stessa battaglia, per liberare la regione di questi gruppi. Assad ha si è espresso usando il condizionale, anche perché Trump non ha esperienza politica e si deve aspettare il 20 gennaio per capire quale sia la politica del nuovo presidente. Il mondo arabo è in attesa di qualche segnale non solo dagli Usa ma dalla Russia e dall’Unione Europea, con tutte le riserve necessarie su questa ultima.
Una vera e giusta soluzione politica per tutti i conflitti in Medio Oriente deve iniziare con la soluzione della questione palestinese, una soluzione giusta equa e durevole, al momento si trova solo nell’attuazione delle risoluzioni internazionali che garantiscono il diritto internazionale e il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Senza questa soluzione, continuerà il caos e l’instabilità, che sono ormai alle porte dell’Europa.
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Le rovine
"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
Buenaventura Durruti
lunedì 21 novembre 2016
Trump. Quale futuro per la Palestina?
Bassam Saleh
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