Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 5 aprile 2014

Bilancio Comunale, questo sconosciuto

Luciano Granieri, Osservatorio Peppino Impastato Frosinone

Ci sono giorni, e sono molti, in cui l’impegno civile e, diciamolo pure, politico, sembra un’attività superflua, frustrante.  Si ha la spiacevole sensazione di  sbattere contro il muro di gomma del disinteresse,  del nichilismo rassegnato che attanaglia i tuoi interlocutori.  Si è sul punto di arrendersi, di ammettere che anziché cambiare il mondo è il mondo che sta per cambiare te.  Ieri sabato 5 aprile   invece le percezioni sono state di tutt’altro segno. Essere riusciti ad organizzare il seminario sulle modalità di lettura del bilancio comunale, avvalendosi delle straordinarie doti di chiarezza e competenza  del professor Fabio Magliocchetti,  già vice sindaco di Ferentino,  con la collaborazione dell’ex assessore al bilancio del Comune di Frosinone, attuale consigliere di minoranza Stefania Martini,  ci rende orgogliosi e consapevoli di aver fornito un servizio utile alla comunità.  Non c’è dubbio ieri si è avuta la netta sensazione  come  l’impegno civile diventi  indispensabile e anzi spesso risulti  insufficiente.  Fabio Magliocchetti ci ha fornito un quadro complessivo del bilancio comunale, documento politico  prima che tecnico,  in cui è emersa  la complessità di un sistema molto strutturato nelle sue modalità di redazione e di controllo da parte dei revisori.  Stefania Martini, ha inserito in quel quadro alcune esempi  reali inerenti ai provvedimenti di bilancio adottati dalla giunta precedente, quando lei era assessore al bilancio, e a quella attuale. Non si è sottratta fra l’altro ai rilievi e alle critiche che pure sono arrivate dalla platea, la quale, lo diciamo con una punta di delusione non era numerosa.  E’ emerso con chiarezza l’irresponsabile e folle principio su cui si basa il patto di stabilità un insensato sistema di austerità che  la Ue ha imposto al governo centrale e questi ha esteso agli enti locali. Nel prossimo appuntamento ci occuperemo in modo più particolareggiato dei numeri partendo dal bilancio previsionale del Comune di Frosinone per  il 2013. Crediamo che un seminario del  genere  sia indispensabile per quel cittadino che voglia capire, come e dove vengono spesi i soldi dei tributi locali che egli stesso paga, ecco perché invitiamo tutti a partecipare al prossimo appuntamento che si terrò sabato prossimo alle ore 16,30, sempre presso la saletta dei soci Coop in Via Monti Lepini a Frosinone.

Lettera sul taglio al fondo di istituto




Alla c. a. della Ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini
                                                                      
  al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi
                                                                      
  al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano




Gentile Ministra, egregi Presidenti,
vorrei sottoporre alla Vostra attenzione alcune semplici considerazioni.
Nonostante i tagli draconiani, anche quest’anno le scuole italiane hanno regolarmente funzionato e garantito la loro offerta formativa a centinaia di migliaia di studenti. Fortemente sottodimensionati, il personale ATA ha lavorato a pieno ritmo e i docenti hanno svolto le loro funzioni strumentali, di coordinamento e di potenziamento della didattica.
Oggi ci troviamo tuttavia in una situazione gravissima: il fondo d’istituto della stragrande maggioranza delle scuole italiane non ha la consistenza economica per coprire tutte le attività di intensificazione, aggravio e straordinario che il personale docente e non docente ha effettuato durante l’anno per garantire il regolare funzionamento dei Piani dell’Offerta Formativa, previsti dalla legge sull’autonomia. In molte scuole la contrattazione integrativa si sta chiudendo con una fortissima riduzione dei compensi, assurti a cifre simboliche, in molte altre non si apre neppure.
Vi chiedo: dov’è finito il miliardo e trecento milioni di euro di crediti che le scuole vantano da anni nei confronti dell’amministrazione centrale? Quel credito che alcune circolari ministeriali in passato hanno vergognosamente chiesto alle scuole di inserire nell’‘aggregato Z’ del bilancio, così da renderlo inesigibile?
E ancora: com’è possibile che nonostante gli otto miliardi di risparmi effettuati nel comparto scuola solo con la legge 133/2008 (il 30% dei quali avrebbe dovuto essere reinvestito nella scuola), il mancato rinnovo dei contratti degli insegnanti, il blocco degli scatti di anzianità, la progressiva riduzione dei fondi per il funzionamento della scuola e per le attività di recupero e sostegno, siamo oggi di fronte all’ignominiosa possibilità che il nostro salario accessorio, a fronte di un lavoro regolarmente effettuato, non venga erogato?
Dovete dirci se abbiamo lavorato pro bono.
Dovete dirlo a centinaia di migliaia di lavoratori in tutta Italia.
Dovete avere il coraggio di dirci che, mentre i vostri lauti stipendi sono garantiti, mentre i boiardi di Stato continuano ad accumulare entroiti e pensioni da favola, a cumulare prebende e compensi aggiuntivi, mentre si dilapidano milioni di euro per inutili F35, e mentre si ciancia di chiamata diretta dei docenti e di finanziamenti alle scuole private dimenticando la Costituzione, noi, docenti e non docenti delle scuole italiane, con uno stipendio medio di 1.300 euro al mese, abbiamo fatto, a nostra insaputa, un volontariato coatto.



Roma, 31 marzo 2014

                                                                      Anna Angelucci
                                                                       
                                                       RSU Unicobas L.S.S. “L. Pasteur” di Roma

venerdì 4 aprile 2014

La guerra sporca agli enti locali

Marco Bersani (ATTAC). fonte: http://www.perunanuovafinanzapubblica.it/


1. La querelle nata in questi mesi – e divenuta drammatica in questi giorni- intorno al decreto cosiddetto “Salva Roma”, dimostra come uno dei nodi cruciali della guerra alla società, dichiarata dalle lobby finanziarie con la trappola della crisi del debito pubblico, veda da subito al centro gli enti locali, i loro beni e servizi, il loro ruolo. Infatti, poiché l’enorme massa di ricchezza privata prodotta dalle speculazioni finanziarie, che ha portato alla crisi globale di questi anni, ha stringente necessità di trovare nuovi asset sui quali investire, è intorno ai beni degli enti locali che le mire sono ogni giorno più che manifeste.
2Già nel rapporto “Guadagni, concorrenza e crescita”, presentato da Deutsche Bank nel dicembre 2011 alla Commissione Europea, si scriveva a proposito del nostro Paese : “ (..) I Comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. In una relazione presentata alla fine di settembre 2011 dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro (pari a circa il 5,2% del PIL). Inoltre, il piano di concessioni potrebbe generare circa 70 miliardi di entrate. E questa operazione potrebbe rafforzare la concorrenza. (..) Particolare attenzione deve essere prestata agli edifici pubblici. La Cassa Depositi e Prestiti dice che il loro valore totale corrente arriva a  421 miliardi e che una parte corrispondente a 42 miliardi non è attualmente in uso. Per questa ragione potrebbe probabilmente essere messa in vendita con relativamente poco sforzo o spesa. Dal momento che il settore immobiliare appartiene in gran parte ai Comuni, il governo dovrebbe impostare un processo ben strutturato in anticipo. (..) Quindi, secondo le informazioni ufficiali, il patrimonio pubblico potrebbe raggiungere in valore complessivo di 571 miliardi, vicino al 37% del PIL. Naturalmente, il potenziale può anche essere ampliato.”
3.La spoliazione degli enti locali è naturalmente avviata da almeno un quindicennio e vi hanno concorso diversi fattori. Il primo è stato il Patto di Stabilità e Crescita interno, ovvero le diverse misure, annualmente stabilite, per far concorrere gli enti locali agli obiettivi di stabilità finanziaria decisi dallo Stato in accordo con l’Unione Europea. Quel patto ha visto in una prima fase una durissima contrazione delle possibilità di assunzione del personale da parte degli enti locali, riducendone drasticamente la qualità del servizio e contribuendo in questo modo a costruire una campagna ideologica sull’inefficienza del “pubblico”; in un secondo momento è finita sotto attacco la possibilità e la capacità di investimento da parte degli enti locali che, con l’alibi di non doversi indebitare, sono stati costretti e ridurre al lumicino le opere da realizzare; infine, nell’attualità, perfino la capacità di spesa corrente trova draconiane limitazioni, mettendo definitivamente a rischio il funzionamento stesso degli enti locali. Classificati da ora in avanti in “virtuosi” e “non virtuosi”, gli enti locali saranno costretti, per entrare nella prima categoria, ad aumentare le tasse locali e le tariffe, a ridurre ulteriormente l’occupazione, a dismettere il patrimonio pubblico e a privatizzare i servizi pubblici locali.
4Il secondo fattore è dovuto alla spending review, ovvero i drastici tagli lineari che, anziché riorganizzare la spesa eliminando gli sprechi e le corruttele, comportano un’automatica riduzione di tutti i servizi erogabili senza alcuna scala di priorità e senza la benché minima programmazione. Il terzo fattore è stata l’approvazione del Fiscal Compact, ovvero l’obiettivo sottoscritto in sede europea di portare entro venti anni al 60% il rapporto debito/pil che oggi è pari al 133% . Ciò significa annualmente una riduzione secca di tale rapporto del 3,3% , con un costo di oltre 50 miliardi/anno. Se a questo si aggiunge l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione –di fatto, la costituzionalizzazione della dottrina liberista- il quadro è decisamente chiaro.
5.La tesi qui sostenuta  è che l’attacco agli enti locali sia sistemico e abbia come ultimo obiettivo la scomparsa della funzione pubblica e sociale dell’ente locale, come sin qui lo abbiamo conosciuto, trasformandone il ruolo da erogatore di servizi per la collettività a facilitatore dell’espansione della sfera di influenza dei capitali finanziari e da garante dell’interesse collettivo a sentinella del controllo sociale delle comunità. Una trasformazione autoritaria necessaria per permettere, attraverso la drastica riduzione della democrazia di prossimità, la totale spoliazione dei beni comuni delle comunità locali. Per queste ragioni, l’ente locale è destinato a diventare uno dei luoghi fondamentali dello scontro sociale nei prossimi mesi.
6.L’insieme di draconiane misure nei confronti degli enti locali ha un unico scopo: metterli con le spalle al muro dal punto di vista economico per persuaderli/obbligarli ad un gigantesco percorso di espropriazione e di privatizzazione, consegnandone beni e patrimonio alle lobby bancarie e finanziarie Un processo che avviene attraverso diversi ma convergenti percorsi. Cosa posseggono infatti gli enti locali? Territorio, patrimonio e servizi, ed è su questi che si sta giocando, e sempre più lo si farà nel prossimo periodo, la guerra contro la società.
7.Il territorio è da tempo strumento di valorizzazione finanziaria, in due diverse modalità di scala. La prima attraverso la continua cementificazione del suolo, favorita da una norma, da anni reiterata in Parlamento, che consente di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni : in pratica, anche solo per garantire l’ordinario funzionamento dell’ente locale, gli amministratori sono invogliati a consegnare porzioni di territorio alla speculazione immobiliare, arrivando al paradosso che, mentre fino a qualche anno fa erano i costruttori a fare la questua negli uffici comunali per ottenere cambi di destinazione d’uso di terreni, oggi sono i sindaci a inseguire i costruttori per poter firmare convenzioni che consentano di mettere in cassa i relativi oneri. La seconda è quella dei grandi eventi e delle grandi opere : che siano basi militari (Muos di Catania, Dal Molin di Vicenza), che siano mega-progetti infrastrutturali (Tav, Ponte sullo stretto, 35 nuovi progetti autostradali) o “eventi” (Giubileo di Roma, Expo di Milano), l’unico obiettivo è la consegna del territorio alla valorizzazione finanziaria e alla speculazione immobiliare.

8.Il patrimonio pubblico in mano agli enti locali ha, come abbiamo visto, dimensioni enormi (421 miliardi). La sua svendita, cominciata da tempo, è oggi considerata da Governo e Sindaci un vero e proprio piano strategico e, attraverso l’alibi della crisi del debito pubblico, sono ormai in adozione in tutti i Comuni piani di dismissione all’unico scopo di fare cassa. Anche i servizi pubblici locali sono da molto tempo sotto attacco e a rischio privatizzazione. Su questo terreno, come anche Deutsche Bank nel suo rapporto citato all’inizio ha dovuto riconoscere, la straordinaria vittoria referendaria del movimento per l’acqua nel giugno 2011 ha complicato molto i piani, senza tuttavia far desistere le grandi lobby finanziarie.
9.Cassa Depositi e Prestitiovvero l’ente (ora SpA, con all’interno le fondazioni bancarie) che raccoglie il risparmio postale (240 miliardi) di quasi 24 milioni di persone, è il vero e proprio braccio operativo di questo processo. Cassa Depositi e Prestiti interviene infatti sulla valorizzazione finanziaria del territorio, finanziando direttamente, o attraverso F2i (Fondo per le infrastrutture, partecipato al 16% da Cdp), molte delle grandi opere, in particolare autostradali, in corso o in progetto nel nostro Paese; così come, attraverso FIV(Fondo Investimenti per le Valorizzazioni) di CDPI sgr si propone agli enti locali come partner ideale per la valorizzazione degli immobili da immettere sul mercato, fissandone un prezzo ed impegnandosi ad acquisirli, qualora dopo bando l’ente locale non riesca a venderli (FIV comparto Plus) o acquisendoli direttamente (FIV comparto Extra); altrettanto determinante è il ruolo assunto da Cdp nei processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali, essendo da tempo impegnata attraverso F2i(Fondo per le infrastrutture) da una parte e FSI (Fondo strategico Italiano, interamente controllato da Cdp), in operazioni di ingresso nel capitale sociale delle aziende di gestione del servizio idrico e dei servizi pubblici locali per favorirne fusioni societarie e il rilancio in Borsa.
10.Se il luogo dello scontro sociale del prossimo periodo sarà dunque l’ente locale, il nodo intorno al quale si dipanerà sarà quello del ruolo di Cassa Depositi e Prestiti. Se sotto attacco è la stessa funzione sociale degli enti locali come luoghi di prossimità degli abitanti di un territorio, altrettanto sotto scacco è l’utilizzo della ricchezza sociale prodotta nel Paesein particolare quella del risparmio postale dei cittadini, che invece di essere utilizzata per gli investimenti volti al soddisfacimento dei bisogni sociali e ambientali delle comunità locali, viene interamente indirizzata come leva per l’espansione dei mercati finanziari e finalizzata all’espropriazione dei beni comuni. Si comprende meglio, a questo punto, anche il senso profondo della progressiva riduzione degli spazi di democrazia, che vede nell’accentramento istituzionale da una parte e in una furbesca campagna contro la “casta” e relativa riduzione della rappresentanza dall’altra, il progressivo distanziamento dei luoghi della decisionalità collettiva dalla vita concreta delle persone. L’obiettivo è chiaro : se ciò che è in atto è un mastodontico processo di spoliazione delle comunità locali, diviene necessario rendere loro sempre più ardua qualsiasi forma di organizzazione e di protesta, trasformando in rassegnata solitudine quella che potrebbe altrimenti divenire lotta per la riappropriazione sociale.
11. Oggi sindaci e amministratori sono posti di fronte ad un bivio senza zone d’ombra : devono decidere se essere gli esecutori ultimi di un processo di privatizzazione che dalla Troika discende verso i governi e scivola giù fino agli enti locali o se riconoscersi come i primi rappresentanti degli abitanti di un determinato territorio e porsi in diretto contrasto con quei processi. Ma, indipendentemente dalla consapevolezza dei propri sindaci e amministratori, le donne e gli uomini di ogni comunità locale di questo Paese devono sapere che la lotta collettiva e generalizzata contro la trappola del debito, per una nuova finanza pubblica e sociale, per la riappropriazione sociale dei beni comuni, è interamente nelle loro mani. E che da essa dipende il destino della democrazia reale.

Fermare l’€urodisastro

http://www.oltreloccidente.org/

(a cura del Comitato di Lotta di Frosinone)

Rapporto tra rigore e crescita , visto dalla parte dei licenziati e disoccupati.


Cosa c’entrerà mai l’Europa, lontana, invisibile, con le drammatiche situazioni dei disoccupati e licenziati ciociari?


Il dato principale è sconvolgente, per dirla con le parole del Presidente del Consiglio: la disoccupazione sul nostro territorio provinciale è più che allarmante, 14,14%, (raddoppiata negli ultimi 5 anni),  il precariato sta rimanendo una l’unica forma di occupazione e gli ammortizzatori sociali stanno terminando; coloro che non cercano più lavoro sono decine di migliaia. 

Tale processo di arretramento nell’occupazione è sicuramente congenito nell’organizzazione economica e produttiva del territorio voluta dal “capitale”, ma quello a cui stiamo assistendo dal 2008 è una vera e propria precipitazione degli eventi che vedono lacerarsi tessuti sociali e lavorativi con una rapidità inconsueta e incontrollabile. 

Non solo sono venuti meno investimenti, sostegno alle imprese, politiche di sviluppo, valorizzazioni dei territori, che pure poco portavano nelle tasche dei cittadini, ma parallelamente sono scomparse politiche sociali politiche di redistribuzione del reddito (il numero delle famiglie con risorse scarse è 1/3 in più di 15 anni fa, arrivando quasi al 45% della popolazione, fonte ISTAT), politiche sociali volte all’espansione della spesa (salute e sanità prima di tutto), trasferimenti di risorse ai territori per far fronte alla quotidianità. Mentre con la sedicente crisi le banche europee venivano foraggiate con €.500 miliardi, gli Enti locali hanno assistito a tagli giganteschi (almeno 15 miliardi) dei trasferimenti pubblici alle autonomie negli ultimi dieci anni.

 L’impegno degli enti a qualsiasi livello è stato quello di impoverire interi settori pubblici e privati con una azione politica che negli ultimi anni non ha visto soluzioni di continuità anche in luogo di avvicendamenti politici. 

Gli enti hanno diminuito le assunzioni, non sostituito chi andava via, si sono disfatti di attività in proprio, hanno reso precario ciò che prima tendeva ad essere stabile. Possiamo parlare di circa il 30% di dipendenti pubblici in meno negli ultimi 10 anni. Contestualmente hanno aumentato il costo dei servizi, alzato le tasse, introdotto il pagamento per servizi gratuiti, distrutto il territorio, alienato il patrimonio, contratto debiti… Hanno accelerato nell’esternalizzare, privatizzare, vendere, alienare. 

Il tutto nell’interesse dei cittadini? Non proprio. La situazione occupazionale, quella reddituale, quella delle reti familiari, quella delle politiche sociali volte all’aiuto, quelle della formazione, della trasmissione di saperi, dell’abitare, sono tutte situazioni fortemente peggiorate ai limiti del collasso.

 I cittadini inoltre sono chiamati a pagare il debito rintracciato negli oscuri bilanci comunali con ulteriori accelerazioni delle azioni che hanno accompagnato la “crisi”. Ce lo dice l’Europa di avere i conti in ordine, di pareggiare i bilanci. Ecco la spending review che racconta come sia indispensabile attuare una attenzione alle spese degli enti, a coprire i debiti pregressi, ma nello stesso tempo salva la classe politica che li ha generati: si introduce il famigerato “piano di riequilibrio economico finanziario”. “ L’ente è tenuto a porre in essere i vincoli imposti all’ente al fine di garantire il graduale riequilibrio finanziario pluriennale”, afferma la Corte dei Conti. 

Il piano di riequilibrio economico finanziario adottato dal Comune di Frosinone è un paradigma: riparare la massa passiva di 14,6 mln (5,5 disavanzo, 7,2 debiti fuori bilancio, 1,85 compensi avvocati fuori enti). La  procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (decennale precisamente) affida agli organi ordinari dell’ente l’individuazione e la concreta gestione delle iniziative per il risanamento alla faccia della politica che ha indebitato i cittadini…

Rideterminazione della pianta organica, con conseguente blocco delle assunzioni (salvo poi prevedere però alcuni particolari eccezioni…)

  • alienazione dell’ex motorizzazione civile €.9,3 mln (i cui proventi però non sono iscritti in bilancio non essendo sicuri che qualcuno risponderà a tale prezzo
  • riduzione delle indennità di funzione di assetto organizzativo generale dell’ente
  • riesame e verifica dei presupposti per il mantenimento delle partecipazioni azionarie (leggasi fine della Frosinone Multiservizi e regalo alle cooperative locali con precarizzazione del lavoro)
  • incremento delle tariffe dei servizi a a domanda individuale (leggasi dimezzamento dell’accesso alle mense scolastiche, ai trasporti, ecc.)
  • IMU  Ie aliquote per I’anno 2013 sono state incrementate del 50% per I’abitazione principale e Ie relative pertinenze aumentandole dallo 0,4 per cento allo 0,6%, mentre I’aliquota base era gia prevista nella misura massima dell’ 1,06%;
  • Ie tariffe Tares a copertura totale del costo del servizio, alla faccia se esso sia svolto correttamente o meno (vedi alla voce corruzione);
  • L’addizionale IRPEF alla misura massima consentita dello 0,8%
  • riduzione della spesa dei servizi a domanda individuale (taglio dei trasporti, asili ecc.)
  • riduzione della spesa per il personale (ma non per i dirigenti e p.o.);
  • riduzione delle spese per servizi e trasferimenti;
  • riduzione della spesa per prestazioni in servizio e trasferimenti sociali (nonostante la raddoppiata domanda)
  • riduzione del 25% della consistenza dei debiti accertati o riconosciuti (si “chiede” ai creditori una stretta del loro credito del 25%!)



Rimane sottaciuto 

- il fatto che « Il piano prevede maggior peso finanziario negli ultimi anni esso finisce sostanzialmente per rinviare alle gestioni successive la completa copertura di parte dei debiti» deliberazione Corte dei Conti 256/2013 

- Che la capacita di riscossione in conto competenza del Titolo I nell’ultimo rendiconto è pari al 64,5 per cento, mentre quella del Tit. III è pari al 65 per cento (evviva chi paga!). 

- che l’Amministrazione ha un contratto Collar-swap con Unicredit di cui non si conoscono le esposizione finanziarie e i probabili pericoli

- che la riduzione delle spese della politica, oltre ad essere di facciata, mettono a rischio l’aspetto democratico e partecipativo della vita della città 

- lo €. 0,9 milioni in meno per le partecipate dal 2014 è solo il taglio ai servizi della Frosinone Multiservizi, tralasciando gli effetti esternalizzazioni dei servizi con il carico economico sulle spalle dei cittadini e i redditi da fame di chi ci lavora; 

- che dal 2017 l’avanzo di parte corrente con saldo positivo di quasi 2 milioni di euro è tutto da dimostrare e anche la Corte dei Conti ha qualche dubbio in merito. 

RIGORE, quindi, per i cittadini, le famiglie, i lavoratori, i giovani, gli assistiti, CRESCITA dei profitti privati, delle tasse, del costo dei servizi, ma anche della corruzione, dei favori alle ditte amiche, della speculazione, dell’inquinamento, ecco cosa producono le politiche dell’Unione Europea per l’87% delle famiglie che fa fatica ad arrivare a fine mese. 

giovedì 3 aprile 2014

Ricominciano i seminari dell'Osservatorio Peppino Impastato e della Scuola si formazione sociale e politica "Don Gallo"

Osservatorio Peppino Impastato

Nei giorni di sabato 5  aprile e sabato 12 aprile dalle ore 16,30  avrà luogo presso la saletta dei soci Coop in Via M.ti Lepini a Frosinone il seminario “Impariamo a leggere il bilancio del comune” Dopo qualche settimana di pausa riprende la serie dei seminari organizzati dall’Osservatorio Peppino Impastato e dalla scuola di formazione sociale e politica Don Gallo. Il prossimo appuntamento riguarderà i bilanci delle pubbliche amministrazioni.  Con il  seminario “Impariamo a leggere il bilancio del comune”  L’osservatorio Peppino Impastato  intende fornire ai cittadini gli strumenti per poter esercitare il proprio diritto di partecipazione alle decisioni che vengono prese sul  territorio . Una dei nostri obbiettivi è proprio la promozione della partecipazione dei cittadini, sia nella fase propositiva che in quella di controllo. Infatti è proprio il contributo della cittadinanza nel verificare la trasparenza delle procedure messe in atto dagli enti locali uno degli elementi principali di promozione dei valori della legalità. Le inchieste giudiziarie che hanno investito le varie giunte comunali succedutesi alla guida della nostra città, indicano come una formazione del genere si a quanto mai opportuna. 

L'ipocrisia capitalista sull'aumento della disoccupazione

Luciano Granieri

 Nel sistema capitalistico il lavoro è da sempre considerato come uno dei più potenti disciplinari di comando. E’ talmente potente da diventare l’asse portante della struttura economica e si trasforma in potere sull’intera vita delle persone “biopotere”. 

Questa è la teoria del filosofo  Michel Focault.  L’affermazione del “biopotere” inizia tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, quindi in concomitanza con la prima rivoluzione industriale e  con l’affermarsi dell’ accumulazione capitalistica. Esso si  fonda sulla  coppia: “popolazione-ricchezza”.  Nella popolazione risiede il bacino della forza lavoro. E’ subalterna, capace di riprodursi, ma non di accedere al secondo elemento della coppia: la ricchezza. 

La categoria della ricchezza comprende la  classe proprietaria dei mezzi di produzione e dei capitali. E’  un oligarchia sociale che si nutre della  ricchezza generata dal bacino della forza lavoro e usa il lavoro come fonte di controllo e coercizione  sulla popolazione. L’obbiettivo è sottomettere la popolazione rendendola dipendente dal lavoro che diventa unico mezzo di sopravvivenza. 

Per garantire il predomino della ricchezza sulla popolazione è necessario che l’offerta di lavoro sia sistematicamente inferiore alla domanda dunque è fondamentale per esercitare il più efficacemente possibile il disciplinare di controllo mantenere in vita disoccupazione e precarietà. La disoccupazione è necessaria per ridurre il lavoro a puro stato di necessità e per lasciare i potenziali lavoratori alla mercè dell’accumulazione finanziaria.  

Lo scrittore Bernard De Mendeville in un poemetto satirico del 1705 dal titolo  “La favola delle api, vizi privati, pubblici benefici” cosi scriveva: “Che i poveri siano rigorosamente tenuti a lavorare …E’ prudenza allievare i loro bisogni ma follia eliminarli (..)  La ricchezza più sicura consiste in una moltitudine di poveri laboriosi”.  Dunque è necessario che vi sia la disponibilità al lavoro ma è altrettanto indispensabile, per esercitare il ricatto del bisogno,  usufruire solo di una parte di questa disponibilità.  

Ciò detto si capisce chiaramente come la disoccupazione sia elemento necessario all’affermazione del sistema capitalistico. Escluso il periodo fordista-taylorista, proprio della seconda rivoluzione industriale in cui la forza lavoro era numericamente  necessaria, e il cui controllo si esercitava non sulla quantità ma sulla qualità del lavoro stesso,  il principio della disoccupazione come elemento necessario all’accumulazione finanziaria è sempre stato valido e tenacemente perseguito. 

Ne è dimostrazione oggi il  Fiscal Compact. Come  efficacemente spiegato nel post di Thomas Fazi   "MA RENZI LO CONOSCE IL FISCAL COMPACT ?",  il  rispetto del 3% sul rapporto deficit nominale/pil è una prescrizione che arriva dal trattato di Maastricht, oggi superata dal Fiscal Compact. In questo trattato  si fa riferimento, non più al deficit nominale, cioè quello reale, ma al deficit strutturale. Il  deficit strutturale  viene calcolato dalla Commissione in base a dei parametri del tutto arbitrari, uno dei quali è il tasso di disoccupazione. 

In particolare  l’Italia  per il 2014 al deficit nominale stimato al 2,6 % del pil deve aggiungere un’ulteriore 0,6% che deriva dalle stime dell’Unione , per cui il nostro deficit strutturale è del 3,2%.  Come incide il tasso di disoccupazione sulla determinazione del deficit strutturale?  E’ presto detto. In base a quanto sancito da Bruxelles,  con  un tasso di disoccupazione al 9% ad esempio,   si avrebbe un recupero   dello 0,1% , ossia  al 2,6 del deficit nominale andrebbe sottratto lo 0,1 per cui il deficit strutturale passerebbe dal 3,2 al 2,5  saremmo in una situazione molto migliore. 

Con il tasso di disoccupazione attuale al  13%, invece, si determina la maggiorazione  dello 0,6% per un risultato come già detto pari la 3,2%. Va da sé che per diminuire realmente il tasso di disoccupazione sarebbero necessari investimenti soprattutto pubblici finalizzati alla creazione di  nuove opportunità di lavoro.  Ciò non può avvenire perché altrimenti si andrebbe ad aggravare il rapporto deficit nominale /pil.   

Per cui se da un lato sarebbe necessario abbassare   il tasso di disoccupazione per diminuire il deficit strutturale, dall’altro la cosa è impedita dalla impossibilità di destinare risorse a questo scopo   per evitare di aumentare ulteriormente il deficit nominale.  

E’ del tutto evidente che questo diabolico sistema, di fatto,  impone la disoccupazione,  ne impedisce, non solo la rimozione, ma anche il contenimento in valori sopportabili.   Essa  è necessaria  ad aumentare il deficit e ad  inasprire le  politiche di austerità, con le tragiche conseguenze del ricorso ai programmi lacrime e sangue della troika, comprendenti la privatizzazione di beni e servizi a favore del capitale finanziario.  

Dunque viene provato una volta di più che la disoccupazione è funzionale all’accumulazione capitalistica.  Le leggi approvate nell’ultimo ventennio  in Italia, ma anche in Europa, in Germana per esempio, sulle  tematiche del lavoro non fanno che  aumentare il potere di controllo della ricchezza sulla popolazione. Con il falso obbiettivo di creare occupazione si è accresciuta a  dismisura la precarietà del lavoro e la frammentarietà del reddito che questa sottende. 

Il jobs act  di Renzi,  con i contratti a tempo determinato senza causale, rinnovabili otto volte per tre anni, il che significa assicurare un lavoro per quattro mesi al massimo e poi arrivederci e grazie,   inaspriscono gli effetti devastanti della precarietà. Non si crea nuova occupazione, come ampiamente dimostrato da vent’anni di politiche del lavoro basate sulla precarizzazione dei contratti, e aumenta  il potere di ricattabilità del capitale finanziario sulla popolazione.  

La conclusione è evidente. Per combattere la disoccupazione è necessario combattere il sistema capitalistico, non c’è alternativa.  Si tratta di riprendere con maggior vigore e con una rinnovata organizzazione la vecchia cara lotta di classe. Ma esiste un movimento, un partito, un associazione che abbia consapevolezza di ciò,  che riesca a compattare il blocco sociale subalterno  disgregato dagli eserciti riformisti, e riorganizzare un efficace contrasto al capitalismo? 

Discarica di Colleferro, le illegalità in Commissione Europea

Rete per la Tutela della Valle del Sacco e Comitato Residenti Colleferro

Ci troviamo a rincorrere e scovare, ordinanza dopo ordinanza, i sotterfugi più o meno leciti che gli Amministratori pubblici escogitano per eludere un loro preciso dovere: ridurre e trattare i rifiuti in modo legale e meno dannoso per ambiente e salute.

Il nostro ultimo comunicato contestava l’Ordinanza n. 1 del 27 febbraio 2014 del Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, su proposta dell’Assessore alle politiche del Territorio, Mobilità e Rifiuti, Michele Civita, che “autorizza” per sei mesi il gestore della discarica di Colle Fagiolara a Colleferro, Lazio Ambiente SpA, a continuare a sversare rifiuti indifferenziati, in palese violazione della normativa nazionale ed europea, che vieta da anni il conferimento in discarica del rifiuto non trattato e separato adeguatamente.
Detto per inciso, siamo ancora in attesa che il Presidente Zingaretti, come richiesto, ci riceva per ascoltare le nostre obiezioni alle sue scelte e le nostre proposte in materia di rifiuti.

Siamo stati invece ricevuti dall'amministratore unico di Lazio Ambiente Spa, Vincenzo Conte, dal quale abbiamo saputo cosa realmente accade dopo l'Ordinanza emessa. I rifiuti indifferenziati in entrata a Colle Fagiolara vengono triturati e la parte organica, grossolanamente selezionata, viene trasportata presso l'azienda Rida Ambiente di Aprilia. Questi rifiuti, una volta "stabilizzati" come FOS ritornano a Colle Fagiolara per essere utilizzati come copertura della discarica.
L’illegalità dell’intera operazione sta nel fatto che la triturazione e la vagliatura non permettono una separazione efficace del rifiuto indifferenziato in entrata; inoltre il vagliatore non ha la capacità di trattenere l’intero rifiuto organico, parte del quale, quindi, continua a rimanere in discarica, provocando, come in questi giorni, i soliti e perduranti odori nauseabondi, contrariamente a quanto affermato dal gestore durante il citato incontro.

Nei prossimi sei mesi si praticherà questo metodo in attesa che la Regione Lazio autorizzi l'impianto di Trattamento Meccanico Biologico (TMB), progetto che, come da noi spesso ribadito, permetterà un duplice, deleterio risultato: la permanenza della discarica e degli inceneritori nel nostro territorio. Dall'impianto TMB, infatti, verrà prodotto Combustibile Da Rifiuto (CDR) per alimentare le due linee di incenerimento locali, in una percentuale intorno al 30% rispetto al rifiuto entrante, mentre il restante materiale si avvierà in discarica dopo separazione meccanica e biologica ad esclusione della piccola parte di metalli, che verrà separata.

Indicativamente, secondo i dati in nostro possesso relativi a dicembre 2013, la discarica di Colleferro ha una volumetria residua di 650.000 metri cubi a fronte di un impianto autorizzato di 1.718.000 metri cubi. Grazie all’operazione TMB l’attività della discarica proseguirà per molti altri anni, garantendo profitti esclusivamente al gestore e al Comune di Colleferro, il quale continuerà a percepire il ristoro ambientale dai 29 Comuni conferitori.
Le Amministrazioni che conferiscono a Colleferro hanno così l’alibi di una via di fuga programmata a discapito, però, di una politica ambientale più virtuosa e di una soluzione economica più redditizia, come dimostrano tutte le analisi di mercato, attraverso la Raccolta Differenziata porta a porta.

E’ opportuno non dimenticare che le Amministrazioni comunali sono soggette alla verifica della Corte dei Conti in relazione al mancato raggiungimento delle percentuali di Raccolta Differenziata e che nel caso di condanna ne rispondono direttamente i Sindaci e i Dirigenti degli Uffici Competenti Comunali.

Giova, inoltre, ricordare che la illegittimità della c.d. tritovagliatura è sancita dalla Circolare Orlando del 6 agosto 2013 sulla tipologia di rifiuti ammessi in discarica nel seguente passaggio: “… Quindi, per quanto concerne le indicazioni della Circolare in merito alla definizione di “trattamento” (di cui alla precedente lettera a), alla data del 1° giugno 2012, la tritovagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non soddisfa, da sola, l’obbligo di trattamento previsto dall’art. 6, lettera a) della direttiva 1999/31/CE…”.
Abbiamo, quindi, immediatamente segnalato l’illegittimità dell’Ordinanza emessa dalla Regione Lazio alla Commissione Europea, agganciandola alla Petizione 598/12, trovando rapido riscontro da parte della Presidenza della competente Commissione, di cui continueremo a seguire i lavori.

Le Associazioni e i Comitati intervengono attivamente per la salvaguardia del Diritto Comunitario e a seguire preannunciano il  ricorso al TAR del Lazio per l’annullamento dell’Ordinanza.

Le Amministrazioni che conferiscono a Colleferro non devono però esimersi  dal prendere una posizione chiara sulla questione, pronunciandosi pubblicamente sulla scelta operata da Zingaretti e dissociarsi con atto formale dalla decisione, onde evitare di essere accusati dai cittadini di partecipazione passiva.
Rivolgiamo il medesimo appello ai Sindaci della Valle del Sacco affinché mostrino il loro senso di appartenenza al territorio con una chiara assunzione di responsabilità politica verso la Comunità che rappresentano, attivamente impegnata in questa fase nel fornire indicazioni progettuali di riqualificazione dell’intero distretto interprovinciale.

Colleferro, 3 aprile 2014

il precedente Comunicato al LINK

mercoledì 2 aprile 2014

Ma Renzi lo conosce il Fiscal Compact?

Thomas Fazi. fonte: http://www.sbilanciamoci.info/

Il nuovo patto di stabilità elimina anche quell’esiguo margine di manovra fiscale previsto dal Trattato di Maastricht. Lo stesso margine a cui il Presidente del consiglio sostiene (ingenuamente?) di voler ricorrere. Secondo alcuni studi, i nuovi obiettivi equivarranno per l'Italia a oneri per 50 miliardi di euro l’anno
Qualche giorno fa, durante il Consiglio Europeo, Matteo Renzi ha ribadito che “l’Italia rispetterà gli impegni europei”, a partire dal tetto del 3% sul rapporto deficit/Pil, pur definendolo “anacronistico”. Allo stesso tempo, avrà probabilmente ripetuto quello che aveva detto pochi giorni prima alla Merkel, ossia che intende sfruttare il più possibile i “margini” che secondo lui offrirebbe il Fiscal Compact (incassando l’approvazione della cancelliera tedesca a quanto pare). La logica renziana è quanto segue: poiché si prevede che nel 2014 l’Italia registrerà un rapporto deficit/Pil del 2.6% – dunque al di sotto della soglia del 3% – l’Italia avrebbe “un margine ulteriore di 6 miliardi di euro” (0.4% del Pil) che potrebbe coprire una buona parte dell’annunciato taglio di 10 miliardi del cuneo fiscale. La posizione di Renzi sarebbe senz’altro apprezzabile, se non fosse che essa si basa su una lettura molto semplicistica (e fondamentalmente sbagliata) del Fiscal Compact, come pare che la Merkel – pur facendo qualche piccola concessione nel breve termine – gli abbia ricordato. Non sappiamo se nella sua immaginazione lo abbia messo dietro una lavagna con finte orecchie da asino, però Merkel ci ha tenuto a precisare che quello che bisogna rispettare non è più tanto Maastricht, ma il nuovo Patto di stabilità, il Fiscal Compact che entra in vigore quest’anno e le cui regole sono state stabilite con i pacchetti di regolamenti two-pack e six-pack, approvati dal Parlamento Europeo. Non sappiamo se Renzi stia facendo il finto tonto oppure effettivamente non conosca bene le norme del Fiscal Compact. A sentire Renzi, infatti, sembrerebbe che il problema del rispetto del Fiscal Compact riguardi unicamente il rispetto del vincolo del 3%. Il premier, però, ignora – o fa finta di ignorare – che il Fiscal Compact impone dei vincoli di bilancio molto più stringenti del 3%, già previsto dal Trattato di Maastricht (e successivamente rafforzato dal Patto di stabilità e crescita del 1999).
Come ho spiegato più approfonditamente in un recente articolo, il Fiscal Compact non guarda tanto al deficit nominale (fermo restando l’inviolabilità assoluta del limite del 3%) quanto al cosiddetto “deficit strutturale”. Ma cosa si intende esattamente per bilancio o deficit strutturale? Quest’ultimo viene calcolato dalla Commissione in base a dei parametri del tutto arbitrari e fortemente ideologici (e fortemente contestati), e ufficialmente serve a stabilire quale sarebbe il deficit di uno stato membro se la sua economia stesse operando al “massimo potenziale”. Si tratta in sostanza di un indicatore che dovrebbe permettere alla Commissione di giudicare se il deficit di un paese sia dovuto alla congiuntura economica, nel qual caso potrebbe essere eliminato per mezzo della crescita; o se invece sia “strutturale”, ossia continuerebbe a sussisterebbe anche se il paese riprendesse a crescere e arrivasse ad operare al massimo potenziale. La premessa è che in condizioni “normali” un paese dovrebbe avere un bilancio nominale sostanzialmente in pareggio. Facendola semplice, il bilancio strutturale viene calcolato sottraendo al deficit nominale una percentuale imputabile, secondo la Commissione, alla congiuntura economica. Questa differenza viene chiamata “output gap”.
Il Fiscal Compact stabilisce che tutti i paesi devono convergere rapidamente verso il “pareggio di bilancio strutturale”, che varia da paese a paese (in base al loro rapporto debito/Pil e ad altri parametri) secondo una forchetta che va dal -1% del Pil al pareggio o avanzo di bilancio (sempre inteso in senso strutturale, non nominale). Nel caso dell’Italia l’obiettivo è un avanzo strutturale dello 0.2%, da raggiungere entro il 2016.
L’introduzione del concetto di bilancio strutturale nella normativa europea rappresenta molto più di un semplice dettaglio tecnico (peraltro poco compreso); esso stravolge radicalmente le regole di bilancio in vigore finora nell’Ue. La Commissione può infatti stabilire, in base a dei parametri del tutto arbitrari, che un paese ha un deficit strutturale – e deve dunque implementare ulteriori misure di austerità – anche se registra un deficit nominale (entrate meno uscite, al lordo degli interessi sul debito pubblico) inferiore al 3%, e dunque in linea con i parametri di Maastricht. In questo senso, non è esagerato affermare che il Fiscal Compact elimina definitivamente anche quell’esiguo margine di manovra fiscale previsto dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e crescita. Precisamente quel “margine” a cui Renzi sostiene (ingenuamente?) di voler ricorrere.
Il caso dell’Italia è illuminante. Come si può vedere nella seguente tabella, la Commissione prevede che nel 2014 il deficit nominale del paese scenderà dal 3 al 2.6%, portandoci ampiamente all’interno dei margini previsti da Maastricht.
Previsioni della Commissione Europea per l’Italia, febbraio 2014
Allo stesso tempo, però, la Commissione stima che l’Italia quest’anno registrerà un deficit strutturale dello 0.6% – quindi significativamente superiore all’obiettivo del +0.2% che l’Italia, in base al Fiscal Compact, dovrebbe centrare entro il 2016. Da cui si comprende perché la Commissione chiede all’Italia – le previsioni della Commissione vanno sempre intese più come indicazioni politiche che come semplici stime – di ridurre ulteriormente il suo deficit, portandolo al 2.2%, entro il 2015, facendo crescere il suo saldo primario (già uno dei più alti al mondo) dal 2.7 al 3.1% del Pil, per mezzo di un’ulteriore manovra di circa 5 miliardi. Altro che “margine”.
E questo sarebbe solo l’inizio. In base a uno studio realizzato da Giorgio Gattei e Antonino Iero, infatti, gli obiettivi di riduzione del debito previsti dal Fiscal Compact costringerebbero l’Italia a mantenere (per quasi vent’anni!) un avanzo primario non inferiore al 4.5% (pari all’incirca a 50 miliardi di euro l’anno).[1] Che è esattamente l’obiettivo di medio termine che Bruxelles si aspetta dall’Italia, secondo fonti interne alla Commissione. E questo ipotizzando delle condizioni economiche future (tasso di crescita, inflazione, ecc.) “al meglio”. Una strada insostenibile non solo da un punto di vista sociale ma anche economico. Come ha scritto Carlo Bastasin sul Sole 24 Ore:
Se si considera il moltiplicatore fiscale si può dire che per effetto di una tale manovra il Pil scenderà di un altro punto percentuale e che quindi nemmeno la manovra aggiuntiva metterà i conti italiani in ordine. I cittadini saranno estenuati dalla dimensione della manovra e indignati per la sua inefficacia. A quel punto l'azione del governo sarà politicamente insostenibile. In conclusione: o si cambia strategia nei confronti dell'Italia (Marshall Plan, deroghe su debito e spesa per investimenti, intervento della troika) o l'architettura del Fiscal Compact dovrà essere modificata.[2]
Alla luce di ciò, non si capisce bene quale sia il “margine” a cui fa riferimento Renzi. Il fatto stesso di porre il problema in termini di rispetto o meno del vincolo del 3% non ha senso, poiché nell’epoca del Fiscal Compact la questione non riguarda più lo sforamento o meno del tetto del 3% (che comunque il Patto vieta categoricamente), ma piuttosto il fatto che ormai è stato cancellato anche l’esiguo spazio di manovra previsto dal Trattato di Maastricht. Perché Renzi non lo dice? E anzi continua a parlare come se continuassimo a vivere nell’era pre-Patto? Dobbiamo veramente credere che egli non capisca come funziona il Fiscal Compact? O piuttosto le sue dichiarazioni vanno intese come facenti parte di una strategia intesa a rivedere il Fiscal Compact in sede europea, magari contando su una maggioranza socialdemocratica nel Parlamento dopo le elezioni di maggio (per apportare modifiche al two-pack e al six-pack basta il Parlamento europeo).
Se fosse veramente così – e ovviamente ce lo auguriamo – Renzi però dovrebbe dirlo apertamente, coinvolgendo attivamente la società civile italiana ed europea e facendosi promotore di una campagna europea per la ridiscussione del Patto nel suo complesso. Ma questo significherebbe innanzitutto dire agli italiani la verità sul Fiscal Compact. L’esatto opposto di quello che Renzi ha fatto finora.

[1] Giorgio Gattei e Antonino Iero, “L’insostenibile rimborso del debito”, Economia e Politica, 10 marzo 2014.
[2] Carlo Bastasin, “L’Europa cambi linea”, Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2013

A PROPOSITO DI DONNE

Giuseppina Bonaviri
 Le donne non sono riserve protette, non sono vessillo di conquista o di supposta emancipazione. Dare spazio alle donne, ancor più se a quelle donne che vivono la loro normale quotidianità, in qualità di persone comuni che agiscono virtuosamente, ha un forte significato progressista. Sollecitare l’adozione spontanea di nuovi codici di comunicazione non ha semplicemente valore di questione di quote ma di un vero salto di qualità, di un avanzamento della democrazia paritaria, di cultura di genere diffusa. Non si può continuare ad abusare di luoghi comuni che ci vedano prigioniere di partiti o di finte lotte progressiste spesso , purtroppo, agite proprio da quelle donne che rimangono ostaggio del potere maschile.Le strategie culturali e di dominazione di genere stanno involvendo ma la verità rimane che l’appartenenza al gruppo come il cognome si trasmettono per linea maschile: questo è il modello imposto ancora esistente. Allora non basta  proporre sulla pelle delle donne -vedi sexy-worker- bisogna, prima, imparare l’arte dell’ ascolto e dell’accoglienza rispetto alle minoranze per sentirti classe civile e politica liberata. Necessita un grande apprendistato prima di avvicinarsi ad un gruppo stigmatizzato senza cadere nel precostituito rigido e questo, al momento se lo possono permettere poche-i eletti come le-gli studiose-i e scienziate-i.  Diversamente, anche i messaggi più alternativi serviranno solo a rinforzare gli stereotipi  tradizionali. Continuare a credere che ci sono donne cattive e donne buone giova solo alla stabilità di un sistema logoro, è un elemento di controllo sociale. Si continua a perseguitare, così, la sessualità autonoma delle donne mentre dovremmo  essere, invece, consapevoli dell’esistenza di questi modelli standardizzati per demistificarli e modificarli.Potremo pensare di cambiare solo quando disporremo di soluzioni sociali corrispondenti al di là dall’approssimazione intellettuale.
Iniziamo dal modificare i linguaggi comuni per permettere che anche il nostro territorio si trovi al passo coi tempi . La lingua rispecchia la nostra cultura, dunque, le riflessioni  sul modo di rappresentare le donne attraverso il linguaggio e la storia è la ragione per la quale essa svolge un ruolo prioritario nel processo di costruzione dell’immagine femminile collettiva. Le donne possono e devono essere sempre in prima linea -insieme agli uomini paritariamente- se si vuole scrivere un nuovo, fiorente capitolo d’epopea italiana. Noi donne, che lottiamo per la giustizia e per la pace, per i diritti civili siamo in prima linea e ben sappiamo che è solo un atto di giustizia che potrà rendere consapevoli le classi dirigenti che, se non si lascerà spazio alla democrazia di genere fuori dal  becero utilizzo questa sarà negata. Allora non ci potrà essere cambiamento che tenga nell’immediato.

Non vogliamo essere complici di un pregiudizio che ci vuole vittime di soprusi. Fuori dalle strumentalizzazioni della mala gestione politica che continua ad enfatizzare le quote rosa- pensiamo a quello che succede nella formazione del governo e poi a seguire nella proposta della nuova legge elettorale- fare Rete tra donne comuni e virtuose della, siano esse intellettuali o di riconosciuto talento crea le vere condizioni di beneficio per tutta la società.
Nell’ambito delle iniziative che la Rete La Fenice porta avanti è stato dato grande spazio alle criticità moderne dell’essere donna. Basti pensare alla iniziativa, ormai di respiro nazionale “ L’arte contro il femminicidio”.  Il nostro appello, che partì il 21 settembre scorso nel corso della prima iniziativa provinciale a sostegno del donne vittime di abusi alla Villa Comunale di Frosinone, è stato ascoltato ed ha sensibilizzato amministrazioni comunali e provinciali, a partire da quelle locali, che hanno accolto la nostra richiesta uscendo dai sentieri di omertà e di silenzio. Ne da conferma l’iniziativa provinciale dell’8 marzo scorso a Frosinone per l’inaugurazione della Campagna di sensibilizzazione provinciale contro discriminazioni e violenze di genere e la Marcia di solidarietà alla quale hanno aderito più di 50 comuni locali, moltissime scolaresche provenienti da tutta la provincia, associazioni, sindacati unitari, gente comune in una terra, la nostra, corrosa da microcriminalità e dall’arroganza di un potere politico irrivente.

Consapevoli, dunque, che la partecipazione è solo l’inizio di un lungo momento di riflessione innovativa ed aperta al contributo di tante e tanti sono stati messi in cantiere per i prossimi mesi  altri importanti momenti di incontro con la gente, con le Università e nelle scuole (dibattiti pubblici sull’evento saranno trasferiti a Napoli, Pescara, Rieti, Milano e proseguiranno sino a giugno su Roma).
Portare sul piano del confronto pubblico- tenendo alla base  prerequisiti  tecnico-specialistici che ne certificano la qualità- in provincia e fuori,  tra i giovani e nelle piazze tematiche occultate significa scavalcare i limiti dell’attuale dibattito politico sterile ed usurante. Perché di donne non basta solo parlare.
 Video di Luciano Granieri

Verso la svolta autoritaria

Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, AlessandroPace, Roberta De Monticelli, Salvatore Settis, Rosetta Loy, Corrado Stajano, Giovanna Borgese, AlbertoVannucci, Elisabetta Rubini, Gaetano Azzariti, Costanza Firrao, Alessandro Bruni, Simona Peverelli, Nandodalla Chiesa, Adriano Prosperi, Fabio Evangelisti Barbara Spinelli, Paul Ginsborg, Maurizio Landini, MarcoRevelli, Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio, Gino Strada, Paola Patuelli, Tomaso Montanari, CristinaScaletti, Antonio Caputo, Pancho Pardi, Ubaldo Nannucci, Maso Notarianni, Raniero La Valle, FerdinandoImposimato, Luciano Gallino, Dario Fo, Fiorella Mannoia



Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali.
Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti)  a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.
Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato.
Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone.


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