Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 25 marzo 2020

Appello per una svolta nella politica economica europea


Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

La crisi provocata dal Covid 19 pone l'Europa di fronte ad un bivio. L'Europa può uscirne rafforzata e più solidale oppure precipitare in una divisione che potrebbe diventare irreversibile.

E' in gioco l'esistenza stessa dell'Europa, perfino più che ai tempi della crisi finanziaria che portò Draghi a dichiarare che la Bce avrebbe fatto tutto il necessario per difendere l'Euro. Reagire a questo pericolo vuol dire adottare con determinazione misure europee per opporsi a questa crisi. Anzitutto per affrontare una drammatica emergenza sanitaria che riguarda la vita di centinaia di migliaia di persone e - come affermano diversi appelli di economisti e studiosi di economia - per affrontare una crisi europea con misure europee.

In particolare  lettera aperta di oltre 550 economisti alle istituzioni europee afferma con chiarezza che nessuno stato europeo deve affrontare la crisi o indebitarsi da solo, come avverrebbe applicando le regole del Mes.

E' infatti il momento di superare resistenze ormai fuori tempo, andando oltre il necessario impegno della Bce, per adottare con coraggio e capacità di innovazione politiche e strumenti europei di finanziamento alle misure necessarie per uscire dalla crisi economica, inevitabile conseguenza della pandemia.

Strumenti come gli Eurobond sono ora indispensabili per la mutualizzazione dei rischi connessi con l'impegno finanziario, fondato sulla solidarietà europea, per il rilancio occupazionale e produttivo di uno sviluppo rispettoso dell'ambiente e della società
Occorre uno strumento europeo come gli Eurobond per impedire una crisi dell'idea stessa di Europa.


Appello economisti: Le idee che hanno guidato la politica economica sono sbagliate



Neanche di fronte a un disastro l’attuale classe dirigente europea è disposta a prendere atto che le idee che hanno guidato finora la politica economica sono profondamente sbagliate. Questa classe dirigente pretende che tali idee interpretino il modo migliore di far funzionare i mercati, elevati a mitici giudici di ciò che è giusto e ciò che non lo è e di fatto sostituiti al processo democratico. Ma proprio la reazione dei mercati alle prime decisioni dei ministri finanziari e poi della Bce su come fronteggiare l’emergenza hanno sepolto sotto una valanga di vendite da panico la palese incomprensione della situazione da parte dei massimi dirigenti europei, costringendoli a frettolosi tentativi di riparazione.

Queste reazioni non sono però servite a convincere leader e tecnocrati della fallacia delle loro teorie. Gli interventi sono presentati come una risposta d’eccezione a uno stato di eccezione, senza che questo metta in questione le regole di funzionamento dell’Unione che – si sottintende – passata la tempesta riprenderanno ad operare pienamente.

Il Patto di stabilità in un primo momento non era stato nemmeno sospeso, preferendo affermare che non ce n’era bisogno perché “consente tutta la flessibilità necessaria”. Il “whatever it takes” di Mario Draghi è stato dapprima smentito, provocando il crollo dei mercati, e poi ripetuto in un tentativo di recupero. Ma è stata persa la credibilità, che è la condizione indispensabile affinché quella frase sia efficace, sia perché è evidente che sia stata detta solo perché forzata dagli eventi, sia perché i nuovi provvedimenti annunciati dalla Bce prevedono limiti e paletti (come la capital key, gli acquisti di titoli sovrani in base alle quote di capitale della Banca che ogni Stato possiede, seppure attenuata) e non sono quindi nella logica di “qualsiasi cosa sia necessaria”.

Il cosiddetto Fondo salva-Stati (Mes) è rimasto ai margini degli annunci, a riprova che non è in grado di salvare nulla. Si tratta in effetti solo di uno strumento di disciplina che gli Stati egemoni vogliono usare per imporre il loro dominio su quelli che cadano in difficoltà. Ne vogliono fare la chiave di accesso agli interventi della Bce, una chiave che sarebbe pagata con la “grecizzazione” di chi incautamente vi facesse ricorso, ossia l’impoverimento del paese e la sua successiva spoliazione da parte delle economie più forti.

Nell’immediato è necessario che:

- la Bce riaffermi con forza che i 750 miliardi di interventi annunciati rispondono solo alle prime necessità della crisi, e che è disposta ad interventi illimitati in base a quanto necessario;

- gli acquisti di titoli pubblici non avverranno più in base alle quote di capitale della Banca che ogni Stato possiede (criterio che peraltro non è applicato per le obbligazioni societarie), ma in base alla necessità di contrastare la speculazione;

- la Bce dichiari che i titoli sovrani detenuti in base ai vari programmi di acquisto saranno rinnovati indefinitamente;

- la Bce trovi la formula giuridica compatibile con i Trattati per acquistare a titolo definitivo bond senza scadenza emessi dagli Stati, con rendimento zero o prossimo allo zero, da collocare poi presso le Banche centrali nazionali.

Per il futuro è necessario che:

- i governi Ue abbandonino l’idea che la crescita dell’economia possa essere affidata alle sole esportazioni, continuando a perseguire indefinitamente una politica di contenimento dei bilanci pubblici e dei consumi interni;

- i governi Ue prendano atto che l’inserimento del Fiscal compact all’interno dei trattati europei è stato bocciato dal Parlamento europeo e quindi quelle prescrizioni vanno lasciate cadere;

- i governi Ue concordino che il pareggio di bilancio debba valere solo per le spese correnti;

- i governi Ue prendano ufficialmente atto che la politica fiscale possa essere usata in funzione anticongiunturale, anche se ciò comporta un deficit pubblico o un suo aumento;

- i governi Ue abbandonino i criteri di sorveglianza basati su parametri inaffidabili come il Pil potenziale e l’output gap.

Le decisioni necessarie ad assicurare la sopravvivenza dell’Unione europea non sono naturalmente soltanto queste - valga per tutte l'impellente necessità di dare vita agli eurobond - e ci sarà modo di discuterne in futuro, ma ciò che ora importa è che i vertici europei si rendano conto dei clamorosi errori ripetuti nel tempo e dichiarino di voler seguire d’ora in poi una strada diversa. Se questo non sarà fatto la crisi sarà pagata duramente da tutti i cittadini europei e sarà messa a forte rischio la stessa sopravvivenza dell’Unione.

Nicola Acocella (univ. Roma La Sapienza)
Massimo Amato (univ. Bocconi)
Davide Antonioli (univ. Ferrara)
Marco Antoniotti (univ. Milano Bicocca)
Roberto Artoni (univ. Bocconi)
Pier Giorgio Ardeni (univ. Bologna)
Lucio Baccaro (Managing Director, Max Planck Institute, Colonia)
Alberto Baccini (Univ. Siena)
Giancarlo Bertocco (Univ. dell’Insubria)
Paolo Borioni (univ. Roma La Sapienza)
Sergio Bruno (univ. Roma La Sapienza)
Sergio Cesaratto (univ. Siena)
Roberto Ciccone (univ. Roma Tre)
Giulio Cifarelli (univ. Firenze)
Carlo Clericetti (giornalista)
Antonio Cuneo (univ. Ferrara)  
Massimo D'Antoni (univ. Siena)
Antonio Di Majo (univ. Roma Tre)
Giovanni Dosi (Scuola Superiore Sant'Anna)
Sebastiano Fadda (univ. Roma 3)
Guglielmo Forges Davanzati (univ. del Salento)
Maurizio Franzini (univ. Roma La Sapienza)
Andrea Fumagalli (univ. Pavia)
Mauro Gallegati (univ. Politecnica delle Marche)
Claudio Gnesutta (univ. Roma La Sapienza)
Dario Guarascio (univ. Roma La Sapienza)
Andrea Guazzarotti (univ. Ferrara)
Andres Lazzarini (univ. of London e Roma Tre)
Riccardo Leoncini (univ. Bologna)
Riccardo Leoni (univ. Bergamo)
Enrico Sergio Levrero (univ. Roma Tre)
Stefano Lucarelli (univ Bergamo)
Ugo Marani (univ. Napoli l'Orientale)
Maria Cristina Marcuzzo (univ. Roma La Sapienza e Acc. Lincei)
Massimiliano Mazzanti (univ. Ferrara)
Marco Missaglia (univ. Pavia)
Francesco Morciano (univ. Pavia)
Mario Morroni (univ. Pisa)
Guido Ortona (univ. Piemonte orientale)
Ruggero Paladini (univ. Roma La Sapienza)
Daniela Palma (Enea)
Gabriele Pastrello (univ. Trieste)
Anna Pettini (univ. Firenze)
Paolo Piacentini (univ. Roma La Sapienza)
Paolo Pini (univ. Ferrara)
Cesare Pozzi (Luiss Guido Carli e univ. di Foggia)
Michele Raitano (univ. Roma La Sapienza)
Simonetta Renga (univ. Ferrara)
Guido Rey (Scuola superiore Sant'Anna)
Umberto Romagnoli (univ. Bologna)
Roberto Romano (economista)
Alessandro Roncaglia (univ. Roma La Sapienza e Acc. Lincei)
Vincenzo Russo (univ. Roma La Sapienza)
Enrico Saltari (univ. Roma La Sapienza)
Roberto Schiattarella (univ. Camerino)
Alessandro Somma (univ. Roma La Sapienza)
Antonella Stirati (univ. Roma Tre)
Pietro Terna (univ. Torino)
Mario Tiberi (univ. Roma La Sapienza)
Leonello Tronti (univ. Roma Tre)
Marco Valente (univ. dell'Aquila)
AnnaMaria Variato (univ. Bergamo)
Andrea Ventura (univ. Firenze)
Antimo Verde (univ. della Tuscia)
Marco Veronese Passarella (Leeds University Business School)
Gennaro Zezza (univ. Cassino)

Aderiscono anche:

Roberto Burlando (univ. Torino)
Riccardo Cappellin (univ. Roma Tor Vergata)
Andrea Coveri (univ. Urbino)
Lucio Gobbi (univ. Trento)
Lia Pacelli (univ. Torino)
Giuseppe Tattara (univ. Venezia)
Fabio Berton (univ. Torino)
Maurizio Zenezini (univ. Trieste)
Enzo Valentini (univ. Macerata)
Alessandro Balestrino (univ. Pisa)
Roberto Balduini (economista, Roma)
Nino Galloni (economista, Roma)
Annaflavia Bianchi (economista, Bologna)
Luca Fantacci (univ. Bocconi)
Elena Cefis (univ. Bergamo)
Alessandra Corrado (univ. della Calabria)
Emanuele Leonardi (univ. Parma)
Federico Chicchi (univ. Bologna)
Angelo Salento (univ. del Salento)
Carmelo Buscema (univ. della Calabria)
Devi Sacchetto (univ. Padova)
Lorenzo Robotti (univ. Politecnica delle Marche)
Luca Michelini (univ. Pisa)
Paolo Paesani (univ. Roma Tor Vergata)
Silvia Lucciarini (univ. Roma La Sapienza)
Fabio Fiorillo (univ. Politecnica delle Marche)
Marilena Giannetti (univ. Roma La Sapienza)
Giulia Zacchia (univ. Roma La Sapienza)
Gianni Viaggi (univ. Pavia)
Francesco Scacciati (univ. Torino)
Stefano Giubboni (univ. Perugia)
Daniela Federici (univ. Cassino)
Francesco Ferrante (univ. Cassino)
Valentino Parisi (univ. Cassino)
Eleonora Sanfilippo (univ. Cassino)
Carlo Devillanova (univ. Bocconi)
Elena Paparella (univ. Roma La Sapienza)



martedì 24 marzo 2020

La salute vale più dei profitti: sciopero subito!

fonteConiarerivolta



Era il 5 marzo quando il presidente Conte, per fronteggiare la diffusione del coronavirus, annunciava la chiusura di tutte le scuole sul territorio nazionale. Dopo giorni di sottovalutazione del problema e rassicurazioni su rassicurazioni promanate dal mondo imprenditoriale e dai suoi organi di stampa, impauriti dal rischio di una chiusura integrale delle attività economiche, iniziava la serie di decreti restrittivi sulla libertà di movimento delle persone. Solo quattro giorni dopo, il 9 marzo, veniva approvato il decreto che di fatto imponeva a tutti gli italiani, a partire dall’indomani, un isolamento quasi totale, consentendo gli spostamenti e le uscite di casa solo in caso di comprovata necessità e incentivando il lavoro agile per tutte le attività che lo permettevano.
Da allora sono trascorsi più di dieci giorni e l’epidemia corre veloce, con il suo pesante strascico di vittime. Il distanziamento sociale coatto ha determinato drastiche conseguenze sulle nostre abitudini e sulla nostra quotidianità, ma ha comportato soprattutto effetti economici drammatici per numerose categorie di lavoratori, rimasti senza occupazione e con ammortizzatori sociali limitati, se non del tutto assenti: partite iva; lavoratori precari a tempo determinato, cui non è stato offerto il rinnovo; lavoratori in nero. Uno stillicidio economico-sociale dalle conseguenze ancora incalcolabili.
La richiesta di isolamento nel proprio domicilio di giorno in giorno si fa più pressante, fino al punto di scatenare nella psicologia collettiva vere e proprie “cacce all’uomo”, contro il corridore di quartiere o la famiglia che fa uso, per qualche minuto, di un giardino condominiale per prendere una boccata d’aria. Ebbene, proprio in questo clima di forte tensione, costantemente alimentato dai media, succede che le imprese italiane, anche nelle zone dove i contagi sono molto concentrati, continuino a produrre indisturbate in tutti i settori produttivi, costringendo i lavoratori a viaggiare sui mezzi pubblici e a praticare attività che li vedono inevitabilmente a contatto e a rischio di contagio, in barba a qualunque norma di sicurezza dettata dai decreti sinora approvati. Come ammesso dell’assessora milanese Cristina Tajani, i dati mostrano che il 40% dei lombardi si sposta da casa per ragioni di lavoro e non per qualche pisciatina di troppo di cani incontinenti o per qualche giro di troppo per buttare la spazzatura.
L’Italia si ferma, ma i profitti delle imprese evidentemente non possono fermarsi, a costo di contribuire alla diffusione a catena dei contagi, che sta flagellando in particolare alcune province lombarde, non a caso ad altissima densità di attività produttive. È in queste condizioni che si arriva al nuovo annuncio, nella notte di sabato 21 marzo. A fronte del precipitare della situazione sanitaria e al crescente stato di agitazione dei lavoratori di molte aree del nord, timidamente assecondati dai sindacati confederali, questo nuovo decreto sembrava – sembrava! – finalmente stabilire la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali a decorrere da lunedì 23 marzo.
Il ritardo con cui questo decreto è stato introdotto rivela le responsabilità e gli interessi sociali che il Governo preferisce tutelare: varando la chiusura delle attività non essenziali, l’esecutivo ha esplicitamente ammesso che la misura è quantomai necessaria per combattere l’epidemia e che la sua applicazione tardiva è esclusivamente riconducibile ai diktat di Confindustria. I profitti di pochi sopra la salute di tutti. Come se non bastasse, la pressione di Confindustria si è immediatamente scatenata sul Governo al punto da indurre un drastico cambiamento nei tempi ma soprattutto nei contenuti del decreto. Non solo l’efficacia del decreto decorrerà da mercoledì 25, ma le attività essenziali – qualificate inizialmente come quelle che soddisfano i bisogni primari irrinunciabili e incomprimibili (settore energetico, alimentare, farmaceutico-sanitario e altri) – sono diventate un elenco interminabile di ben 80 settori nella lista definitiva, dichiarati indirettamente legati alle attività essenziali: dall’edilizia agli studi professionali, dal commercio all’ingrosso, al tessile e alla meccanica, dai call center alla attività di pulizia. C’è proprio di tutto.
Per di più, la possibilità di proseguire l’attività è consentita anche ad altre aziende, grazie ad una comunicazione da parte dei proprietari ai prefetti, che dichiari che queste siano funzionali alla fornitura di beni e servizi ai settori essenziali dell’elenco citato. I prefetti delle diverse aree territoriali devono poi vagliare la comunicazione, secondo una logica del silenzio-assenso. In altre parole, finché il prefetto non obietta l’attività prosegue indisturbata.
Le pressioni del mondo imprenditoriale evidentemente hanno ottenuto il risultato sperato. Peccato che in questo modo l’efficacia del decreto potrebbe rivelarsi molto contenuta e corriamo il rischio di perdere tempo prezioso nella nostra battaglia di contenimento del contagio e a sostegno del funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale.
Sul fronte opposto, i sindacati confederali non hanno nascosto un forte malumore per un decreto che calpesta i principi guida frutto di un accordo lungamente contrattato tra governo e parti sociali. Protestano, a piena ragione, battono i pugni sul tavolo, ma lanciano il sasso e nascondono la mano.
Di fronte alla gravità del momento e all’arroganza di una classe padronale che non ammette eccezioni alla propria sete di profitti, anziché convocare uno sciopero generale di tutte le attività non essenziali, i confederali delegano di fatto alle rappresentanze sindacali locali l’iniziativa di sciopero, affermando di dare a posteriori il pieno appoggio: una strategia pavida e pericolosa, che lascia campo libero al ricatto dei datori di lavoro nelle singole realtà locali, depotenziando così l’efficacia di una battaglia sacrosanta in difesa non solo del lavoro e dei lavoratori, ma di un’intera nazione alle prese con un’emergenza sanitaria di proporzioni inedite.
Oggi, più di sempre, quello che serve è l’unità dei lavoratori e di tutti i cittadini per la difesa dell’interesse collettivo, contro gli interessi particolari di chi rapacemente vorrebbe continuare a lucrare sulla pelle di tutti. L’unica arma che abbiamo contro il vergognoso atteggiamento di Confindustria è lo sciopero, a difesa della salute pubblica e di ogni lavoratore, perché il contagio si ferma solo con la chiusura, vera, delle fabbriche non essenziali.
Per questa ragione Coniare Rivolta appoggia lo sciopero generale di 24 ore indetto dall’USB per il 25 marzo e aperto alla partecipazione dei lavoratori di tutte le siglecosì come lo sciopero continuo di 48 ore indetto nei soli settori non essenziali per lunedì e martedì, per costringere anche CGIL, CISL e UIL fuori dall’atteggiamento prudente e irresponsabile dei loro segretari. Non siamo in tempi in cui la moderazione paga.
All'appello di Coniare Rivolta si associa Aut-Frosinone

Sciopero subito!

lunedì 23 marzo 2020

Conte chiude ma non chiude

Francesco Ricci

                                                   Nessuna fiducia nel governo!

Dopo aver negato per settimana la chiusura delle fabbriche, sprecando un tempo prezioso che è costato migliaia di vittime, dopo l'accordo "L'Italia non si ferma", scandalosamente sostenuto dalle burocrazie sindacali in nome della "concordia generale", ieri notte, il governo Conte ha annunciato la chiusura "totale".

Gli operai avevano già indicato da giorni, con scioperi che hanno scavalcato le burocrazie, quale era la via da prendere, l'unica realmente efficace per impedire il diffondersi del contagio: fermare le fabbriche e il trasporto delle merci non di prima necessità. Il contagio ha continuato infatti a diffondersi perché le fabbriche rimanevano aperte per ingrassare qualche decina di industriali miliardari. 

Non è un caso se le regioni dove il virus si sta diffondendo più rapidamente sono quelle con la maggior presenza di industrie.

La borghesia e il suo governo, con la complicità criminale di Landini e degli altri dirigenti dei grandi sindacati, ha fatto orecchie da mercante fino a ieri. Adesso, sotto la pressione degli scioperi, per paura che la protesta dilaghi (Landini: "dobbiamo impedire che la paura si trasformi in rabbia"), comprendendo in parte che la mancata chiusura rischia di compromettere maggiormente gli stessi profitti padronali, il "comitato d'affari della borghesia", cioè il governo Conte, ha tardivamente deciso per la chiusura, come gli operai invocavano da tempo.

Ma la borghesia e i suoi politici non sono in grado di vedere oltre il proprio naso e per questo la chiusura, presentata come "totale", lascia ancora aperte produzioni non indispensabili e, con espressioni ambigue, riserva un alto grado di discrezionalità ai padroni. 

La lista delle attività esentate dalla chiusura è molto ampia. Non solo: come previsto dal protocollo coi sindacati, dove si chiude lo si fa utilizzando ferie e permessi dei lavoratori o si scaricano i mancati guadagni padronali sulle casse pubbliche, usando la cassa integrazione (che in molti casi preannuncia i licenziamenti).

E' necessario allora che i lavoratori continuino a tenere la barra: valutando in ogni fabbrica se, a prescindere dalle indicazioni del governo, si tratta realmente di una produzione vitale per la sopravvivenza e scioperando in tutte le fabbriche di merci che non sono di prima necessità.

Le vicende di questi giorni chiariscono una volta di più la irrazionalità del sistema capitalistico, fondato sulla divisione in classi e la schiavitù salariale, basato sulla criminalità della classe borghese e delle sue istituzioni, sulla complicità delle burocrazie sindacali. La tragedia del coronavirus è una grande scuola di massa in cui milioni di proletari apprendono rapidamente cosa è il capitalismo.

E' un sistema barbaro che va rovesciato da cima a fondo e sostituito con un sistema opposto, che abolisca le classi e il lavoro salariato, serve un sistema che produca per le reali esigenze delle masse e non per i profitti di un pugno di miliardari. 

Serve il socialismo! Questo è l'orizzonte per cui lottare. Ma per poter continuare la lotta bisogna per prima cosa ora salvare le vite dei proletari, quelle vite che per la borghesia valgono meno dei suoi profitti.

Per questo è necessario che gli operai, che per primi hanno indicato la via, non si fermino davanti alle mezze misure di Conte, non ripongano nessuna fiducia nel governo e nei burocrati sindacali. Per questo è necessario che siano gli operai a chiudere tutte le produzioni non essenziali che Conte non vuole chiudere.

domenica 22 marzo 2020

Un Blues per rendere omaggio alle vittime del Covid-19

Luciano Granieri




I went down to St. James Infirmary                                 Sono andato all’ospedale St.James

Saw my baby there                                                               li ho visto la mia piccola

She was stretched out on a long white table                    distesa su un lungo tavolo bianco
So cool, so sweet, so fair                                                   così fredda, così dolce così bella

Let her go, let her go, God bless her                      lasciala andar via, lasciala ander via Dio benedicila

Wherever she may be                                                 ovunque lei sia

She can look this wide world over                  lei può cercare in questo vasto mondo
But she’ll never find a sweet man like me     ma non potrà mai trovare un uomo dolce come me

When I die bury me in straight lace shoes               quando morirò seppellitemi con le scarpe lucide

                  I wanna a box-back coat and a Stetson hat             voglio una giacca coi risvolti e un cappello Stetson

             Put a twenty-dollar gold piece on my watch chain  mettete venti dollari in pezzi d’oro nella catena del mio    orologio
             So the boys’ll all know that I died standing pat      così che i ragazzi penseranno “anche da morto sa il fatto suo


Questo è il testo del brano St.James  Infirmary. Un pezzo dalle  origini  incerte,  pare venisse dall’Irlanda,  le cui note devono aver risuonato  per diverso  tempo, agli inizi del ‘900, lungo le venti miglia del porto di New Orleans , nei locali di Storyville. Un blues che Louis Armstrong rese famoso avendolo  inciso a Chicago nel 1928 e che in seguito entrò nel repertorio di mille altri musicisti non solo di jazz.  

Parla di un povero cristo, alcuni alludono ad un giocatore d’azzardo fallito, comunque un poveraccio, che mestamente si reca a vedere la sua donna  morta all’ospedale di St.James (che non si trova  a New Orleans ma probabilmente ci   si riferisce a un    ospedale aperto  a Londra prima dell’invasione normanna per ricoverare “quattordici sorelle lebbrose nubili”).  Qui di fronte alla sua “piccola” così dolce e così bella distesa su un lungo tavolo bianco, il povero ma orgoglioso, e un po’ guascone , ragazzo immagina come dovrà essere il suo di funerale. 

Lui abituato a girare scalzo come i vagabondi di New Orleans  pretende di essere seppellito calzando delle scarpe lucide, indossando un’elegante giacca coi risvolti e un cappello Stetson, e prega qualcuno affinchè gli metta venti dollari in pezzi d’oro nella catena del suo orologio, in maniera che quella eleganza sfoggiata nella bara, possa testimoniare una vita diversa da quella vissuta. 

Probabilmente St.Jame Infirmary  sarà risuonata spesso nei funerali di New Orleans eseguita delle bands che suonavano per dar lustro al defunto anche se poverissimo.  Il  funerale a New Orleans era una cerimonia in cui, così come nelle occasioni festose,  le varie bands tendevano a mettere in mostra le abilità dei solisti, in particolare i cornettisti, che davano fondo ai polmoni nel soffiare dentro i propri strumenti blues a profusione. La cerimonia funebre non era propriamente triste ma era   la semplificazione  del come la vita era considerata dai neri  rispettosi del principio racchiuso nelle parole “piangere alla nascita ed esultare alla morte”.  

Guardando la  fila di camion militari, con dentro le bare delle vittime di Bergamo decedute per il Covid-19, diretti al tempio crematorio di Serravalle Scrivia, ho provato desolazione e tristezza.  La manifestazione della morte sottratta   all’emotività di chi rimane in  vita. Non un figlio, non un genitore, non una sorella o fratello che potesse piangere e rinnovare la vita del proprio caro ricordando momenti del vissuto insieme, ma solo un mesto saluto da lontano imposto dalle ferree regole della distanza sociale. Neanche la possibilità,  di esultare alla maniera dei neri di New Orleans, di confessare al proprio caro  quei  sentimenti  rimasti segreti, di ipotizzare  il riscatto nella morte di ciò che non si è potuto essere  in vita. 

E allora ho immaginato , d’appresso a quei lugubri camion, la presenza di un carretto con sopra una band, magari capitanata da King Oliver e   Luis Amstrong insieme, suonare le note di St. James Infirmary per dar lustro a qui defunti.  Un modo per lenire  il  mondo di tristezza che mi ha colto nel vedere quei feretri.  Una tristezza infinita che deve per forza spingerci a concepire un sistema di vita completamente diverso da quello che abbiamo vissuto finora. Lo dobbiamo a loro, a chi ahimè sarà destinato a lasciarci nelle prossime ore e a tutti noi.