Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 1 aprile 2016

Francia: crescono le mobilitazioni contro il governo

Patrizia Cammarata
 

A differenza di quanto successo in Italia, dove l’aumento dell’età pensionabile è stato approvato con solo due ore di sciopero e dove il Jobs Act ha visto la luce con un’opposizione soltanto di facciata da parte dei burocrati dei sindacati concertativi Cgil-Cisl-Uil, veri agenti del padronato all’interno della classe lavoratrice, e da un’opposizione debole e frammentata da parte del sindacalismo di base, in Francia i lavoratori, da settimane, fanno sentire forte la propria voce, occupando strade e piazze con grandi manifestazioni, contro la Riforma del Codice del Lavoro proposta dal governo francese. Proteste che testimoniano come il proletariato e la gioventù francese non intenda sottostare ai diktat europei (ci aveva offerto già un segnale con la vittoria del No al referendum sulla ratifica della Costituzione europea) e lo fa usando le armi storiche del movimento dei lavoratori (con gli scioperi, le manifestazioni sindacali, l’unità di classe) evitando, in questo modo, di appellarsi, per la difesa dei propri diritti, ad ideologie nazionaliste e di piccola patria.
Non intendono, i lavoratori francesi, farsi trascinare dai ricatti e dal bisogno di competitività capitalista che mira ad abbassare in Francia il costo del lavoro com’è successo (con il pacchetto Hartz) ai vicini lavoratori tedeschi e con il Jobs Act a quelli italiani. Le lavoratrici e i lavoratori in Francia non intendono sottostare ai provvedimenti di Myriam El Khomri, Ministro che ha dichiarato che l’obiettivo è quello di “adattarsi ai bisogni delle imprese”. Una riforma simile al Jobs Act che rende più facili i licenziamenti e che serve per rendere più precari e ricattabili i cosiddetti “garantiti” (vale a dire i lavoratori oggi più protetti e sindacalizzati) fornendo al contempo degli strumenti giuridici utili alle imprese, in grado cioè di mettere al primo posto la contrattazione aziendale, con il risultato di abbassare le condizioni di lavoro e dei salari francesi.
La presentazione della riforma è accompagnata, come successo in Italia, da spiegazioni martellanti che vogliono far passare nell’opinione pubblica l’idea che il diritto del lavoro è stata una causa, o la causa, della disoccupazione, che le aziende hanno paura di assumere per paura di non essere in grado di licenziare, anche se alcuni economisti hanno rilevato la fragilità del ragionamento ricordando, empiricamente, che non è vero che nei Paesi in cui la legislazione del lavoro è più protettiva la disoccupazione è superiore, e portando l’esempio di  Spagna e l'Italia, due Paesi che hanno colpito duramente i diritti dei lavoratori e  in cui l'occupazione non ha ancora riacquistato i livelli del 2008. Gli scioperi di questi giorni stanno mettendo in affanno l’esecutivo socialista guidato da Hollande, in difficoltà anche in virtù del fatto che le elezioni parlamentari del 2017 sono vicine e le misure proposte dal governo sono impopolari e rischiose dal punto di vista elettorale.
 
Le leggi d’emergenza servono per contrastare la resistenza popolare
Dopo i recenti fatti di terrorismo nel cuore della capitale francese, avvenuti il 13 novembre 2015, il 29 novembre il governo Hollande ha promulgato per tre mesi lo stato d’emergenza in tutta la Francia (in quest’occasione hanno votato contro solo sei parlamentari dei verdi e del partito socialista, mentre il Front de Gauche ha votato a favore). Lo stato d’emergenza permette di creare, nelle città, zone rosse in cui le persone e i veicoli non possono circolare, vieta il soggiorno in certe zone alle persone sospettate (divieto di dimora) oppure le costringe a non allontanarsi dal proprio comune di residenza (obbligo di dimora), permette di realizzare quelle che sono definite perquisizioni amministrative senza alcun limite d’orario, permette di acquisire e copiare dati informatici, di impedire riunioni e assemblee pubbliche e obbligare alla chiusura locali pubblici o di sciogliere gruppi e associazioni. Con lo stato d’emergenza votato il 29 novembre scorso è stato possibile in Francia che persone il cui “comportamento” è considerato pericoloso per l’ordine pubblico, fossero perquisite o costrette ai domiciliari. Diversi attivisti che sono stati individuati come responsabili di gruppi ecologisti sono stati interdetti per tutto il periodo di svolgimento della conferenza sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi tra il 30 novembre e l '11 dicembre scorsi. La maggior parte delle migliaia di perquisizioni avvenute dopo la promulgazione di questa legge non hanno portato a nessun procedimento penale poiché le persone perquisite non erano in alcun modo fiancheggiatori del terrorismo ma, essendo situazioni d’impatto molto violento (spesso di notte, con gli agenti incappucciati) hanno provocato gravi traumi nelle famiglie dei sospettati (soprattutto dei bambini) e hanno pesanti ricadute sociali poiché spesso queste famiglie sono poi isolate perché sospettate dalla comunità in cui vivono come “terroristi”, a causa delle perquisizioni.
Lo stato d’emergenza, in nome della sicurezza e della lotta contro il terrorismo, è utile al governo per annullare diritti fondamentali ed è utile soprattutto in un periodo in cui l’attacco ai diritti dei lavoratori, la disoccupazione, il disagio sociale, si trasformano in proteste che, con lo stato d’emergenza, è più semplice controllare e contrastare. Un provvedimento che serve inoltre per criminalizzare anche l’attivismo contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, spiare i cittadini francesi, bloccare i siti web, cioè contrastare con la repressione le voci dissidenti nei confronti della politica del governo. Ed è così che, da un’emergenza che doveva durare pochi mesi, il senato ha approvato l’estensione dello stato d’emergenza per altri tre mesi a partire dal 26 febbraio e la Francia si sta trasformando in uno Stato di polizia che può agire contro i sospetti trattenendoli in stato d’arresto anche fino a dodici giorni, negando loro l'assistenza legale per tutto questo periodo e può censurare i giornalisti non allineati, ostacolando in questo modo, ad esempio, le indagini indipendenti proprio su attività criminali e terroriste.
Ed è stato sempre François Hollande, il 16 novembre scorso, ad aver proposto una riforma costituzionale per introdurre due nuovi articoli: il primo sullo stato d’emergenza e il secondo sulla decadenza della nazionalità come pena per chi, disponendo di un altro passaporto, sia condannato in via definitiva per aver gravemente attentato alla nazione. Tale proposta di introdurre la privazione di nazionalità nella Costituzione ha provocato anche una crisi politica, con le dimissioni del Ministro della giustizia, Christiane Taubira, che ha definito la sua scelta “un disaccordo politico importante”. Ma anche sull’argomento della riforma costituzionale la sinistra istituzionale non sembra essere in grado di contrapporsi in modo convincente e significativo. Quest’importante compito lo stanno assumendo i lavoratori in lotta, che nelle radicali mobilitazioni di questi giorni, legano le parole d’ordine contro la Riforma del lavoro con quelle contro le leggi d’emergenza. Stanno vivendo, infatti, quotidianamente, sulla propria pelle, durante le manifestazioni e gli scioperi di questi giorni, la violenza dello Stato borghese sulle classi sfruttate che lottano per i propri diritti, una repressione che è cresciuta proporzionalmente alla crescita della partecipazione dei giovani e degli studenti nelle manifestazioni.
 
C’est ne qu’un debut… !
Per contrastare la riforma del lavoro, le burocrazie sindacali, circa un mese fa,  avevano annunciato una “giornata d’azione” per il 31 marzo (una tattica sindacale purtroppo molto conosciuta anche in Italia e che serve alle burocrazie sindacali per depotenziare l’indignazione dei lavoratori e nel frattempo concertare con il governo qualche briciola) ma la base ha respinto questo programma moderato costringendo i sindacati a proclamare lo sciopero per la giornata del 9 marzo e poi per il 17 e per il 31. Da subito si è visto che la classe lavoratrice in Francia non intende farsi mettere all’angolo: il 9 marzo sono scese in piazza quasi mezzo milione di manifestanti (1) che hanno in diversi casi bloccato trasporti, aziende, scuole, università, contro una riforma accusata di essere scritta a quattro mani (due mani sono quelle del ministro del governo e due quelle di un rappresentante di Medef, la confindustria francese).
 
Verso il 31 marzo: On bloque tout!
Dopo le proteste di massa della settimana scorsa il primo ministro francese, Manuel Valls, ha deciso di apporre alcune modifiche alla riforma annullando, ad esempio, il tetto all’indennizzo per i lavoratori licenziati ma l’impianto della legge non è mutato e, solo per fare un esempio, anche nella seconda versione rimane l’attacco all’orario di lavoro: oggi un lavoratore francese non può lavorare più di 10 ore al giorno, ma con la riforma del lavoro potranno salire a 12, e anche le 35 ore medie che possono salire ad un massimo di 48 ore, con la riforma arriveranno a 60 ore.
Secondo un sondaggio Odoxa per le Parisien e France Info, pubblicato il 24 marzo, il numero di francesi che si oppongono al nuovo testo di riforma è praticamente lo stesso che si opponeva alla prima versione ed i sindacati hanno annunciato che le concessioni non sono sufficienti e chiedono il ritiro della riforma, un ritiro che il governo francese non vuole attuare anche perché deve rispondere alle promesse di riforme fatte a Bruxelles, soprattutto la riforma del lavoro. Le organizzazioni di sinistra, i movimenti giovanili, i sindacati, sotto pressione a causa della grande disponibilità alla lotta dimostrata in queste settimane dalle masse lavoratrici, stanno preparando, con numerosi incontri a Parigi e nelle diverse regioni della Francia, la giornata di mobilitazione del 31 marzo.
Per i sindacati la giornata del 31 marzo sarà un test importante e l’obiettivo è quello di superare i numeri della protesta del 9 marzo scorso. Nel comunicato congiunto dei sindacati CGT, FO, FSU, Union syndicale Solidaires, UNEF, UNL, FIDL si legge: “…In questo contesto in cui l'occupazione e salari rimangono preoccupazioni principali, è urgente sviluppare l'occupazione stabile, di qualità, e nuovi diritti sociali. I sindacati (CGT, FO, FSU, Union syndicale Solidaires, UNEF, UNL, FIDL) chiamano tutti i salariati, le salariate, i disoccupati, le disoccupate, gli studenti, le studentesse i pensionati, le pensionate, a mobilitarsi per lo sciopero e a partecipare in maniera massiccia alle manifestazioni del 31 marzo per il ritiro di questo disegno di legge e per conquistare nuove garanzie e protezioni collettive...”. 
Al contempo un appello firmato da più di 500 sindacalisti e organizzazioni sindacali francesi invita alla mobilitazione generale; sull’appello si legge: “….da parte nostra, lo diciamo senza mezzi termini, il disegno di legge non è né modificabile, né negoziabile, e solo il suo ritiro, definitivo e totale, si impone come soluzione… Il 31 marzo, infine,  all'ordine del giorno ci sarà lo sciopero… L’unico modo che abbiamo per vincere e piegare il governo, è bloccare l'economia... E per bloccare l'economia, il primo passo è quello di condurre con successo lo sciopero del 31 marzo …La riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore settimanali, senza riduzioni salariali, senza flessibilità, senza sconti o prese in giro….Noi ci impegnano a sottoporre tutto ciò alla discussione con i nostri colleghi, sul posto di lavoro, nelle nostre strutture sindacali, nei coordinamenti inter-sindacali ai quali partecipiamo…. Al di là dell’appartenenza sindacale, chiediamo loro di aderire a questo appello, di proporne l’adesione alla loro struttura sindacale… E’ insieme che andiamo alla lotta, è insieme che vinceremo!”.
 
Per uno sciopero prolungato fino al ritiro definitivo del disegno di legge
E’ necessario che i lavoratori che in Francia stanno lottando contro la Riforma del Codice di Lavoro riescano ad impedire alle burocrazie sindacali riformiste di piegare il movimento in simboliche “giornate di azione” o in scioperi formali che porterebbero la classe lavoratrice a ripiegare la lotta su una compatibilità con il sistema che potrà portare solo alla sconfitta.
E’ necessario uno sciopero generale prolungato fino al ritiro definitivo della riforma e per arrivare a questo è necessario che entri quale protagonista principale nella lotta, in modo deciso e unitario, la classe operaia, che ha nelle sue mani i settori principali dell’economia. In questo modo, la classe operaia, fermando la produzione economica, e unita ai lavoratori e alle lavoratrici degli altri settori e agli studenti, potrà fermare tutta la Francia, potrà costringere i sindacati ad appoggiare la lotta ad oltranza, scacciando le vecchie organizzazioni burocratiche sindacali e politiche che collaborano con i padroni, per sostituirle con le organizzazioni indipendenti che sostengono la lotta del popolo francese fino alla capitolazione del governo e al ritiro dei provvedimenti contro i lavoratori.
 

Note

 

Partito Democratico e rifiuti: capace di volere, incapace di intendere.

 Retuvasa


E’ sempre più vero il detto “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
Il riferimento è alle sconcertanti dichiarazioni a reti unificate delle componenti territoriali del PD e del neo assessore all’ambiente e rifiuti, Mauro Buschini, relativamente alla gestione dei rifiuti e nello specifico a Colleferro, inteso ancora come polo logistico di risoluzione del problema perché, secondo la componente politica citata, ancora dopo decenni di problema si tratta.

L’avvio delle ostilità viene lanciato dall’Assemblea del Coordinamento territoriale Prenestini-Lepini del PD, area vasta, quindi palesemente rappresentativo nella condivisione.
Nel documento presentato all’incontro pubblico tenutosi ad Artena il 12 marzo scorso, a prescindere dai ritardi notevoli nel presentare una soluzione “virtuosa” sulla gestione dei rifiuti e dal mancato coinvolgimento delle strutture associative organizzate nell’elaborazione (prassi comune della politica in generale), emergono alcune prese di posizione che ci vedono fortemente in disaccordo per l’impatto estremamente negativo sul nostro territorio e di alcuna utilità per la soluzione del “problema”.
Ci riferiamo alle dotazioni impiantistiche, in particolar modo agli impianti di incenerimento (termovalorizzazione è un termine obsoleto), nel caso specifico, di Colleferro.
Il documento in questione fa riferimento all’art. 35 della Legge denominata Sblocca Italia. A tal proposito la regione Lazio avrebbe messo dei paletti non accettando la costruzione di nuovi impianti ed ottimizzando quelli presenti, con il presupposto di una diminuzione degli stessi, dagli attuali quattro a due, eliminando anche una delle due linee di Colleferro.
Fin qui ci potremmo stare, anche se a Colleferro le linee da abbattere sono entrambe, ma questa per alcuni politici è demagogia.

Proseguendo però nella lettura del documento, si scopre che gli inceneritori di Colleferro, e si parla al plurale, devono essere ripensati tecnologicamente, con gara pubblica per la gestione degli impianti ad un partner industriale, supponendo che sia in grado di sobbarcarsi i costi di ammodernamento.

Come dire, “poche idee, ma ben confuse”. Il PD ne vuole uno o due di inceneritori?

Inoltre nello stesso documento si decanta l’impianto di compostaggio di Gallicano come soluzione pubblica relegando a minor importanza soluzioni meno impattanti come gli impianti di comunità e l’autocompostaggio, mentre per Colleferro invece l’interesse deve passare al privato.
Pubblico, privato o misto? Raccolta differenziata o incenerimento? Mega impianti o piccole dotazioni locali?
Con tutte queste variabili la soluzione ottimale trovata anche per questa volta è far bruciare i rifiuti, per giunta ad un privato.

Tra l’altro segnaliamo che il prossimo anno verrà proposto un quesito specifico referendario a livello nazionale proprio per contrastare l’interesse strategico degli inceneritori determinato dall’art. 35 della Legge Sblocca Italia, quesito depositato il 23 marzo scorso in Corte di Cassazione.

Tornando al documento, le contraddizioni non finiscono ancora e inducono a ulteriore domanda: chi si assumerà il compito di ricercare il partner industriale che potrebbe manifestare l’interesse per gli impianti di Colleferro, in caduta libera a livello di obsolescenza impiantistica e per i quali sarebbero necessarie diverse decine di milioni di euro per l’ammodernamento?
Sarà lo stesso PD a forzare la mano ad esempio ad ACEA, forse unico interlocutore possibile in un contesto di spartizione economica del territorio nazionale a sobbarcarsi un impegno non indifferente su un’impiantistica, che con l’aumento obbligatorio della raccolta differenziata potrebbe divenire un investimento inutile?

Nel contesto interviene anche il neo assessore regionale ad ambiente e rifiuti, Mauro Buschini, area PD del frusinate, sicuramente non distante da Colleferro e perfettamente al corrente dello stato ambientale e sanitario della nostra valle e per la quale sembrerebbe si stia prodigando con incontri nella ricerca di soluzioni sulla qualità dell’aria, della cui proficuità restiamo in attesa di misure applicate.
In risposta ad alcune interrogazioni in consiglio regionale il 23 marzo scorso, l’assessore in controtendenza ai propositi precedentemente descritti, ha rilanciato sulla necessità impiantistica di Colleferro richiamando l’ammodernamento degli impianti per la soluzione del “problema rifiuti”.

Nel suo intervento l’assessore Buschini ha poi ribadito che la società Lazio Ambiente SpA dovrà essere integrata con una società privata del settore rifiuti, cedendo ai Comuni le rimanenti quote, ancora in mano alla regione. Gli inceneritori di Colleferro costituiscono il principale asset appetibile per il privato. La logica del profitto, quella delle lobby dell’incenerimento a livello nazionale, detta legge, a discapito di ogni bel discorso sulle compatibilità ambientali.

In sintesi è assai probabile che entro l'estate venga prodotto un piano rifiuti regionale, a marzo a detta dell’assessore saranno disponibili nuovi dati sul fabbisogno regionale, e che venga determinato l'assetto proprietario di Lazio Ambiente SpA, condizione necessaria per l'esplicito avvio del progetto di revamping degli inceneritori.

Troppe voci insieme tutte in linea tra di loro, sembrano “quasi” concordate.

In chiusura del documento elaborato dal Coordinamento Territoriale si dice “si deve avere il coraggio di pensare ad un ottica territoriale della gestione dei rifiuti”, se è così cosa quale progetto hanno in mente i sindaci del tavolo di coordinamento della Valle del Sacco? Molti appartengono al PD, si riuniscono per cercare di trovare le giuste soluzioni per il nostro territorio, mentre il proprio partito di riferimento fa proposte, a nostro modesto parere contrarie ai propositi da essi dichiarati.

Cosa ne pensano?

La nostra domanda avrà una risposta in tempi brevi, poiché in tempi sufficientemente brevi si dovranno fare scelte radicali, incombono leggi nazionali e la ridefinizione di un piano rifiuti regionale. A sua volta il PD territoriale dovrà sciogliere le sue molte ambiguità.

Nel frattempo le associazioni e i comitati della valle del Sacco si stanno mobilitando con la manifestazione territoriale del 9 Aprile a Colleferro di contrasto le azioni di proroga amministrativa degli inceneritori ed il loro rilancio per i prossimi vent’anni.
Sia ben chiaro, una forte presenza istituzionale darà certamente più forza a questa mobilitazione, ma che sia una sfilata a volto scoperto.

Frosinone. Rifondazione reunion

Mercoledì scorso si è svolta presso la sede provinciale del Partito della Rifondazione Comunista una Assemblea Pubblica con al centro delle discussione le emergenze sociali che sono alla base della crisi globale del paese.
I lavori sono stati introdotti da Paolo Ceccano, segretario provinciale del PRC, e le conclusioni sono state curate da Paolo Ferrero, segretario nazionale del PRC.
La partecipazione è stata numerosa, diversi interventi si sono susseguiti, la discussione è stata ampliata dalla partecipazione di organizzazioni ed associazioni i cui rappresentanti hanno dato un contributo piuttosto significativo alla elaborazione delle tematiche trattate.
Si sono evidenziate le presenze dell’Associazione Italiana della Wlidernes scon il suo presidente, Bruno La Pietra; La Rete degli Studenti con Massi Iula; del Coordinamento per l’acqua pubblica con Domenico Aversa; di Democrazia Atea con Carla Corsetti; di Vertenza Lavoro Frusinate con Gino Rosso; di Precari della Multiservizi di Frosinone con Paolo Iafrate; del Coordinamento di “Possibile” con Giammarco Capogna; del Pcdi con Ugo Moro; di Azione Civile con Romolo Rea e Dionisio Paglia del CDC
L’assemblea è stata occasione per confrontare e connettere le esperienze di militanza politica e civile che in provincia di Frosinone sono in corso e ripartire da ciò che già è in movimento per consolidare ed estendere l’azione politica dei comunisti della provincia di Frosinone.


                                       IL Segretario Paolo Ceccano


giovedì 31 marzo 2016

Storicizzazione del jazz e nuovi orizzonti

Luciano Granieri


Venerdì 1 aprile, presso l’associazione culturale “Oltre l’Occidente” in via Aonio Paleario n.  7 a Frosinone, a partire dalle ore 16,00,  il nostro viaggio, nella storia degli Stati Uniti e del mondo occidentale, raccontata dai musicisti jazz arriverà al capolinea. Dopo il free jazz, che subirà una rivitalizzazione nella Chicago di fine anni ’60, il jazz-rock sarà l’ultima evoluzione creativa della musica afroamericana. Un ultimo percorso verso nuovi lidi i quali usufruiranno in modo decisivo delle sonorità date dall’elettrificazione degli strumenti e dall’utilizzo di effetti speciali. Se da un lato questa espressione offrirà, per l’ennesima volta, all’industria discografica l’opportunità di fare affari con il jazz, dall’altro contribuirà, insieme agli uomini del free stabilitisi definitivamente in Europa, a diffondere il linguaggio jazz in tutto il mondo. Ciò sarà decisivo per  superare  il background afroamericano e instradare la musica improvvisata  verso nuovi approdi stilistici, espressioni folkloriche patrimonio di tutto il mondo. Finisce qui il percorso della musica afroamericana, ma inizia un’affascinante viaggio per le strade armoniche del mondo intero.  Un viaggio che illustreremo non, in questo appuntamento, ma nel prossimo, con un suggestivo  e straordinario filmato. 

martedì 29 marzo 2016

IL COMITATO NAZIONALE "VOTA SI' PER FERMARE LE TRIVELLE" RISPONDE A FILCTEM CGIL

IL CROLLO DEL PREZZO DEL PETROLIO E IL MANCATO SOSTEGNO ALLE RINNOVABILI SONO LA CAUSA DI PERDITA DI POSTI DI LAVORO

Roma, 25 marzo 2016 - Il Segreterio generale della Filctem-Cgil Emilio Miceli in merito al Referendum del 17 Aprile sulle trivelle  ha dichiarato che "a seconda del risultato, il referendum può produrre esiti che ricadranno sui nostri lavoratori, sulla loro occupazione (stime attendibili parlano di oltre 10.000 posti di lavoro a rischio nella sola Sicilia e a Ravenna, n.d.r.)", senza specificare la fonte di tali dati.

Il Comitato Nazionale del Referendum VOTA SI per fermare le Trivelle ricorda che si intende abrogare una norma che è stata introdotta dal governo il 1 gennaio di quest'anno con l'ultima Legge di Stabilità. Fino al 31 dicembre 2015 le concessioni avevano durata massima di 30 anni, con un vincolo temporale come qualsiasi altra forma contrattuale. Questo è quanto il Referendum del 17 Aprile intende ripristinare e per questa ragione risulta incomprensibile che una vittoria del SI possa causare la perdita anche di un solo posto di lavoro".
Il Comitato precisa che un altro importante sindacato della Cgil, la Fiom, tra gli aderenti al VOTA SI al Referendum del 17 Aprile, parla di "sciocchezze" quando si afferma che l'eventuale vittoria del SI al Referendum del 17 Aprile sarebbe causa del licenziamento di migliaia di lavoratori che opererebbero sia sulle piattaforme petrolifere che nelle attività di supporto.
"Tutto ciò è assolutamente falso" - riporta la nota della Fiom - "in quanto sulle piattaforme fisse di produzione di petrolio o metano vi lavorano tra i 2 e i 4 lavoratori. Questo avviene perchè le piattaforme sono gestite da remoto attraverso ponti radio o cavi".
E in merito ai lavoratori indiretti e quelli dell'indotto la Fiom afferma che "se il governo attivasse una reale politica energetica fondata sulle energie rinnovabili e in coerenza con gli impegni assunti nella Conferenza sul Clima di Parigi per ridurre le emissioni nella atmosfera, si attiverebbero enormi possibilità di una occupazione alternativa a quella odierna e più ricca professionalmente".
Non sarà il Referendum a mettere a rischio i posti di lavoro. Come afferma Legambiente "Secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza Deloitte, il 35% delle compagnie petrolifere a causa del crollo del prezzo del petrolio è ad alto rischio di fallimento nel 2016, con un debito accumulato complessivamente di 150 miliardi di dollari. Nel mondo le fonti fossili continuano ad essere sussidiate, con risorse degli Stati, con oltre 5 mila miliardi di dollari e nel nostro Paese i sussidi diretti e indiretti sono pari a 14 miliardi di euro.
Le politiche adottate dal Governo sfavorevoli alle fonti rinnovabili hanno già fatto perdere migliaia di posti di lavoro - nel 2015 se ne sono persi circa 4 mila nel solo settore dell’eolico.
Come affermato ieri da Greenpeace Italia, secondo uno studio redatto da Althesys per l'organizzazione ambientalista, in Italia entro il 2030 si potrebbero garantire oltre 100 mila posti di lavoro nel settore delle rinnovabili – cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia - mentre, al contrario, nel 2015 se ne sono persi circa 4 mila nel solo settore dell’eolico.
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Il Comitato nazionale “Vota SI’ per fermare le trivelle”unisce le forze di tutte le organizzazioni sociali e produttive affinché la Campagna referendaria diventi l’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico le scelte energetiche strategiche che dovrà fare il nostro Paese, per un’economia più giusta e innovativa.
Il Comitato promotore del Referendum abrogativo sulle trivelle in mare comprende  9 Regioni italiane: Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto.

Ufficio stampa
Monica Pepe, cell. 340 8071544

Comitato nazionale delle Associazioni
Referendum 17 aprile 2016
"Vota SI per fermare le Trivelle"

lunedì 28 marzo 2016

Frosinone. Incontro con Paolo Ferrero segretario nazionale Rifondazione Comunista

Il giorno 31 marzo 2016 presso la Federazione Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista alle ore 17.30 ci sarà un incontro con Paolo Ferrero, segretario Nazionale del PRC, introdotto da Paolo Ceccano, segretario Provinciale del PRC.
I temi trattati verteranno sulle emergenze   locali per potere costruire una trama tematica su cui rilanciare il conflitto e la dialettica democratica.
 L’iniziativa vuole portare all’attenzione le vertenze  locali piu’ urgenti per il nostro territorio; partendo dal dramma del lavoro, della scuola,ambiente e sanità ;  uomini e donne che subiscono gli effetti di una crisi globale.
Di fronte allo smarrimento di una visione critica e consapevole dei fenomeni sociali ed economici come mai in questo momento storico, occorre rimettere in circolo una idea di democrazia che pervada tutti gli aspetti della vita sociale. Una democrazia del confronto ovvero del conflitto fra i diversi modi di intendere le economie e la funzione sociale dello stato che crei le premesse del superamento di un liberismo che ogni giorno mostra le sue drammatiche crepe conducendo verso sbocchi drammatici le società.
Il PRC si fa interprete di questa necessità affinché la politica e l’impegno verso di essa riacquisti un significato in positivo di promozione delle idee e delle idealità e invita tutti a partecipare.
I cittadini sono invitati a partecipare.

                                                                           Il Segretario Paolo Ceccano


I Palestinesi di Gaza bevono acqua contaminata

Abeer Abu Shawish

Rayqa al-Malalha, 55 anni, guarda fuori dalla finestra della cucina in uno stagno putrido delle acque reflue nel cortile davanti alla sua casa di Rafah, città nella striscia di Gaza. Il suo comune non fornisce acqua potabile, in parte perché larete fognaria è infiltrata nel sistema di tubazioni dell’acqua.
Eppure i problemi di Rayqa non sono univoci. I Palestinesi di Gaza consumano regolarmente acqua contaminata, anche se il liquido che si beve è già stato trattato in un impianto di depurazione. A Gaza, secondo il Palestinian Water Authority (PWA), il 45 per cento dell’acqua trattata in impianti di desalinizzazione è contaminata.
L’associazione e-WASH ha scoperto che per quasi tutte le famiglie di Gaza non c’è alternativa. L’acquisto di serbatoi costosi di acqua pulita è insostenibile. Il novantacinque per cento di 1,8 milioni di abitanti della striscia consumano questa acqua inquinata. Coloro che possono permettersi l’acqua pulita, spendono fino a un terzo del loro reddito.
Nel 2012 le Nazioni Unite hanno avvertito che Gaza sta affrontando una crisi idrica e igienico-sanitari a causa di blocco israeliano della Striscia. Tutta l’acqua che finisce distribuita nelle case dei residenti proviene da una falda acquifera sotterranea. Il novantasei per cento della riserva è a rischio per il consumo umano. L’eccessiva estrazione di questa falda acquifera e l’intrusione di acqua di mare, insieme con l’infiltrazione di fertilizzanti agricoli e acque reflue non trattate, sono fattori che hanno portato a livelli di cloruro e nitrati fino a tre volte quelli raccomandati dagli standard del World Health Organization (OMS).
Non solo l’acqua di Gaza è pericolosa da bere, spesso non c’è neanche quella!
“L’acqua nella nostra casa c’è solo una volta o due volte alla settimana. Ne riceviamo così poca che non possiamo riempire neanche i nostri serbatoi d’acqua”, ha detto Rayqa.
Per soddisfare le loro esigenze la famiglia di Rayqa non ha altra scelta che comprare l’acqua a caro prezzo da venditori privati. Il costo è di cinque volte superiore all’acqua comunale. La sua famiglia ne ha bisogno per il bagno, cucinare e bere.
“Mio marito è senza lavoro e non possiamo permetterci di comprare l’acqua pulita una volta alla settimana, siamo costretti a chiedere un po’ di acqua ai vicini o usare l’acqua inquinata della rete per bere e cucinare”, ha detto Rayqa.
Tali difficoltà sono condivise da molti nella Striscia di Gaza assediata. Il consumo medio di acqua per persona al giorno è meno di 80 litri, ben al di sotto degli standard minimi OMS di 100. Considerare che di questi 80 litri, la maggior parte sono inadatti al consumo umano.
Oltre l’accesso limitato all’acqua potabile, le infrastrutture, in zona Rayqa di al-Arabia a Rafah sono anche difettosa e pongono ulteriori rischi per la salute. Il quartiere non è collegato alla rete fognaria pubblica perché materiali e finanziamenti per sviluppare le infrastrutture sono scarse. In totale il 23 per cento della popolazione di Gaza non hanno servizi igienico-sanitari.
Senza una fogna, i residenti di al-Arabia dipendono da pozzi neri per smaltire i propri rifiuti liquidi. A causa degli alti costi per il regolare svuotamento, molti nella zona finiscono per scaricare i loro liquidi in terreni agricoli circostanti. Questo crea grandi e profondi stagni di acque reflue che rappresentano una seria minaccia per i residenti del quartiere, in particolare i bambini.
I nipoti di Rayqa hanno attacchi costanti di diarrea e coliche. La sua convinzione è che le malattie sono probabilmente dovute alla scarsa qualità dell’acqua e alle acque di scolo che inondando le strade.
“Siamo disturbati tutto il giorno e la notte da un odore sgradevole e sciami di zanzare. La situazione peggiora in estate, quando non riusciamo a dormire la notte dalle punture di zanzare. La nostra vita è diventata insopportabile in questo settore, ma che alternative abbiamo? ” Si lamenta Rayqa.
Secondo Gaza’s Coastal Municipality Water Utility, il blocco israeliano imposto a Gaza dal 2007 ostacola gravemente il recupero e lo sviluppo del settore idrico e i servizi igienico-sanitari, ritardando e ostacolando i progetti di riparazione di più dell’ 86 per cento a causa della mancanza di materiali.
Si tratta di una crisi umanitaria, ma non una crisi delle risorse. C’è bisogno di una soluzione politica. Se non cessa il blocco, non ci può essere né vera ripresa, né lo sviluppo sostenibile nel settore idrico e servizi igienico-sanitari nella Striscia di Gaza. Solo allora Rayqa e la sua famiglia saranno in grado di vivere una vita dignitosa.

About Abeer Abu Shawish
Abeer Abu Shawish è un attivista nella Striscia di Gaza per E-WASH che si occupa dell’emergenza, acqua, servizi igienici e il Gruppo Igiene, questo è un organo di coordinamento composto da 28 ONG internazionali e locali, oltre alle agenzie delle Nazioni Unite, che mirano a coordinare il lavoro per quanto riguarda acqua, servizi igienico-sanitari e di igiene nel territorio palestinese occupato.