Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 10 maggio 2014

L'Inchiesta si fa in quattro

Luciano Granieri


Nella mattinata di ieri sabato 10 maggio, presso la Villa Comunale di Frosinone , la Cooperativa editoriale “l’Inchiesta” ha presentato le novità inerenti alla sviluppo dellea piattaforma  web realizzata con la collaborazione dell’agenzia Apiweb. Un azienda che dal 2001 progetta soluzioni per il web in molti campi ma in particolare nel settore dell’editoria. 

Grazie all’impegno e alla passione di Apiweb e della  redazione del giornale, la Cooperativa editoriale l’inchiesta, già nelle edicole con il quotidiano e in rete con il sito www.linchiestaquotidiano.it  potrà offrire una piattaforma multimediale innovativa. Saranno quattro i modi per interagire con la essa:  Due App (una gratuita e una a pagamento) per lo smartphone  e due siti anch’essi uno a consultazione gratuita e l’altro a pagamento. 

La novità sta nel concetto di interazione. Non a caso abbiamo usato la parola interagire  e non consultare descrivendo il modo di prendere  contatto con il sistema.  Con le App  del cellulare  ognuno potrà entrare   per  un giorno nella redazione. Potrà cioè trasmettere la notizia di un fatto di cui è testimone, oppure anche un semplice commento.  La redazione, quella stabile, vaglierà velocemente la notizia trasmessa e la pubblicherà. 

Secondo le ultime ricerche sulle modalità di fruizione delle notizie, in Italia è il cellulare il veicolo più usato per l’accesso all’informazione, inoltre si evidenzia come le persone siano maggiormente interessate alle notizie del  proprio territorio.  Ed in questa direzione si sviluppa il nuovo sistema multimediale de “L’Inchiesta” che potrà avvalersi di ogni singolo cittadino come corrispondente e diffondere un numero notevolmente superiore di notizie in modo veloce. 

Tutto ciò, ovviamente avrà ricadute positive anche sul quotidiano in vendita nelle edicole, che potrà disporre di fonti molto più numerose.  Si realizza  un’ informazione, partecipata e etero diretta non solo dal giornale ai lettori, ma anche dai lettori al giornale.  E Dio sa quanto oggi vi sia bisogno di partecipazione, a tutti i livelli, per scuotere dal torpore dell’indifferenza che attanaglia la società civile. In una democrazia partecipata un’informazione partecipate è fondamentale. Per adesso grazie alla Cooperativa editoriale L’Inchiesta, avremo questo primo tentativo di informazione partecipata, per la democrazia......abbiamo perso le speranze, o forse no? 

Tonando al fatto all’evento editoriale, c’è da aggiungere che in un quadro di crisi dell’editoria con un crollo delle vendite dei quotidiani, nelle edicole e digitali, è necessario essere creativi e progettare sempre nuove soluzioni nelle modalità di acquisizione e diffusione delle notizie.  In quest’ottica la scelta operata dalla Cooperativa editoriale  l’Inchiesta sembra estremamente azzeccata. Non resta che augurare   in bocca al Lupo al direttore responsabile Stefano Di Scanno, a tutta la redazione. Un  in bocca al lupo particolare e  personale va agli amici Giuseppe Antonelli e Alessandro Redirossi.  Buona fortuna a tutti voi ragazzi.
Di seguito i video della presentazione.


"Il degrado della Cgil, le possibilità dell'opposizione". Intervista a Cremaschi

Redazione Contropiano

Il congresso della Cgil più scontato della storia si è concluso con una mezza implosione. Ma non si può dire che si sia trattato di una conclusione inaspettata. La maggioranza “bulgara” del 97,5% con cui Susanna Camusso è salita alla tribuna del palco di Rimini era troppo disomogenea per essere vera e per reggere la prova dei fatti. Tanto che nella votazione individuale per il Direttivo ha raccolto appena il 69%, mentre il documento della maggioranza da lei guidata ha avuto l'80. Una caduta verticale di fiducia che dovrebbe sconsigliarle “azzardi autoritari” a breve termine (come il commissariamento della Fiom, che sembrava cosa fatta fino pochi giorni fa). Ma non è detto.
I “fatti”, tra l'altro, sono tutti di dimensione strategica, non occasionale. Parliamo della rottura palese del legame col Pd, della fine della “concertazione” (dichiarata dal governo per bocca di Renzi, che è anche segretario di quel partito), della crisi economica continua che erode le basi su cui era costruita la Cgil degli ultimi 25 anni: “ruolo politico” prevalente sulla rappresentanza reale degli interessi dei lavoratori, con “mediazioni” sempre più azzardate e distanti rispetto alle condizioni materiali di lavoro, alla dinamica dei salari, alla giungla contrattuale derivante dalla legalizzazione della precarietà a vita.
Giorgio Cremaschi esce da questo congresso quasi “vittorioso”, con una percentuale di voti superiore a quella “concessa” dalla segreteria confederale in seguito a una gestione dei congressi locali che anche Maurizio Landini ha definito sempre “truffaldina”. Contemporaneamente, Cremaschi ha rinunciato a candidarsi nel Direttivo Nazionale, rimanendo a questo punto un “semplice iscritto” che si batte però – come sta facendo con Ross@ - per una prospettiva a più ampio raggio.
Lo abbiamo intervistato stamattina per fare il punto della situazione.

Se dovessi condensare in una frase questo congresso?
È stato il congresso della paura e della rassegnazione. Come diceva Mao, “bisogna guardare alla tendenza e alle controtendenze”, ossia a quello che è avvenuto di positivo pur dentro una situazione di degrado per il mondo del lavoro. In positivo, si è verificata una forte opposizione, molto più ampia di quanto era nelle premesse. Ma è anche stata confermata una linea catastrofica di debolezza, paura e rassegnazione di tutta la Cgil. Condita da una gestione autoritaria e burocratica.
Un congresso che si è concluso con un inno all'impotenza della Cgil e all'unità con Cisl e Uil come unica condizione per la possibile sopravvivenza. Con una difesa dell'accordo del 10 gennaio sulla rappresentanza che è a sua volta un segno di autoritarismo e rinuncia alla contrattazione; perché quell'accordo si limita a recepire il “modello Pomigliano” ed estenderlo a tutti quelli che ci vogliono stare.
Perché dici che è una linea di rassegnazione?
Della relazione conclusiva della Camusso mi ha colpito un passaggio: “bisogna aprire una vertenza sulle pensioni, ma insieme a Cisl e Uil, altrimenti si viene sconfitti come sulla riforma Fornero”. Stava polemizzando direttamente con me, che avevo parlato della necesssità della ripresa di una pratica conflittuale, anche sulle pensioni. Ma perché? Nel caso della “riforma Fornero” non siano andati esattamente insieme a Cisl e Uil (con le famose tre ore di sciopero a fine turno, ndr)? E non siamo stati sconfitti lo stesso? O anche per questo?
Noto insomma una coazione a ripetere, tipica di chi ha paura. È la reazione di una burocrazia che si sente sotto attacco, che soffre la perdita di contatto con il Pd e ha paura di non contare più niente. E quindi reagisce con l'autoritarismo, con la chiamata all'unità intorno al gruppo dirigente, ma senza alcuna proposta. Qual'è la piattaforma della Cgil uscita da questo congresso? Non c'è. C'è un semplice aggrapparsi all'”unità” con Cisl e Uil, e all'accordo del 10 gennaio. Si punta a sopravvivere con questi due elementi. E basta. Alla nascente paura di non contare più niente si reagisce insomma con comportamenti che non ti fanno davvero contare più niente.
Guardiamo a come è stato vissuto il rapporto-scontro con Renzi. Il congresso si è mostrato rabbioso e rancoroso, ma impotente. Per esempio, sulla fine della “concertazione” - dichiarata da Renzi – ha reagito come la volpe con l'uva: “non ce ne importa niente”. Ma un sindacato come la Cgil attuale è stato costruito sulla concertazione, non può farne a meno, è la sua ragion d'essere.
Si è ragionato, nel congresso, sul fatto che a questo punto la Cgil sta perdendo rapidamente il rapporto con coloro che dovrebbe rappresentare (i lavoratori) e contemporaneamente anche il “ruolo politico” fondato sul rapporto col governo e il mondo politico?
La Cgil sta perdendo in basso e in alto. Perde ruolo e potere sia tra la gente (basti pensare al ruolo che aveva all'epoca di Cofferati, “grande casa comune della sinistra”), sia col Pd e il governo. Ma su qeusto non si è affatto ragionato. Ci sono stati molti lamenti, che hanno però solo evidenziato la paura della burocrazia. Non c'è stato nessun riconoscimento della crisi dell'Organizzazione. La Cgil esce dal congresso peggio di come ci era entrata. Con un'accentuazione della crisi.
La “tendenza” al degrado è chiara. Quali sono le “controtendenze”? E fino a che punto sono positive?
Diciamo che siamo soddisfattissimi della battaglia fatta come “Il sindacato è un'altra cosa”. Era stata decisa la nostra cancellazione, e in molti congressi territoriali si è visto di tutto. Ma alla fine hanno dovuto cedere e rinunciare. Abbiamo preso più voti di quanti delegati ci erano stati riconosciuti. Usciamo dunque dal congresso più forti e organizzati di prima. Ma siamo più forti all'interno di un'organizzazione che è invece in grave crisi. Questo cambia anche il nostro modo di stare dentro la Cgil. Non possiamo più pensare di fare soltanto una “corrente”, come si è fatto fin qui, perché tutta l'organizzazione nel suo complesso è in crisi. Quindi dobbiamo essere parte – come area interna – di un fronte molto pià ampio di lotta e unità con tutto il sindacalismo conflittuale, di base, con i movimenti e le lotte sociali in atto.
L'unità si costruisce, per esempio, nella lotta comune contro l'accordo del 10 gennaio. Perché la crisi andrà avanti il congresso non ha risolto alcun problema.

Non siete però più l'unica opposizione a Susanna Camusso...
È stata smentita – ed è positivo – la tesi degli “emendatari” al documento di maggioranza. Landini e Rinaldini avevano cominciato il percorso congressuale insieme a Camusso, spiegandoci che non era più tempo per “mozioni alternative”, ma che bisognava stare dentro la maggioranza per condizionarla e cambiarla.
Questa linea si è dimostrata priva di ogni concretezza. E al congresso di Rimini hanno dovuto anche formalmente passare all'opposizione. È certamente positivo. Ma ora l'opposizione bisogna farla e costruirla sul serio. E non solo al gruppo dirigente della Cgil, come pure bisogna fare, ma al giro di vite nell'austerità che sta uccidendo il paese. Ovvero a Renzi e al governo. Landini su questo punto è stato fin qui assai meno chiaro. Sarebbe un errore pensare che possa esistere un “fronte del rinnovamento”, trasversale, contro un “fronte burocratico”. Prima di tutto bisogna infatti ricostruire il conflitto. Per dirla con il linguaggio di una volta, l'”avversario principale” è il governo, l'Unione Europea, il sistema delle imprese. Come “derivata secondaria”, c'è anche la Camusso e il fronte burocratico, che fin qui è stato complice silenzioso e ora viene scaricato. Ma non è Camusso “il motore” dell'offensiva reazionaria e padronale. Solo un complice. Bisogna insomma sempre avere il senso della “gerarchia delle priorità”, nella lotta politica e sociale. Non si può in nessun modo cedere alle facili suggestioni del “nuovismo”.
Insieme a Landini e Rinaldini abbiamo fatto molte battaglie comuni, nel congresso, ma dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo in una situazione di degrado totale per quanto riguarda il mondo del lavoro. Se fai sul serio l'opposizione a Camusso, ti scontri subito anche con Renzi. Non puoi pensare che sia un interlocutore; è un avversario.
Ascoltando alcuni discorsi all'interno del congresso, mi sembra che ci sia il rischio che la Cgil venga alla fine percepita come una specie di “corrente bersaniana” del Pd. Diciamoci la verità: Renzi prende tutti i giorni a ceffoni la Cgil (non Cisl e Uil, che sente ormai come “cosa sua”), indicandola pubblicamente come una “corrente fassiniana” (nel senso di “Stefano Fassina chi?”), di fatto subalterna. Questo pone di nuovo e in ben altri termini la questione dell'autonomia sindacale dalla politica e dai partiti. Lo scontro tra Camusso e Renzi è uno scontro vero, mi sembra, ma l'apparato sindacale che sostiene la prima non è disposto a portarlo avanti sul serio. Non ha la cultura politica e l'autonomia per farlo. Renzi quindi affonda nel burro...

Non ti sei ricandidato per il Direttivo Nazionale e rimani come semplice iscritto. Cosa significa?
Ad un certo punto bisogna farlo, è anche un problema di igiene politica. Penso che bisogna costruire un fronte molto più ampio e conflittuale, come dicevo prima. E cercherò di dare un contributo in questa direzione. C'è una situazione generale terribile, stiamo andando verso una “Grecia con la vaselina”, compreso l'attacco alla democrazia. Ho fatto una scelta per una militanza senza confini. In qualche misura l'ho fatto sempre, nella mia storia di militante. È arrivata l'ora di farlo anche formalmente.

venerdì 9 maggio 2014

Una legge di iniziativa popolare per risanare la Valle del Sacco con i fondi europei

Luciano Granieri


Sulle Valle del Sacco  è stato versato una marea di inchiostro sui giornali, sono stati dedicati servizi ed inchieste televisive.  Denunce e lamentazioni hanno invaso lo scenario informativo. Una tale mole di esposizione mediatica, ha prodotto qualcosa? Oltre che il tentativo di riconvertire a fini commerciali il nome da Valle del Sacco a Valle dei Latini, si è generato il tentativo di attivare un  processo per bonificare e riconvertire la tristemente nota Seveso del centro Italia.  

Sono stati effettuati passaggi  normativi sia di derivazione statale che  regionale.  Disgraziatamente la direzione presa ha creato danno e confusione. Pur essendo stati stanziati già dei fondi europei  , questi non sono stati impiegati per la mancata presentazione di progetti organici, ma soprattutto perché non si può effettuare alcun tipo di bonifica se non si  eliminano  le fonti di inquinamento.  Attualmente  gli agenti inquinanti  sono completamente  attivi.  Lungo tutta la Valle non esiste un depuratore efficiente ,  per cui nel fiume Sacco  continua ad affluire ogni tipo di sostanza  inquinante proveniente dagli scarichi industriali e urbani. 

A causa di questa mancanza assoluta di programmazione  si rischia di perdere la grande occasione di usufruire dei fondi europei per restituire alla collettività una notevole porzione  di territorio dalle  elevate potenzialità di sviluppo economico. Uno sviluppo però che deve percorrere strade totalmente diverse rispetto alla industrializzazione scriteriata che ha ucciso la Valle. 

Il comitato L.I.P. Valle del Sacco, di cui l’Osservatorio Peppino Impastato è membro, è stato il primo ad elaborare un progetto concreto per la bonifica e la riqualificazione del sito. Un progetto che si sostanzia nella redazione di una legge regionale di iniziativa popolare. Solo un dispositivo legislativo può avere i requisiti di autorevolezza necessari per assicurare il pieno ottenimenti degli obbiettivi.

 Il comitato ha redatto un piano di bonifica e sviluppo tenendo conto di progetti già realizzati, secondo le prescrizioni europee, in siti come , Pais de Calais in Francia, o il comprensorio della Ruhr in Germania, ma anche a Valencia  Birmingham e in altri territori europei.  Piani applicati con successo.  

La stesura del progetto prevede fra l’altro la possibilità di accogliere suggerimenti e proposte, da movimenti, associazioni o semplici cittadini,   da  inserire  nello schema delle linee guida adottate. Si attiva in questo modo un processo virtuoso di partecipazione autentica dei cittadini alla determinazione definitiva del dispositivo, il quale, grazie alla collaborazione  e consulenza di giuristi ed esperti attivi nel comitato,  diverrà una proposta di legge popolare, completa delle linee attuative.  

Si tratterà quindi di raccogliere le firme per presentare la proposta all’esame della Regione. Un procedimento fra l’altro che soddisfa completamente la nuova normativa sul partneriato per l’accesso ai fondi europei, in base alla quale  si deve ottenere il coinvolgimento di tutti gli attori,  autorità pubbliche, parti economiche e sociali e organismi che rappresentano la società civile a livello nazionale, regionale e locale,   secondo la pratica della massima partecipazione e trasparenza.

 Partecipazione e controllo dei cittadini, questi  i capisaldi su cui si snoda la nuova direttiva europea, elementi che nella nostra Nazione, soprattutto quando in ballo ci sono ingenti somme, non sono mai bene accetti, anzi si tende a limitare la partecipazione e a espropriare il controllo alla collettività. 

Rispetto a ciò, infatti  è  quanto meno sospetto,  che la  Regione Lazio, incaricata di organizzare il tavolo con tutti gli attori interessati all’accordo di partnerariato per  l’attribuzione dei fondi europei necessari alla realizzazione di progetti sulla Valle del Sacco,  abbia escluso, sia noi dell’Osservatorio  - associazione no profit registrata presso l’ente regionale -, sia il comitato L.I.P.  unitamente ad altre realtà ed  enti locali:  Retuvasa, il Forum per l’Acqua Pubblica, la Consulta Ambiente di Ferentino  e  tutti i comuni situati nella Valle. 

 Il progetto della L.I.P.   pur essendo l’unico dettagliato, pur essendo l’unico  partecipato e di iniziativa popolare, dovrà  dunque superare ostacoli forse insormontabili. Ma noi come membri della L.I.P. siamo convinti  che grazie al pieno rispetto delle normative europee e alla nostra passione, potremo realizzare, anche con l’aiuto di altri che vorranno aderire, e di tutti i cittadini che firmeranno,  qualcosa di importante e utile per il nostro territorio.



Nei video il portavoce della L.I.P., Lorenzo Santovincenzo,  espone il piano.

LA CGIL A CONGRESSO

di Franco Turigliatto. Fonte:http://anticapitalista.org/
La Cgil svolge in questi giorni il congresso nazionale a conclusione di un lungo iter iniziato nei mesi di gennaio e febbraio con le assemblee di base.
Il congresso del più grande sindacato italiano non solo interessa tutte le lavoratrici e i lavoratori, ma costituisce un elemento centrale della vita sociale e politica del paese dopo molti anni di crisi economica e in presenza di una situazione drammatica per le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e per la stragrande maggioranza della popolazione.
La Cgil resta infatti la più grande organizzazione di massa in Italia con i suoi 5,7 milioni di aderenti, di cui certo la metà sono pensionati, ma ben presente ancora in tutte le categorie dei lavoratori, pubblici e privati. Inoltre su di lei incide il ruolo storico avuto nelle vicende del paese, dandole credibilità e rendendola un punto di riferimento e di speranza per milioni di lavoratrici e lavoratori.
Il contesto sociale è drammatico: più di tre milioni di disoccupati, altri tre milioni di persone che hanno rinunciato a cercare il lavoro, mezzo milione di cassa integrati, il dilagare del lavoro precario, uno sfruttamento della forza lavoro sempre più acuto, le mille forme dei ricatti padronali, salari sempre più inadeguati, l’età pensionabile portata verso i 70 anni, il futuro rubato ai giovani.
Dietro questi dati c’è tutta la realtà del capitalismo, la sua crisi economica, ma anche la volontà del padronato italiano ed europeo di infliggere una sconfitta storica al movimento dei lavoratori e cancellare quelle conquiste realizzate con le lotte e l’organizzazione sindacale nel secondo dopoguerra. Dov’era in questi anni il sindacato il cui compito storico era proprio quello di fronteggiare questo attacco? Dov’era la CGIL e quali lotte ha organizzato quando tutto questo si è prodotto? Dov’era la confederalità che, a ogni piè sospinto, a ogni lotta settoriale che sfugga al controllo dell’apparato, i dirigenti sindacali sventolano, e che avrebbe dovuto invece essere usata per unire i diversi settori? Quando e come è stata organizzata un’azione complessiva rivolta a costruire le condizioni per difendere l’occupazione ed essere soggetto paladino fino in fondo delle condizioni della classe lavoratrice e così essere credibile agli occhi di milioni di giovani, costruendo in questo modo anche la loro politicizzazione e sindacalizzazione?
I dati drammatici della condizione della classe lavoratrice sono anche un pesante atto d’accusa sul fallimento dell’attuale gruppo dirigente della CGIL, della sua incapacità, ma è più giusto dire della sua non volontà, a contrastare l’attacco dell’avversario di classe con tutti i mezzi dell’organizzazione, utilizzando le potenzialità di mobilitazione che ancora esistevano ed esistono nella classe operaia.
La direzione burocratica della CGIL, nel corso degli ultimi venti anni, ha dapprima disperso una parte consistente delle conquiste operaie con la politica della concertazione cioè della collaborazione di classe, subordinandosi sempre più alle politiche liberiste dei governi; ha poi avuto una reazione di fronte all’attacco del secondo governo Berlusconi che poneva in discussione la stessa sopravvivenza del suo apparato, con le grandi mobilitazioni dei primi anni duemila che avevano suscitano grandi speranze, salvo poi sostenere in pieno le politiche del governo Prodi. Negli ultimi anni, di fronte a CISL e UIL, completamente complici dei governi e dei padroni, ha assunto una posizione di inattività, egualmente colpevole perché ha impedito qualsiasi mobilitazione seria contro gli atti dei governi e gli assalti padronali a partire da quello di Marchionne. Era inevitabile che questa passività producesse una ulteriore crisi della CGIL per cui la direzione ha infine scelto di saltare definitivamente il fosso e di porsi sullo stesso piano delle altre due confederazioni firmando l’accordo del 31 maggio 2013 e poi quello del 10 gennaio 2014. Questi accordi segnano la rinuncia a svolgere un reale azione sindacale di classe, ancorché modesta e riformista, tanto che la minoranza interna ha chiamato il documento alternativo per il congresso: “Il sindacato è un’altra cosa” .   
In questo contesto il dibattito congressuale, svoltosi su un orientamento di ulteriore svolta a destra della CGIL nonché segnato da una bassissima partecipazione alle assemblee di base, mascherato da molteplice forme di manipolazione e di alterazione dei dati con lo scopo di penalizzare sia la minoranza del documento alternativo, ma anche le posizioni dei cosiddetti “emendatari” della FIOM, da scontri molto duri tra diversi apparati che pure si riconoscono formalmente nel documento della Camusso, è un congresso di crisi.
Né la relazione introduttiva della segreteria, volta a parare gli attacchi diretti del governo a sindacato stesso, a presentarsi come soggetto ancora capace di una proposta diversa ed indipendente, nonché a recuperare consensi sul piano propagandistico, modifica gli assi sostanziali dell’attuale percorso della Confederazione.
La minoranza di sinistra del precedente congresso che aveva i suoi punti di forza nella FIOM e nella Funzione Publica, ma che non aveva allora ottenuto i risultati sperati, ben presto ha rinunciato a svolgere una funzione alternativa. La FIOM ha retto per qualche tempo nelle sue battaglie di categoria, in particolare contro la Fiat di Marchionne, ma è rimasta infine isolata. Il suo gruppo dirigente ha pensato di uscire dalle difficoltà e sconfitte obiettive subite cercando un rientro in maggioranza, firmando il testo della Camusso ed anche inventandosi qualche giro di valzer con un personaggio come Renzi. Manovre dal fiato corto, perché l’accordo del 10 gennaio ha messo in luce come gli spazi di autonomia lasciati da quell’accordo e dalla direzione centrale della CGIL siano ridotti al lumicino. Di qui gli scontri durissimi in corso nelle ultime settimane e il paradosso, ma è un paradosso solo fin a un certo punto, tra un documento votato a larghissima maggioranza e i forti contrasti tra i suoi diversi sostenitori e protagonisti.
Grave è stata la scelta della direzione FIOM, dato il suo livello di rappresentanza sociale e la sua credibilità politica, di rinunciare a una proposta e a un ruolo di alternativa confederale a tutto campo.
Il compito di difendere il percorso storico stesso della CGIL e soprattutto un orientamento di classe è rimasto così sulle spalle della minoranza del documento alternativo “Il sindacato è un’altra cosa”. Un impegno e una battaglia decisiva, importantissima, che ha visto coinvolte alcune migliaia di quadri e militanti sindacali, una risorsa fondamentale e preziosa per il futuro di un sindacalismo che sappia rispondere alle sfide attuali, che hanno ottenuto, ovunque hanno potuto essere presenti, ampi consensi e partecipazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori: “Un risultato positivo tenuto conto dei boicottaggi e del falsi generalizzati” come è stato scritto nel comunicato dell’esecutivo nazionale del documento reperibile suhttp://www.rete28aprile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4555:260414-report-esecutivo-23-aprile&catid=26:comunicati-stampa&Itemid=21.
Se per altre forze politiche era “normale” scegliere di stare con la maggioranza della Camusso o sostenere la direzione Fiom, e se non ci stupisce che un giornale come il Manifesto non abbia quasi mai dato voce alla minoranza ed abbia anzi contribuito ad oscurarla, consideriamo molto negativa la scelta di Rifondazione, formazione che si vuole partito di classe ed anche anticapitalista, di non contribuire con le proprie scelte politiche e coi propri militanti, a questa battaglia della minoranza della CGIL, ma di schierarsi con gli “emendatari”, cioè di votare il documento della segretaria. E’ stato un errore capitale che mette in luce le persistenti ambiguità di questa forza politica, con cui pure ricerchiamo l’unità nell’azione ovunque questo sia possibile.
Il congresso della CGIL se, da una parte segna, il punto più basso della traiettoria di questa Confederazione, dall’altra, più che mai, richiama la necessità di un’azione sindacale all’altezza dello scontro sociale e della ricostruzione di un sindacalismo di classe che veda un’azione unitaria più forte dei diversi soggetti, (correnti interne alla confederazione, sindacati di base), strettamente collegata a un nuovo attivismo delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il punto di partenza sul piano dei contenuti è il contrasto in toto all’austerità, alle politiche del governo a partire dalle misure sulla ulteriore precarizzazione del lavoro e sul Job act, dal rigetto degli accordi siglati negli ultimi anni partire, in primis quello del 10 gennaio, dalla difesa del ruolo dei contratti nazionali di lavoro contro ogni deroga, per garantire a ciascuno un reddito rivendicando il salario sociale impedendo ogni sorta di ricatto dei padroni sui disoccupati, dall’abrogare la legge Fornero sulle pensioni e rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro per creare posti di lavoro. Proporre realmente un piano per il lavoro significa contrastare tutte le politiche di privatizzazione, rivendicando invece un nuovo forte intervento pubblico produttivo e di creazione dei servizi sociali, recuperando le risorse necessarie, là dove i soldi ci sono, tra i capitalisti, la finanza e la speculazione.
Se la CGIL volesse essere il sindacato che ridà speranze alla classe lavoratrice dovrebbe oggi apertamente dire: “abbiamo sbagliato, non abbiamo fatto nulla di quello che dovevamo fare; vogliamo cambiare, vogliamo discutere con tutte la classe lavoratrice, vogliamo fare assemblee in ogni luogo di lavoro, vogliamo costruire tutti insieme una piattaforma di lotta e poi vogliamo ripartire con la mobilitazione fino allo sciopero generale per porre fine alle politiche dell’austerità e vogliamo difendere le condizioni di vita e di lavoro di tutte e tutte”.
Non lo farà la Camusso, non lo farà questo gruppo dirigente burocratico, non lo farà un apparato che ha cominciato a dimenticarsi di come animare e organizzare una lotta.
Questo compito ricade sulle spalle delle e dei militanti sindacali di classe; bisognerà farlo dal basso, ricostruire con tante difficoltà, ma consapevoli che questa è la strada da seguire.

video a cura di Luciano Granieri

Sistema di trattamento dei rifiuti per il compostaggio di Ferentino, continua la mobilitazione dei cittadini!

Rete per la Tutela della Valle del Sacco

Continua la mobilitazione dei cittadini contro l’ipotesi di insediamento dell'impianto di  trattamento di rifiuti per compostaggio da 50 mila tonnellate in zona Stazione di Ferentino.

Dopo  aver protocollato le osservazioni corredate da circa mille firme  agli uffici Ambiente della Regione Lazio e della Provincia di Frosinone , le azioni, contro l’insediamento del suddetto  impianto,  si sono intensificate  non solo nel territorio comunale ma anche nei Comuni limitrofi. Attualmente è in corso una petizione popolare che in pochi giorni ha già superato le duemila firme, numeri che crescono giorno dopo giorno , a dimostrazione della volontà dei cittadini di partecipare ed evitare ulteriori aggravi sul territorio della Valle del Sacco.

Le osservazioni e la petizione in corso si concentrano su aspetti reali che rendono il progetto presentato insostenibile in particolare:

1) La mancata trasparenza  e partecipazione dei cittadini nella procedura in corso.

2) Dubbi sull’ idoneità urbanistica, infatti, il sito è a pochi metri da centri abitati e dalla stazione ferroviaria, luogo “affollato”  da pendolari.

3) Mancata chiarezza sul bacino di utenza dei rifiuti. Vista l’enorme mole si presume che i rifiuti provengano da altri territori esterni dal bacino comunale e provinciale.

4) Preoccupazioni sulle emissioni atmosferiche e sul percolato prodotto.

4) L’area  in oggetto è inserita nel bacino fluviale del Fiume Sacco, già noto alle cronache come una delle aree più inquinate d’ Italia.

5) Un impianto di tali dimensioni rischia di danneggiare il paesaggio  con forti ripercussioni su settori economici  come il turismo .

Al contrario pensiamo necessaria un’azione di monitoraggio e bonifica del nostro territorio che punti alla riconversione degli apparati industriali verso la green economy e al rilancio delle risorse naturali.

Stiamo lavorando in modo continuo sul territorio e nel confronto con l’amministrazione  comunale che ha approvato all’unanimità un ordine del giorno per evitare tale sito industriale per il trattamento dei rifiuti.  Nel frattempo la questione si è diffusa anche sui social network,  come Facebook,  dove è nato   il gruppo  “NO impianto di rifiuti da 50mila t/a a Ferentino” che in 3 giorni ha raggiunto quasi 600 iscritti.

Il coinvolgimento di tanti ci potrà permettere di giungere al risultato desiderato e far annullare un progetto che avrebbe la sola funzione di andare ad aggravare ancora di più le già preoccupanti situazioni socio-ambientali-sanitarie della Valle del Sacco.


Ferentino, 9 maggio 2014

giovedì 8 maggio 2014

Fra lotta e poesia

Luciano Granieri


Trentasei anni fa il 9 maggio 1978, Peppino Impastato veniva trucidato dalla mafia, dagli scagnozzi dello “Zu Tano”, Tano seduto, come lo chiamava Peppino, cioè  il boss Tano Badalamenti. Vorremmo quest’anno ricordare Peppino in modo un po’ diverso dal solito. La storia di Impastato, poco conosciuta prima che Marco Tullio Giordana con il suo FILM “I 100 passi” la rendesse icona della lotta sociale alla mafia, racconta di un ragazzo impegnato nel contrasto  alla criminalità organizzata  fino al sacrificio della propria vita. Un eroe?  Certamente no, Peppino non avrebbe voluto essere definito eroe. Un giovane completamente immerso  nel conflitto  per il raggiungimento di una piena giustizia sociale ? E’  una definizione più coerente al personaggio. Ma Peppino Impastato era soprattutto una persona sensibile, con i sui dubbi, le sue crisi, preso a tenaglia fra la voglia di giustizia sociale -che lo portava a lottare la mafia  considerata causa prima dell’impossibilità di perseguire un modello di società basato sulla solidarietà e sulla condivisione -e la sua famiglia, in particolare suo padre che da quel mondo di violenza soprusi e omertà proveniva.  Dentro quella tenaglia Peppino si dilaniava smembrato fra gli affetti e l’impegno civile. Quelle profonde lotte interiori ci hanno regalato, oltre che il riconosciuto  e irriducibile militante , un poeta profondo e straordinario nel suo lirismo. Sicuramente oggi verrà celebrato, come tutti gli anni, l’impegno civile e il coraggio di Peppino. Noi vogliamo ricordare anche lo straordinario poeta. Nel video che segue, le cui immagini sono tratte dal breve documentario : “Una storia da raccontare” abbiamo combinato la eccellente recitazione di Alfonso Cardamone mentre legge alcune poesie di Peppino, con l’improvvisazione free jazz,  dell’Idea  Trio guidato dal  pianista Gaetano Liguori , sul leggendario brano El pueblo unido jamas serà vencido, degli Inti-Illmani . Un canto di lotta eseguito con un linguaggio musicale creativo e di rottura come il free jazz.  Un miscela assolutamente rivoluzionaria a commento della poetica di Peppino.  Lirismo e lotta. Sono forse le due figure che descrivono meglio ciò che era Peppino Impastato e ciò che ha lasciato. Un messaggio la cui forza incisiva, viene raccolta  oggi da molti giovani, questo ci  fa ben sperare e credere che la sua lotta e il suo sacrificio non sono stati vani.

mercoledì 7 maggio 2014

Disposta l'autopsia dell'anarchico morto dopo i violenti scontri di Pisa

Paola Staccioli

Un racconto di Nanni Balestrini pubblicato su In ordine pubblico, a cura di Paola Staccioli. Al termine, la scheda su Franco Serantini, morto il 7 maggio 1972.

Oggi è stata sottoposta ad autopsia la salma di Franco Serantini il giovane di 20 anni che arrestato venerdì sera durante i disordini scoppiati a Pisa in seguito al comizio dell’on. Niccolai del msi è morto domenica mattina in carcere per trauma cranico. Area ecchimotica in corrispondenza dell’angolo interno della regione palpebrale sinistra sul cadavere. All’istituto di medicina legale dell’università di Pisa nel pomeriggio è stata compiuta l’autopsia della salma di Franco Serantini il ventenne anarchico morto com’è noto nel carcere Don Bosco domenica mattina per trauma cranico il giovane arrestato venerdì dalla polizia durante disordini scoppiati in città in concomitanza con il comizio dell’onorevole Niccolai del movimento sociale. Escoriazioni circondate da alone ecchimotico in regione frontoparietale sinistra del cadavere. Solo l’autopsia che è cominciata oggi nel tardo pomeriggio nell’istituto di medicina legale presente il procuratore della Repubblica Tanzi permetterà di stabilire com’è morto Franco Serantini il ragazzo sardo arrestato durante i disordini avvenuti venerdì nel centro di Pisa per il comizio di chiusura del Msi. Aree escoriate con impronte punteggiate alla regione laterale dell’emitorace destro del cadavere.

 Oggi inoltre è stato possibile ricostruire sommariamente le ultime ore di vita del giovane il quale ha partecipato alla dimostrazione contro il comizio del msi in quanto ideologicamente vicino alla federazione anarchica pisana e a Lotta continua. Minute escoriazioni diffuse con qualche striatura e leggera soffusione ecchimotica alla regione scapolare sinistra e a quella interscapolo-vertebrale del cadavere. L’autopsia è stata conclusa a tarda sera e i periti hanno chiesto un notevole lasso di tempo per rispondere alle domande poste dal magistrato essenzialmente sulla natura del trauma cranico che secondo il certificato di morte firmato dal medico del carcere avrebbe procurato il decesso del Serantini. Zone escoriate al  3° superiore del braccio destro del cadavere. Sulle cause che hanno provocato il trauma cranico come si legge nel referto di morte redatto dal medico del carcere non vi dovrebbero essere dubbi sarebbero le conseguenze del pestaggio che il giovane Franco subì durante le indiscriminate cariche della  polizia sui lungarni e nei vicoli adiacenti. Due escoriazioni al 3° inferiore della faccia posteriore del braccio destro del cadavere.

 Franco Serantini fu fermato molto probabilmente verso le 20.30 di venerdì sera in corso Italia durante una carica della polizia e in nottata il fermo si tramutò in arresto con conseguente denuncia all’autorità giudiziaria per radunata sediziosa vilipendio delle forze dell’ordine violenza e oltraggio a pubblico ufficiale. Area escoriativa a configurazione semilunare sul lato ulnare del terzo medio della faccia superiore dell’avambraccio destro del cadavere. Chiazza ecchimotica appena sfumata alla faccia postero laterale del braccio sinistro del cadavere. È probabile che sia stato arrestato nei pressi di piazza della Berlina dove gli scontri fra gli appartenenti a Lotta continua e le forze di polizia furono particolarmente violenti. La faccia profonda del cuoio capelluto parietofrontale del cadavere evidenti stravasi ematici.

 Sempre in nottata venne trasferito al carcere giudiziario di Don Bosco dove il sabato mattina venne interrogato dal sostituto procuratore della Repubblica dr. Sellaroli alla presenza di un avvocato nominato d’ufficio. Vistoso ematoma in regione occipitale infiltrazione emorragica della parte posteriore della sutura sagittale e infiltrazione della sutura lamboidea e una sottile linea di frattura sul parietale destro del cadavere. Sabato mattina alla presenza del difensore nominato d’ufficio il Serantini fu interrogato in carcere dal dottor Sellaroli stando a quanto il magistrato stesso ha dichiarato ammise la sua partecipazione allo scontro. Voluminosa raccolta ematica extradurale in regione occipitale. Comunque il giovane non venne portato all’ospedale ma direttamente in questura per cui si ritiene che nella casa di pena Don Bosco dovrebbe essere entrato in nottata verso l’una di sabato mattina poche ore dopo il sostituto procuratore dottor Sellaroli procedeva al suo interrogatorio. Diffusa soffusione emorragica sottopiale sulla convessità degli emisferi cerebrali prevalentemente sulle due regioni parietali.

 Lo stesso dr. Sellaroli ha detto quest’oggi che il ragazzo che arrivò all’interrogatorio sorretto da un agente carcerario  dichiarò di avere forti dolori alla testa e per questo quando fu ricondotto in cella gli venne data una borsa con del ghiaccio. Zona di infiltrazione ematica parenchimale a livello di lobulo parietale superiore destro. Il giovane sempre a detta del magistrato accusò durante l’interrogatorio forti dolori alla testa e fu quindi accompagnato in cella dove gli fu data una borsa di ghiaccio. Focolaio di infiltrazione ematica sulla faccia inferiore dell’emisfero cerebellare destro del cadavere. Al magistrato Franco Serantini disse ripetutamente di avere dei forti dolori alla testa c’è da domandarsi perché nonostante il giovane affermasse di sentirsi male nessuno si è preoccupato di sottoporlo a quegli esami che avrebbero permesso di stabilire che egli aveva riportato un trauma cranico grave. Sottile linea di frattura della porzione esterna della volta dell’orbita sinistra con infiltrazione della parte anteriore.

 Soltanto nella mattinata di domenica essendosi aggravate le sue condizioni il Serantini passò dalla cella al centro clinico del carcere dove secondo il certificato medico firmato dal direttore sanitario della Casa di pena ha cessato di vivere alle 9.45 per trauma cranico. Focolai emorragici circoscritti alla faccia posteriore del cuore. Nelle prime ore della domenica le sue condizioni sembrarono aggravarsi e venne ricoverato al centro clinico del carcere dove alle 9.45 cessò di vivere. Notevole stravaso ematico sia a livello del sottocutaneo che fra le masse muscolari alla superficie dorsale destra del cadavere. Il certificato di morte fa risalire il decesso alle 9.45 di domenica mattina ma non sappiamo quando il medico è intervenuto si sa soltanto che è stato trasportato dalla cella al centro clinico del carcere e qui è spirato. Stravaso ematico rotondeggiante alla regione dorsale sinistra sulla proiezione della 7° costa sulla paravertebrale.

 Franco Serantini avrebbe compiuto 21 anni il 7 luglio prossimo e da quella data avrebbe lasciato per sempre l’istituto di rieducazione di Pisa dove era ospite nato a Cagliari dopo l’infanzia trascorsa nel brefotrofio di quella città era stato ospite di diversi istituti di tutt’Italia era a Pisa da tre anni frequentava il secondo anno dell’istituto professionale per il commercio e nel pomeriggio seguiva un corso all’Ibm. Infiltrazione ematica superficiale del 3° superiore del braccio destro del cadavere. Il giovane era figlio di ignoti e aveva sempre vissuto in orfanotrofi e istituti assistenziali per minori. Incisione dei tessuti cutaneo-muscolo-fasciali del braccio sinistro del cadavere. Franco Serantini senza genitori nato a Cagliari il 7 luglio 1952 era giunto a Pisa dove aveva girato diversi istituti e brefotrofi la sua ultima casa era l’istituto di rieducazione Pietro Thouar in piazza San Silvestro e da tutti i suoi superiori e dagli amici era considerato un ragazzo buono onesto studioso. Incisioni delle parti molli del 3° superiore laterale della gamba sinistra edema del sottocutaneo con infiltrazione ematica a livello della abrasione esterna.

 Tremila giovani hanno accompagnato questo pomeriggio al cimitero di Pisa la salma di Franco Serantini oggi composto nella bara è stato avvolto nel drappo rosso e nero dell’anarchia intorno al tumulo di terra fresca sono state lasciate a indicare la tomba del giovane quattro bandiere rosse. Encefalo focolai ecchimotici confluenti. Si sono svolti nel pomeriggio i funerali di Franco Serantini lo hanno accompagnato al cimitero suburbano di Pisa tremila giovani e non tutti erano appartenenti a movimenti extraparlamentari di sinistra cui Franco Serantini era politicamente vicino la bara avvolta nel drappo rosso e nero dell’anarchia è stata interrata mentre i tremila che erano entrati nel cimitero cantavano Addio Lugano bella e L’Internazionale. Cuore emorragia epicardica polmone campo di infiltrazione emorragica. La bara è scesa nella fossa mentre intorno i compagni di Franco Serantini cantavano L’Internazionale e Addio Lugano bella un giovane anarchico ha pronunciato un brevissimo elogio funebre dicendo Franco Serantini è morto per la libertà e gli anarchici continueranno a difenderla sempre in piedi Franco ti hanno ucciso ma ti vendicheremo. Muscolatura scheletrica focolai ecchimotici interstiziali.

Scheda.

Il 5 maggio 1972, durante la campagna elettorale, il missino Giuseppe Niccolai tiene un comizio a Pisa. Al presidio antifascista indetto da Lotta continua, duramente caricato dalla polizia, partecipa tra gli altri un ventenne militante del Gruppo anarchico Pinelli. Abbandonato alla nascita nel brefotrofio di Cagliari, costretto dal 1968 a vivere, senza alcuna ragione penale, in regime di semilibertà nel riformatorio di Pisa, Franco Serantini era impegnato in quegli anni in iniziative sociali e politiche, dalla controinformazione sulla “strage di Stato” al Mercato rosso nel quartiere popolare del Cep.
Durante gli scontri fu pestato a sangue sul lungarno Gambacorti dagli uomini del 2° e 3° plotone della Terza compagnia del i Raggruppamento celere di Roma, pur non avendo opposto resistenza, come testimoniò il commissario di ps Giuseppe Pironomonte che lo sottrasse, con l’arresto, alla furia degli agenti, e si dimise poco dopo i fatti. Trasferito nel carcere Don Bosco con l’accusa di oltraggio e adunata sediziosa, Franco fu privato dell’assistenza che avrebbe forse potuto salvarlo. Il giorno successivo, anche nel corso dell’interrogatorio, manifestò un evidente stato di malessere e una forte cefalea che il giudice, le guardie carcerarie e il medico non ritennero degni di un approfondimento diagnostico. Entrato in coma nella sua cella, morì nel pronto soccorso del carcere alle 9.45 del 7 maggio. Una grande folla accompagnò, per l’ultimo saluto, quel corpo straziato, che all’avvocato presente all’autopsia era apparso «massacrato al torace, alle spalle, al capo, alle braccia. Tutto imbevuto di sangue».
Le indagini volte all’individuazione dei responsabili furono ostacolate da tentativi di rimozione dei magistrati “scomodi” e dal muro di omertà dei poliziotti presenti. Nel novembre 1972 il medico del carcere Alberto Mammoli ricevette comunque un avviso di procedimento per omicidio colposo, mentre il giudice istruttore Funaioli si espresse in favore di un’azione penale contro Albini Amerigo e Lupo Vincenzo, capitano e maresciallo di ps del I Celere di Roma, e la guardia Colantoni Mario, per aver affermato il falso e taciuto «ciò che era a loro conoscenza […] per assicurare l’impunità agli agenti responsabili dell’omicidio di Franco Serantini».
Nella sentenza depositata nell’aprile 1975 il giudice Nicastro dichiarò «non doversi procedere in ordine al delitto di omicidio preterintenzionale in persona di Serantini Franco per esserne ignoti gli autori». Lupo e Mammoli vennero prosciolti. Albini e Colantoni, condannati per falsa testimonianza a 6 mesi e 10 giorni con la condizionale e la non iscrizione nel casellario giudiziale, furono assolti nel gennaio 1977. Nel marzo dello stesso anno il dottor Mammoli venne ferito alle gambe da militanti di Azione rivoluzionaria, organizzazione armata dell’area anarco-libertaria.

Controllo operaio alla Fralib

Dario Azzellini

In Francia ci sono due casi di fabbriche recuperate occupate dai lavoratori nel corso della crisi attuale. Una è la fabbrica di gelati Pilpa, che ha appena avviato la produzione di gelati e yogurt biologici come società di proprietà dei lavoratori e gestita da essi dopo una lunga lotta. L’altra è la produttrice di tè Fralib. Entrambe erano state chiuse dalle loro gigantesche proprietarie multinazionali per delocalizzare la produzione.
La Fralib è un impianto di lavorazione e confezionamento di tè aromatizzati e alla frutta a Gémenos, presso Marsiglia, nella Francia meridionale. L’impianto produceva il tè venduto con il famoso marchio Thè Eléphant, creato 120 vent’anni fa, e il tè Lipton. Nel settembre del 2010 il gigante alimentare transnazionale olandese-britannico Unilever, proprietario della Lipton, ha deciso di chiudere l’impianto in Francia e di trasferire la produzione in Polonia. I lavoratori hanno reagito immediatamente occupando la fabbrica e avviando una campagna di boicottaggio contro la Unilever.
Il sindacato Confédération Générale du Travail (CGT), già vicino al Partito Comunista, appoggia i lavoratori della Fralib. “La lotta alla Fralib è iniziata il 28 settembre 2010. Nel 2010 avevamo 182 lavoratori. Oggi siamo in 76 e continuiamo a lottare”, commenta Gérard Cazorla, meccanico e segretario sindacale alla Fralib.
I dipendenti vogliono riavviare la produzione nella fabbrica sotto il controllo dei lavoratori e conservare il marchio Thé Eléphant, reclamandolo come patrimonio culturale regionale. Vogliono passare alla produzione di tè biologico d’erbe, principalmente tè di tiglio, contando sulla produzione regionale. Come nella maggior parte degli altri casi, la lotta autogestita dei lavoratori della Fralib ha tre pilastri: il progetto produttivo; le proteste pubbliche e la costruzione di una campagna di solidarietà; la lotta legale contro l’Unilever.
“Abbiamo una produzione militante per rendere nota la nostra lotta e per appoggiare la campagna di solidarietà. Abbiamo attraversato un lungo periodo senza reddito e dovevamo sopravvivere. Quella che ci ha consentito di tirare avanti per tutto quel tempo è stata la solidarietà. Penso sia importante rendere nota la nostra lotta in Francia, in Europa e nel mondo, e la nostra produzione ci aiuta. Mentre la nostra produzione precedente era – diciamo – tè industriale, oggi produciamo tè biologico di tiglio. In tal modo abbiamo mostrato che i nostri macchinari sono in funzione e che sappiamo come far andare avanti questa fabbrica. Ciò è importante perché la gente possa vedere che la Fralib è in grado di lavorare senza padroni e senza l’Unilever”.
Il 31 gennaio e il 1 febbraio 2014 la Fralib ha ospitato il primo Incontro Europeo dell’”Economia dei Lavoratori”. All’incontro hanno partecipato più di 200 ricercatori, sostenitori e lavoratori di cinque fabbriche europee sotto controllo operaio, ispirati e direttamente collegati all’”Economia dei Lavoratori”, che ha luogo ogni due anni e che ha avuto il suo terzo congresso in Brasile nel 2013.
A Marsiglia hanno partecipato anche ricercatori dall’Argentina, Messico e Brasile, così come un lavoratore della fabbrica tessile argentina Pigüé. Per festeggiare l’incontro e con simpatia per il movimento argentino delle fabbriche recuperate, i lavoratori della Fralib hanno prodotto scatole per il tè di mate argentino. Questo non è l’unico collegamento dei lavoratori della Fralib con l’America Latina. Le occupazioni di fabbriche in Argentina, così dicono, sono state la fonte d’ispirazione. In una canzone e un video prodotti dai lavoratori per sostenere la loro lotta, i lavoratori si autodefiniscono i “Fralibos”.
I lavoratori della Fralib sono decisi a continuare la loro lotta per una fabbrica controllata dai lavoratori. Possono contare sulla solidarietà di molti movimenti e lavoratori cui si sono rivolti negli scorsi anni di campagna. I lavoratori hanno ottenuto che le procedure di chiusura e i piani sociali siano stati più volte revocati per ordinanza giudiziaria. La Fralib è stata chiusa ufficialmente nel settembre del 2012. A marzo 2013 l’Unilever ha smesso di pagare i salari, nonostante una sentenza che stabiliva che l’Unilever dovesse continuare a pagarli.
A settembre 2013 la Comunità Urbana di Marseille Provence Mètropol ha acquistato il terreno su cui è costruita la fabbrica per 5,3 milioni di euro e ha pagato un euro simbolico per i macchinari, al fine di sostenere gli sforzi dei lavoratori. I lavoratori sanno che questo non è sufficiente per riavviare la produzione e proseguono la loro lotta, come spiega Cazorla:
“A gennaio 2014 il piano sociale dell’Unilever è stato revocato per la terza volta dal tribunale. Oggi stiamo discutendo con gli amministratori dell’Unilever mentre costruiamo il nostro progetto. Abbiamo bisogno dei diritti sul marchio, di capitale per acquistare materia prima e della capacità di vendere i nostri prodotti, altrimenti non saremo in grado di pagare i 76 lavoratori. Vogliamo quei soldi dall’Unilever come risarcimento per averci licenziato”.

martedì 6 maggio 2014

Presto Patria, Famiglia e Società riabbracceranno l’ottimo cittadino Fulvio De Santis

Luciano Granieri

 
 Finalmente scarcerati oggi pomeriggio, il vice sindaco di Frosinone Fulvio De Santis e l’architetto Giovanni Maria Ricciotti. I due, arrestati l’11 dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta su appalti e tangenti concernenti la gestione dei rifiuti, in concorso con la società Sangalli, sono stati rilasciati dal carcere di Monza dove erano reclusi, in virtù della notifica da parte del tribunale di Milano riguardante l’incompetenza territoriale della città brianzola sulla misura cautelare. La stessa Procura di Monza ha provveduto a rendere esecutivo il provvedimento del Tribunale di Milano liberando i due indagati e affidando temporaneamente Fulvio De Santis all’”Assistenziario dei liberati dal carcere di Gorizia”. In conformità alle convinzioni politiche del De Santis, esponente del partito Fratelli d’Italia, movimento vicino al regime fascista, l’ex sindaco è stato affidato alla struttura riabilitativa aperta dal regime. Un istituto volto a salvaguardare l’ordine morale, giuridico e sociale dei liberati dal carcere. Lo scopo di questa struttura è quello di restituire alla Patria, alla Famiglia e alla Società degli ottimi cittadini.

La sanità della provincia di Frosinone è allo sfascio

Il segretario provinciale dei Comunisti Italiani Oreste Della Posta

La sanità è un parametro fondamentale per misurare il livello di civiltà di un popolo, tuttavia è impossibile non constatare che in provincia di Frosinone la sanità è ormai allo sfascio. Un cittadino, presentatosi al ReCUP di Pontecorvo per prenotare una visita specialistica, ha dovuto prender atto, suo malgrado, che potrà sottoporsi alla predetta visita soltanto a distanza di un anno esatto dalla prenotazione. Un fenomeno del genere non è più un caso isolato, ma si sta consolidando come una prassi inquietante. Questo non è solo il segno di un malfunzionamento del sistema sanitario, ma anche un preoccupante segnale di regresso sociale che non può più essere tollerato. Che le cose non funzionano nella provincia, inoltre, lo dimostra benissimo l’affanno con cui si ritrova ad operare quotidianamente il Pronto Soccorso dell’ospedale di Frosinone.  Occorre quindi intervenire con estrema urgenza e determinazione per far in modo che simili episodi, vergognosi ed inammissibili, non si ripetano, contribuendo a dipingere l’Italia come un paese con una sanità da terzo mondo. La sanità pubblica andrebbe razionalizzata perché non è più tollerabile che macchinari essenziali, come ad esempio quelli per tac e risonanze, vengano utilizzati per poche ore al giorno, costringendo quindi i pazienti a ricorrere a strutture private. La funzionalità di questi strumenti diagnostici dovrebbe essere garantita 24 ore al giorno, come già accade in alcune regioni d’Italia quali ad esempio il Veneto, piuttosto che l’Emilia Romagna. Se in queste realtà si riesce a far funzionare le cose, peraltro senza per questo determinare un aggravio di costi per i propri cittadini, non si capisce perché nella regione Lazio, e quindi nella nostra provincia stessa, non si riesca a fare lo stesso. Viene da pensare anche ai sofisticati macchinari per le analisi del sangue in dotazione alle nostre ASL, le quali vengono utilizzate al 40% delle proprie possibilità, costringendo quindi le aziende sanitarie stesse a ricorrere ai laboratori privati come fossero strutture complementari. Quest’altro esempio avvalora ancor di più la mia ferma convinzione che se ogni macchinario funzionasse 24 ore al giorno, come peraltro sarebbe non solo auspicabile, ma giusto e coerente, le ASL, e la sanità pubblica in generale, potrebbero rappresentare un sistema virtuoso, volto al risparmio, anziché determinare, come purtroppo accade, una zavorra per l’economia. Noi Comunisti quindi ci appelliamo al Presidente della Regione Lazio Zingaretti affinché intervenga subito con provvedimenti forti per risollevare le sorti di questo settore vitale della nostra società, tenendo ben presente che questo settore, la sanità appunto, nel nostro territorio può vantarsi dei servizi di alcuni dei medici più qualificati e capaci della regione nonché della nazione. La nostra classe medica, infatti, ha le capacità e la competenza per svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, ma è di fatto ostacolata da un sistema inefficiente che troppo spesso non li mette nella posizione di operare al meglio.

lunedì 5 maggio 2014

Leggere la storia per capire il presente

Luciano Granieri


 Il passato spiega il presente, a questo serve la Storia. Forse è un’affermazione un po’ perentoria. Probabilmente la Storia non  illustra completamente il presente però aiuta a capire. Allora proviamo a capire.  

La resistenza al regime nazifascista inizia in Francia nel 1940 all’indomani della parziale occupazione tedesca e della nascita del regime collaborazionista di Vichy  guidato dal maresciallo Pètain. In Jugoslavia  i nazionalisti di  Mihajilovic  e i comunisti di Tito iniziarono la lotta di resistenza a partire dal 1941. Lo stesso accadde in Grecia dove i movimenti resistenziali contro Italiani  tedeschi  combatterono dal 1941. In Polonia la resistenza iniziò fra il 1939 e il 1940. Sempre nel 1940 movimenti resistenziali  operarono  in Belgio, Olanda, Norvegia e Danimarca. Nella stessa Germania partigiani e resistenti cominciarono  la loro lotta a partire dal 1942 con il gruppo dei giovani bavaresi della Rosa Bianca sterminati senza pietà da Hitler. 

In Italia invece, al netto dei movimenti antifascisti che agirono in clandestinità, la resistenza annunciata da i grandi scioperi  operai del marzo 1943 a Milano e a Torino, iniziò, come è noto, l’8 settembre successivo data della firma dell’armistizio , dopo che tutto si era già compiuto. Mussolini era  stato liquidato dai suoi stessi gerarchi il 25 luglio e le truppe alleate erano già sbarcate in Sicilia. 

Questa indolenza e pigrizia civile, causa del  ritardo nel ribellarsi alla follia nazista e fascista rispetto agli altri paesi europei Germania compresa, può spiegare molto  di come si è evoluta la coscienza del nostro popolo  dal dopoguerra ad oggi.  Ci aiuta a capire perché la Costituzione Italiana non sia stata mai applicata completamente sin dal giorno dopo la sua promulgazione, ed oggi, dopo aver subito  ripetuti attacchi e tentativi di manomissione in senso autoritario, sembra stia per soccombere definitivamente. 

Il ritardo nel ribellarsi al dittatore, spiega perché la classe industrial-borghese accattona, sempre la stessa tramandata di padre in figlio, abbia potuto continuare  a succhiare il sangue dei lavoratori, prima contrattando condizioni fiscali favorevoli con un  potere politico asservito   e poi, dopo l’adozione di un regime di tassazione progressiva, iniziando la più grossa e capillare evasione fiscale che mai Paese abbia conosciuto. 

 L’inizio della resistenza in così colpevole ritardo, dopo cioè che il dittatore era praticamente caduto,  spiega  perché solo nel nostro Paese la massoneria deviata sia protagonista e  soprattutto  per quale motivo la mafia domini  incontrastata  trattando direttamente con lo Stato, con l’avallo finanche del presidente della Repubblica. 

Si spiega anche come perfino sull’opportunità  di disputare o meno una partita di  calcio decida  non l’istituzione sportiva o quella nazionale ma Genny  ‘a carogna. Per un popolo che si ribella così tardi alla follia nazifascista è facile favorire  l’avvento di un ventennio dominato da una ciurmaglia immonda  guidata da un delinquente conclamato evasore fiscale fraudolento, possibile puttaniere e concussore artefice di una devastazione culturale, morale e sociale  Senza precedenti . 

Molto dunque si spiega.  Possiamo divertirci in questo esercizio storico anche nell’ambito più ristretto del nostro territorio. “La Ciociaria e in generale tutta la provincia di Frosinone era una zona di sottosviluppo assimilabile all’Italia meridionale. La popolazione… era costituita in maggioranza da contadini  pastori… tutti analfabeti   o quasi, con i quale era impossibile comunicare. Non ricordo di aver mai fatto una discussione politica con un contadino del posto e nemmeno che vi fossero… persone coinvolte nella nostra attività… Politicamente la provincia di Frosinone aveva tradizioni reazionarie…. Durante la mia attività ricordo di non aver mai conosciuto compagni del posto. La federazione comunista di Frosinone non era mai esistita, sparpagliati e isolati i pochi comunisti” Ciò è quanto riporta   nel febbraio del ’44 il partigiano comunista Bonelli , nome di battaglia “Gino Conti”, al capo zona  Enrico Giannetti  sulla difficoltà di costruire una coscienza politica nella provincia di Frosinone  e quindi di organizzare  una banda partigiana. 

Anche in questo caso dalla storia possiamo capire le ragioni per cui la nostra città è da sempre in mano alle solite famiglie di grandi costruttori edili che continuano a seppellire il territorio con colate di cemento, a fare affari con le loro sordide speculazioni in combutta con la classe politica locale. Da quella dichiarazione del partigiano “Gino Conti” si può intuire perché parti della nostra città franano flagellate dall’incuria e dal degrado, si capisce la ragione per cui Frosinone è prima nelle classifiche relative all’inquinamento, all’usura. 

La storia ci inchioda al nostro triste destino di cittadini di una nazione che ha capito troppo tardi i valori della libertà e della democrazia, se pure li ha capiti,   e abitanti di un territorio dalle “TRADIZIONI REAZIONARIE” .  E’ dunque tutto perduto? E’ possibile evadere dalla cappa di questo triste destino? Niente è impossibile. Basta crederci.  Andiamo dunque avanti imperterriti in direzione ostinata e contraria. Un  in bocca a lupo a tutti noi poveri disgraziati che ancora ci crediamo.