Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 9 novembre 2013

Le locomotive d’Europa e la zavorra del mondo

Agenor. fonte : http://www.sbilanciamoci.info/

Il surplus tedesco è stato foraggiato negli anni dai consumatori portoghesi, irlandesi, greci e spagnoli. Mentre a livello globale l’eurozona è diventata più un peso che un fattore di crescita. Ecco perchè il Tesoro americano ha accusato apertamente la Germania.

La vera locomotiva d’Europa nei primi dieci anni di vita dell’unione monetaria sono stati i Pigs, ovvero i consumatori portoghesi, irlandesi, greci, e spagnoli. I consumi di questi paesi, “drogati” dal credito facile, da un flusso senza precedenti di capitali dai paesi con eccesso di risparmio e difetto di consumi, e da livelli esagerati di debito privato, sono stati il vero motore che ha sostenuto paesi come la Germania, in cui la domanda interna veniva repressa e quella estera rimaneva l’unica possibile fonte di crescita.
In un regime di cambi flessibili, questo processo avrebbe rapidamente portato ad un apprezzamento della moneta maggiormente richiesta (quella dei paesi esportatori) ed un deprezzamento della moneta meno richiesta (dei paesi importatori), riequilibrando la situazione. In un regime di cambi fissi, la cui versione estrema è l’unione monetaria, questo ovviamente non è stato possibile.
Il risultato sono i famosi squilibri commerciali interni alla zona euro che adesso si cerca di correggere. Un misto di impotenza politica e di propaganda moralistica, però, impedisce che ciò avvenga. La terminologia usata è importante: chi cresce sulle spalle degli altri, comprimendo la propria domanda e appoggiandosi su quella degli altri, genera un “surplus”, il che ha una connotazione positiva. Ma il mio “surplus” richiede un “deficit” altrui per esistere, soprattutto in un’area valutaria comune in sostanziale pareggio commerciale col resto del mondo.
Da un punto di vista politico, poi, la vera forza dei paesi in “surplus” è di evitare di contribuire al riequilibrio: le nuove regole imposta da Bruxelles sulla sorveglianza macroeconomica prevedono che un deficit commerciale del 4% sul Pil sia un campanello d’allarme, ma nel caso di un surplus non c’è problema se si arriva fino al 6%. Questo era appunto il livello del surplus tedesco secondo le stime per il 2012. I dati reali, invece, ci parlano di un surplus commerciale tedesco del 7%, che in termini assoluti è più alto persino di quello della Cina.
Qual è quindi il deficit corrispondente che finanzia il più grande surplus del mondo? Come detto, dall’inizio dell’unione monetaria la Germania passava gradualmente da una situazione di deficit ad una di surplus, ma visto che la zona euro era in sostanziale pareggio con il resto del mondo, il vero motore che sosteneva questo enorme surplus commerciale diventavano gli altri paesi all’interno dell’area monetaria. I quali, infatti, registravano deficit sempre maggiori. Persino l’Italia, tradizionalmente paese esportatore, dal 2002 va in deficit commerciale.
Da quando le politiche di austerità hanno spento quei motori, l’eurozona ha ripiegato sull’estero: il crollo della domanda interna ha fatto sì che l’unica fonte possibile di crescita diventasse la domanda estera. Da qui la necessità di un surplus commerciale verso il resto del mondo, che si aggira oggi intorno all’1,9% del Pil complessivo dell’eurozona e che secondo il Fmi sarà del 3,3% nei prossimi anni.
Ma cosa vuol dire tutto questo? Semplicemente che a livello globale l’eurozona si appoggia sugli altri, date le sue dimensioni diventa più un peso che un fattore di crescita, esporta prodotti ma anche disoccupazione e drena risorse dalle altre regioni. Non è un caso che il Tesoro americano abbia apertamente accusato la Germania di essere un peso che impedisce la ripresa in Europa e nel mondo intero. Se la zona euro prosegue con la sua politica deflazionista, tenderà ad importare meno, quindi a richiedere meno moneta estera di quanto l’estero domandi euro. Ma siccome il mondo non è un’unione monetaria, i cambi flessibili fanno sì che il valore dell’euro aumenti.
Tutto questo non fa altro che aggravare la situazione dei paesi periferici dell’eurozona. Questi paesi sono stati costretti a politiche deflazioniste per ridurre i salari e diventare più “competitivi”. La mancanza di politiche espansive negli altri paesi dell’eurozona li priva del simmetrico aggiustamento che sarebbe naturale all’interno di un blocco di paesi “amici”, anziché “nemici”. Il valore conseguentemente alto della moneta unica sul mercato internazionale vanifica tutti gli sforzi per essere più competitivi. A cosa serve comprimere di un 15%-20% rispetto all’inizio della crisi i salari reali in Grecia attraverso manovre di lacrime e sangue se poi il valore della moneta greca si apprezza del 20% nei confronti del resto del mondo?
Le speranze sono ben poche, perché è ben poco quello che i singoli governi possono fare, privi di politica monetaria e ormai quasi anche di politica fiscale. Non sembrano quindi esserci segnali che la spirale deflazionistica possa arrestarsi. La Bce cerca di fare il possibile abbassando i tassi allo 0,25%, ma dopo di che c’è solo lo 0%! Siamo in piena trappola della liquidità, una trappola nella quale ci siamo infilati lentamente e per pura decisione politica.

giovedì 7 novembre 2013

Partecipazione democratica o guerra fra clan?

Luciano Graneri

Che peccato! L’unico partito in Parlamento che ancora usa  pratiche democratiche interne ,come i congressi locali e le primarie, per scegliere il proprio segretario vede inficiare un tale mirabile  esercizio di partecipazione dallo sporco affare del tesseramento. Questo è il lamento che si leva alto da osservatori e stampa riformista.  Ci credono veramente?  

E’ possibile che ancora non risulti chiaro quale sia la natura del Pd dopo la sua metamorfosi di dissolvenza iniziata dalla Bolognina, ma forse anche prima? Nel percorrere le infauste tappe che dal Pci, attraverso i Ds il Pds hanno condotto alla situazione odierna, gli ex comunisti si sono allontanati inesorabilmente dall’ideologia leninista, senza però approdare ad una prospettiva  alternativa. 

Dietro un riformismo europeista di facciata,  oltre ad  una deriva ultraliberista acquisita quasi per default,  c’era e c’è il nulla. Insieme con  l’identità ideologica è svaporata l’essenza stessa non solo del partito di massa, ma del semplice movimento rappresentativo di un determinato blocco sociale. In questo strano contenitore vuoto hanno trovato rifugio schegge di classi politiche vittime della diaspora democristiana e socialista determinata da tangentopoli,  gente che non si è  fidata  della nuova sirena berlusconiana e ha valutato  come  approdo più sicuro la  casa degli ex comunisti, ex diessini, ex piddiessini.   L’unica ragione sociale di questo strano ogm politico era l’antiberlusconismo. 

Ecco perché   Berlusconi, sempre osteggiato e combattuto a parole, nei fatti non è stato mai contrastato veramente. Non solo, ma quando sono maturate le circostanze per rovesciare il cavaliere, i neo riformisti hanno trovato il modo di rimetterlo in sella. Infatti caduto Berlusconi sarebbe venuto meno anche l’antiberlusconismo, l’unico collante a tenere insieme le diverse anime dannate all’interno del Pd.  

Così del partito inesorabilmente inaridito in luogo di  principi, ideali,  rappresentatività, è rimasta un elefantiaca  organizzazione  da comitato elettorale,  dal quale i militanti si sono progressivamente allontanati.  Questa situazione si è riverberata a livello locale. Favorita anche dalla legge elettorale per le consultazioni amministrative, in cui si vota la persona, il sindaco e i consiglieri, i circoli si sono trasformati da luogo di condivisione, confronto, in piccoli feudi del notabile aspirante sindaco o consigliere di turno,  pronto a tutto pur di non cedere in millimetro delle sue prerogative di potere.  

Leggendolo   con questa lente di ingrandimento il pasticcio delle tessere  si spiega chiaramente.  E’ una lotta interna fra piccoli clan che pur di  imporsi, non esitano a ricorrere al mercimonio delle tessere.  Disgraziatamente all’interno di questi clan esistono ancora i militanti, quelli che ci credono veramente, i giovani di Occupy Pd ad esempio .  

E nei congressi locali si ripete più o meno lo stesso scenario, mentre  dentro le sedi pochi militanti discutono del  partito che vorrebbero, fuori, nel gazebo posto davanti la sede, sfilano le truppe cammellate a far strame di tessere. Una legione spesso straniera visto che al suo interno militano albanesi e rumeni.  Ecco perché  è improprio  lamentarsi del  fatto che nel partito il sistema democratico e partecipativo  deputato all’elezioni del segretario, ma anche degli apparati locali, sia guastato dallo compravendita di tessere. Intanto perché non esiste il partito, ma soprattutto perché alla partecipazione democratica si sostituisce la guerra per bande     ramificata nelle diverse realtà locali.


PRIMO PASSO NON SUFFICIENTE!!! IL 13 NOVEMBRE TUTTI DAVANTI LA PREFETTURA.

Il segretario provinciale PdCI

Oreste Della Posta.

La proclamazione dello sciopero generale di 4 ore indetto da CGIL-CISL-UIL  per il 13 di novembre per cambiare la legge di stabilità proposta dal Governo è un primo passo nettamente insufficiente a far cambiare rotta alle scelte prese da Letta. In questo quadro i comunisti aderiscono a questo sciopero e invitano tutti a partecipare al sit-in che si terrà nel pomeriggio del 13 novembre davanti la Prefettura di Frosinone.

Per noi questo primo passo non è sufficiente perché gli interessi che muove questo Governo non sono quelli dei lavoratori , dei pensionati e dei disoccupati ma bensì quelli dei grandi gruppi finanziari che sono i diretti responsabili della crisi mondiale che ci attanaglia dal 2008. Il Governo Letta è espressione di questi poteri forti che stanno riducendo il popolo alla fame. Occorre una svolta radicale della politica per uscire dalla recessione e tornare a crescere. Tutti gli economisti concordano con il fatto che bisogna ridurre le tasse sui salari, sulle pensioni e sulle imprese che creano posti di lavoro a tempo indeterminato.

Le risorse si possono trovare tassando del 20% le rendite finanziare come avviene nel resto dell’Europa, potenziare la lotta all’evasione fiscale, tagliare tutti gli enti strumentali che gli enti locali hanno creato sperperando enormi capitali pubblici, tagliando le spese militari rinunciando all’acquisto degli F35, sospendere i lavori della TAV e introdurre una seria lotta alla corruzione che è stimata intorno ai 60 miliardi di euro. L’elenco potrebbe essere molto più lungo e le risorse ci sono è soltanto la volontà politica che manca.

Secondo i comunisti occorre dare un segnale molto forte con uno sciopero generale di 8 ore che paralizzi  tutta l’Italia e che apra una trattativa serie per la legge di stabilità.
I comunisti si batteranno su questo fronte senza se e senza ma invocando un cambiamento delle politiche europee impressionate dalla Merkel che sta portando al collasso e alla fame tutti i cittadini più indigesti.

In sostanza i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

mercoledì 6 novembre 2013

Decadenza (cerebrale) e interdizione (giudiziale)


(intervento personale dell’autore che non implica condivisione né responsabilità del collettivo ZNetitaly)
Diverse fonti riferiscono che l’ultimo (il più recente) libro di Bruno Vespa contiene l’affermazione di Berlusconi: “”I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso…”.  E’ poco credibile che il conduttore di Porta a Porta abbia frainteso il suo augusto interlocutore.  Magari, chissà?, Berlusconi si è dimenticato di precisare: “E io ho detto loro di non sparare cazzate oscene”, ritenendo implicito il doveroso rimbrotto. Improbabile anche questo. Così come è improbabile che ci sia stata una riunione di famiglia in cui uno dei frutti dei prolifici lombi si sia preso la briga di annunciare al babbo la bella pensata: “Ci siamo consultati tra noi e a nome di tutti ti dico che ci sentiamo come dovevano sentirsi … “ ecc.
L’ipotesi più solida è che sia stato lo stesso Berlusconi a inventarsi la vergognosa affermazione e a dare l’assenso per la sua pubblicazione.
In questo caso l’uomo è ormai meritevole, più che di condanna, di compassione, assistenza psichiatrica e di provvedimenti che limitino i danni che può fare a sé e ad altri.
La demenza senile colpisce in modo molto democratico ed è a volte subdola da diagnosticare. Il malato spesso ha degli intervalli di lucidità che, a chi non sia a conoscenza degli episodi deliranti, lo fanno apparire sano. Quanto ci sia tenuto amorevolmente celato al riguardo, lo sanno solo coloro che gli sono più intimi (o intime). E queste persone si trovano in una posizione, comprensibilmente, dolorosa e difficile.  E’ umanissimo che pensino che la lucidità che il loro caro dimostra fuori dagli accessi del male sia un segnale di ripresa o di rallentamento del decorso della patologia e che provvedimenti quali la messa sotto tutela siano esagerati e intempestivi. Possiamo anche immaginare, senza far troppa fatica, che i familiari del pover’uomo siano mal consigliati dalla turba di avvoltoi variamente interessati alla circonvenzione dell’incapace.
E’ una scelta drammatica privare l’infermo della sua indipendenza, ma è un dovere nel suo stesso interesse (che nel caso specifico, incidentalmente, coincide con l’interesse della nazione).
Conto che la famiglia Berlusconi si stringa attorno al suo patriarca ormai (e da tempo) vaniloquente e prenda l’unica decisione giusta.
A quei figli, sulla cui testa incombono anche tutti gli spergiuri (altra dimostrazione di incapacità di intendere e di volere) del genitore, tutta la mia solidarietà.

Uscita dalla crisi: la truffa capitalista

fonte: The Guardian  traduzione di Giuseppe Volpe

Ecco come funziona la truffa capitalista: si permette al governo di indebitarsi per i salvataggi, poi si insiste per tagli per rimborsare i debiti. Indovinate chi ci rimette?

 Lo fanno i governi di centrodestra in Gran Bretagna e in Germania. Lo stesso i governi di centrosinistra in Francia e Italia [centrosinistra? – n.d.t.]. Lo fanno anche Obama e i Repubblicani. Tutti impongono programmi di “austerità” alle proprie economie come necessari per uscire dalla crisi che le affligge dal 2007. Politici ed economisti impongono oggi l’austerità allo stesso modo in cui un tempo i medici coprivano di impiastri di mostarda la pelle dei feriti.
 Le politiche di austerità presuppongono che il maggiore problema economico oggi siano i deficit governativi di bilancio che accrescono i debiti nazionali. Le politiche di austerità risolvono tali problemi principalmentetagliando la spesa governativa e, secondariamente, con limitati aumenti delle tasse. Ridurre le spese aumentando contemporaneamente le entrate non taglia i deficit dei governi e la loro necessità di indebitarsi.
 Il debito nazionale cresce meno o cala a seconda di quanto diminuiscono le spese governative e aumentano le entrate fiscali. Le politiche di austerità di Obama nel 2013 sono iniziate il 1° gennaio, quando ha aumentato le tasse sulle busta paga dei redditi di tutti fino ai 113.700 dollari. Poi, il 1° marzo, il sequester’ [limite di legge al tetto della spesa governativa USA – n.d.t.] ha ridotto la spesa federale. Così il deficit statunitense del 2013 si ridurrà drasticamente rispetto a quello del 2012.
 Obama probabilmente imporrà altra austerità: tagli alla previdenza sociale e alle provvidenze del sistema sanitario ‘Medicare’ per raggiungere un compromesso con i Repubblicani.  Analogamente, governi europei mantengono i loro programmi di “austerità”. Persino il governo francese, ufficialmente “anti-austerità” e “socialista”, ha un nuovo bilancio con tipici tagli d’austerità alla spesa sociale.
 Un cumulo di prove dimostra che i programmi di austerità solitamente aggravano le crisi economiche. Perché, allora, restano la politica preferita della maggior parte dei governi capitalisti?
 Quando le economie capitaliste crollano, la maggior parte dei capitalisti chiede – e i governi offrono – salvataggi del mercato del credito e stimoli economici. Tuttavia e le imprese e i ricchi si oppongono a nuove tasse a loro carico per rimborsare i programmi di stimolo e di salvataggio. Insistono, invece, che i governi dovrebbero prendere a prestito i fondi necessari. Dal 2007 i governi capitalisti si sono dovunque indebitati massicciamente per questi programmi costosi. Sono così incorsi in vasti deficit di bilancio e il loro indebitamente nazionale è salito alle stelle.
 Indebitarsi pesantemente è stato dunque la politica di prima scelta dei capitalisti per gestire la più recente crisi del loro sistema. Ha reso loro un ottimo servizio.
L’indebitamento ha pagato per i salvataggi governativi di banche, altre imprese finanziarie e altre grandi imprese selezionate. L’indebitamento ha consentito la spesa di stimolo che ha ravvivato la domanda di beni e servizi. L’indebitamento ha permesso gli esborsi governativi per le indennità di disoccupazione, i buoni alimentari e altri palliativi per le sofferenze indotte dalla crisi.
 In questo modo l’indebitamento ha contribuito la ridurre le critiche, il risentimento, la rabbia e le tendenze antisistema di quelli che sono stati licenziati, sfrattati dalle case, privati della sicurezza del posto di lavoro e dei sussidi, eccetera. L’indebitamento ha avuto questi risultati positivi per i capitalisti, evitando loro di pagare tasse per ottenere questi risultati.
 E non è nemmeno tutto qui. Le imprese e i ricchi hanno utilizzato i soldi che hanno risparmiato evitando che i governi li tassassero per mettere a disposizione gli enormi prestiti di cui i governi hanno avuto pertanto necessità. Gli appartenenti alla classe media e a quella a basso reddito hanno potuto prestare poco, ammesso che abbiano potuto farlo, ai loro governi. Le imprese e i ricchi, in effetti, hanno sostituito con i prestiti al governo il pagamento di tasse più elevate. Per questi prestiti i governi devono pagare interessi e alla fine rimborsarli.
 L’indebitamento governativo premia le imprese e i ricchi molto graziosamente. Si tratta di un accordo particolarmente goloso per i capitalisti.
 Tuttavia tale soluzione appetitosa fa sorgere un nuovo problema. Dove troveranno i fondi i governi, primo, per pagare gli interessi su tutto quel debito e, secondo, per rimborsare i creditori? Le imprese e i ricchi temono di essere ancora a rischio di essere tassati per mettere a disposizione quei fondi. Sono decisi a evitare simili tasse, proprio come hanno evitato, tanto per cominciare, di essere tassati per pagare i programmi di stimolo e di salvataggio.
 L’austerità è dunque la seconda scelta politica preferita dai capitalisti, un secondo modo di evitare tasse elevate mentre i governi combattono la crisi economica. Le imprese e i ricchi promuovono l’austerità insistendo rumorosamente che i problemi economici chiave di oggi non sono la disoccupazione, la sicurezza del posto di lavoro e dei sussidi, i pignoramenti delle case, una disuguaglianza da record dei redditi e della ricchezza. Invece, i problemi centrali sono i deficit governativi e l’aumento del debito nazionale. Devono essere tagliati.
 Per farlo le tasse vanno aumentate in misura modesta, o per nulla del tutto, (per evitare di “danneggiare” l’economia). La soluzione chiave è perciò di tagliare esborsi governativi per l’occupazione, le provvidenze e i servizi sociali. I soldi risparmiati con questi tagli andrebbero invece utilizzati per pagare gli interessi sul debito nazionale e per ridurre quest’ultimo.
 Il modo del capitalismo per gestire le proprie crisi ricorrenti è dunque una notevole truffa in due fasi. Nella fase uno, massicci fondi da indebitamento per programmi di stimolo e di salvataggio. Nella fase due, l’austerità rimborsa il debito.
 Questa truffa trasferisce la maggior parte dei costi della crisi capitalista sul gobbo delle persone a reddito medio e basso. La svolta ha luogo mediante maggior disoccupazione, paghe più basse e ridotti servizi governativi conseguiti dai programmi di austerità. Ha luogo anche attraverso la minimizzazione degli aumenti delle tasse, specialmente a carico delle imprese e dei ricchi.
 Con poche eccezioni, i principali partiti politici hanno dovunque imposto la truffa in due fasi del capitalismo. Sono quando l’opposizione della gente a reddito medio e basso è sufficientemente organizzata, è possibile forse minacciare il capitalismo stesso affinché i capitalisti barcollino e si dividano sull’indebitamento e l’austerità. Alcuni capitalisti a quel punto collaborano con l’opposizione a sostegno di “Nuovi Patti” [New Deals] in luogo dell’austerità.
 Anche allora, una volta superata la crisi immediata, i capitalisti tornano alle loro politiche preferite di indebitamento e di austerità. La storia statunitense dal 1929 a oggi insegna bene tale lezione.
 I capitalisti sanno che il loro sistema è instabile. Tuttavia non hanno mai prevenuto le crisi ricorrenti. Si affidano invece a politiche per “gestirle”. La truffa in due fasi – indebitamento per stimoli e salvataggi e poi austerità – di solito sistema le cose. I keynesiani promuovono l’indebitamento e poi si mostrano sorpresi, persino indignati, quando segue l’austerità.
 Tanto per cominciare, le imprese e i ricchi non avrebbero mai dovuto sottrarsi alla tassazione, perché sono loro ad aver contribuito a causare la crisi; si sono arricchiti al massimo nei decenni precedenti la crisi; e possono meglio permettersi di pagare per superare la crisi. Se fossero stati tassati per gli stimoli e i salvataggi, non ci sarebbe stata nessuna necessità di indebitamento o austerità.
 Anche tassare le imprese e i ricchi avrebbe avuto conseguenze, ma avrebbero generato minori costi sociali e sarebbero ricadute prevalentemente sui più in grado di farsene carico.
 Ma qualsiasi opposizione organizzata forte abbastanza per far pagare alle imprese e ai ricchi le crisi del capitalismo probabilmente metterebbe in discussione il capitalismo stesso. Emergendo da quasi sei anni di crisi, preme la domanda “non possiamo fare meglio del capitalismo?”, esigendo discussioni, dibattiti e decisioni democratiche.  

martedì 5 novembre 2013

Fuori i ricchi dalle galere

Luciano Granieri


Una persona abituata ai privilegi e agli agi è particolarmente inadatta a sostenere l’esperienza carceraria. Giulia Ligresti soffriva di un disturbo di adattamento, che è un evento stressante in modo più evidente per chi sia alla prima detenzione e in particolar modo per chi sia abituato a una vita particolarmente agiata, nella quale abbia avuto poche possibilità di formarsi  in situazioni che possano, anche lontanamente, preparare alla condizione di restrizione della libertà e promiscuità correlata alla carcerazione”  Ciò è quanto riporta la perizia medica sulle basi della quale il tribunale di Torino ha deliberato la scarcerazione di Giulia Ligresti. 

Non molti hanno colto questo aspetto che secondo me è molto più grave della bagarre che si sta scatenando  per  le telefonate del ministro Cancellieri alle autorità penitenziarie per perorare la causa dell’amica Ligresti. Si continua a valutare la vicenda come uno dei tanti fatti alla base del quale c’è l’amico dell’amico da aiutare, oppure la classica situazione in cui uno dei tanti santi in paradiso che alcune privilegiate famiglie possono coinvolgere,  arriva in aiuto.  

Trovo invece insopportabile che, attraverso  un giudizio, inevitabilmente   destinato a fare giurisprudenza,  si sancisca  la maggiore e particolare attenzione dovuta dalle istituzioni carcerarie  alle paturnie dei ricchi che inavvertitamente dovessero essere arrestati.  I poveri cristi che invece non vengono da una vita agiata, dovrebbero essere agevolati da un maggior grado  di adattabilità alla durezza del carcere,  e dunque che non si lamentino.  

Se si suicidano, la detenzione non c’entra, la depressione deriva da tutt’altri fattori. Questo è quanto  stabilisce  il dispositivo messo in atto dal tribunale di Torino per scarcerare la Ligresti. E’ l’ennesimo e forse uno dei più gravi sintomi del fatto che la lotta di classe l’hanno vinta loro. 

Se sei precario nella vita, perché disoccupato, impoverito dai rovesci che la tirannia del mercato ti impone,  sei precario in carcere.  Così come se sei un numero ammassato nei pronto soccorso  in caso di malattia, o nella lista degli uffici per l’impiego, così sei un numero in carcere. 

 Al contrario l’appartenere ad un ceto privilegiato,  non importa quale sia l’origine della propria ricchezza, consente di  esercitare il proprio status anche in galera, dalla quale si riesce ad uscire con estrema facilità  e anzi spesso neanche vi si mette piede, anche in presenza dei reati più gravi. La telefonata salvifica, dunque non è più necessaria. Da oggi in poi, nessun presidente o ministro avrà  la necessità di farsi sentire per assicurare un privilegio che la decisione del Tribunale di Torino sulla scarcerazione di Giulia Ligresti, stabilisce  per legge.

BIOCIDIO TOUR: dal Lazio alla Campania

Coordinamento Valle del Sacco. 

Il 9 Novembre una delegazione internazionale composta da accademici, giornalisti, attivisti e ricercatori sarà a Colleferro per conoscere la storia del nostro territorio, un esempio di ingiustizia ambientale, un Biocidio nel Lazio. 

L’Associazione A Sud e il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali organizza il Biocidio Tour, nell’ambito della settimana di attività del progetto europeo EJOLT (Environmental Justice Organisations, Lialibities and Trade) che coinvolgerà attivisti ed esperti di conflitti ambientali provenienti dall’America Latina, dall’Africa, dall’India e da vari paesi europei per visitare i territori emblema di ingiustizia ambientale in Lazio e in Campania.
La delegazione composta da giuristi, accademici, epidemiologici, economisti e attivisti di tutto il mondo sarà in Italia dal 9 al 15 novembre per conoscere ed entrare in contatto con le organizzazioni sociali che lavorano sui conflitti ambientali dando visibilità alle lotte locali e mirando alla costruzione di strumenti utili alle comunità impegnate a salvaguardare l’ambiente e il diritto alla salute.

Perché un Biocido Tour:
Scegliere di installare impianti produttivi, estrattivi o di smaltimento contaminanti su un determinato territorio senza preventivamente valutarne le conseguenze su ambiente e cittadini significa decidere scientemente che quelle comunità sono “sacrificabili” a una malintesa idea di sviluppo.
In Campania è nata un’ampia coalizione popolare per fermare la sistematica violazione del diritto alla salute attraverso l’avvelenamento del territorio e della popolazione, un vero Biocidio che ha trasformato la Campania felix nella Terra dei Fuochi, un immenso territorio tra Napoli e Caserta devastato da un modello di smaltimento dei rifiuti tra discariche, inceneritori, sversamenti illegali di rifiuti tossici e industriali.
Situazione analoga anche nel Lazio dove si contano numerosi siti contaminati per la presenza di stabilimenti industriali o impianti per lo smaltimento dei rifiuti.

LA VALLE GALERIA E LA VALLE DEL SACCO, BIOCIDIO NEL LAZIO
Il 9 novembre la carovana partirà da Roma e visiterà la Valle Galeria, zona a nord di Roma dove si trova la discarica di Malagrotta, sito di stoccaggio dei rifiuti più grande d’Europa, chiusa alla fine del settembre scorso dopo 17 anni di proroghe.Il sito ha un’estensione superiore ai 240 ettari e riceveva ogni giorno tra le 4500 e le 5000 tonnellate di rifiuti, producendo circa 330 tonnellate di scarti e fanghi all’anno. La zona di Malagrotta, che è soltanto una parte della Valle Galeria, comprende i quartieri di Massimina, Santa Cecilia, Spallette e San Cosimato, e rappresenta probabilmente l’area di Roma in cui si concentra il maggior numero di impianti industriali ad alto impatto ambientale.
La delegazione si sposterà a Colleferro dove le associazioni e i cittadini riuniti nel Coordinamento Valle del Sacco illustreranno la storia e le criticità della zona, spiegando l’ origine dell’inquinamento e i danni ambientali provocati dalla gestione scellerata e irresponsabile del territorio.
Dall’avvelenamento del Fiume Sacco fino all’installazione degli impianti di smaltimento rifiuti, la delegazione visiterà i luoghi simbolo presenti a Colleferro per conoscere dettagliatamente la situazione in cui è costretta a vivere la popolazione.

10 NOVEMBRE NAPOLI E LA TERRA DEI FUOCHI
La carovana conoscerà la drammatica situazione della terra dei fuochi tra la provincia di Napoli e Caserta, una delle zone in Italia in cui le conseguenze dell’esposizione di territori e comunità a agenti inquinanti dovuti prevalentemente alla gestione dei rifiuti sono maggiormente drammatiche.
La delegazione visiterà alcune delle zone caratterizzate dalla presenza di inceneritori, discariche, siti di stoccaggio di ecoballe, sversamenti e smaltimento illegale di rifiuti e incontrerà i comitati locali della zona.
In queste due giornate le personalità internazionali e la stampa avranno l’opportunità di conoscere le conseguenze ambientali, sociali, sanitarie ed economiche della mala gestione del territorio, creando così un momento di divulgazione tra esperti e attivisti locali per trovare soluzioni e percorsi efficaci da intraprendere per non violare il diritto alla salute.

Ringraziamenti

La Consulta dell'Ambiente 
di Piedimonte S.Germano    


La Consulta dell'Ambiente di Piedimonte San Germano, nella vicenda dell' "impianto di gestione e trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi in località Tartari o Casa Iacone – Villa Santa Lucia (FR)" ci tiene a ringraziare in modo particolare l'Avvocato Martini Giuseppe (Ass. "Gruppo Attivo Cassino") per averla inserita nel procedimento di opposizione per la sospensiva al Tar del Lazio, nonostante la non legittimazione. 
Una prima battaglia vinta - scrivono i membri della Consulta - da condividere con il Gruppo Attivo Cassino, insieme nella deposizione delle osservazioni al Tar. Ma risulta, invece, ancora aperta la questione che si presta ad essere non priva di colpi di scena, come si evince dal nuovo progetto rivisitato dalla società emiliana riguardante l'installazione di "impianti fotovoltaici".
La Consulta continuerà, quindi, a rimanere aggiornata e vigile sulla vicenda.

domenica 3 novembre 2013

Come la crescita economica è diventata nemica della vita

 Vandana Shiva  fonte:http://znetitaly.altervista.org/




La crescita illimitata è il sogno degli economisti, degli uomini d’affari e dei politici. E’ considerata una misura del progresso. In conseguenza il prodotto interno lordo (PIL), inteso come misura della ricchezza delle nazioni, è emerso come sia la cifra più potente sia il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia la crescita economica cela la povertà che essa crea attraverso la distruzione della natura che a sua volta conduce a comunità prive della capacità di provvedere a sé stesse.
Il concetto di crescita è stato proposto come misura di mobilitazione di risorse durante la seconda guerra mondiale. Il PIL è basato sulla creazione di confine artificiale e fittizio, presupponendo che se si produce ciò che si consuma, non si produce. In effetti la “crescita” misura la conversione della natura in denaro e dei beni comuni in merci.
Così i meravigliosi cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono definiti non-produzione. I contadini del mondo, che forniscono il 72% del cibo, non producono; le donne che allevano o compiono la maggior parte dei lavori di casa non rientrano nel paradigma della crescita neppure loro. Una foresta vivente non contribuisce alla crescita, ma quando gli alberi sono abbattuti e venduti come legname, allora abbiamo crescita. Le società e le comunità sane non contribuiscono alla crescita, ma la malattia crea crescita attraverso, ad esempio, la vendita di medicinali brevettati.
L’acqua disponibile come bene comune condivisa liberamente e protetta da tutti provvede a tutti. Tuttavia non crea crescita. Ma quando la Coca Cola crea un impianto, estrae l’acqua e riempie di essa bottiglie di plastica, l’economia cresce. Ma tale crescita è basata sulla creazione di povertà, sia nella natura sia nelle comunità locali. L’acqua estratta oltre la capacità della natura di rinnovamento e rifornitura crea una carestia d’acqua. Le donne sono costrette a percorrere distanze più lunghe in cerca di acqua potabile. Nel villaggio di Plachimada, nel Kerala, quando la distanza da percorrere per l’acqua è diventata di dieci chilometri, la donna tribale locale Mayilamma si è detta che quando è troppo è troppo. Non possiamo camminare oltre; l’impianto della Coca Cola va chiuso. Il movimento che le donne hanno avviato ha portato alla fine alla chiusura dell’impianto.
In modo simile, l’evoluzione ci ha donato i semi. I contadini li hanno selezionati, coltivati e diversificati; sono la base della produzione del cibo. Un seme che si rinnova e si moltiplica produce semi per la stagione successiva e cibo. Tuttavia i semi coltivati e accantonati dai coltivatori non sono considerati un contributo alla crescita. Creano e rinnovano la vita, ma non producono profitti. La crescita comincia quando i semi sono modificati, brevettati e messi geneticamente sotto chiave, facendo sì che i coltivatori siano costretti a comprarne altri ogni stagione.
La natura è impoverita, la biodiversità è erosa e una risorsa pubblica e gratuita è trasformata in una merce brevettata. Acquistare semi ogni anno è una ricetta per l’indebitamento per i contadini poveri dell’India. E da quanto sono stati creati i monopoli dei semi, il debito dei contadini è aumentato. Dal 1995 più di 270.000 contadini, imprigionati nella trappola del debito in India, si sono suicidati.
La povertà è anche ulteriormente diffusa quando sono privatizzati sistemi pubblici. La privatizzazione dell’acqua, dell’elettricità, della salute e dell’istruzione genera crescita economica attraverso i profitti. Ma genera anche povertà costringendo la gente a spendere grandi quantità di soldi per qualcosa che era disponibile a costi accessibili come bene comune. Quando ogni aspetto della vita è commercializzato e mercificato, vivere diventa più costoso, e la gente diventa più povera.   
Sia l’ecologia sia l’economia sono nate dalle stesse radici: “oikos”, il termine greco per ‘famiglia’. Fintanto che l’economia è stata focalizzata sulla famiglia, ha riconosciuto e rispettato le sue basi nelle risorse naturali e nei limiti del rinnovamento ecologico. L’economia basata sulla famiglia era anche incentrata sulle donne. Oggi l’economia è separata e opposta sia ai processi ecologici sia ai bisogni fondamentali. Anche se la distruzione della natura è stata giustificata con la motivazione di creare crescita, sono aumentate la povertà e gli espropri. Oltre a essere insostenibile, è anche economicamente ingiusta.
Il modello dominante di sviluppo economico è diventato, in realtà, nemico della vita. Quando le economie sono misurate solo in termini di flussi di denaro, i ricchi diventano più ricchi e i poveri diventano più poveri. E i ricchi possono essere ricchi in termini monetari, ma anche loro sono poveri nel più ampio contesto di ciò che significa essere umani.
Nel frattempo le esigenze dell’attuale modello economico stanno portando a guerre per le risorse, guerre per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre per il cibo. Ci sono tre livelli di violenza coinvolti nello sviluppo non sostenibile. Il primo è la violenza contro la terra, che si esprime come crisi ecologica. Il secondo è la violenza contro le persone, che si esprime nella povertà, indigenza e nella cacciata dai propri luoghi. Il terzo è la violenza della guerra e dei conflitti, con i potenti che allungano le mani sulle risorse che si trovano in altre comunità e paesi per soddisfare i loro appetiti illimitati.
L’aumento dei flussi monetari attraverso il PIL è divenuto scollegato dal valore reale, ma quelli che accumulano risorse finanziarie possono poi rivendicare interessi sulle risorse reali della gente, sulla sua terra e sulla sua acqua, sulle sue foreste e sui suoi semi. Questa sete li induce a predare l’ultima goccia d’acqua e l’ultimo palmo di terra del pianeta. Questa non è la fine della povertà. E’ la fine dei diritti umani e della giustizia.
Gli economisti vincitori del premio Nobel, Joseph Stiglitz e Amartya Sen, hanno ammesso che il PIL non coglie la condizione umana e hanno sollecitato la creazione di strumenti diversi per misurare il benessere delle nazioni. E’ per questo che paesi come il Bhutan hanno adottato, per calcolare il progresso, la felicità nazionale lorda in luogo del prodotto interno lordo. Dobbiamo creare misure che vadano oltre il PIL ed economie che vadano oltre il supermercato globale, per rinnovare la ricchezza reale. Dobbiamo ricordare che la moneta reale della vita è la vita stessa.


Il personaggio che appare nel video e che Vandana Shiva indica come personificazione dei problemi italiani è Davide Serra. Il  signore è  a capo di uno dei più spietati e ricchi  fondi di investimento mondiali: Il fondo Algebris. Chi non ha la memoria corta, ricorda Serra a fianco di Matteo Renzi in una cena di finanziamento per la campagna elettorale del sindaco di Firenze alle primarie precedenti le ultime elezioni politiche. Pecunia non olet ed infatti il buon Renzi non esitò un minuto a farsi finanziare da un principe della più virulenta speculazione finanziaria. Magari, questa piccola notazione potrà risultare utile a coloro i quali si accingono a votare per eleggere il prossimo segretario del Pd. Casino delle tessere permettendo.
Luciano Granieri.

Israele paga gli 'infiltrati' per andare via

Roberto Prinzi. fonte NenaNews

5.000 euro per lasciare il Paese, un centro di "accoglienza" e detenzione fino ad un anno e mezzo. Così Tel Aviv prova a risolvere il problema degli immigrati africani
Tel Aviv offrirà 5.000 dollari agli immigrati africani disposti a lasciare Israele di «propria volontà» e che prometteranno di non ritornarci più. È questa, in ordine di tempo, l'ultima proposta presentata dal ministero degli Interni al premier Netanyahu per risolvere la questione immigrazione.
Al momento la cifra pattuita, all'interno del programma (ironicamente) chiamato «ritorno volontario», è di 1.500 dollari per ciascuno migrante a cui si vanno ad aggiungere i costi del biglietto aereo per riportarlo nel suo Paese. L'aumento, nelle intenzioni dei ministeri degli Interni e del Tesoro, costituirebbe uno sprone per risolvere velocemente il "problema clandestini" nello Stato ebraico. Se realizzato non sarebbe però una novità. Pochi mesi fa, infatti, alcuni immigrati sudanesi ed eritrei avevano «accettato di ritornare a casa» in cambio di una cifra in denaro.
Il problema "infiltrati" (così una gran parte degli israeliani chiama i richiedenti asilo e i lavoratori immigrati) è stato al centro di una riunione speciale convocata due settimane fa in seguito all'annullamento dell'emendamento alla legge per vietare le «infiltrazioni» disposto dalla Corte Suprema israeliana quasi due mesi fa.
Sebbene la proposta di aumentare il compenso per chi decide di lasciare Israele sia stata subito accolta favorevolmente da Netanyahu, tuttavia è in queste ore ancora oggetto di discussione nei ministeri dell'Interno e del Tesoro. Secondo i dati dell'Autorità dell'Immigrazione e Popolazione della Commissione sui lavoratori stranieri della Knesset, alla fine di settembre erano presenti in Israele 53.636 immigrati africani. Dall'inizio del 2013 solo 38 persone sono entrate illegalmente dal confine con l'Egitto.

Il centro di detenzione «aperto»
Ma il possibile aumento del compenso da 1.500 dollari a 5.000 non è l'unica strategia messa in campo dal governo per risolvere il problema immigrazione. Quando due settimane fa le organizzazioni dei diritti umani si sono rivolte al Consigliere giudiziario del governo, Yehuda Wainshtein, affinché venisse applicata la sentenza della Corte Suprema, la risposta che hanno ricevuto non è stata molto positiva.
Se da un lato, infatti, la vice consigliera di Wainshtein Dina Zilber ha ribadito che novanta giorni è il termine massimo per la liberazione dei detenuti e ha rassicurato le organizzazioni per i diritti umani che «il rilascio si svolgerà in modo continuato e graduale nelle prossime settimane», dall'altro ha osservato come l'intenzione del governo sia quella di trasferire in un centro di permanenza «aperto» (al momento non ancora completato) gli immigrati i cui casi non sono stati ancora esaminati. In pratica si tratta si trasferire1.800 persone (detenute attualmente senza aver compiuto alcun reato) nel centro di Sadot in pieno deserto.
Secondo il piano, gli immigrati potranno lasciare il campo la mattina ma dovranno far ritorno la sera dove sono stati allestiti 300 container. Non sono ancora chiari i costi e come il campo potrà trasformarsi un «centro aperto». Così come non è stata fornita la data prevista per compiere i lavori di adeguamento all'impianto già esistente. L'unica cosa certa è che Tel Aviv ha investito finora 250 milioni di shekel per una struttura che dovrebbe "accogliere" 3.300 persone. Decisione, quella del campo aperto di Sadot, che ha scatenato le prime proteste. Il consiglio regionale di Ramat Negev è preoccupato delle migliaia di migranti in giro di mattina in pieno deserto. Malcontento è stato espresso anche dai lavoratori del Servizio Prigioni che, oltre ad apparire scettici sull'utilità del provvedimento, hanno affermato di non aver esperienza con i «centri aperti».
Non ancora completato, il centro di Sadot diventerà una vera e propria cittadina carceraria al confine con l'Egitto. E pensare che il progetto iniziale prevedeva di detenere fino a 11.000 persone, facendo guadagnare a Sadot il (poco ambito) appellativo di carcere più grande al mondo.

Combattere gli «infiltrati»
L'aumento della cifra stanziata per "risolvere" il problema immigrati, il campo «aperto» di Sadot e la diminuzione del reato di clandestinità da tre anni a un anno e mezzo sono le tre principali strade seguite dal governo Netanyahu per aggirare l'annullamento all'emendamento sulla legge "anti-infiltramento" stabilito dalla Corte Suprema israeliana quasi due mesi fa. La modifica che l'estrema destra provò ad inserire permetteva allo stato di detenere per tre anni (ma in alcuni casi anche a tempo indefinito) i richiedenti asilo e gli immigrati. La Corte Suprema giustificò la sua decisione parlando di «rispetto per la dignità umana e la libertà». Netanyahu scelse subito di dare battaglia: «nell'ottemperare alla sentenza della Corte Suprema» - disse il premier israeliano stizzito - «intendo trovare insieme al Ministro degli Interni e al consigliere giudiziario del governo un modo che ci permetta di continuare la nostra politica ferrea che ha frenato l'infiltrazione e ha respinto migliaia di infiltrati». Ma l'ottemperanza della sentenza è stata solo a parole. Pochi giorni fa, infatti, le associazioni dei diritti dell'uomo hanno accusato il governo di non aver liberato gli immigranti come imponeva la Corte Suprema. Secondo i dati dell'Autorità dell'Immigrazione e Popolazione soltanto 33 richiedenti asilo venivano rilasciati a un mese dalla sentenza. Un numero irrisorio se si considera che nelle carceri israeliane sono rinchiusi 1.800 immigrati. La mancata applicazione della decisione giudiziaria non può costituire del tutto una sorpresa se si considera che lo stesso presidente della Corte Suprema, Asher Grunis, ha avuto un atteggiamento contraddittorio perché sebbene abbia bocciato l'emendamento si è contemporaneamente mostrato favorevole alla detenzione degli "infiltrati" per periodi più brevi.
Una lotta senza quartiere quella contro i lavoratori immigrati e i richiedenti asilo in cui la maggior parte della società israeliana è, in misura maggiore o minore, complice. I corpi dei "sudanesi" e dei "kushim" (negri in ebraico) sono sacrificati per mantenere compatta una coalizione governativa di estrema destra che da mesi si mostra profondamente divisa sul processo di pace in corso con i palestinesi ed è sempre più vincolata dai ricatti di "Casa Ebraica" di Bennet, l'uomo dei coloni.
I corpi degli "infiltrati" sono venduti per strizzare l'occhio ad una ampia maggioranza di israeliani preoccupati che la presenza degli "stranieri" (e tra questi anche gli "arabi") possa modificare irreversibilmente la natura ebraica della stato sionista. I corpi dei "sudanesi" sono infine immolati per placare la rabbia dei cittadini di HaTikva e Shapira, quartieri meridionali di Tel Aviv che in più occasioni negli ultimi anni hanno dato vita a pogrom di stampo fascista. E dove la politica ufficiale fallisce, le istituzioni sono assenti, lo Stato si disinteressa dei territori periferici tranne poi ricordarsene in campagna elettorale, la più infausta soluzione operata dai poteri espressione della media-alta borghesia è sempre la stessa: alimentare la criminalizzazione del debole, incanalare la frustrazione del sottoproletariato contro chi è ancora più emarginato (e non di chi è causa della propria marginalizzazione), contro chi è ancora più vittima e "dannato della terra". Chissà se qualcuno a Tikva, a Shapira un giorno lo capirà.