Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 10 ottobre 2015

Annibaldo de Ceccano, ma pure de Carpineto e de Arnara. I docenti del Liceo scientifico e linguistico di Ceccano protestano per la decisione del Comune di intitolare la scuola al nobile del 1.200

Docenti del Liceo
Scientifico e Linguistico di Ceccano



Nel pomeriggio di ieri (9 ottobre 2015), presso il Liceo Scientifico e Linguistico di Ceccano, si è riunita una folta rappresentanza di docenti in assemblea straordinaria per discutere sulla deliberazione della Giunta Comunale del 1 settembre scorso, relativa al procedimento di intitolazione dell’istituto fabraterno. Dal dibattito è emerso che l’amministrazione comunale, a dispetto di ogni norma e regola inerente la procedura – che è stata puntualmente rispettata e messa in atto dagli organi competenti della scuola – non si è limitata ad esprimere un parere sul nome proposto dal liceo (Maria Gaetana Agnesi, matematica e poliglotta settecentesca), ma ha proposto di fatto l’intitolazione della scuola alla trecentesca “gloria” locale cardinale Annibaldo de Ceccano, oltrepassando la propria sfera di competenza, e delineando così una sorta di inverosimile anomalia rispetto al corretto iter. I docenti, in modo unanime, hanno espresso forti riserve sull’accaduto, ribadendo in prima istanza l’autonomia della scuola, che non può tollerare di essere “scavalcata” in nome di una totale noncuranza (o ignoranza?) delle più elementari regole democratiche. Aggiungendo poi, in seconda istanza, che le iniziative culturali e didattiche che la scuola riserva da anni al contesto storico di riferimento del personaggio ceccanese, ivi compreso il viaggio di istruzione ad Avignone, hanno una valenza puramente formativa, e non sono mai state volte ad altre finalità collegate alla prospettiva di un’intitolazione o ad altro (ad esempio, il sostegno al programma culturale dell’assessorato alla cultura di turno). Il corpo docente ha concluso l’incontro auspicando una maggiore “indipendenza” da parte di ciascuna delle due istituzioni e un più sentito rispetto reciproco, soprattutto in relazione ad ogni forma di possibile  “strumentalizzazione” di progettualità e realtà appartenenti ad un ambito – non solo “locale”, bensì aperto ad un ampio circondario e ormai al mondo intero grazie alle nuove tecnologie - squisitamente educativo, culturale e didattico. 

Comunicato del Partito del Lavoro di Turchia (EMEP) sulla strage di Ankara

Oggi una Manifestazione per la Pace organizzata ad Ankara dai quattro maggiori sindacati è stata il bersaglio di due attacchi con bombe.  Due bombe sono esplose fra le masse che convergevano nella piazza della manifestazione alle 10 di questa mattina, nei pressi della stazione ferroviaria di Ankara.
Secondo i dati diffusi dal governo il bilancio delle vittime è di 86 morti e 186 feriti.
Nove compagni del nostro Partito, tra cui un membro del Comitato Centrale sono morti, e trenta nostri compagni sono stati feriti.
Nelle elezioni dello scorso 7 giugno il partito al governo AKP ha perso parte dei suoi voti e non ha ottenuto abbastanza deputati per formare un governo di maggioranza.  AKP ha rifiutato di entrare in una coalizione con gli altri partiti, ha impedito i tentativi di formare un governo ed ha fissato un'altra elezione, che si terrà il 1° di novembre.
Inoltre, ponendo fine ai negoziati quinquennali con le forze politiche curde, AKP ha iniziato a terrorizzare le regioni curde con le sue forze militari e di polizia.
A causa della politica del terrore dell'AKP più di 1000 soldati, poliziotti, guerriglieri e civili (tra cui donne, anziani e bambini) sono stati uccisi negli ultimi tre mesi.
Attraverso la sua campagna di terrore nelle regioni curde, AKP sta cercando di portare il blocco HDP (che ha preso il 13% dei voti e 80 deputati nelle ultime elezioni) sotto la soglia del 10% per tornare ad essere il partito di maggioranza di governo in Turchia.
Di recente, le forze che sono contro la politica del terrore di AKP e rivendicano una soluzione pacifica alla questione curda hanno cercato di far sentire la propria voce attraverso attività e manifestazioni.
La manifestazione di oggi è stata organizzata da DISK (Confederazione dei sindacati dei Lavoratori Rivoluzionari), KESK (Confederazione dei sindacati dei Lavoratori pubblici), TMMOB (Camera di Turchia degli architetti e dei sindacati degli ingegneri) e TTB (Camera dei medici di Turchia). Oltre ai membri di questi quattro sindacati, la manifestazione è stata anche caratterizzata dalla partecipazione di HDP e dall'EMEP, così come da un certo numero di partiti, organizzazioni politiche e gruppi.
Condanniamo con forza l'attacco e ribadiamo il fatto che questi attacchi non ci possono fermare.

Partito del Lavoro (EMEP) di Turchia


Quando Italo Calvino scrisse di Italia — Inghilterra ma fuori dallo stadio

Pasquale Coccia

Sport. Lo scrittore quando era redattore dell'Unità a Torino fu incaricato di seguire il primo incontro della nazionale dopo la Liberazione.


E’ pos­si­bile scri­vere un arti­colo su una par­tita di cal­cio che il cro­ni­sta spor­tivo non ha visto? A farlo fu Italo Cal­vino. Il futuro scrit­tore, redat­tore de L’Unità, edi­zione pie­mon­tese, nel 1948 fu inca­ri­cato di seguire l’incontro di cal­cio Italia-Inghilterra, il primo vero match dopo la Lib­razione. Nel 1941, appena diciot­tenne, Italo Cal­vino pub­blicò un breve rac­conto,Il treno degli illusi, narra di una gio­vane ragazza bionda che per lavoro ogni giorno prende il treno con altri pendolari e si diverte a son­dare i viag­gia­tori dello scom­par­ti­mento su una futura pro­fes­sione cui aspi­re­reb­bero. Il pro­ta­go­ni­sta del rac­conto fini­sce per diven­tare un ragazzo di 18 anni, l’alter ego di Cal­vino, il quale con­fida alla bionda signo­rina che vor­rebbe diven­tare un cam­pione di cicli­smo o affer­marsi nella let­te­ra­tura. Cal­vino si cimentò in più occa­sioni nella cronaca spor­tiva, quando lavo­rava al gior­nale fon­dato da Anto­nio Gram­sci, dalle colonne de L’Unità pole­mizzò for­te­mente con il Vati­cano sul ten­ta­tivo di appro­priarsi delle imprese cicli­sti­che di Bar­tali, che non vi sia una netta sepa­ra­zione tra reli­gione e sport, vista la lunga tra­di­zione degli ora­tori, pos­siamo anche capirla, scri­veva Cal­vino, ma rimar­chiamo quella tra cicli­smo e Vati­cano. Il vento della guerra fredda e della con­trap­po­si­zione tra cat­to­lici e com­nisti sof­fiava forte anche tra i raggi delle bici dei cam­pioni. Per tor­nare a quella dome­nica pomriggio di marzo del ’48, Italo Cal­vino per quanto inviato dalla reda­zione a seguire Italia-Inghilterra, non varcò i can­celli dello sta­dio Comu­nale di Torino. Fu attratto da tutto quanto succe­deva intorno allo sta­dio, il bru­li­care dei tifosi, le ban­ca­relle, i baga­rini attivi fin da allora, una delle poche cose che resi­ste al cal­cio glo­ba­liz­zato: “Io la par­tita l’ho vista di fuori. Certo anch’io avrei potuto com­prare un biglietto all’ultimo momento, quando gli sfor­tu­nati baga­rini face­vano di tutto per dar via all’ultimo momento le loro rima­nenze, ma ho pre­fe­rito gustarmi l’atmosfera di festa per le strade, assa­po­rare que­sta dome­nica di festa tanto diversa dalle altre”. Una festa inso­lita per Torino, assor­bita dall’allegria dei tifosi, per l’occasione para­go­nati ai signori ben vestiti che escono dalla messa della dome­nica dalla chiesa di San Carlo. I tifosi pro­ve­nienti da tutta l’Italia, già dal sabato sera riversi tra i tavo­lini dei bar fino a notte fonda, quando gli stril­loni annun­cia­vano i titoli dei quo­ti­diani che man mano usci­vano, secondo Calvino ren­de­vano Torino una metro­poli, anche se per un giorno, pone­vano la città pie­mon­tese fuori dalla sua atmo­sfera set­te­cen­te­sca, quell’allegria allen­tava il gri­giore dei grandi viali e dei sel­ciati. Lo scrit­tore entra nel vivo della par­tita, quella che vede fuori dallo sta­dio: “Su tutte le vie cor­reva la voce di Caro­sio, anche quelli che face­vano gli indif­fe­renti fini­vano per fer­marsi ai croc­chi ad ogni bar. “E’ in rete! E’ entrata! Ha segnato!”. Mac­chè quell’arbitro, lo male­di­cemmo anche noi di fuori strin­gendo i pugni. Certo la sera fu tri­ste vedere par­tire le auto, i pullman, e sen­tire tutti quei com­menti, quelle recri­mi­na­zioni. Dopo un’ora dalla fine della partita, sapevo già tanto che ero anch’io in mezzo agli altri: “Ma Mazzola…ma Eliani”.
Nella pagina in cui Cal­vino pub­blicò il suo arti­colo inti­to­lato Una par­tita che non ho visto, lo storico Paolo Spriano faceva una disa­mina dei can­noni pun­tati con­tro gli ope­rai tra il 1898 e il 1948 da Bava Bec­ca­ris a Scelba. Quella par­tita finì 1 a 0 a favore degli inglesi, un altro cronista spor­tivo dell’Unità, che a dif­fe­renza di Cal­vino andò allo sta­dio, scrisse che durante la tele­cro­naca Nic­colò Caro­sio falsò non poco la cro­naca della par­tita. A spie­gare il per­ché della nostra scon­fitta un arti­colo in taglio basso dal titolo ine­qui­vo­ca­bile Abbasso il divi­smo, che attri­bui­sce i motivi della nostra débâ­cle alla man­canza di serietà dei cal­cia­tori ita­liani, accu­sati di lasciarsi andare alla bella vita not­turna in com­pa­gnia di ragazze, men­tre per lo stile di vita degli inglesi è tutto un elo­gio: “Serietà, serietà ci pareva di veder scritto sulle maglie dei calciatori inglesi, sulle giac­che dei loro tec­nici e dei loro diri­genti… la serietà è l’unico grande segreto della supe­rio­rità inglese, è il segreto di tutti i suc­cessi da quello dell’Inghilterra a quello della Dynamo ( la squa­dra di Mosca, ndr) a quello degli scia­tori nor­dici, a quello di Binda e Bar­tali. I gio­ca­tori inglesi alle sei del mat­tino se ne vanno al campo di alle­na­mento vi tor­nano il pome­rig­gio. Alla sera quando i nostri si fanno notare nelle sale da ballo e nei taba­rini per le sgar­gianti giac­che spor­tive, per i cal­zet­toni mul­ti­co­lori e per le don­nette ele­ganti che hanno in com­pa­gnia, se ne vanno a letto, non bevono e fumano poco”. Nes­suno si salva degli azzurri, qual­che parola di elo­gio per Valen­tino Maz­zola, l’unico in grado di col­pire di testa dall’alto in basso, secondo il cro­ni­sta dell’Unità, un’abilità che tutti i cal­cia­tori inglesi erano in grado di ese­guire insieme a quella di cal­ciare la palla in corsa senza guar­darla “come un buon dattilografo che scrive senza chi­nare la testa”. Non sap­piamo cosa scri­ve­rebbe oggi Italo Calvino sugli azzurri e se oggi pome­rig­gio, in occa­sione dell’incontro Italia-Azerbaigian val­vole per gli Euro­pei 2016, var­che­rebbe i can­celli dell’Olimpia sta­dio di Baku o si fer­me­rebbe incu­rio­sito a osser­vare i tifosi per le strade.

Fonte: Alias del 10 ottobre 2015
Una bella pagina che mostra chi scriveva e cosa era l'Unità prima che lo tsunami riformista la riducesse a megafono dell'ultraliberista cialtrone Matteo Renzi. Agli eredi della Bolognina,  all'ignoranza di Matteo Renzi e la sue truppe cammellata imputiamo anche questo scempio.
Luciano Granieri

venerdì 9 ottobre 2015

Le dimissioni di Marino erano un atto dovuto da tempo

Ross@ Roma

Non ci stupiscono né ci rattristano le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma. Ross@, praticamente da sola, le aveva chieste già dal dicembre 2014 quando esplose la prima parte dell’indagine su Mafia Capitale. Successivamente altre forze sociali, politiche e sindacali sono arrivate alla stessa conclusione.
Ma perché Marino doveva dimettersi già da dicembre? Non certo perché coinvolto nel verminaio di Mafia Capitale. I fatti dimostrano che gran parte del patto politico-criminale e trasversale esisteva da prima della sua elezione a sindaco. Il problema è che quel patto aveva prodotto gran parte dell’apparato politico e dirigenziale che Marino aveva lasciato al suo posto.
Marino è stato prima il prodotto e poi la vittima dello scontro per bande all’interno del Pd romano, un partito di potere con componenti “pericolose”, come ha documentato l‘inchiesta sui circoli Pd realizzata da Barca. Ma l’essere vittima di questa guerra nel Pd non lo assolve dalle sue responsabilità politiche come sindaco.
A parte la comprovata e ripetuta inadeguatezza ed estraneità alle dinamiche reali della città che doveva governare (una prova di più è stata la nomina del “sabaudo” Esposito ad assessore di un settore strategico come i trasporti), ogni volta che Marino ha preso parola sui problemi sociali o su quelli dei lavoratori l’ha fatta fuori dal vaso: dai fatti di Tor Sapienza ai dipendenti comunali, dagli autisti dell’Atac alle maestre delle materne e degli asili nido, dai vigili urbani ai dipendenti delColosseo. Un sindaco espressione non tanto dei poteri forti ma coincidente in pieno – per mentalità e visione delle cose – con i poteri forti e gli interessi privati che vogliono spolpare ulteriormente la città di Roma, il suo territorio, i suoi abitanti, i suoi visitatori, i suoi servizi pubblici.
Le dimissioni di Marino sono dunque un atto tardivo e dovuto. Adesso occorre mettere in campo una seria alternativa di governo sulla città di Roma che non faccia della legalità solo una trappola, che dia priorità alle esigenze popolari, che rigetti i diktat del Patto di Stabilità, che tenga alla larga non solo i mafiosi e i fascisti del “Mondo di mezzo” ma anche gli appetiti del Mondo di Sopra, i quali già stanno facendo convergere i loro interessi su Marchini, l’uomo dei costruttori e delle banche.

Il diversamente sindaco

Luciano Granieri


Il sindaco di Roma Ignazio Marino si è dimesso, per ora. 

Il prossimo sindaco di Roma
Non ci stracciamo le vesti più di tanto. Come tanti altri sindaci, era un amministratore schierato  contro gli interessi dei lavoratori. Vedi la criminalizzazione dei dipendenti Ama e Atac , necessaria a scaricare sui lavoratori  stessi  le colpe delle  crisi  aziendali, risultato di  decenni di management clientelare . Criminalizzazione  utile soprattutto  a giustificare il salvifico intervento dei privati nella gestione delle municipalizzate  romane.  Per non tacere del duro proclama  del Primo Cittadino, ormai ex, contro i dipendenti del  Mibact che avevano osato ritardare l’apertura del Colosseo di due ore per tenere un’assemblea sindacale, necessaria a  rivendicare il pagamento degli straordinari non riscossi da mesi . Già perché potrà sembrare strano, ma la gente per lavorare vuole essere pagata. Tutto perfettamente in linea con la strategia di compressione dei diritti dei lavoratori, pianificata  direttamente dal regime renziano. 

Eppure a dimettere il  chirurgo genovese è stato proprio Renzi.  Come mai? Non certo per la faccenda degli scontrini. Andare a cena pagando con soldi non propri, ma della collettività  è  colpa grave ma non decisiva .  E’ molto più grave, in verità,   governare con voti non propri, così come sta facendo colui il quale  ha reclamato la testa di Marino e  sta distruggendo la democrazia nel Paese, ma questa è un’altra storia. 

Le motivazioni vere  della cacciata risiedono nel fatto che  il dottore naif, ha pestato un bel po’ di calli a membri eccellenti di quella casta che si serve di Renzi per salvaguardare i propri interessi. Il buon Ignazio ha messo fine alla cuccagna trentennale della famiglia Cerroni  chiudendo Malagrotta, bancomat da cui i signori della monnezza hanno tratto le loro sconfinate ricchezze ai danni dei contribuenti. E non mi si venga a dire che Roma è più sporca dopo la chiusura del velenificio a cielo aperto dei Cerroni , perché è da tempo immemore che la Capitale trasuda rifiuti da ogni angolo. 

Non contento, Marino è andato a rompere i coglioni nel consiglio di amministrazione di Acea, rivendicando il diritto, come azionista di maggioranza (il comune di Roma detiene il 51% delle azioni),   di condizionare la strategia della multiutilityu dell’acqua e dell’energia. Che impudenza! Come si permette quest’uomo di interferire nei lauti affari che gli altri azionisti, i Caltagirone e la multinazionale Suez,  concludono usando Acea per  turlupinare i cittadini? 

Perfino alla famiglia Tredicine,   i monopolisti dei camion bar, Marino è andato a rompere le scatole, impedendo ai loro  furgoncini, dispensatori di panini e bibite a prezzi da ristorante di lusso di parcheggiare davanti ai  monumenti e nella piazze deturpando le bellezze della Città Eterna.  Poi  tutte quelle coppie gay in fila per essere uniti in matrimonio davanti al Campidoglio hanno fatto incazzare non poco  il potere temporale oltretevere guidato dal Papa star Francesco. Un potere secolare procacciatore di voti e consensi che nessun sindaco di Roma ha osato oltraggiare così palesemente. 

Obbiettivamente le grida e gli alti lai di certi potentati hanno fatto tremare Renzi che già da tempo aveva preparato il foglio di via al sindaco chirurgo. Senonchè quell’impudente di Pignatone, procuratore di ferro, non va a scoperchiare il melmoso pentolone di mafia capitale. In quella  pignatta,  immerso nella melma maleodorante c’è tutto l’establishment capitolino, in costante   combutta con il malaffare  fin dai tempi d’oro della Banda della Magliana. Anche il Pd romano affoga nella melma, compreso alcuni esponenti in squadra con il sindaco, almeno lui rimasto  immacolato. 

Marino quindi torna in auge, almeno come foglia di fico messa a coprire le pubenda  dei democrat romani devastate dal malaffare. Gli affiancano  la badante supeprefetto Gabrielli per gestire i soldi dell’Anno Santo.   Lo marcano stretto due mastini governativi, sgherri di Renzi,  il vicesindaco Causi e l’assessore ai trasporti, lo  juventino  picchiatore di romanisti e  si Tav , Stefano  Esposito. Controllori necessari  a pilotare  il piano di svendita ai privati, così impunemente offesi da Marino, di Atac e Ama. 

La foglia di fico è comunque mal tollerata dai signori che da sempre comandano su Roma e che magari gradirebbero tornare a fare qualche affaruccio in occasione del Giubileo. Così tanto per rinverdire  i vecchi tempi e  in ricordo dei vecchi amici Buzzi e  Carminati.  Parte quindi  il secondo e decisivo assalto al sindaco naif, il quale offre la propria testa su un piatto d’argento impelagandosi nella storia degli scontrini. 

Renzi tuona ad Orfini, il servizievole Presidente  Pd e partywasher delle zozzure democratiche  riformiste  romane: “O tu o lui”. Lui sta per Marino. La risposta è nota. Marino a casa. Arriverà un commissario, imposto dal dominus del consiglio, gradito ai poteri forti, Vaticano compreso, e tutto riprenderà meglio di prima dell'increscioso incidente  Marino. 

Questo fino all’aprile del 2016, quando in base al Testo Unico per gli enti locali si dovrebbero tenersi le elezioni. Ma  dopo tutto sto’  casino non  c’è il rischio di perdere Roma?  Potrebbe vincere Il M5S o i fascisti dei vari millenni . 

E chi l’ha detto che si voterà in primavera? Stanno  stracciando la Costituzione  colpi di minoranza, figuriamoci se non riescono  a modificare il TUEL, magari inserendo qualche articolo ad hoc sui poteri del presidente  del Consiglio legittimato a nominare il sindaco direttamente, qualora eventi particolari lo richiedessero?  I manipoli già bivaccano in Parlamento, che problema ci sarebbe ad introdurre  i Podestà di diretta nomina governativa nelle città?

giovedì 8 ottobre 2015

Agente infiltrato spara a bruciapelo alla gamba di un dimostrante

fonte: Nena News


Un video sugli scontri di ieri avvenuti alla periferia nord-est  di Ramallah mostra un agente israeliano infiltrato tra dimostranti che spara a bruciapelo alla gamba di un palestinese mentre altri agenti lo tengono giù.




Non sono una novità gli agenti israeliani camuffati da arabi, con il volto coperto, che innescano dimostrazioni allo scopo di arrestare gli attivisti palestinesi. Nel 2012 il  comandante di una unità sotto copertura confidò al quotidiano Haaretz che è pratica comune avere agenti in borghese infiltrati nelle dimostrazioni palestinesi e che lanciano pietre in direzione dei soldati, incoraggiando i giovani palestinesi a seguirne l’esempio, per poi arrestarli per lancio di pietre. Ecco il video pubblicato ieri sui social media sugli scontri alla periferia di Ramallah:   

mercoledì 7 ottobre 2015

LA PROTESTA DEI LAVORATORI AIR FRANCE: UN’ESPRESSIONE DELLA LOTTA DI CLASSE

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

Non sempre la passano liscia. Se il manager della Volkswagen, responsabile dello scandalo degli 11 milioni di auto truccate, è stato “silurato” con una liquidazione da 60 milioni di euro, altra sorte hanno rischiato i manager di Air France.
Alla notizia della conferma di 2900 licenziamenti, i lavoratori della compagnia di bandiera francese hanno preso d’assalto il quartier generale aziendale interrompendo la riunione del CdA e costringendo i manager a un’indecorosa fuga.
I commenti dei politicanti borghesi e dei principali media sono stati di due tipi: il primo, di condanna dell’aggressione: i straricchi rappresentanti della proprietà privata capitalistica non si devono toccare, queste contestazioni sono inaccettabili; il secondo, di pelosa comprensione delle ragioni dei lavoratori, che sarebbero degli “animali” esasperati che devono essere ricondotti al “dialogo responsabile” con le aziende.
In pochi hanno detto a chiare lettere che quanto accaduto è la risposta dei lavoratori alla brutale violenza padronale volta ad aumentare il saggio di profitto. Che le azioni come quella compiuta ai danni dei manager di Air France sono un’espressione della lotta di classe dei lavoratori contro l’attuazione della politica dell’oligarchia finanziaria. Azioni che si manifestano quando la misura è colma, di fronte ai “no”, alle chiusure, alle minacce, ai ricatti padronali.
Come comunisti, sappiamo che la borghesia utilizza tutti i mezzi della violenza e del terrore per difendere la proprietà capitalistica e il furto del plusvalore. La risposta di massa a questa violenza da parte degli sfruttati – che in Francia si è manifestata in alcuni periodi con i sequestri di padroni e manager - è legittima, da sostenere e sviluppare, in quanto gioca un ruolo positivo e rivoluzionario.
Fra i tanti commenti sulla vicenda ricordiamo quello di Landini. Dopo essersi dichiarato contrario all’aggressione dei manager, il segretario FIOM ha dichiarato che “sarebbe pronto ad occupare le fabbriche per difendere il lavoro”. Landini aveva già fatto dichiarazioni analoghe al momento della vertenza della Thyssen di Terni, parlando della politica reazionaria di Renzi su occupazione, salario e diritti dei lavoratori, concretata del Jobs Act. Ma i buoni propositi sono rimasti lettera morta.
Compagni, proletari avanzati, operai, non possiamo aspettare con le mani in mano che i capi sindacali, i socialdemocratici e i massimalisti realizzino i loro altisonanti proclami.
Sta agli operai, a partire da quelli avanzati e coscienti, che non devono sottostare “ai tempi e ai modi” dei dirigenti sindacali, dar vita alle forme di mobilitazione e di lotta più decise, quando la situazione lo richiede.
Trasformiamo le parole senza seguito in azione comune e organizzata dal basso dal proletariato: contro i licenziamenti, lo sfruttamento, la miseria, per il miglioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, realizziamo – sulle base delle reali possibilità -  lotte dure ed unitarie, compresa l’occupazione delle fabbriche.
Il periodo dello sviluppo “normale e pacifico” del conflitto di classe si sta per concludere. La classe operaia per poter affrontare e vincere il nuovo periodo di battaglie aperte che si avvicina deve tornare ad essere protagonista a tutti i livelli della lotta economica e politica. Deve riconquistare cioè la propria piena indipendenza distaccandosi nettamente e apertamente da tutte le correnti borghesi e piccolo-borghesi, opportuniste, revisioniste e riformiste.

Il Partito comunista è lo strumento e la forma storica della riscossa di classe, dove si riunisce e lotta la parte più avanzata e combattiva della classe operaia per abolire la società dello sfruttamento, dei licenziamenti, della diseguaglianza. Stringiamo legami più stretti, uniamoci e organizziamoci!

martedì 6 ottobre 2015

Immigrati: la risposta dell'Europa è il massacro alle frontiere

Conny Fasciana


Siamo di fronte alla più impressionante crisi umanitaria del dopoguerra.Essa, secondo noi non a caso, è concomitante con la peggiore crisi che il capitalismo attraversa dopo quella del '29.
Ecco qualche dato Ocse, in un rapporto presentato a Parigi: nel 2015 nell’Unione Europea si toccherà "un livello senza precedenti di richiedenti asilo e rifugiati" con un numero di procedure in crescita fino a un milione. Solo in Austria, per esempio, sono giunti migliaia di immigrati al giorno nella seconda metà di settembre. La maggior parte di questi ha come meta la Germania.
Unicef rende noto che nei primi sette mesi del 2015 già 133 mila bambini hanno chiesto asilo all’Ue, con un incremento di quasi l’80% rispetto al 2014. Bambini e adolescenti costituiscono un quarto di tutti i richiedenti asilo in Europa.
L’organizzazione delle Nazioni unite per l’Infanzia focalizza la sua attenzione sulla situazione in Croazia che, da quando l’Ungheria ha chiuso il confine con la Serbia, costituisce una strada alternativa per l’ingresso in Europa e dove si stima che, per esempio, in una sola settimana siano entrati in 10.000 tra donne e bambini. Nella Repubblica di Macedonia, dal giugno di quest’anno quasi 90.000 persone - di cui circa un terzo donne e bambini - sono state registrate presso il confine a Gevgelija. In Serbia, durante lo stesso periodo, circa 108.000 persone che attraversano il confine a Presevo sono state registrate. Ma si stima, sottolinea l’Unicef, che i dati reali potrebbero essere più alti del doppio, con un alto numero di persone transitate attraverso entrambi i paesi senza essere state registrate.
Nonostante l’emergere di nuovi itinerari nel Mediterraneo orientale, la "strada centrale", quella "che arriva in Italia" continua ad essere fortemente battuta da chi fugge verso l’Europa. Più in generale, l’Ocse sottolinea che "l’impatto si concentra in pochi Paesi", tra i quali "la Turchia che ospita attualmente 1,9 milioni di siriani e un importante numero di iracheni". E per molti governi, come l'Ungheria e in misura minore la Polonia e la Bulgaria, l’afflusso su larga scala di richiedenti asilo è un’esperienza del tutto nuova. Vecchia è la risposta: eserciti e filo spinato!
Le contromisure: normative, vertici europei, marchiature e caritatevole accoglienza
Il vergognoso spettacolo messo in scena dall'Europa in queste ultime settimane, nel quale gli attori sono migliaia di disperati che fuggono, ha due copioni: la Convenzione di Dublino e il Trattato di Schengen. Il Regolamento di applicazione di Schengen permette ai Paesi firmatari di rafforzare i controlli “per esigenze di ordine pubblico o sicurezza nazionale” e  richiede anche che chi varca la frontiera in qualità di “migrante economico” debba disporre, tra le altre cose, di mezzi di sostentamento prevedendo, quindi, che un paese firmatario possa respingere un individuo ritenuto non capace di potersi sostenere economicamente. I richiedenti asilo nel territorio europeo, invece, devono sottostare alla Convenzione di  Dublino. Questa, siglata nel 1990, rivista e corretta nel 2003 e poi nel 2013, nella sua versione in vigore dal 2014 prevede che la richiesta sia esaminata nel Paese di arrivo: visto che la maggioranza degli extracomunitari viaggia via mare nel Mediterraneo e approda sulle coste italiane, consente all'Europa di mandare le navi nel Mediterraneo, lavarsi la coscienza soccorrendo barconi e gommoni, e consegnarli nei porti italiani pretendendo che i richiedenti asilo debbano risiedere nel Paese Ue di ingresso.
La sospensione di Schengen è una prassi attuabile in occasione dei vertici internazionali, che consente ai firmatari del trattato di sospendere la libera circolazione e ripristinare controlli interni ai confini degli Stati firmatari. Ecco perché nessuno ha trovato discutibile che la Commissione europea abbia autorizzato Angela Merkel, in occasione del G7 in Germania, a sospendere Schengen e ripristinare i controlli alle frontiere per motivi di sicurezza legati allo svolgimento del summit internazionale a Garmish.
Morto “Mare nostrum” è nata “Triton”, operazione a cui partecipano 29 Paesi, finanziata dall’Unione europea con 2,9 milioni di euro al mese: circa due terzi in meno di quanti erano destinati a Mare Nostrum e che prevede il controllo delle acque internazionali solamente fino a 30 miglia dalle coste italiane: il suo scopo principale è il controllo della frontiera e non il soccorso.
Mai un accenno a quanto si stiano impegnando i governi tutti nell'incrementare la repressione e nel regolare i flussi di modo da approfittare di queste centinaia di migliaia di immigrati come manodopera a basso costo funzionale agli interessi del capitale, vera e propria  macchina da guerra contro i popoli.
Il 23 settembre 2015 i leader dell'UE si sono incontrati a Bruxelles al fine di decidere in merito a: “priorità concrete di applicazione immediata; discutere sulle modalità per rispondere alle sfide migratorie a lungo termine, nonché sulla protezione delle frontiere esterne dell'UE e l'assistenza esterna  ai rifugiati e ai paesi del nostro vicinato”.
I leader dell'Ue hanno convenuto su una serie di priorità: “assistere il Libano, la Giordania, la Turchia e altri Paesi nell'affrontare la crisi dei rifugiati siriani; mobilitare almeno 1 miliardo di finanziamenti aggiuntivi per l'Alto Commissariato per i rifugiati e il Programma alimentare mondiale; rafforzare la cooperazione e il dialogo con la Turchia a tutti i livelli; assistere i Paesi dei Balcani occidentali nella gestione dei flussi di rifugiati; aumentare i finanziamenti per combattere le cause profonde della migrazione irregolare [come si ostinano a definirle, impunemente, tacendo una volta di più sugli interessi del capitale! - ndr -] e degli sfollati in Africa; far fronte alla drammatica situazione alle frontiere esterne dell'UE e rafforzarne il controllo; assistere gli Stati membri in prima linea nell'istituzione di punti di crisi, per assicurare una corretta identificazione dei migranti e garantirne al tempo stesso la ricollocazione e il rientro”. I leader hanno anche sollecitato “rinnovati sforzi diplomatici per risolvere la crisi in Siria e garantire la formazione di un governo di unità nazionale in Libia”.
I leader europei discutono di “quote di immigrati” come fossero quote azionarie e del finanziamento della repressione alle frontiere. Lo fanno per imporre criteri più duri per concedere i permessi di residenza. Intendono riportare nei propri Paesi coloro che non hanno i “requisiti” necessari per rimanere. Utilizzano strumentalmente la “lotta contro il terrorismo” per rendere più difficile l'entrata dei rifugiati in Europa. Nell'Ungheria di Orban e in Repubblica ceca gli immigrati vengono marchiati come i prigionieri del regime nazista. Un contesto disumano che vede le organizzazioni di estrema destra approfittare per fomentare la guerra tra i poveri e il razzismo, avallate da un apparato mediatico che ha tutto l'interesse nell'utilizzare l'immigrato come capro espiatorio di una crisi economica e sociale sistemica. E' il caso di Salvini e della crescita della Lega nord in Italia, ma anche di Le Pen in Francia, Pegida in Germania, Alba dorata in Grecia.
E mentre i siriani lasciavano le stazioni ferroviarie ungheresi decidendo di percorrere a piedi i 240 chilometri che li separavano dal confine austriaco, la sinistra riformista di Tsipras manganellava quelli che raggiungevano le coste delle isole dell'Egeo.
Ma il papa, almeno lui, invita all'accoglienza: ben due (!) stanze in vaticano ospiteranno 2 famiglie di rifugiati!
Agenzie di viaggio e resort per rifugiati
Sono migliaia ogni giorno le donne, i bambini , gli uomini che fuggono dalle proprie terre d'origine per cercare una nuova terra sulla quale ricostruire la propria esistenza.
Sono in fuga, non in gita di piacere! Sono in fuga, da guerre e dittature conniventi con l'imperialismo e fuggono in condizioni che definire precarie sarebbe un eufemismo.
Ma ciò che è forse ancora peggio è che ad aspettare quelli che sopravvivono sono i muri, le barriere di filo spinato, le stazioni ferroviarie che non li fanno salire sui treni, anche se hanno regolari titoli di viaggio, le identificazioni, le impronte digitali, gli eserciti, la polizia, le pallottole di gomma, i manganelli, i gas lacrimogeni. E vengono stipati in  veri e propri campi di concentramento dove sono privati dei diritti basilari.
Quotidianamente i media ci bombardano di numeri e casi umani, il più delle volte veri e propri bollettini dell'orrore.
Sentiamo di vite che si spengono tragicamente dentro le stive dei barconi della morte, lì dove il biglietto della speranza costa la metà ed anche l'aria che si respira è la metà, o meno. Si muore uccisi dalle emissioni dei fumi del gasolio che alimenta i barconi, come topi in trappola, magari senza neppure rendersi conto che nel frattempo chi viaggia “in prima classe” viene gettato a mare dai mercanti della morte, gli scafisti, in vista delle coste d'approdo.
Oppure si viaggia come merci, dentro container navali o su quattro ruote. A volte, se si è fortunati, si può acquistare un biglietto dentro un cofano o arrotolati dentro la ruota di un tir!
Si viaggia anche a piedi, per “godersi” meglio il panorama della repressione alle frontiere, delle notti sotto le stelle di Paesi ostili, il tramonto sugli scogli di Ventimiglia o quell'alba sulla costa turca che non sorgerà mai più per bimbi come Aylan.
Ed è proprio dalla Siria che proviene un gran numero di immigrati, in fuga dai bombardamenti della dittatura di Assad, dall'avanzata militare dello Stato islamico e dalle potenze imperialiste che bombardano la regione, tutti nemici delle masse popolari.
La stampa borghese si premura di mostrare immagini di soccorsi e salvataggi, ci mostra bambini appena nati teneramente avvolti nel caldo abbraccio della “salvezza”, ci mostra lo spirito umanitario e l'abnegazione dei volontari e dei soccorritori. Edulcora ad arte ogni accenno ai mezzi di controllo e di repressione, difficilmente ci mostra l'orrore delle repressioni di massa.
Mai ci parla della violenza del capitalismo e delle sue responsabilità in tutto questo.

La Rivoluzione è la sola soluzione
Il desolante quadro sopra evidenziato ci porta ad una sola auspicabile conclusione: è necessario ribellarsi al sistema capitalista, unico responsabile della povertà e delle guerre da cui si fugge in cerca di libertà e dignità.
Eni,Telecom, Anas, Impregilo, Finmeccanica, Alitalia, Edison, Grimaldi, Visa,  Unicredit. Tanto per citarne alcune. Le multinazionali, i loro signori, i grandi interessi del capitale e dei mercanti della guerra, spacciatori legalizzati di morte, si concentrano in quei territori devastati dalla fame, dalla povertà, dalla guerra, dalle malattie, dalla sopraffazione. E mentre le frontiere della speranza si trasformano in prigioni, i trattati diventano arene di scontri politici che alla base hanno solamente interessi economici e nazionalisti, i signori del mondo ipotizzano  forse il più abominevole dei disegni del capitale per salvare se stesso:  costruire centri profughi nelle stesse terre da cui si fugge per rendere l'uomo profugo sulla sua stessa terra.
Lottare, questa è l'unica strada!
Ribellarsi è il punto di partenza. Sfondare le barriere del capitale con ogni mezzo, sostenere e fomentare ogni focolaio di lotta, pretendere con la forza di essere cittadini di un mondo senza barriere economiche, etniche o culturali. Respingere gli interventi “umanitari” e dare vita alla costruzione di realtà rivoluzionarie in ogni parte del mondo.
Aprire le frontiere e abbattere le differenze attraverso la costruzione della Quarta Internazionale, rompere e abbattere il sistema. La costruzione dell'organizzazione rivoluzionaria internazionale già iniziata in tanti Paesi del mondo, è da poco una realtà anche in Africa ed in Asia.
La Rivoluzione è la sola soluzione.

lunedì 5 ottobre 2015

Potere al Popolo.

Luciano Granieri

  

 Il profitto nella sua declinazione politico-esecutiva non ammette  partecipazione democratica. Questa è una regola che dobbiamo tenere bene in mente se volgiamo tentare di capire come evolve  vita sociale e politica del Paese e del territorio. In tale ottica si spiega lo smantellamento dell’architettura istituzionale, e la rimodulazione  del  rapporto fra il Parlamento e  l’Esecutivo.

La partecipazione dei cittadini è bandita,  si deve attuare un programma per cui anche gli organi intermedi fra popolo  e potere vengano  depotenziati se non eliminati. L’attacco al Senato elettivo e la destrutturazione dei suoi poteri è uno degli esempi. Il  rituale  elettorale è comunque importante e rimanere presente  , ma cambia di significato. Non più la scelta dei propri rappresentanti, ma la ratifica popolare di decisioni operate da altri e, soprattutto, la legittimazione di un Capo.  Non è il cittadino a scegliere chi lo rappresenta, ma il suddito che acclama  il proprio Duce . E, grazie a questa legittimazione,   il Duce  può mettere in atto i precisi dettami di lobby e potentati finanziari, le entità che lo hanno realmente scelto, senza essere disturbato da inutili mediazioni e trattative con i poveracci. 

E’ un’operazione difficile che implica  un consenso popolare ampio e consolidato. Ecco perché sono molto più funzionali a tale progetto i partiti riformisti. Movimenti che storicamente sono nati per difendere il popolo e in nome del popolo assecondano i peggiori misfatti antipopolari che il mercato comanda. Una tale ipocrisia non esiste nei partiti liberali, i quali mostrano chiaramente la loro natura di classe, nettamente  schierata contro qualsiasi principio socialista. Ciò  è un male  per gli interessi del profitto perché  un  programma liberista promosso da tali  soggetti, crea consenso, solo presso i propri accoliti, suscita invece il risentimento e il disordine sociale da parte delle classi subalterne .  

Un esempio? Quando l’abolizione dell’art.18 fu tentata dal governo Berlusconi, milioni di persone scesero in piazza scongiurando la minaccia. Oggi che il misfatto, tanto auspicato dalle grandi  imprese, è stato portato a termine dal governo Renzi, con  l’ipocrisia e la menzogna  di creare  nuovi posti di lavoro, nessuno è sceso in piazza.  Anche i media e la stampa, che all’epoca di Berlusconi gridarono allo scippo dei diritti, hanno esaltato un’operazione che prima avevano bollato come anticostituzionale. 

La natura di questi provvedimenti, falsamente presi in favore del popolo, si vede anche a livello locale. L’abolizione delle Province, i cui obbiettivi dichiarati  erano finalizzati ad una riduzione dei costi, ha maturato un certo consenso, ma di fatto si è concretizzata nella trasformazione di un’istituzione mutata solo nel modo di essere eletta. Non più dai cittadini, ma dai sindaci. Nella Provincia di Frosinone è avvenuto che le cariche provinciali  siano  state oggetto di squallide trattative fra le poltrone di P.zza Gramsci e la guida degli organi intermedi (vedi Saf e Asi). E’ andato in scena un indecoroso  gioco delle parti.  E, dopo finte diatribe fra maggioranza e opposizione, oggi si sono riuniti tutti in una melmosa  plebiscitaria maggioranza. Il Pd  ufficiale (quello di De Angelis), il  Pd farlocco, poi ridiventato ufficiale (quello vittorioso di Scalia,) Forza Italia, Nuovo Centro destra, tutti insieme appassionatamente a perorare gli interessi vessatori della multinazionale Acea contro i  diritti dei  cittadini. 

Così come fallace è stato  l’accordo di programma messo a punto dalla regione Lazio e dal Ministero della Attività Produttive per far ripartire lo sviluppo nella nostra Provincia. Erano previsti 40 milioni di euro, per  finanziare progetti presentati da imprese del territorio. Per accedere a tali finanziamenti però, le aziende interessate  avrebbero dovuto compartecipare con un contributo minimo compreso fra i 7 e i 10 milioni.  A me sembrano chiare le finalità vere  di questa norma, pubblicizzata come toccasana per dare fiato alle  piccole attività produttive, in maggioranza  nel territorio, ma in realtà destinata solo a quelle tre o quattro grandi aziende, le sole  in grado di assicurare una compartecipazione così cospicua. 

E ancora il recente piano di ricollocazione per i disoccupati di lunga durata presenti  nel  nostro territorio .  La Regione investe la miseria di 4milioni e settecentomila euro per finanziare la ricollocazione di persone che hanno perso il lavoro. Una norma di elevata valenza sociale,  peccato  che i lavoratori saranno selezionati in base all’esclusiva necessità delle aziende, senza contare i reali  bisogni e carichi sociali  dei disoccupati che vi accederanno.  Inoltre il  programma sarà gestito delle agenzie private di collocamento cui saranno destinati la  maggior parte degli investimenti. Un  provvedimento  nato e contrabbandato come efficace  contrasto alla disoccupazione si trasforma nella solita regalia alle agenzie private. 

Di esempi ne potremo fare  molti altri, sulla sanità, sulla Valle del Sacco. Tutti questi provvedimenti vengono  dal Pd, partito riformista per eccellenza, maestro nel perorare gli interessi del capitale spacciandolo per interesse della collettività .  E’ dunque chi si professa amico del popolo il primo nemico da combattere?  Sicuramente, e le ragioni vanno ricercate nel fatto che i riformisti moderni, si presentano come mediatori  fra gli  interessi popolari e quelli del capitale finanziario. Una menzogna tutta borghese. 

La Grecia ha dimostrato che con il Capitale non si può trattare.  Allo stesso modo i continui tentativi di riformare la Costituzione Italiana, documento tutt’altro che bolscevico, ma di mediazioni fra i diritti dei cittadini e quelli dell’impresa, iniziati, non 70 anni fa come dice Renzi nella sua profonda ignoranza(la Carta è entrata in vigore nel ’48) ma sicuramente il giorno dopo la sua promulgazione, sono la dimostrazione storica di  come il potere del Capitale non tolleri  la men che minima concessione. Tant’è vero che molti articoli della Costituzione,  in attesa di essere riformati, non hanno mai trovato applicazione, soprattutto i  capitoli relativi ai diritti civili e  quelli economici. Qual è dunque la soluzione? Il popolo può difendere i propri diritti solo andando al potere. Una volta la chiamavano dittatura del proletariato. Oggi potrà definirsi in altro modo ma la sostanza non cambia. 

domenica 4 ottobre 2015

Accademici USA a Obama: Ponga fine al supporto all’apartheid israeliano contro accademici palestinesi

Radhika Balakrishnan, Karma R. Chávez, Dworkin Ira, Erica Caple James, J. Kehaulani Kauanui, Doug Kiel, Barbara Lewis e Soraya Mekerta
Il presidente Usa Barack Obama, in una recente intervista con Jeffrey Goldberg a The Atlantic, ha ribadito il suo sostegno e l’amore per Israele, perché, come egli sostiene, “è una vera democrazia dove puoi esprimere le tue opinioni.”
Egli ha inoltre espresso il suo impegno a proteggere Israele come “stato ebraico”, garantendo una “maggioranza ebraica”.
Il sostegno del governo degli Stati Uniti per lo “stato ebraico” è sempre stato molto più che retorico, sostenuto da miliardi di dollari di finanziamenti militari e con veti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a favore di Israele.
Noi siamo un gruppo di accademici statunitensi, che rappresentano diverse origini etniche, razziali e culturali, così come una vasta gamma di origini nazionali, che di recente ha visitato la Palestina. Siamo stati in grado di vedere in prima persona  ciò che Obama ha descritto nell’intervista come “democrazia ebraica” di Israele e quali tipi di infrastrutture le nostre tasse contribuiscono a sostenere – muri, posti di blocco  e armi moderne.
Abbiamo avuto il privilegio di viaggiare attraverso parte dei territori palestinesi occupati – Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est – dove ci siamo incontrati con i palestinesi.
Doppi standard
Ci sentiamo in dovere di condividere alcuni esempi di quello che abbiamo visto durante la nostra visita con studiosi palestinesi, responsabili politici, attivisti, artisti e altri che lavorano in Cisgiordania. Abbiamo osservato numerosi doppi standard per quanto riguarda i diritti dei palestinesi, che ci spingono a mettere in discussione l’affermazione che Israele è una vera democrazia.
Noi crediamo che le affermazioni del nostro governo che descrivono Israele come una democrazia, oscura le condizioni da essa imposte al popolo palestinese attraverso l’occupazione e con  altre condizioni che si sommano all’apartheid sotto il colonialismo.
Le nostre preoccupazioni sono iniziate ancor prima del nostro arrivo,  una ricerca sul sito web del Dipartimento di Stato per le informazioni sul viaggio in Israele ha dato risultati che fanno riflettere.
Il governo degli Stati Uniti mette in guardia i viaggiatori a fare il back up del proprio computer perché i funzionari di controllo alla frontiera israeliana possono cancellare quello che vogliono. Questo infatti è successo a uno di noi dopo aver lasciato Tel Aviv per tornare negli Stati Uniti.
Il sito mette anche in guardia i viaggiatori che possono essere controllate le loro e-mail o gli  account personali dei social network, e così i viaggiatori “non dovrebbero avere alcuna aspettativa di privacy per tutti i dati memorizzati su tali dispositivi o nei loro account”. Le  attrezzature possono anche essere confiscate.
Il Dipartimento di Stato inoltre riconosce che i cittadini americani che sono musulmani e/o di origine araba palestinese o altro possono avere una notevole difficoltà a entrare o uscire attraverso le frontiere controllate da Israele. E anche questo è successo a uno di noi che ha ricevuto una chiamata telefonica appena arrivato a Tel Aviv.
Trattamenti
Poche preoccupazioni in entrata e in uscita  rispetto alle restrizioni imposte ai cittadini americani di origine palestinese, insieme a tutti gli altri palestinesi in possesso di documenti d’identità della Cisgiordania e di Gaza.
Prima di partire, la maggior parte di noi non erano a conoscenza che per i palestinesi sotto occupazione, ci sono diversi tipi di identificazione e trattamenti con particolari restrizioni alla mobilità.
I palestinesi di Gerusalemme hanno carte d’identità  in un libretto blu, mentre quelli che vivono nel resto della Cisgiordania occupata sono in possesso di una carta d’identità in un libretto verde, rilasciato a loro dall’Autorità Palestinese con il permesso del governo israeliano.
Le persone anche se in possesso di un documento d’identità in genere non possono entrare a Gerusalemme o odierna Israele senza previa autorizzazione, anche per un colloquio per il visto per partecipare a una riunione accademica negli Stati Uniti. Molte persone che abbiamo incontrato hanno potuto  visitare, una volta nella vita, solo Gerusalemme, sede di molti luoghi sacri,  pur essendo a pochi minuti di auto.
Nel resto della Cisgiordania, un cittadino statunitense di origine palestinese che vuole vivere lì a lungo termine deve ottenere un visto che specifica la residenza soltanto nella West Bank. Essi non sono autorizzati a viaggiare dentro e fuori della Cisgiordania e sono soggetti agli stessi posti di blocco, come altri palestinesi. Essi non possono lasciare i territori occupati come  cittadini degli Stati Uniti, come il Dipartimento di Stato mette in guardia sul suo sito web.
Un palestinese nella West Bank che ha la cittadinanza americana non può semplicemente prendere un aereo da Tel Aviv come qualsiasi altro cittadino degli Stati Uniti, semplicemente perché lui o lei è palestinese e detiene una carta d’identità palestinese. Questo fatto è impresso sul passaporto degli Stati Uniti.
Essi non sono autorizzati a passare nei posti di blocco in Gerusalemme o altri posti di controllo, come altre persone possono fare con un passaporto. Questa restrizione non è affatto applicato ai coloni ebrei che stanno crescendo di numero – migliaia di loro sono cittadini statunitensi che scelgono di vivere nella Cisgiordania occupata all’interno di insediamenti illegali finanziati in parte da organizzazioni esentasse statunitensi.
La libertà accademica
Come studiosi, tra le tante cose inquietanti alle quali abbiamo assistito è stata la libertà accademica limitata e la libertà di espressione imposto ai palestinesi (e molti israeliani, il cui viaggio nella West Bank è limitato) da parte del governo israeliano.
Abbiamo scoperto che c’è un divieto sulla maggior parte dei libri pubblicati in Siria, Iran e Libano, anche se Beirut è un hub centrale di pubblicazione di materiali letterari arabi della regione. Indipendentemente da ciò, vietare i libri è, a nostro avviso, un atto profondamente antidemocratico.
Il muro israeliano che circonda la Cisgiordania inclusa Gerusalemme – e che si snoda in profondità la Cisgiordania in molte delle citta – funziona anche per limitare la libertà accademica.
Uno degli esempi più crudi è a Betlemme, dove il muro taglia la città, rendendo l’accesso all’istruzione presso l’Università di Betlemme molto difficile per chi capita di essere, per alterne vicende, dalla parte sbagliata  del muro.
Inoltre, il campus di Abu Dis di Al-Quds University è completamente circondata dal muro, rendendo il viaggio da e per il campus incredibilmente arduo nonostante sia nella stessa Gerusalemme.
Un collega accademico ci ha descritto le difficoltà che sperimenta al campus in una giornata tipica. Si deve passare attraverso posti di blocco e sopportare le perquisizioni e una miriade di forme di molestie da parte dei soldati israeliani.
In Cisgiordania, siamo rimasti scioccati nello scoprire strade separate per Palestinesi e Israeliani in base al colore della propria targa automobilistica e di identità.
In teoria, esistono queste strade per la protezione dei coloni israeliani che vivono negli insediamenti costruiti in Cisgiordania illegalmente secondo il diritto internazionale. In pratica, queste strade creano un sistema di di apartheid  in cui i palestinesi viaggiando incontrano diversi posti di blocco nello stesso giorno, alcuni dei quali possono essere mobili,  e imprevedibilmente presenti come “posti di blocco volanti”.
Come una nostra collega ci ha spiegato, quello che prima era un viaggio molto breve tra il suo villaggio e l’università ora richiede spesso più di un’ora e mezza e ci si aspetta di attraversare almeno tre posti di blocco. Lei è spesso in ritardo per le lezioni  e alcuni giorni deve mandare tutti  a casa perché non in grado di fare il suo lavoro.
I suoi studenti sono spesso arrestati e incarcerati con la copertura legale della detenzione amministrativa – detenzione senza accusa né processo a tempo indefinito – per la loro partecipazione a qualsiasi attività politica, o semplicemente per essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Abbiamo sentito che questa procedura si intensifica durante le sessioni d’esame.
Ciò crea un ambiente accademico straordinariamente stressante in quanto i soldati israeliani possono detenere studenti e docenti che semplicemente si recano all’università.
Impunità
Noi riconosciamo il desiderio di ogni popolo ad essere sicuro – e i sostenitori di Israele che difendono le proprie politiche e azioni in nome della sua sicurezza nazionale. Quello che abbiamo visto durante la nostra visita è che la “sicurezza” si presta  come  base razionale per quasi altro  comportamento politico.
Quello che abbiamo visto è stata una lenta espansione, ma deliberata dell’occupazione israeliana, l’aumento degli insediamenti, la confisca dei terreni agricoli e la diffusione di insediamenti industriali in Cisgiordania comprese  parti sostanziali di Gerusalemme Est – tutto in nome della “sicurezza”.
Gli Stati Uniti, come stato coloniale e le sue occupazioni, la violenza della polizia, l’ingiustizia carceraria, di fatto, l’apartheid e il proprio marchio di brutalità sui confini – ha certamente le sue debolezze come  democrazia, carenze che continuiamo ad affrontare nel nostro lavoro intellettuale e politico.
Non rivendichiamo quindi alcuna superiorità morale. Ma un etnocrazia non è una democrazia; lo Stato di Israele impone dominazione violenta sul popolo palestinese attraverso ilcolonialismo, l’occupazione e l’apartheid – tre poli di oppressione brutale che sono l’antitesi della democrazia.
Come accademici, osservando i tentativi di soffocare le critiche ad Israele – come nel caso del nostro collega, il professor Steven Salaita – e visitando la Cisgiordania, ci ha spinto a parlare pubblicamente delle ingiustizie di Israele. E’ imperativo parlarne in questo modo.
Noi imploriamo il Presidente Obama a riconsiderare la sua retorica e la sua politica – e il bilancio degli stanziamenti – che sostengono l’impunità di Israele.
Radhika Balakrishnan is professor of Women’s and Gender Studies at Rutgers University.
Karma R. Chávez is associate professor of Communication Arts at the University of Wisconsin, Madison.
Ira Dworkin is assistant professor of English at Texas A&M University.
Erica Caple James is associate professor of Anthropology at Massachusetts Institute of Technology.
J. Kēhaulani Kauanui is associate professor of American Studies and Anthropology at Wesleyan University.
Doug Kiel is assistant professor of American Studies at Williams College.
Barbara Lewis is associate professor of English at the University of Massachusetts, Boston.
Soraya Mekerta is director of the African Diaspora and the World Program, and associate professor of French and Francophone Studies at Spelman College.