Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 30 settembre 2017

Inceneritori Colleferro: Regione Lazio e Comune di Roma, alle parole di riconversione seguano gli atti!

Assemblea permanente rifiutiamoli




Dopo le dichiarazioni e gli incontri istituzionali sulla questione di Lazio Ambiente e del revamping degli inceneritori i gruppi di lavoro dell'Assemblea Permanente di #Rifiutiamoli hanno stabilito quali saranno le azioni che verranno messe in campo per intensificare la mobilitazione iniziata lo scorso luglio.

Ad oggi i soggetti istituzionali coinvolti hanno dichiarato di voler cambiare rotta rispetto a questo sistema di smaltimento dei rifiuti. Ma alle parole non sono seguiti e non sono all'orizzonte atti concreti. Difficile realizzare una cambio di rotta dopo aver avviato diversi bandi di gara per la ristrutturazione degli inceneritori di Colleferro.

Nell’incontro del 21 settembre scorso tra le parti in causa (regione Lazio, amministrazione capitolina, Lazio Ambiente, Comune di Colleferro, sindacati ed AMA), AMA ha dichiarato la necessità di proseguire con il revamping per non subire interventi penalizzanti da parte della Corte dei Conti. Nel frattempo la direzione di Lazio Ambiente non ha ricevuto dal suo unico azionista, la regione Lazio,  alcuna indicazione in merito all’interruzione dei lavori di ristrutturazione. Nell’audizione alla Commissione Ambiente della regione di mercoledì 27 settembre l’amministratore delegato di Lazio Ambiente, Gregorio Narda, ha dichiarato che da gennaio 2018 la sua società eserciterà la sola attività di gestione degli inceneritori, che quindi, per quanto lo riguarda, dovranno riavviarsi ad inizio anno.

L’ipotesi di realizzare una cosiddetta ‘fabbrica di materiali’, ossia un impianto dotato delle tecnologie adatte a recuperare dall’indifferenziato materiali riutilizzabili, pare condivisa da comune di Roma e regione Lazio, ma è solo un’ipotesi, che richiede di trasformarsi in un progetto fattibile.

Un tale impianto, peraltro, non si giustifica come intervento isolato, ma, come ha detto persino l’assessore all’Ambiente alla regione Lazio Mauro Buschini, solo rifacendo ex novo il piano rifiuti regionale, che si muove nella prospettiva di eliminare inceneritori e discariche

Possiamo immaginare quale scontro è destinato ad aprirsi con gli interessi coalizzati di chi ha prosperato per anni su inceneritori e discariche, interessi fortemente rappresentati nei partiti e nelle amministrazioni.

L’amministrazione regionale, a pochi mesi dalla fine del suo mandato e con le elezioni del consiglio regionale alle porte, deve indicare concretamente quale nuova strategia di gestione del ciclo dei rifiuti vuole inaugurare. Dal canto suo, la giunta capitolina, a distanza di 15 mesi dal suo insediamento, solo ad aprile 2017  ha prodotto il Piano per la riduzione e la gestione dei materiali post consumo di Roma Capitale 2017-2021 (PMPC), un documento all’insegna dell’economia circolare che ridefinisce di tutta l’impiantistica esistente nella città di Roma e la progettazione di una nuova filiera di smaltimento dei rifiuti. Nel frattempo, però, sono stati stretti accordi per continuare ad esportare i rifiuti in impianti della regione, dagli inceneritori di San Vittore a siti fuori regione o all’estero, ed è stato siglato un accordo transitorio con Cerroni per l’utilizzo dei cosiddetti TMB.

Da parte sua l’amministrazione di Colleferro, assieme ad una decina di altri comuni del circondario, ha deliberato la costituzione di un consorzio che avvierà la gestione dei servizi di raccolta e spazzamento, con l'intenzione di dotarsi di una propria rete di impianti, come dichiarato dal sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna. Un’operazione fatta partire con notevole ritardo rispetto all’inizio della crisi di Lazio Ambiente, alla ricerca, in tempi brevi, di attività e risorse necessarie a garantire la sua sostenibilità economica e finanziaria.

Insomma, siamo ancora nel pieno delle soluzioni di emergenza o, nella migliore delle ipotesi, all’inizio di una fase di transizione di cui si è ben lontani dal definire l’evoluzione concreta.

Dopo la manifestazione di sabato 8 luglio, che ha portato in piazza più di 6.000 persone, i cittadini di Colleferro si sono dati un’organizzazione stabile nella forma dell’Assemblea Permanente, per condurre una lotta che dovrà impedire il riavvio degli inceneritori per altri vent’anni e per imporre quel cambio radicale di strategia che in tanti annunciano, ma che fatica ad  emergere in una situazione in cui il passato minaccia di divorare il futuro. In queste settimane di mobilitazione ci siamo riconosciuti con tutti coloro che conducono mobilitazioni sugli stessi obiettivi, ognuno opponendosi ai mostri che popolano o vogliono invadere il proprio territorio. Sono legami che sapremo approfondire costruendo una piattaforma condivisa.

I cittadini di Colleferro e della Valle del Sacco continueranno ad alzare la voce e useranno tutti gli strumenti utili per farsi ascoltare. Li invitiamo a partecipare alle riunioni dell'assemblea permanente, perché mai come in questo momento abbiamo bisogno del contributo di tutti.

La lotta non si arresta. Rifiutiamoli!



Il "referendum concordato" di Unidos Podemos: una soluzione o un tranello?

Angel Luis Parras
(Corriente Roja, sezione della Lit nello Stato spagnolo)
 

Nella misura i cui  si avvicina il 1 ottobre sembra acquisire forza una proposta, apparentemente "ragionevole", quella più in sintonia con il "senso comune": "recuperare il dialogo" e accordarsi su un "referendum concordato, con garanzie". Per fare ciò il governo della Generalitat catalana dovrebbe, come prima cosa, annullare la convocazione del referendum del 1 ottobre.
Questa è la proposta lanciata dalla direzione di Unidos Podemos, sottoscritta anche dal Pnv [Partito nazionalista basco, ndt] e il PdCat [Partido Democratico Catalano] e messa in scena nella "Assemblea degli eletti per la libertà, la fraternità e la convivenza" che si è tenuta il 24 scorso a Saragozza.
In altre parole, si mettano attorno a un tavolo il governo regionale catalano, Rajoy [premier spagnolo, ndt] e tutti i partiti parlamentari e si ponga una data per un "referendum con garanzie". E se questo richiede modificare la Costituzione? Che la si modifichi! E se questo può richiedere un paio d'anni? Che si aspetti!
E allora sorge inevitabile una domanda: è così facile? è tutto così ragionevole? Come è possibile che nessuno ci abbia pensato prima? Come possiamo essere arrivati a questo scontro tra la ragione e il delirio, quando la soluzione era così semplice?
Ma la domanda è ancora più semplice: c'è qualche possibilità, in qualsivoglia data, che i catalani possano fare un referendum e decidere liberamente se vogliono separarsi o no? Perché è questa la vera domanda! La ripetiamo: in una qualsiasi data, facendo le modifiche legislative necessarie, è possibile che i catalani possano fare un referendum nel quale si decida se vogliono restare nello Stato spagnolo oppure no?
Secoli di storia e un regime erede del franchismo offrono già la risposta: non è possibile con questo regime garantire un simile referendum .Ogni volta che la Catalogna ha cercato di guadagnare la propria indipendenza la storia si è conclusa con il presidente e il governo catalani di turno incarcerati e o ripiegare su uno "Statuto" [dell'autonomia, ndt] o con la garrota brutale della dittatura franchista.
Se in qualcosa si è sempre distinta la borghesia catalana è nella sua mancanza di coraggio e nel suo pietire "dialogo e negoziato". E Rajoy mani-di-forbice ha risposto con il Tribunale costituzionale, con la sforbiciata allo Statuto, con processi, arresti e multe milionarie a dirigenti catalani, e ora con l'intervento e lo sbarco, per terra, mare e aria della Guardia civil e della polizia inviati alla "riconquista".
Si può fare un referendum concordato con il Partito popolare, C's [Ciudadanos de Catalunya, ndt], Psoe che sono stati disponibili solo a cambiare la Costituzione (articolo 135) per garantire il pagamento del debito dei banchieri? Quale parte della frase "la Spagna è una e indivisibile" non si è compresa da parte di chi avanza questa così ragionevole proposta?
Ovviamente sarebbe "semplice" e "ragionevole" porsi d'accordo e fissare una data del referendum con garanzie di voto e del rispetto della decisione che ne esca. Ma al di sopra della ragione astratta, dell'imperativo categorico, del "dovrebbe essere", c'è la cruda realtà, le contraddizioni sociali, di classe e nazionali. E succede che coloro che si impadronirono del potere statale, col sangue e col fuoco, circa 80 anni fa, continuano a detenerlo e la loro "ragione" non è retta da nessun imperativo categorico. La passione di costoro per la "democrazia" è limitata alla loro devozione per preservare i loro privilegi e gli interessi di classe che rappresentano e proteggono.
I borghesi lasciano agli ideologi della piccola borghesia, ai professori universitari e ai messia della "nuova politica", il meschino compito della difesa mistica della democrazia ideale che, a forza di negare l'esistenza delle classi sociali, esiste solo nella loro testa.
Il regime monarchico spagnolo, erede del franchismo, che ora qualcuno chiama "il regime del '78", non ha mai tollerato e non tollererà in maniera pacifica nessun referendum di autodeterminazione. Non c'è modifica costituzionale che possa mettere in discussione il pilastro della "unità della Spagna".
Non c'è "riforma costituzionale" né referendum che valga, perché questo terminerebbe con accendere le speranze di altri popoli a seguire la medesima strada dei catalani o, sulla strada dei referendum, potrebbe esserci qualcuno a chiederne uno per decidere tra monarchia e repubblica. Fino a questo si potrebbe arrivare!
Sono trascorsi circa 80 anni dalla conclusione della guerra civile e tuttavia non c'è modo che il parlamento ancora abbia condannato il golpe militare franchista; non c'è modo che le famiglie possano riavere i cadaveri dei loro cari fucilati nelle fosse comuni; non c'è modo di volere il cambiamento del nome di una strada dedicata a un franchista, se non con la mobilitazione e, anche così, sono centinaia i paesi che nemmeno rispettano la già pur debolissima legge sulla "memoria storica".
Basta sedersi davanti alla televisione per vedere fascisti, con uniforme o senza, che accerchiano l'assemblea a Saragozza degli "eletti ragionevoli". Basta vedere nei quartieri la polizia e la Guardia civil che salutano come eroi i loro commilitoni che vanno a "salvare la Spagna", alla riconquista contro gli infedeli catalani.
E con questa gente si vorrebbe fare un accordo?
La Catalogna ha tutto il diritto di decidere, e ciò che la lotta dei giovani e delle masse popolari catalane dimostra è che per poter esercitare questo diritto non valgono i gesti, i sorrisi. Non serve, come fa il partito di Puigdemont [presidente della Generalitat di Catalogna, ndt] affermare che ci sarà il referendum "senza se e senza ma", mentre contemporaneamente firma a Saragozza il manifesto per un "referendum concordato". Non serve a niente proclamare "andremo fino in fondo" e subito dopo affermare, come fa sempre Puigdemont: "L'indipendenza unilaterale non è nel nostro programma".
La battaglia per il referendum del 1 ottobre dimostra che o la Catalogna dichiara la sua repubblica in forma unilaterale o non potrà fare nessun referendum con garanzie.
E non ci sarà repubblica catalana se i lavoratori e le masse popolari non la impongono nelle piazze, con la mobilitazione permanente, con lo sciopero generale e l'autodifesa. Lo sciopero generale che in questi giorni si sta preparando significa l'entrata in scena della classe lavoratrice come classe, una cosa che è imprescindibile perché la classe possa intervenire come forza indipendente, rimettendo le cose al loro posto, legando la difesa del referendum e la proclamazione della repubblica catalana alle proprie rivendicazioni: come la cancellazione della controriforma del lavoro e di quella della scuola, la difesa di un sistema pensionistico pubblico.
Che questo sia difficile, non c'è dubbio, però non è impossibile mentre l'attesa di un "referendum concordato" non è altro che l'ennesimo intento di fermare l'attuale mobilitazione di massa per imbrigliarla e legarla al carro delle istituzioni di un regime che nega il diritto a decidere; significa cercare di rinchiudere questa potente mobilitazione nel recinto di elezioni rette da una legge antidemocratica.
Non è inutile ricordare che questa proposta di referendum concordato - e che dunque si sospenda il referendum indetto per il 1 ottobre - proviene da quegli stessi [come Podemos, ndt] che hanno smantellato il movimento degli indignados, svuotando le piazze, liquidando la mobilitazione e il processo di auto-organizzazione, che hanno lavorato per ricondurre tutte le aspettative di un reale cambiamento alle aule di parlamenti addomesticati.

venerdì 29 settembre 2017

E' la legge elettorale il problema o l'inadeguatezza della classe politica?

Luciano Granieri


Il due ottobre prossimo, in rappresentanza del comitato referendario di Frosinone per il no alla riforma costituzionale, parteciperò al convegno convocato  dal coordinamento per la democrazia costituzionale sulla legge elettorale. L’incontro  è stato organizzato per chiedere con forza l’approvazione di una legge elettorale nuova, coerente per Camera e Senato, che chiuda la sciagurata fase maggioritaria - responsabile di un’antidemocratica distorsione della traduzione in seggi dei voti dei cittadini - e inauguri una  fase proporzionale, dove la formazione del Parlamento sia il fedele specchio della distribuzione dei voti ottenuti dai partiti. Naturalmente si chiede anche  un dispositivo  in cui l’elettore possa indicare il proprio rappresentante senza che le liste siano bloccate composte  dai nominati dalle segreterie dei partiti. 

Un evento quanto mai utile  quello di Roma, che si terrà presso l’aula dei gruppi parlamentari, non solo per gli interventi  di personalità di spicco (costituzionalisti e giuristi che hanno animato la campagna referendaria),  ma per ribadire con più forza   il principio costituzionale  secondo cui le elezioni servono a scegliere i rappresentati del popolo e non a legittimare un sistema di potere. Il mantra del sapere chi ha vinto già la sera stessa degli scrutini  è una bestialità enorme a livello costituzionale. 

Il problema però, a mio giudizio, consiste nel fatto che la dicotomia rappresentanza/governabilità è ampiamente superata. Dall’indegna gazzarra che questo Parlamento  sta montando sulla possibilità di licenziare una nuova legge elettorale, si capisce chiaramente  che la questione non verte sull’obiettivo di assicurare un dispositivo funzionale per il Paese, ma punta a tutelare gli interessi dei vari comitati elettorali in lizza. Oltre ad anestetizzare il più possibile l’espressione degli elettori, in modo che questa non vada ad intaccare le decisioni prese dalle segreterie dei partiti. 

In poche parole non si tratta di risolvere la diatriba fra governabilità e rappresentanza, ma di cercare il sistema più consono ad ottenere che il voto non disturbi le decisioni del manovratore e che sia strutturato in modo da favorire il proprio schieramento. Le liste bloccate erano la caratteristica comune alla proposta, simile alla legge tedesca, bocciata in giugno, e al Rosatellum 2 che andrà incontro ad una stroncatura certa il 10 ottobre prossimo. Inoltre entrambi i sistemi penalizzano alcuni schieramento e ne favoriscono altri, per cui è praticamente impossibile che vedano la luce. 

Alla fine, evidentemente, non se ne farà nulla e si andrà alle prossime elezioni con le norme  disegnate dalla Corte Costituzionale: l’Italicum depurato da premio di maggioranza alla Camera ed il Porcellum, anch’esso rimodulato dalla Consulta, al Senato, con la concreta possibilità di avere maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. In buona sostanza   questo Parlamento illegittimo,  in base al pronunciamento della Corte Costituzionale, non è riuscito a licenziare l’unica legge che avrebbe dovuto produrre .   Neanche il minimo sindacale di estendere l’Italicum  al Senato, per uniformare la legge ad entrambe le Camere è stato realizzato.

 Dunque oltre al convegno sulla legge elettorale proporzionale andrebbe organizzato un dibattito sulla povertà morale,  civile e politica dell’attuale classe politica. Una pochezza figlia del degrado che hanno subito i vecchi partiti di massa. I dirigenti eletti con le primarie,  siano esse figlie dei gazebo o della riffa in rete, non potranno mai avere spessore. Un sistema basato   sull’investitura diretta del capo  che concorre contro avversari di comodo ,  in modo da mascherare da espressione democratica una  scelta imposta dall’alto, non può creare una classe politica rilevante. 

Quando non si passa per la militanza, quando si saltano piè pari tutte le dinamiche di analisi,  di elaborazione  dei progetti  costruiti su una precisa idea di società ,  esautorando il confronto nei circoli, nei congressi, mortificando la partecipazione degli iscritti  , quando cioè si espianta la politica vera dal corredo di un dirigente in pectore, il risultato è quello di avere una classe dirigente  come minimo inadeguata. 

Il guazzabuglio della riforma costituzionale bocciata dai cittadini , i miseri tentativi falliti di dare al Paese una legge elettorale decente, il numero ingente di norme licenziate da questo governo e cassate dalla Consulta, offrono la misura dell’ignoranza istituzionale di coloro che stanno occupando gli scranni parlamentari. Prima dunque di discutere sulla legge elettorale, bisognerebbe ragionare su come ricostruire dinamiche politiche incisive tese a favorire la partecipazione della collettività alle decisioni importanti. Solo così sarà possibile rivedere in Parlamento gente capace di esercitare il mandato ricevuto dagli elettori. Ci vuole tempo? E' vero, ma  è un ottimo motivi per cominciare a discuterne subito.

giovedì 28 settembre 2017

Diamoci da fare e mollate le mummie.

Enrico Costa militante di sinistra della strada


Care/i Compagne/i

Vedo una sorta di "ansia da prestazione" diffusa. Non scriverò una lunga analisi ma mi concentro su pochi e fondamentali punti:

MDP è Pisapia sono innegabilmente un percorso politico che tenta una scalata esterna al PD rievocando il fantasma del Centro Sinistra.

Il Centro sinistra ha fallito negli ultimi 25 anni e chiunque a sinistra ha cercato di spingere PD , Ds , Margherita a "sinistra" ha fallito . (Prc,PdCI,Sel e IDV) .

Negli ultimi 25 anni in nome del male minore ci siamo sempre più spostati a destra verso il "male minore" ed il "voto utile" ed oggi il risultato è una sinistra ridotta ad atomi isolati con scarsa credibilità . l'Italia è un caso politico unico dove la sinistra si scinde verso destra per ottenere seggi.

Ottenere seggi bruciando credibilità significa solo distruggere ogni residua speranza a sinistra. Tutti i partiti che hanno fallito nell'intento di spostare a sinistra il PD si sono disgregati in voti e militanti . Spesso costretti a cambiare vesti .

Ora vi dico cosa pensa un militante di sinistra della strada .

Non mi importa scalare il Pd con D'Alema, Pisapia e Bersani. Il Pd è l'artefice dell'attuale situazione . Non è il caso o la sfortuna a piegare oggi il popolo , ma leggi e proposte votate da loro. Non mi importa nemmeno avere oggi rappresentanti in parlamento se il costo è avere Pisapia e simili . 

Quel che importa a me e a tutti i militanti che fanno tutt'ora vita politica nei propri territori è avere una prospettiva. 

Recidere quel falso cordone con il centro sinistra che serve solo a far sedere qualcuno in parlamento senza un popolo dietro. 

Andiamo avanti con tranquillità, fiducia e gioia verso una sinistra autonoma .

Possiamo anche non rientrare in parlamento oggi ma questo non importa. Conta continuare il giorno dopo le elezioni con gli stessi simboli e con la stessa forza. Bisogna esserci dopo le elezioni questo è il punto. Il lavoro e la militanza daranno una credibilità e il successivo consenso. 

Una sconfitta elettorale oggi può essere il successo futuro se si tiene la barra dritta come alternativa. Manchiamo solo noi italiani nel panorama politico europeo. 

Diamoci da fare

E mollate le mummie

CONSIDERAZIONI PROVVISORIE SUI NUMERI DELLE ELEZIONI TEDESCHE

Franco Astengo –Felice Besostri


Di seguito si trasmettono  alcune valutazioni sul risultato delle elezioni tedesche svoltesi il 24 Settembre, nel tentativo di verificare gli scostamenti sulla base delle cifre in numeri assoluti e non soltanto sulle percentuali.


1)      Il primo dato che emerge riguarda la tenuta del sistema nel suo complesso, almeno del punto di vista della partecipazione elettorale. La Germania è attraversata da alcune contraddizioni di grandissimo rilievo, da quella riguardante il flusso dei migranti, all’emergere di un livello di disuguaglianza sociale molto forte al punto di verificare il fenomeno di un vero e proprio “abbandono” da parte dello stato sociale di interi strati di popolazione, al consolidarsi di forti differenze tra una parte e l’altra del Paese a distanza di oltre venticinque anni dalla riunificazione tra BDR e DDR. Ciò nonostante i tedeschi hanno partecipato al voto in misura massiccia, anche se il sistema elettorale tedesco non è costruito sull’idea (tanto agognata dalle nostre parti) che alla domenica sera si debba già sapere chi ha vinto, chi sarà il primo ministro che governerà per 5 anni.  Si è verificato, infatti, un incremento in valori assoluti e in percentuale del totale dei voti validi (riferimento di tutti i dati la parte proporzionale delle espressioni di voto). Data la partecipazione complessiva (inclusi coloro che hanno espresso voto bianco o nullo per un totale di 851.992 suffragi mancati) al 76,16%, i voti validi si sono incrementati tra il 2013 e il 2017 di 2.016.842 unità passando da 44.309.925 a 46.326.767;

2)      Il secondo dato da rilevare è quello che riguarda la maggior concentrazione del voto sui 6 partiti maggiori.  Nel 2013, infatti, i voti dell’Unione tra CDU – CSU, SPD, Linke, Verdi, FDP e AfD assommarono  a 41.009.065 (92,55% sul totale dei voti validi) e FDP e AfD restarono esclusi dal Bundestag. Nel 2017 la somma di voti raccolti dai sei partiti in questione è stata di 44.002.541 pari al 94,98% del totale dei voti validi. Riscontriamo quindi una maggiore concentrazione nel voto in presenza di un allargamento nella presenza in Parlamento da 4 a 6 partiti. Altro dato che non pare spaventare i tedeschi almeno dal punto di vista del numero dei partiti partecipanti all’arco parlamentare. Altro paio di maniche ovviamente la valutazione politica relativa all’ingresso dell’AfD nella sfera parlamentare che suscita sicuramente inquietudine per la dimensione inusitatamente massiccia del voto;

3) Acclarata quindi la tenuta del sistema almeno dal punto di vista della partecipazione elettorale appare evidente, come notato dai tutti i commentatori davanti alla realtà delle cifre, il secco spostamento a destra, che meglio è evidenziato dalle cifre assolute. L’Unione tra Cristiano Democratici e Cristiano Sociali scende, infatti, da 18.165.446 voti a 15.315.576 segnando un meno 2.849.870 pari al 15,39% del proprio elettorato. Tra l’altro appare netto il calo della CSU in Baviera: il partito “storico”, che fu di Strauss, nel suo Land d’elezione nel 2013 aveva ancora sfiorato la maggioranza assoluta con il 49% e adesso, invece, si restringe al di sotto del 40% con il 38,8%. Sul piano nazionale la SPD scenda da 11.252.215 suffragi a 9.358.367  con un meno 1.893.848 pari al 16,84% del proprio elettorato. Si può affermare, in sostanza che il calo delle due forze impegnate nel governo di “Grosse Koalition” è stato tutto sommato omogeneo tra di esse e non si rileva un particolare “crollo” dell’SPD in questo senso: il dato del calo della socialdemocrazia appare sicuramente enfatizzato dall’aver toccato in questo frangente il proprio minimo storico, dopo essere apparsa del tutto subalterna ai democristiani nell’azione di governo e aver propiziato – a suo tempo – guidando l’esecutivo il dramma della crisi dello stato sociale. Naturalmente il modesto incremento fatto segnare dalla Linke, che conferma la propria presenza a Est, non compensa assolutamente il calo della socialdemocrazia. La Linke, infatti, sale da 3.755.699 voti a 4.269.762 registrando un più 514.063, pari all’11,3% del proprio elettorato. I Verdi, che si apprestano a quanto pare a svolgere il ruolo della ruota di scorta del governo democristiano, hanno fatto registrare un lieve incremento da 3.694.057 a 4.157.164 pari a 463.107 voti in più, 12,53% sul proprio elettorato. Verdi e Linke recuperano complessivamente (514.063+ 463.107)=977.170 voti, cioè poco più della metà dei voti persi dalla SPD, per l’esattezza tipica germanica, il 51,59%. Verdi e Linke hanno anche profittato poco dell’incremento dei voti validi pari a 2.016.842, di cui hanno fatto incetta FDP e AfD, che hanno preso 6.733.754 voti in più rispetto al 2013, cioè 1.990.036 voti in più del totale delle perdite di CDU-CSU e SPD(-4.743.718). Altro dato da considerare è che in termini percentuali la Große Koalition ha perso (59,8- 53,5 ) il - 6,3 %, mentre l’Alternativa Rosso Verde  (42,7-38,8) il -3,9%. L’Alternativa Rosso Verde   ha perso la maggiorana assoluta numerica, non politica, che aveva con con 329 seggi su 631 nel 2013, mentre ora ne ha 289 seggi su 709, cioè un 40,76%. 

 4)      Passiamo dunque ad analizzare lo spostamento a destra, sicuramente il dato più eclatante emerso da questa competizione elettorale. Nei commentatori sta facendo scalpore l’ascesa dell’AfD. Nel 2013 il partito rappresentativo dell’estrema destra aveva raccolto 2.056.985 voti passando nel 2017 a 5.877.094 ed entrando trionfalmente al Bundestag con 94 deputati. L’incremento dell’AfD è quindi di 3.820.109 voti, pari al 185,71% di crescita, quasi due volte il proprio elettorato precedente. Inoltre l’AfD rompe il monopolio nei Länder conquistando la maggioranza in Sassonia: ed è questo un dato politico da tenere assolutamente in conto. Netta crescita anche per i liberali passati da 2.083.533 voti a 4.997.178, con un più 2.913.645. In totale AFD e FDP acquistano 6.733.754 voti in più rispetto al 2013, un incremento superiore alla somma delle perdite di CDU-CSU e SPD calcolate assieme ( - 4.743.718). Se ne può dedurre che in particolare l’AfD sia penetrata sia nel bacino elettorale delle formazioni minori contribuendo in maniera decisiva a quella  superiore concentrazione nell’espressione di suffragio sui 6 partiti principali già segnalata in apertura di questo lavoro, sia sull’astensione. La presenza della destra, sia estrema, sia di matrice liberale, si dimostra quindi pervasiva dell’intero elettorato, sia dal punto di vista sociale, sia sotto l’aspetto geografico e non solo, quindi, si presenta come la grande novità episodica nella scena politica tedesca ma anche come elemento strutturale del brusco riallineamento sistemico che le elezioni tedesche hanno presentato come risultato complessivo.

5)      La crisi della democrazia liberale classica, ben evidente anche nel caso tedesco, non si dimostra però nella disaffezione alle urne (come avvenuto in Francia e continua progressivamente a palesarsi in Italia) e neppure nell’affermazione di un partito “antisistema”. Si ricolloca, invece, sull’antico asse destra / sinistra nella sua versione che proprio l’AfD, forza nazionalista conservatrice con forti venature razziste rappresenta. Dati che andranno meglio meditati avendo a disposizione un insieme di numeri maggiormente approfonditi in particolare rispetto alla dislocazione geografica del voto. La soluzione Jamaica, cioè Union-FDP- Verdi è un’isola westdeutsch, perciò si accentua la divisione tra i Länder ex RFT e ex DDR, accentuata dal fatti che AfD è il primo partito in Sassonia e davanti alla SPD in tutti i Länder orientali, tranne Berlino, che è orientale solo geograficamente. L’analisi di flussi elettorali hanno indicato che ci sono stati passaggi di voti da SPD e Linke a AdF  valutati in circa un milione. La coincidenza tra disagio economica e voto per AfD è impressionante, poteva essere contrastato soltanto da un’intesa SPD- Linke. In effetti fu sperimentata in quei Länder, ma non confermate dalle urne al successivo rinnovo,  Berlino compresa. Sulla carta c’erano nel Bundestag e in alcuni  Länder maggioranze rosso-rosso- verdi, ma i rapporti tra Verdi e Linke non sono idilliaci, come si verificò nella Saar, dove sotto la guida di Oskar Lafontaine la Linke ottenne la prima vittoria in un Land occidentale. Per impedire una coalizione rosso verde nacque una coalizione Jamaica nel 2009, che nel 2012 era già finita. . Un effetto paradossale del successo AfD sarà che nella parte orientale le alleanze Jamaica non hanno base numerica e forse nemmeno le grandi Coalizioni CDU-SPD.
 Una coalizione Jamaica è stata formata proprio quest’anno dopo le elezioni nello Schleswig-Holstein, in sostituzione di una maggioranza SPD-Verdi. Nel passato sono state sperimentate a Brema, Hamburg e nella Saar, ma, come già accennato, molto instabili. Un accordo programmatico non sarà facile, ma è una soluzione obbligata, richiederà tempo e non sono escluse elezioni anticipate, fatto eccezionale in quel paese. Qualche elemento in più si potrà avere solo dopo le elezioni nella Bassa Sassonia,  il Land della Volkswagen, dopo che una maggioranza SPD Verdi è entrata in crisi per il passaggio diretto alla CDU di una Verde del Landtag.

martedì 26 settembre 2017

Alcune schematiche differenze fra la destra e la sinistra.

Umberto Franchi

Quella che segue è una schematizzazione  realistica fra ciò che dovrebbe essere  di destra e ciò che dovrebbe essere di sinistra. Si può notare come molte espressioni che identificano le posizioni  di destra sono proprie del Pd. Vedi ad esempio le tematiche inerenti : la  scuola, la proprietà privata, il ricco, l'imprenditore, il lavoro salariato, lo straniero, la  sanità. E' chiaro che lo schema proposto qui sotto da Umberto Franchi è sommario, essenziale. Ma  indica  chiaramente le discriminanti   che un partito identificato a sinistra, deve tenere presenti prima di impelagarsi in alleanze suicide.
Luciano Granieri.


Scuola
destra = solo i figli dei ricchi possono accedervi
sinistra = diritto di studio per tutti, gratuitamente, scuola di qualità;
Proprietà privata
destra = la cosa più sacra che esista
sinistra =  può essere usata contro i beni comuni e  diventare un crimine contro l'umanità;
Amor patrio
destra = valore fondamentale
sinistra =  può essere la causa prima di molte guerre
Confini
destra = bisogna difenderli a costo della vita
sinistra = segni di matita tracciati dai potenti di turno che non hanno alcun valore
Ricco
destra = persona da ammirare
sinistra =
  quasi sempre  ha fatto i soldi  truffando e sfruttando  quindi persona che può delinquere (Berlusconi insegna)..
Imprenditore
destra = persona che crea lavoro
sinistra =
  quasi sempre una forma di vita parassitaria che vive sfruttando l'altrui lavoro;
Lavoro salariato
destra = fondamento della nostra civiltà
sinistra = forma moderna di schiavitù che però va cambiato  e migliorato
Straniero
destra = persona che non può avere gli stessi diritti di chi è nato da questa parte del segno di matita
sinistra = nessuno è straniero...
Razza
destra = bisogna difendere la propria razza, le altre sono inferiori
sinistra = tutti gli uomini sono uguali
Religione
destra = valore fondamentale della nostra cultura
sinistra = il mondo sarebbe veramente civile senza religioni;
Differenze di genere e sessualità
destra = l'uomo deve comandare e soltanto gli eterosessuali possono dirsi uomini
sinistra = uomini, donne ed omosessuali devono avere gli stessi diritti;
Aborto
destra = l'ovocita fecondata è già un essere umano, l'aborto è un omicidio
sinistra = la donna deve avere piena libertà di decidere se portare a termine la gravidanza o abortire;
Eutanasia
destra = è un omicidio che va perseguito per legge
sinistra = ognuno deve essere libero di decidere il proprio destino;
Sanità
destra = solo chi ha i soldi può curarsi ...
sinistra = diritto esteso a tutta la popolazione
e tanto altro ancora, per cui o stai dalla parte degli oppressori o stai dalla parte della libertà.

Quindi  anche chiedere l'applicazione della costituzione sarebbe un fatto di destra o di sinistra? la risposta mi sembra ovvia.... di sinistra ! Anche questo è realismo....

lunedì 25 settembre 2017

"Rifficals" del poeta Jack Hirschman e le memorie del Keystone Korner

fonte Jerry Jazz Musician
traduzione di Luciano Granieri





In un’illuminante saggio  inserito nel libro  che  Kathy Sloane ha dedicato alla storia  del Keystone Corner, il famoso jazz club degli anni ’70 e ’80 di North Beach San Francisco il poeta, Jack Hirschman scrive che:”Il jazz del secondo dopoguerra, l’ espressionismo astratto, e ciò che io definisco composizione nel campo della poesia, per me rappresentano  la trinità degli essenziali idiomi americani, i quali realmente rappresentano le fondamenta non soltanto del mio lavoro, ma il lavoro di quasi una generazione intera di scrittori e musicisti”. Hirschman scrive di aver trovato ispirazione per le sue poesia nella musica di Monk. (Era come un poeta che scriveva poemi con le note musicali), Charlie Parker e Cecil Taylor  gli  hanno  ispirato  ciò che lui chiama “rifficals” infinite improvvisazioni riprese  dal jazz che ha trasmesso al pubblico del Keystone.

Come molti di noi, Hirschman ritiene che il jazz sia una colonna portante  della nostra storia culturale. “La dimensione Afroamericana  ha esercitato una notevole influenza praticamente su tutti gli artisti in questo paese –scrive - anche se la gente non vuole ammetterlo, è la base, la base musicale a livello di creazione popolare. Il jazz è la radice  musicale delle nostre vite contemporanee. Non voglio dire che è semplicemente  parte della vita di tutti noi in America, essa è  proprio elemento intrinseco in noi . Mi rendo conto,  per esempio  come   creativo, e come fanno i musicisti  che tutto ciò che devo fare è intercettare qualcosa dentro di me, qualcosa che trovo nel  mio respiro che mi apre verso una dimensione Afroamericana e da questa scaturiscono, parole, suoni, colori.”


Hirschman, oggi ottantatreenne, ha pubblicato oltre 50 volumi di poesie e saggi. Fu eletto  miglior poeta di San Francisco nel 2006. Se si mostra interesse per le  connessioni fra jazz  letteratura, oltre che leggere le sue memorie del  Keystone, il suo saggio “Rifficals” – estratto da: “Keyston Korner, ritratto di un jazz club”- è una magnifica lettura.


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Rifficals di Jack Hirschman

Sono ispirato da Monk perché essenzialmente era un poeta che scriveva note, note musicali.

Non avevo  soldi   per andare al  Keystone. Semplicemente non  ce lo facevo, nient’affatto. Ero li nel ’73 ’74 ma se (alcuni amici) mi nominavano il Keystone Corner, dovevo  dire: “      Bene scusate ma non ce l’ho…”Quanto ci voleva, sei o sette bigliettoni per entrare?  Non avevo quei soldi. Ma fui veramente fortunato, quando (l’anno dopo) , la mia ragazza (Kristen Wetterhahn) trovò da lavorare al Keystone Corner. Era il  ’77 o al  ’78. Ho conosciuto il Keystone da quel  periodo fino all’83 quando ha chiuso. Kristen prese a lavorare al Keystone e, come ho detto, ne fui molto compiaciuto perché io amo il jazz. In  quel periodo mio figlio David abitava  giù a Santa Cruz e trasmetteva jazz da una stazione  radiofonica di Santa Cruz. Il jazz era veramente gran parte della mia vita.

Per il    nostro lavoro, potevamo definirci  veramente gente  della notte. Non cenavamo mai , Kristen ed io, prima delle  2,30 del mattino. Uscivo     dal nostro appartamento in Kearny Street per andare allo Spec’s Cafe il luogo  dove bevevo, leggevo poesie, frequentavo  poeti, il ceto popolare, i lavoratori, leggevamo, chiacchieravamo. Quando mancava circa un quarto a mezzanotte, passeggiavo  giù fino al Coit Liquors, prima che chiudesse,  e compravo  una bottiglia di vino per cena. Poi andavo  al  Keystone. Siccome Kristen lavorava li riuscivo ad entrare senza pagare. Era un dono straordinario, infatti qui transitavano alcuni dei più grandi jazzisti del tempo ed io avevo la possibilità di ascoltarli.  

Il Keystone era una parte molto importante di me nel periodo dal ’77 all’83. Ero solito disegnare dei  poster  Russi-Americani e distribuirli . Era roba veramente comunista, propaganda comunista, disegnavo e scrivevo   come se stessi in  una sorta di stato improvvisativo  da jazz quotidiano e loro diventavano veramente  matti. Ne facevo approssimativamente dai  trenta ai  cinquanta al giorno nell’appartamento in cui vivevamo. Qui c’era una grande influenza da parte del mondo del jazz.

Tagliavo  i cartoncini  , diciamo da otto a undici, alcune volte, devo dire, usavo  qualsiasi tipo di carta trovassi nei cassonetti, alcuni bei cartoni e altro.  Facevo molti segni  sulla carta. Il primo tratto era una sorta di arzigogolo  grafico, sarebbe potuto venire fuori dallo Zen o da qualcosa di orientale. Poi  mi capitava di scrivere  una parola russa come Iskra, il nome del giornale rivoluzionario, che significa scintilla. Al di sopra della parola “scintilla” in Russo Cirillico  scrivevo “ameruss” un termine che avevo tirato fuori  dalla combinazione fra America  - Russia e un gioco di parole su “amoroso”. Quindi sotto riportavo la parola  “comunista” in Cirillico. Poi aggiungevo  sul lato del poster qualcosa sulla  “solidarietà”. Poteva essere solidarietà con Haiti o  con l’ULW, che è l’Unione degli Scrittori di Sinistra (Union of Left Writers). E  ancora, scrivevo frasi del tipo “nessuna classe”. E in un altro lato del disegno aggiungevo slogan come  “No Klan”, o “No al Nazismo”, “No al Nucleare."

Spesso compariva  una dedica verso qualcuno che era stato una  figura rivoluzionaria come il Che, o Lenin, o poeti  che usavano molto  il jazz per esprimersi-  capisci. Avrebbe potuto esserci  un omaggio a Charlie Parker o ad un altro dei ragazzi del jazz che non erano più con noi.  Ma in realtà  loro erano sempre con noi. Poteva essere chiunque in quell’ambito. Quindi aggiungevo  una breve componimento, come una poesia haiku, solo una improvvisazione molto breve. Ne davo  via a bizzeffe di questi poster alle persone che venivano al club Keystone Corner.

Ero inspirato da Monk perché era essenzialmente come un poeta che scriveva in note, in note musicali. La sera più feconda che ho mai passato nella mia vita poetica, fu quando mi stavo avviando verso una pausa di riflessione con la mia prima moglie. Ero giù,  in un posto a Echo Park (Los Angeles), misi un disco di Monk e scrissi, quella notte dell’81, ciò che io chiamai “rifficals”una improvvisazione jazz che attingeva da strumenti creativi  che comunque possedevo, che tornava  indietro a James Joyce cosi come contemporaneamente si apriva al jazz. Ma  questi erano realmente componimenti jazz.  Scrissi un'altra poesia  dal titolo “Schnapps’ Son” anch’essa ispirata da Monk e (Charlie) Parker era anche  coinvolto. Una  composizione che sarebbe stata  pubblicato così come una parte di “rifficals”. Ero veramente ispirato  dall’ascolto del disco  “Blue Monk”. Era molto legato a me come poeta, come  qualcuno che componeva  con le parole. Era come se usasse le parole, perché parlava con le note, molto più , credo, di ogni altro pianista che avessi mai ascoltato.  Cecil Taylor , ad esempio ,poeta abile ad esprimersi anche  con le parole, riempie tutti i livelli , gli spazi, mentre Monk è fatto di sospiri. Era più vicino ad alcune cose che stavo seguendo nella scrittura americana di  Charles Olson, l’uso del respiro nella singola linea e in tutto il processo creativo. Ero molto vicino  a processi creativi in cui Monk era coinvolto.

Il jazz del secondo dopoguerra, l’espressionismo astratto, e ciò che io definisco composizione nel campo della poesia,  per me rappresentano la trinità degli essenziali idiomi americani, che realmente identificano le fondamenta, non soltanto del mio lavoro, ma il lavoro di quasi una generazione intera di scrittori e musicisti:  Ciò che Parker ha annunciato, ciò che Pollock ha annunciato. Jackson Pollock realmente operò una    rottura nell’arte e rese New York il centro-non più Parigi-   creò l’idioma, non soltanto l’idioma preponderante. Ciò che Jackson fece, e in un certo senso Parker fece lo stesso nella musica, rivoluzionò completamente la linea creativa. La linea , l.i.n.e.a fu da loro rivoluzionata nei termini che loro imposero. E la rivoluzione   così profonda, fu   assorbita dalla gente che la diffuse e la fece risuonare . Quella linea creativa che Jackson creò negli anni ’40 e nei primi anni ’50.


Una volta al Keystone stavamo parlando, e qualcuno – forse era Dexter, o avrebbe potuto essere Dewey Redman, stava ragionando su Parker. Qual’era la natura del suo genio? Sosteneva che i musicisti in quei giorni, ma anche nell’81, ’82, non potevano comprendere pienamente  come Parker suonasse. Era un grooving così rapido, il modo con cui faceva scivolare il fraseggio, mantenendo il tempo,  passando da un livello della musica ad un altro. Ancora oggi la gente è incapace di farlo. Questa era una parte dell’essenza reale del suo genio. La capacità che aveva di muoversi attraverso la  dimensione jazzistica di un determinato pezzo, con un’incredibile rapidità di groove.

La dimensione Afroamericana ha esercitato un’influenza notevole, virtualmente, su tutti gli artisti in questo paese, anche se la gente non vuole ammetterlo. E’ la base, la base musicale, a livello della creazione popolare. Il jazz è il fondamento musicale del nostro vivere contemporaneo. Non voglio dire semplicemente che è parte della vita di ognuno in America, ma è un elemento che vive dentro di noi. So per esempio  come   creativo, e come sono i   musicisti, che tutto ciò che devo fare è intercettare qualcosa dentro di me, qualcosa che faccio con il mio respiro che mi apre verso una dimensione Afroamericana  e da questa scaturiscono, parole, suoni, colori. Quindi è un elemento molto importante. Perché non dovrebbe esserlo? Questo, politicamente parando, è una Paese che si è sempre dichiarato democratico, ma sappiamo che è una cazzata. C’era di fatto la schiavitù . Se esiste la schiavitù in intere porzioni del Paese, non viviamo  in una Nazione  democratica. E la liberazione dalla schiavitù fu, creativamente parlando, il fatto più importante  probabilmente accaduto in America nel secolo scorso. Ciò è arrivato  negli altri Paesi. In altre parole, se vai in Europa ti rendi conto che l’Europa ha compreso quanto è accaduto. 

Il jazz è il linguaggio della liberazione verso la democrazia.
I russi erano molto affascinati  dalle prime espressioni del jazz americano. Ricordo che una giorno stavo traducendo con un amico Vladimir Mayakovsky, si  arrivò su una parola, ki ka poo. Non sapeva cosa fosse in russo, e io non sapevo cosa fosse in americano.  Tre giorni più tardi  il mio amico controllò  e disse “Bene, lo sai, c’era una danza nel 1915 proveniente dall’America denominata Kickapoo, lo stesso nome degli indiani Kickapoo” Ma era una danza jazz come il foxtrot o qualcosa di simile. Un brano di danza jazz americano! Semplicemente una piccola mania che si era diffusa.

Quando parli del martellamento dell’Hip Hop,  certamente esso  si rifà ad alcune vecchie cose del jazz, ma ha anche avuto a che fare  con la rivoluzione russa.  Molti degli hip-hoppers non sanno neanche questo. Ma qualcuno come  Mayakovsky, il poeta russo, utilizzò le rime prese dal  linguaggio della strada all’inizio del ventesimo secolo. Mettila così, nel  diciannovesimo secolo in Europa  ed in America, la musica ha avuto una transizione  in ciò che chiamiamo “musica leggera”  nel   teatro, mi capisci, nella danza ecc. Ma fu intercettata verso la fine del secolo dalla musica che scaturiva dalla liberazione dalla schiavitù. Quando arrivi al ventesimo secolo, quando arrivi  a Scott Joplin e a tutti  gli altri , quando arrivi alla fondazione del jazz, approdi ad un linguaggio che deriva dalla lotta di liberazione. Ha pervaso interamente  il ventesimo secolo e punta dritto sul ventunesimo.

Ero nato negli Stati Uniti, non ero europeo. Ero nato a New York nel ’36. Lavorai come addetto alle copia delle bozze  per l’Associated Press nella 51° strada. Nella 52° stavano suonando mentre ero al lavoro  ma  io non andai. Mi sarei preso a calci per non averlo fatto. Ero solo un giovane novizio e volevo diventare,come prima cosa, un reporter, poi un narratore, un poeta. La maggior parte di cose relative a quella banda le seppi dopo. Charlie e Miles stavano suonando nella 52° strada ed io stavo letteralmente dietro l’angolo…

Arrivavo dalla California del sud nel ’61 e mi trasferii a San Francisco verso a fine del ’72, quindi incontrai Kristen negli ultimi mesi del ’74. Abitavamo qui in North Beach e il Keystone divenne parte della nostra vita a partire più o meno dal ’77, ’78. Ricordi quel periodo, dopo la guerra del Vietnam, prima dei Sandinisti nel ’79? Avevo appena iniziato a lavorare con il gruppo culturale  Sandinista dopo la destituzione di Somoza. Quindi nell’80 Reagan arrivò alla Casa Bianca e tirò fuori quel numero con i controllori di volo, allora  ci fu un notevole consolidamento della sinistra contro di lui.  L’anno 1982, ovviamente fu per me molto significativo, perché mio figlio, conduttore di programmi jazz alla radio, contrasse la leucemia, che sfociò in un linfoma. Mori nel 1982.  In quell’epoca il Keystone stava andando in crisi,  anche Kristen ed io ci stavamo avviando ad una crisi.  E  le due cose erano abbastanza in sincrono.

Si era svolta  nel 1982 una grande conferenza di autori, la Left/Right Conference e Todd Barkan fu molto generoso con me, decidendo di organizzare un particolare incontro al Keystone Corner. Avevamo in programma letture di poesie a carattere politico, ma non erano soltanto letture in una domenica particolare. Volevamo  ospitare eventi politici prima che il locale aprisse per la sera. Credo ce ne fosse in programma uno contro Reagan.  Arrivò Amiri  Baraka; lessi con Amiri. Voglio dire era veramente un poeta caposcuola, io invece ero un poeta locale, poi più tardi diventammo grandi  amici. Lo scorso hanno abbiamo trascorso momenti meravigliosi insieme a Napoli, dove abbiamo letto poesie per il mio editore italiano.

Che il Keystone si aprisse agli incontri politici fu veramente importante. Da quel momento i prezzi salirono  a sette, otto, forse fino a dieci dollari . Si organizzavano eventi in cui le persone potevano ascoltare qualcuno politicamente coinvolto e se quelli avessero donato anche solo un tozzo di pane, questo era realmente destinato alla causa. Non era solo andare al Keystone. Il Keystone era già  ricercato per il bar i cui guadagni erano assolutamente eccellenti.

Era un luogo sempre in subbuglio ,  dato  che la stazione di polizia stava alla porta accanto, era da pazzi. Non l’ho mai capito. Attorno al mondo della musica girava molto alcol e stupefacenti, ma si presentavano anche straordinarie occasioni.

Il Keystone divenne qualcosa di veramente personale, a parte il coinvolgimento dovuto al fatto che vivevo con Kristen e lei lavorava li. La  nota più triste: Ho detto di mio figlio che morì di linfoma nel 1982 nella sua casa a Venice California. Aveva 25 anni, quindi era molto giovane, ma già inserito nel mondo del jazz. Non era semplicemente che lui amava il jazz; era anche un fotografo di jazz. Ne fece molte di foto meravigliose in particolare ai musicisti di jazz, e dopo che morì,organizzai  un’esposizione dei suoi lavori  in un paio di mostre locali.  Quando morì, scrissi una componimento arcano, una delle mie poesie più lunghe, un elegia per David dal titolo “The David Arcane”fu pubblicata in una piccola edizione e la foto che egli fece a Bobby Hutcherson mentre suonava al Keystone fu messa sulla copertina del libro.




28 settembre: giornata globale per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto

Commissione lavoro donne Pdac
 

Nel centenario della rivoluzione d’Ottobre vale la pena di ricordare che le donne russe furono le prime nella storia a vedersi riconosciuto il diritto all’aborto libero, gratuito e sotto controllo medico. Esse potevano accedere a questa pratica senza dover ottenere il consenso di alcuno, medico o familiare che fosse, conquistando così il grado più alto a livello mondiale della loro autodeterminazione, un livello non ancora raggiunto nemmeno nel più avanzato dei Paesi capitalisti oggi.
Il 28 settembre, infatti, come ormai accade dal 1990 (anno di istituzione della Giornata globale per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto, voluta al fine di promuovere l’aborto come un diritto umano, per frenare la mortalità materna e i rischi per la salute delle donne conseguenti agli aborti clandestini), saremo di nuovo in piazza a reclamare la piena concessione di un diritto. 
La situazione cambia da Paese a Paese, ma a livello globale rimane la certezza che impedire alle donne di ricorrere all’aborto non ha fatto che accrescere il mercato delle pratiche clandestine: è ancora alto, e non diminuisce, il numero di decessi a causa di aborti a rischio perché meno della metà degli aborti effettuati avviene in condizioni di sicurezza e per ogni donna che muore, circa 20 sono colpite da gravi invalidità o patologie. Nei Paesi in via di sviluppo sono soprattutto le giovani donne e le adolescenti a subire le complicazioni dovute ad aborti clandestini e rappresentano la percentuale più alta di bisogno insoddisfatto di contraccezione: più del 40% (8,7 milioni) degli aborti non sicuri riguarda infatti donne di età compresa tra 15 e i 24 anni.
 
La situazione italiana
Anche nei Paesi a cosiddetto “capitalismo avanzato”, abortire non è facile: in Italia ad esempio l’interruzione volontaria di gravidanza, tutelata dalla L. 194/78, è riconosciuta come una pratica legale, libera, gratuita ed assistita. La reale applicazione della 194, tuttavia, è ostacolata da una serie di attacchi trasversali tra i quali in particolare vanno menzionati i definanziamenti ai consultori causati dai continui tagli alla spesa pubblica con conseguente riduzione dei servizi erogati o addirittura con la chiusura di molti presìdi, e la possibilità per il personale medico, infermieristico e ausiliario di avvalersi dell’obiezione di coscienza, ossia di astenersi dalla pratica abortiva in virtù di convinzioni ideologiche o religiose. In Italia la scelta dell’obiezione è in continuo aumento e più del 70% dei ginecologi non pratica interruzioni di gravidanza, con punte anche dell’85% in alcune regioni del centro sud. Questa situazione impedisce l’applicabilità della legge e contribuisce ad alimentare il mercato degli interventi illegali: si parla di circa 15.000 aborti clandestini, cifra evidentemente sottostimata che non tiene conto ad esempio delle donne immigrate che spesso non si avvicinano alla sanità pubblica, soprattutto se clandestine.
L’aspetto più allarmante è che oltre a stratificarsi nella gerarchia ospedaliera con un raggio di copertura che va dal vertice di medici e anestesisti, passando per il personale infermieristico, fino alla base del personale ausiliario, l’obiezione di coscienza si sta estendendo anche come campo di applicazione: la scelta non coinvolge più soltanto la pratica dell’IVG, ma persino la prescrizione di farmaci contraccettivi o di tecniche abortive alternative. L’adozione della RU486, per l’aborto farmacologico meno invasivo di quello chirurgico, è boicottata nei fatti dalla circolare che impone un ricovero più lungo (tre giorni) di quello previsto per l’intervento, con pazienti sottoposte a vere e proprie vessazioni psicologiche e fisiche, umilianti e dolorose (i forum in rete sono pieni di racconti ad esempio di personale obiettore che rifiuta persino la somministrazione di analgesici per lenire i dolori abortivi) e con l’impossibilità ad accedervi a causa della lunga degenza per le lavoratrici precarie, per le minorenni, per le immigrate, spesso non in grado di giustificare assenze prolungate sul posto di lavoro o in famiglia.
Oggi, in Italia, abortire seguendo la legge è spesso quasi impossibile. La percentuale di adesione all’obiezione di coscienza e la conseguente inaccessibilità di numerosi presìdi ginecologici, comporta trafile da incubo fra porte sbattute in faccia, pellegrinaggi alla ricerca di medici non obiettori, lunghe file di attesa, prenotazioni, giornate perse, settimane che passano con il corpo che cambia e la gravidanza che procede inesorabile con conseguenze facilmente immaginabili. Questo significa che praticare l’interruzione di gravidanza è diventato per le donne italiane un percorso ad ostacoli e contro il tempo. La loro possibilità di autodeterminare la propria sessualità sia nella contraccezione sia nella maternità è sottoposta al ricatto di un’altra scelta, quella dell’obiezione di coscienza, frutto di una cultura maschilista che le preferisce succubi e relegate tra le mura domestiche ad accudire forza lavoro per il capitale.
 
La criminalizzazione dell'aborto è un'altra forma di violenza contro la donna
La società capitalista condanna le donne che praticano l'aborto, anche quando formalmente accorda loro la possibilità di ricorrervi. La maggior parte dei Paesi non garantisce un'adeguata educazione sessuale nelle scuole, né distribuisce gratuitamente gli anticoncezionali, negando alle donne in maniera cosciente la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione. Le donne della classe lavoratrice e dei settori più poveri della società, condannate ad avere gravidanze indesiderate, non possono garantire le minime condizioni materiali ed emotive per un giusto sviluppo armonico di questi figli. Il sistema capitalista condanna questi bambini a diventare facile preda dei peggiori mali della società: criminalità, tossicodipendenza, disoccupazione. D'altra parte, con posti di lavoro precari, gli unici cui ha accesso la stragrande maggioranza delle giovani lavoratrici, la gravidanza è spesso causa immediata di licenziamento. Si tratta di un'altra forma di violenza contro le donne che vogliono essere madri.
Il numero di aborti clandestini e delle morti di donne in relazione alla gravidanza confermano che le posizioni che criminalizzano l'aborto e che sostengono di difendere la vita non sono altro che ipocrisia. È deleterio in particolare il ruolo della Chiesa cattolica che non solo contrasta la legalizzazione dell'aborto, ma anche l'uso del preservativo, condannando i suoi giovani seguaci al contagio dell'Aids.
Però mentre le condanna e le censura quando esercitano liberamente la loro sessualità, questa stessa società le svilisce, le prostituisce e le utilizza come oggetti sessuali. Alle donne si chiede sottomissione attraverso false ideologie della classe dominante e dei settori più conservatori della società, e in maniera cosciente si nega loro la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione. Come una cartina al tornasole, l’aborto, il momento più esclusivo di affermazione di volontà da parte di una donna, dà l’esatta misura del livello di oppressione delle donne nel sistema capitalistico: la legislazione borghese (che sull’argomento riesce a sbizzarrirsi in restrizioni e tempistiche ai limiti del ridicolo) rende la sua negazione lo strumento ideale per relegare maggiormente la donna nella sua funzione riproduttiva, soprattutto in questo momento in cui per la crisi economica è necessario “liberare” posti di lavoro in favore degli uomini e sopperire ai tagli ai servizi sociali con manodopera gratuita.
 
Insieme in piazza il 28 settembre!
Consapevoli che solo nel socialismo sarà possibile per le donne autodeterminarsi così come lo fu per le donne russe nel ‘17, come donne lavoratrici e sfruttate saremo in piazza il 28 settembre insieme ai lavoratori e compagni maschi con cui lottiamo quotidianamente, perché la violenza e gli abusi sono meccanismi di oppressione che servono a tenere in piedi lo sfruttamento del sistema capitalista contro migliaia di milioni di lavoratori e poveri del mondo.
Il Partito di alternativa comunista, sezione italiana della Lega internazionale dei lavoratori-Quarta internazionale, nel riconoscere la necessità di estendere e garantire il diritto di aborto al di là dei limiti della 194, si batte per garantirne l’applicazione in tutti gli ospedali attraverso l'abolizione dell'obiezione di coscienza e l'introduzione delle migliori tecniche per la salvaguardia della salute delle donne (pillola abortiva), per l’estensione alle minorenni del ricorso all’IVG senza la necessità dell'autorizzazione vincolante degli esercenti la responsabilità genitoriale o dei tribunali borghesi, per l’accesso gratuito e senza prescrizione medica alla “pillola del giorno dopo” (senza l'obiezione di coscienza dei farmacisti), per l'esclusione del Movimento per la vita e delle altre associazioni antiabortiste dai consultori e dai reparti di ginecologia, per il potenziamento dei servizi pubblici a supporto delle donne, abolendo ogni finanziamento ai servizi privati e del privato sociale, per la sostituzione a scuola dell'ora di religione con un'ora di educazione alla sessualità, alla contraccezione e alla salute, per il controllo delle lavoratrici, delle giovani e delle immigrate sull'erogazione e la gestione di tali servizi, per difendere il diritto ad una procreazione e ad una sessualità libere e responsabili per le donne attraverso la lotta per un’educazione sessuale laica e libera da pregiudizi, per l’accesso gratuito alle misure anticoncezionali, per il potenziamento dei consultori pubblici, per un aborto libero, gratuito e sicuro.

domenica 24 settembre 2017

Non pedalate per i crimini israeliani: Dite al Giro d'Italia di tenersi alla larga dall'apartheid




Mandate una lettera agli organizzatori della famosa corsa ciclistica italiana per sollecitarli a spostare la corsa da Israele - #RelocateTheRace 
Gli organizzatori della famosa corsa ciclistica italiana Giro d'Italia hanno annunciato la partenza dell'edizione 2018 da Israele, con inizio a Gerusalemme seguita da tappe da Haifa a Tel Aviv e nel Naqab (Negev).  
La corsa "celebrerà" il settantesimo anniversario della fondazione di Israele sulle rovine della patria palestinese, con la pulizia etnica, o Nakba, di una maggioranza dei palestinesi indigeni.
Dobbiamo agire per fermare questo mascheramento attraverso lo sport (sport-washing) dell'occupazione e dell'apartheid di Israele, chiamato dai mezzi di comunicazione come “un grande colpo politico per [Israele], che sta sforzandosi di dipingere un'immagine di vita 'normale'."  
Unitevi a noi nel dire agli organizzatori di RCS di spostare la corsa - #RelocateTheRace -
e andare in bicicletta lontano dall'occupazione e dall'apartheid di Israele.

 
Il Giro d'Italia darà un aiuto a istituzionalizzare la presa di Gerusalemme da parte di Israele. Durante la cerimonia di annuncio, un funzionario israeliano dopo l'altro hanno rivendicato Gerusalemme come capitale di Israele,qualcosa che nessun altro paese nel mondo riconosce. La municipalità di Gerusalemme è attivamente coinvolta nella graduale pulizia etnica illegale dei palestinesi, anche attraverso demolizioni di case ed espulsioni forzate come scelta politica.
Nel Naqab (Negev) nel sud dell'attuale Israele, dozzine di città beduine palestinesi si vedono rifiutati il riconoscimento e i servizi di basee sono sottoposte a ripetute demolizioni, alcune per oltre 100 volte. Israele sta inoltre revocando la cittadinanza dei beduini palestinesi senza alcun motivo, rendendoli apolidi.
Iniziare la corsa in qualsiasi posto sotto il controllo di Israele servirà anche come timbro di approvazione per l'oppressione dei palestinesi da parte di Israele. Il Giro d'Italia avrebbe preso in cosiderazione la possibilità di iniziare una corsa nel Sudafrica dell'apartheid negli anni 80?
Agite ora per fare pressione su RCS perché rispetti il diritto internazionale e sposti la corsa.
Assicuriamoci che RCS e squadre ciclistiche ricevano il messaggio: smettete di mascherare con lo sport le vergognose violazioni dei diritti umani da parte di Israele, spostate l'inizio della corsa in un altro paese!
Campagna #RelocateTheRace
Testo della e-mail
All'attenzione di:
Urbano Cairo,        Presidente,       RCS Mediagroup
Riccardo Taranto, Presidente,        RCS Sport
Mauro Vegni,        Direttore,           Giro d'Italia
Siamo profondamente preoccupati per gli annunciati piani di fare partire l'edizione 2018 del Giro d'Italia da Israele. Malgrado i vostri tentativi di evitare “zone sensibili", tenere la corsa in qualsiasi luogo sotto controllo israeliano coinvolge il Giro d'Italia nelle violazioni israeliane del diritto internazionale.
Facendo iniziare la corsa a Gerusalemme, il Giro d'Italia diventerà parte del processo in corso da parte di Israele per istituzionalizzare la sua presa illegale sulla città occupata. La risoluzione 181 (1947) dell'Assemblea Generale dell'ONU ha stabilito Gerusalemme come corpus separatum sotto un regime internazionale speciale e ha ripetutamente affermato che "tutte le azioni intraprese da Israele, la potenza occupante, di imporre le sue leggi, giurisdizione e amministrazione sulla Città Santa di Gerusalemme sono illegali." Nel 1967, Israele ha occupato Gerusalemme Est, annettendola unilateralmente come parte della sua “capitale unita." Malgrado le ripetute rivendicazioni da parte dei ministri israeliani durante la cerimonia di annuncio, la comunità internazionale non riconosce alcuna parte di Gerusalemme come capitale di Israele.
Nel sud di Israele, dove è prevista un'altra tappa della corsa, dozzine di città beduine palestinesi si vedono rifiutati riconoscimento e servizi di base da parte di Israele e sono state sottoposte a ripetute demolizioni, nel caso di Al-Araqib oltre 100 volte. Dal 2010, Israele ha revocato la cittadinanza di centinaia, probabilmente migliaia, di beduini palestinesi senza alcuna ragione, rendendoli apolidi.
Queste politiche fanno parte della perdurante pulizia etnica da parte di Israele, che è cominciata 70 anni fa con la fondazione di Israele sulle rovine della patria palestinese e con il trasferimento forzoso di una maggioranza dei palestinesi indigeni.
Questo è ciò che Israele intende 'celebrare' l'anno prossimo. Il Giro d'Italia non dovrebbe partecipare a questo.
Come sarebbe stato inaccettabile per il Giro d'Italia cominciare dal Sudafrica dell'apartheid negli anni '80, è inaccettabile iniziare la corsa in qualsiasi luogo sotto controllo di Israele poiché questo servirà soltanto come timbro di approvazione per l'oppressione dei palestinesi da parte di Israele.
Sollecitiamo RCS a rispettare il diritto internazionale e a spostare l'inizio della corsa in un altro paese. Per favore, non permettete a Israele questo “grande colpo politico", macchiando uno dei principali eventi sportivi d'Europa.
Cordialmente,