Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 30 settembre 2017

Il "referendum concordato" di Unidos Podemos: una soluzione o un tranello?

Angel Luis Parras
(Corriente Roja, sezione della Lit nello Stato spagnolo)
 

Nella misura i cui  si avvicina il 1 ottobre sembra acquisire forza una proposta, apparentemente "ragionevole", quella più in sintonia con il "senso comune": "recuperare il dialogo" e accordarsi su un "referendum concordato, con garanzie". Per fare ciò il governo della Generalitat catalana dovrebbe, come prima cosa, annullare la convocazione del referendum del 1 ottobre.
Questa è la proposta lanciata dalla direzione di Unidos Podemos, sottoscritta anche dal Pnv [Partito nazionalista basco, ndt] e il PdCat [Partido Democratico Catalano] e messa in scena nella "Assemblea degli eletti per la libertà, la fraternità e la convivenza" che si è tenuta il 24 scorso a Saragozza.
In altre parole, si mettano attorno a un tavolo il governo regionale catalano, Rajoy [premier spagnolo, ndt] e tutti i partiti parlamentari e si ponga una data per un "referendum con garanzie". E se questo richiede modificare la Costituzione? Che la si modifichi! E se questo può richiedere un paio d'anni? Che si aspetti!
E allora sorge inevitabile una domanda: è così facile? è tutto così ragionevole? Come è possibile che nessuno ci abbia pensato prima? Come possiamo essere arrivati a questo scontro tra la ragione e il delirio, quando la soluzione era così semplice?
Ma la domanda è ancora più semplice: c'è qualche possibilità, in qualsivoglia data, che i catalani possano fare un referendum e decidere liberamente se vogliono separarsi o no? Perché è questa la vera domanda! La ripetiamo: in una qualsiasi data, facendo le modifiche legislative necessarie, è possibile che i catalani possano fare un referendum nel quale si decida se vogliono restare nello Stato spagnolo oppure no?
Secoli di storia e un regime erede del franchismo offrono già la risposta: non è possibile con questo regime garantire un simile referendum .Ogni volta che la Catalogna ha cercato di guadagnare la propria indipendenza la storia si è conclusa con il presidente e il governo catalani di turno incarcerati e o ripiegare su uno "Statuto" [dell'autonomia, ndt] o con la garrota brutale della dittatura franchista.
Se in qualcosa si è sempre distinta la borghesia catalana è nella sua mancanza di coraggio e nel suo pietire "dialogo e negoziato". E Rajoy mani-di-forbice ha risposto con il Tribunale costituzionale, con la sforbiciata allo Statuto, con processi, arresti e multe milionarie a dirigenti catalani, e ora con l'intervento e lo sbarco, per terra, mare e aria della Guardia civil e della polizia inviati alla "riconquista".
Si può fare un referendum concordato con il Partito popolare, C's [Ciudadanos de Catalunya, ndt], Psoe che sono stati disponibili solo a cambiare la Costituzione (articolo 135) per garantire il pagamento del debito dei banchieri? Quale parte della frase "la Spagna è una e indivisibile" non si è compresa da parte di chi avanza questa così ragionevole proposta?
Ovviamente sarebbe "semplice" e "ragionevole" porsi d'accordo e fissare una data del referendum con garanzie di voto e del rispetto della decisione che ne esca. Ma al di sopra della ragione astratta, dell'imperativo categorico, del "dovrebbe essere", c'è la cruda realtà, le contraddizioni sociali, di classe e nazionali. E succede che coloro che si impadronirono del potere statale, col sangue e col fuoco, circa 80 anni fa, continuano a detenerlo e la loro "ragione" non è retta da nessun imperativo categorico. La passione di costoro per la "democrazia" è limitata alla loro devozione per preservare i loro privilegi e gli interessi di classe che rappresentano e proteggono.
I borghesi lasciano agli ideologi della piccola borghesia, ai professori universitari e ai messia della "nuova politica", il meschino compito della difesa mistica della democrazia ideale che, a forza di negare l'esistenza delle classi sociali, esiste solo nella loro testa.
Il regime monarchico spagnolo, erede del franchismo, che ora qualcuno chiama "il regime del '78", non ha mai tollerato e non tollererà in maniera pacifica nessun referendum di autodeterminazione. Non c'è modifica costituzionale che possa mettere in discussione il pilastro della "unità della Spagna".
Non c'è "riforma costituzionale" né referendum che valga, perché questo terminerebbe con accendere le speranze di altri popoli a seguire la medesima strada dei catalani o, sulla strada dei referendum, potrebbe esserci qualcuno a chiederne uno per decidere tra monarchia e repubblica. Fino a questo si potrebbe arrivare!
Sono trascorsi circa 80 anni dalla conclusione della guerra civile e tuttavia non c'è modo che il parlamento ancora abbia condannato il golpe militare franchista; non c'è modo che le famiglie possano riavere i cadaveri dei loro cari fucilati nelle fosse comuni; non c'è modo di volere il cambiamento del nome di una strada dedicata a un franchista, se non con la mobilitazione e, anche così, sono centinaia i paesi che nemmeno rispettano la già pur debolissima legge sulla "memoria storica".
Basta sedersi davanti alla televisione per vedere fascisti, con uniforme o senza, che accerchiano l'assemblea a Saragozza degli "eletti ragionevoli". Basta vedere nei quartieri la polizia e la Guardia civil che salutano come eroi i loro commilitoni che vanno a "salvare la Spagna", alla riconquista contro gli infedeli catalani.
E con questa gente si vorrebbe fare un accordo?
La Catalogna ha tutto il diritto di decidere, e ciò che la lotta dei giovani e delle masse popolari catalane dimostra è che per poter esercitare questo diritto non valgono i gesti, i sorrisi. Non serve, come fa il partito di Puigdemont [presidente della Generalitat di Catalogna, ndt] affermare che ci sarà il referendum "senza se e senza ma", mentre contemporaneamente firma a Saragozza il manifesto per un "referendum concordato". Non serve a niente proclamare "andremo fino in fondo" e subito dopo affermare, come fa sempre Puigdemont: "L'indipendenza unilaterale non è nel nostro programma".
La battaglia per il referendum del 1 ottobre dimostra che o la Catalogna dichiara la sua repubblica in forma unilaterale o non potrà fare nessun referendum con garanzie.
E non ci sarà repubblica catalana se i lavoratori e le masse popolari non la impongono nelle piazze, con la mobilitazione permanente, con lo sciopero generale e l'autodifesa. Lo sciopero generale che in questi giorni si sta preparando significa l'entrata in scena della classe lavoratrice come classe, una cosa che è imprescindibile perché la classe possa intervenire come forza indipendente, rimettendo le cose al loro posto, legando la difesa del referendum e la proclamazione della repubblica catalana alle proprie rivendicazioni: come la cancellazione della controriforma del lavoro e di quella della scuola, la difesa di un sistema pensionistico pubblico.
Che questo sia difficile, non c'è dubbio, però non è impossibile mentre l'attesa di un "referendum concordato" non è altro che l'ennesimo intento di fermare l'attuale mobilitazione di massa per imbrigliarla e legarla al carro delle istituzioni di un regime che nega il diritto a decidere; significa cercare di rinchiudere questa potente mobilitazione nel recinto di elezioni rette da una legge antidemocratica.
Non è inutile ricordare che questa proposta di referendum concordato - e che dunque si sospenda il referendum indetto per il 1 ottobre - proviene da quegli stessi [come Podemos, ndt] che hanno smantellato il movimento degli indignados, svuotando le piazze, liquidando la mobilitazione e il processo di auto-organizzazione, che hanno lavorato per ricondurre tutte le aspettative di un reale cambiamento alle aule di parlamenti addomesticati.

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