Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 13 maggio 2017

A Milano, ma per bloccare le leggi anti-immigrati Minniti-Orlando

Appello per la manifestazione del 20 maggio. «Mentre si parla di accoglienza, si stringono accordi con regimi liberticidi »


Il 20 maggio a Milano è stata convocata una mobilitazione, #20maggiosenzamuri, che si propone di rivendicare «il valore e il rispetto delle differenze culturali e etniche come occasione di crescita per tutti» e il rifiuto della «logica dei muri che fomenta la paura, che deve essere sconfitta dalle scelte che pongono al centro la forza dell’integrazione e dell’accoglienza anche attraverso l’effettivo superamento della legge Bossi-Fini, l’approvazione della legge sulla cittadinanza e il rafforzamento del sistema di accoglienza dei migranti».
Buoni propositi promossi, però, da Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali del comune di Milano e fedele di Andrea Orlando, ministro della Giustizia e firmatario insieme al ministro dell’Interno Marco Minniti dei decreti – convertiti in legge – sulla sicurezza urbana e sull’immigrazione.
La contraddizione con le scelte politiche in materia di accoglienza ai migranti è parsa immediatamente evidente: l’appello alla mobilitazione omette la discriminazione insita nella legge, come l’introduzione di un diritto differenziale su base etnica con l’abolizione di un grado di giudizio per i profughi che si vedono respingere la richiesta di asilo; l’aumento dei Centri di permanenza per il rimpatrio (ex Cie); la parificazione a pubblico ufficiale dell’operatore sociale per alcune fattispecie procedurali. Di pari passo il governo italiano sta stringendo accordi bilaterali con i regimi liberticidi in Libia, Nigeria e Sudan per il controllo dei flussi migratori e per i rimpatri forzati.
La settimana scorsa associazioni, spazi sociali, comitati, collettivi, partiti politici milanesi, riuniti sotto lo slogan «Nessuna persona è illegale», hanno deciso di partecipare alla mobilitazione pur non sottoscrivendo l’appello per le contraddizioni prima citate. Il lavoro di costruzione di questa piattaforma antirazzista unitaria ci ha dato lo slancio per decidere di sottoscrivere il loro appello e partecipare alla mobilitazione.
Vogliamo occupare quello spazio per evitare che quel palcoscenico sia regalato a chi si riempie la bocca di accoglienza e poi, nei fatti, promuove leggi razziste e rastrellamenti etnici. Per questo motivo ci rivolgiamo agli organizzatori, ai grandi firmatari (tra cui Emma Bonino, Elio, Elio Germano, Gad Lerner, Daniele Luchetti, Luigi Manconi, Giusi Nicolini, Moni Ovadia, Igiaba Scego, Sergio Staino, Cecilia Strada, Nicola Zingaretti) affinché prendano una posizione chiara e netta e dicano che oggi battersi per l’accoglienza dei migranti vuol dire opporsi alle leggi Minniti-Orlando in materia di immigrazione e sicurezza urbana. Tutto questo è ancora più necessario dopo quello che è accaduto negli ultimi giorni: dal vergognoso rastrellamento in stazione centrale a Milano, alla caccia agli ambulanti, sempre in nome del decoro, a Roma, che ha portato alla morte di Magatte Niang.
Il 20 maggio a Milano noi ci saremo, consapevoli che questo è il tempo delle scelte e noi abbiamo deciso da che parte stare, senza mezze misure, ambiguità e contraddizioni.
Il primo passo per realizzare tutto questo è battersi con tutte le forze contro le leggi Minniti-Orlando.

Baobab Experience
Rete degli Operatori e delle Operatrici contro i Decreti Minniti Orlando
Progetto Melting Pot
Campagna LasciateCIEntrare
Rete della Conoscenza
Link Coordinamento Universitario
UDS – Unione degli Studenti
Progetto Diritti onlus
European Alternatives
DiEM25 Italia
Cittadinanza e Minoranza
Focus-Casa deii diritti sociali


Sviluppare la solidarietà con i prigionieri politici palestinesi in sciopero della fame!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia 



Dal 17 aprile più di 1.800 prigionieri politici palestinesi hanno iniziato uno Sciopero della fame a oltranza.
Lo Sciopero per la Dignità, che per numero dei partecipanti e durata, non ha eguali nella storia, sta andando avanti con coraggio e determinazione, nonostante tutte le manovre, le intimidazioni e la repressione delle autorità israeliane.
Le rivendicazioni dei prigionieri sono:
- Abolizione della detenzione amministrativa.
- Abolizione di tutte le forme di tortura, compreso l’isolamento.
- Fine dell'imprigionamento dei bambini e delle donne.
- Diritto di ricevere visite dei parenti, all’assistenza sanitaria, allo studio, etc.
- Rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali sui diritti umani dei prigionieri all'interno delle carceri.
Queste rivendicazioni si inseriscono all’interno della lotta di tutto il popolo palestinese per la fine dell’occupazione, delle violazioni e delle violenze che subisce da decenni.
Le vessazioni cui sono sottoposti i prigionieri in sciopero sono inaudite: trasferimenti in celle d’isolamento, barbecue davanti alle celle, offerte di cibo da parte dei medici, confisca di indumenti personali e coperte, incursioni delle unità speciali anche in piena notte, diniego dell'acqua in bottiglia, confisca del sale necessario per poter continuare lo sciopero, politica dell’alimentazione forzata, etc.
Ma tutti i tentativi di minare la volontà di lotta e dividere i prigionieri sono falliti. Il movimento di sciopero dei prigionieri prosegue unito!
Bisogna rompere il muro del silenzio intorno a questa eroica lotta!
I principali media non ne parlano, rendendosi complici del regime di occupazione e apartheid sionista. Il governo Gentiloni e le forze che lo sostengono sono proni ai voleri del governo di estrema destra di Netanyahu, che ha adottato la linea di bloccare ogni genere di informazione, perché la questione palestinese va rimossa e cancellata dal dibattito politico.
In questa situazione è importante che i palestinesi, a cominciare dai prigionieri in sciopero della fame, vedano che la loro battaglia è appoggiata a livello internazionale, che esiste un movimento popolare di solidarietà.
A tale scopo dobbiamo lavorare nei posti di lavoro, nei sindacati, nelle scuole, nei quartieri, facendo conoscere la lotta dei prigionieri palestinesi e partecipando alle iniziative a sostegno della lotta dei prigionieri!

venerdì 12 maggio 2017

Il compleanno di Giorgiana

Lidia Ravera

Me lo racconta tutte le volte. Non c’è compleanno, onomastico, che non sia celebrato come un anniversario di lutto. E’ sovreccitata fin dal mattino, nervosa, beata. Sorride da sola. Io la riconosco,oramai, in ogni forma di pazzia benigna, benedicente, euforicamente narcisistica, malinconica e medium. La riconosco nei preti che dal pulpito parlano di un regno dei cieli cui non avrò accesso. La riconosco nella grassa americana alcolista  che legge i tarocchi in piazza Navona. Vaga e vaticinante. Mia madre è così. Come lei, soltanto più magra. E marxista. Nonostante il volgere del mondo ad altre dottrine oppure a un mercantile appagamento del disordine. Mia madre è marxista. Lo era da ragazza. Non riesce a smettere. E’ marxista  e odia il governo (in generale, in particolar quello presente, ma in generale tutti), odia la polizia. Odia le armi. Odia la guerra. Da due mesi , ogni sera, si incaponisce in complicate macumbe. Sta cercando di colpire il pancreas di George doppio vu Bush. “Hai idea di quanto si soffre con la pancreatite?”….Forse stasera non lo farà. Stasera è il mio compleanno. Ne faccio 25, di anni. Sono nata il 12 maggio 1977 alle 23 e  45, con un mese di anticipo sulla data della mia nascita, le doglie, a mia madre le ha provocate una carica della polizia fra via Arenula e  Ponte Garibaldi. Me lo racconta tutte le volte.


Una carica della polizia: da bambina immaginavo cavalli schiumanti e alabarde. Dillo ancora, mamma, dillo, dai, dimmelo di nuovo.

Riprendeva come una fiaba, tono cantante.

C’era una volta il movimento delle donne. C’era una volta. C’era una volta il Partito Radicale. No, non come adesso. Più chiaro, più giusto, più forte. C’erano le Grandi Battagli Civili. Si lottava.

Da bambina immaginavo mia madre in calzoncini di raso  su un ring  appoggiato al fiume, dalle parti dell’isola Tiberina. I pugni chiusi nei guantoni. 
Che cos’è lottare?
C’erano le lotte. Un tempo. Una volta. C’erano.

“Che cos’erano le lotte mamma?”

Si vuole forte forte qualcosa e si chiede tutti insieme.

“Come la Barbi trapezista?”

“No deve essere qualcosa che serve a tutti. Come mandare un cargo pieno di Barbie trapeziste ai bambini del  terzo mondo.”

Immaginavo bambini neri che giocavano con le Barbie trapezista fuori dalla Capanna dello Zio Tom.
E mia madre con i guantoni. E tutte le sue amiche anche loro con i guantoni. Mentre grossi cavalli grigi con i fianchi sudati si impennavano contro i loro corpi svestiti.

Fra la polizia e mia madre c’era, quel giorno, qualcosa di astratto e utilissimo per l’umanità. Un referendum. Il divorzio. La legge 194.

“Si tratta di diritti tesoro. Non te li danno volentieri”


Quand’ero bambina mi immaginavo mia madre a capo di una delegazione  che va dal Re e chiede pane, lavoro pace e libertà.

A dodici anni, il giorno del compleanno in cui uscii dall’età pediatrica , incominciai ad immaginarmi mia madre  con una grossa pancia a forma di uovo  mentre corre incontro a uno sbarramento di cattivi in tuta mimetica. Niente cavalli, ormai vedo carrarmati e fucili.

“Mamma perché andavi a fare cose pericolose come le lotte con me dentro l’utero? E se morivo?”

Per tutta l’adolescenza abbiamo litigato il giorno del mio compleanno.

“La mamma di Cristina ha fatto sei mesi di ginnastica perparto, tu andavi alle manifestazioni.”

“Io non sono un animale addetto alla riproduzione come quella vacca idiota della madre di Cristina.”

La madre di Cristina preparava cenette meravigliose, era gentile, non si dava arie, aveva licenziato la gioventù con discrezione attorno ai 35 anni. Ed era riuscita a tenersi un marito.
Ma naturalmente era una vacca idiota.

Mia madre ha rischiato di ammazzarmi prima della nascita, perché quella giornata di sole e di battaglia non se la sarebbe persa per niente al mondo.

“Correvo con la pancia. E allora?”

Mia madre non era una vacca idiota.

E poi non avrebbero dovuto esserci incidenti. Era una festosa manifestazione di maggio.

“C’era il palco in piazza Navona. Eravamo in tanti. C’era anche tuo padre. Mi infilava continuamente dentro i portoni, prima quando scappavamo nella stradine attorno a Campo de’ Fiori. Mi spingeva nel buio, crucciato. Come è sempre lui. Vai vai vai! Ricordo il tonfo del portone alle mie spalle. L’odore del cibo cucinato a pranzo. Era  giovedì c’era quest’umidità delle case vecchie, e odore di uova, peperoni. Aglio nell’aria, aglio fritto . Appoggiavamo le spalle a muri scrostati e tuo padre mi metteva una mano sulla pancia”.

Me lo racconta tutte le volte.

Me lo racconterà anche stasera.

“Tuo padre sentiva i tuoi piedini. Al riparo della polizia, nel portone. Scappando.”

Quanto mi perseguiterà ancora quel pomeriggio di sole? Quel presepe iconoclasta, di madonne scarmigliate e san Giuseppe accigliati e gioia e morte.

Quanto ancora?

E’ un quarto di secolo oggi.

“Sai, tesoro, si sentiva sparare,piccoli secchi palpiti, patùc, patùc, ti guardavi attorno, giravano vestiti come noi, a imitazione della nostra sbandierata povertà di esteti dell’usato rivoltato sfilacciato e lurido.  Ci copiavano i calzoni e le magliette  i fazzoletti a coprire il viso. Si fingevano noi, per sparare e far credere che eravamo noi che era fra noi che si annidava la violenza.”
…. Patùc, patùc….

Me lo racconterà ancora.

Ha imparato a distinguere il palpito della pistola dal fischio del lanciarazzi, dal tonfo della scacciacani, dal botto del lacrimogeno.

Ha imparato.

Aveva la mia età.

Venticinque più venticinque cinquanta.

Io non so distinguere il patùc di una pistola dal puf del lancio  di un lacrimogeno dal tatatà di una mitragliatrice.
Non mi vesto tutti i giorni nello stesso modo. Sarebbe difficile copiarmi. Adesso, per esempio, mentre salgo le scale della sua casa, ho una gonna di tela bianca e le espadrillas e una camicetta di seta.

Lei mi apre la porta e ha questi pantaloni militari largotti e pieni di tasche. Tutte le tasche sono piene , le spuntano oggetti dappertutto.

“Sembri un magazzino mamma.”

Mi bacia ha gli occhi lucidi                    .

E’ ancora così sottile, così svagata, ha gli occhiali da presbite, un metro da sarta, una ghirlanda di lecca lecca. Tutto appeso al collo.
Ha piccole rughe sotto gli occhi.
Ha sicuramente pianto.
Lo capisco da come mi abbraccia stretta.

“Buon Compleanno Giorgiana”



E’ una  bella responsabilità chiamarsi come una ragazza che è morta tre ore e quarantacinque minuti prima che tu nascessi, che è arrivata, già morta, nello stesso ospedale in cui sei nata, che correva vicino a tua madre, più giovane ancora di lei, che forse le ha anche dato una mano, perché a correre la gravidanza di sbilancia, che prima di aiutare  tua madre ha mandato a casa una bambina di 11 anni che era finita in quel subbuglio per caso  uscendo dalla lezione di danza  e che l’ha poi riconosciuta sui giornali del giorno dopo e che ha testimoniato  della sua gentilezza e senso materno….. è una bella responsabilità, nascere con una morte addosso.

Mia madre ha cucinato un risotto colloso e un arrosto stopposo. Ma il vino è buonissimo.

Beviamo.

Gli occhi di mia madre spaziano inquieti fra la finestra aperta percorsa dal volo delle rondini  la libreria sovraccarica di volumi.

“Lei avrebbe ancora , 50 anni” dice.

“No” convengo, “ne avrebbe 44.”

“Chissà com’è…..rimanere per sempre giovani…..”

“Brutto.”

“Tu sei già più vecchia di lei…..”

“Per questo lo so che è brutto, rimanere per sempre giovani, io sono già stufa, vorrei averli  anch’io i tuoi brutti ricordi. Se il male è già successo non tocca aspettarne altro.”

La prima bottiglia è finita. Mia madre apre la seconda. Abilmente, rapidamente , la annusa, ne sbocca un po’, ne versa un po’, fa girare il liquido e beve.

“Diciotto euro e cinquanta” recita, chiude gli occhi “però: valeva la pena.”

Bevo.

A lei scivolano fuori due lacrime dagli occhi socchiusi per l‘estasi alcolica.

“Questo vino è un poema epico” dico.

Lei piange silenziosamente, senza  che alcuna contrazione del viso contrasti il fluire del liquido, giù  per le gote, sul mento.

“Il vino… deve essere buono….  Se no è inutile.”

“Infatti.”

Le porgo un kleenex.

Si soffia il naso ride.

“Tu sei il tipo di ragazza che ha sempre  i kleenex nella borsetta.”

Sorrido, in attesa.

“Questa notte ho fatto di nuovo il sogno…”

Le lacrime si disordinano, adesso il viso di mia madre è chiuso a pugno, naso, zigomi, mento, bocca, tutto è in lotta contro il pianto. I singhiozzi le scuotono le spalle magre. Mi alzo da tavola ad abbracciarla. La fragilità del suo scheletro mi impensierisce.

“Mamma  mangi?”

La domanda è incongrua, sono incongrui i ruoli come si disegnano ogni tanto fra noi. Ma lei è una donna ferita, figlia di una generazione ferita. Io no, sono figlia di tempi ottusi. Noi si fatica a provare emozioni, possiamo indossare tute virtuali, custodie che scaldano il cuore, possiamo rimpinzarci di dolcezze , ma viviamo la nostra primavera di plastica. Senza ossessioni.

“Raccontamelo mamma, il sogno.”

“Oh è sempre il solito”.

Si accende una sigaretta. Sbuffa il fumo con decisione.

“Non avrei dovuto chiamarti come lei. Ogni tuo compleanno è un rintocco funebre.”

“E’ giusto non dimenticare.”

Mi guarda con tenerezza, più che guardarmi mi contempla.

“Tu sei il tipo di ragazza che dice sempre la cosa giusta.”

“Non è vero.”

“Non dovevo chiamarti Giorgiana, Giorgiana, mi sono appropriata della tua vita, sei nata sotto il segno di un crimine e Freud mi punisce….”

Torno a sedermi, il livello del vino scende nella seconda bottiglia.
Mia madre porta in tavola una crostata di frutta, che, per fortuna, è stata prodotta dal pasticcere e non dal suo disordine culinario.
Accende venticinque candeline, tutte un po’ corte, sporche di vecchie torte, sporche.

“Soffia!”

Si è dimenticata di invitare mio padre, non si è dimenticata di farmi un regalo: un bellissimo paio di occhiali da sole, lenti Persol, montatura Armani.

“Mamma proprio tu che detesti le firme…”

“Almeno questo son riuscita a non fartelo pagare, povera bambina.”

Gli occhiali sono bellissimi, e poi nascondono gli occhi, li metto, la guardo non vista.
Potrei raccontarlo io il sogno.

……Davamo le spalle al fiume, correvamo avanti, patùc patùc, la ragazza che corre accanto a me ha i capelli lunghi la scriminatura li divide in due, dondolano castani, danzano compatti, spessi come nastri attorno al suo viso piccolo, picchiano sulle spalle, la vedo cadere. Ricordo benissimo l’inerzia. Non cade così chi prende una storta, chi inciampa. Cade così chi è, momentaneamente, senza vita. Mi chino su di lei . Nel sogno mi chino su di lei…..

Non nella realtà. Nella realtà la mia madre reale , di anni venticinque, studentessa universitaria fuori corso, incinta di otto mesi, vede cadere Giorgiana Masi, di anni diciannove, lei pure studentessa, la sente dire distintamente “Oddio che male”, e continua a correre.

“Nei sogni si è sempre un po’ migliori che nella vita vera. Apposta si sogna. Non un futuro radioso, ma un più radioso io, un io più eroico”.

“Quando la smetterai di tormentarti per non esserti fatta sparare, per aver difeso me, che ero un grosso girino innocente, che nuotavo ignara dentro di te, quando la smetterai mamma?  Non avresti  potuto fare altro che spostare la morte un po’ più in là, cosa che altri hanno fatto…… mamma, dai….”

Si accende un’altra sigaretta, mentre la precedente invecchia di cenere sull’orlo del piatto.

“Nel sogno la salvo.”

Sorride , come per una decisione coraggiosa.

Mi consento di sdrammatizzare.

“Io nel sogno trovo lavoro.”

Mi sono laureata  due anni fa. Filosofia. Centodieci, lode, bacio accademico. Stretta di mano del Preside di facoltà. Mi mancava soltanto lo stupro del rettore, poi avevo collezionato tutte le carnalità simboliche  della perfetta studentessa.
A parte tre mesi ad insegnare step dance alle amiche della nuova donna di mio padre non ho mai lavorato. Nei sogni colleziono proposte per posti ad elevata qualificazione teorica. Si sogna quello che non si è disposti a desiderare nello stato della veglia.
…..è da quando hanno ammazzato Carlo Giuliani.”

Ho perso l’inizio della frase.

“Che cosa?”

Mia madre si alza da tavola e incomincia a sparecchiare. Non è un buon segno, quando la cena è andata bene, quando sta  bene, mia madre sparecchia il giorno dopo, quando si sveglia, ascoltando la lettura dei giornali.
La aiuto meccanicamente, ci muoviamo fra il salotto e la cucina, silenziose.
Ho ancora sugli occhi gli occhiali da sole.
L’azzurro carico che segna la fine dei pomeriggi  di quasi estate è diventato nero. Mia madre ha acceso la luce, mi striscia una carezza sui capelli.

“E’ buio. Togliteli o andrai a sbattere.”

Non so com’è che finiamo abbracciate.
E poi sul divano. Le offro una canna che ho preparato per lei a casa, prima di venirmi a farmi festeggiare. Fuma con un complicato sistema che ha imparato negli anni settanta.

“Buona. Pakistano nero?”

“Macchè pakistano, la fa crescere Peppe nel giardino di sua nonna all’Eur.”

“Fuma anche sua nonna?”

“Ma dai…. Peppe si scoccia perfino che fumo con te, a sua nonna ha detto che è hierba buena, quella che usano a Cuba per fare il mojito.”

“Perché si scoccia che fumi con me?”

“A lui piacciono le madri regolari”

“Come la madre di Cristina, te la ricordi?”

“La vacca idiota?”

Ridiamo.

“Lo sai che Cristina è incinta’”

Finisce la canna in un unico avido respiro. Ed è di nuovo triste.

“Ti secca che non ho invitato papà?”

“Ma no figurati….”

“E’ che proprio non lo sopporto , non sopporto quando si pavoneggia di questa scema col  botto che ha sposato.”

“Prima o poi dovrai digerirla.”

“Ma io a lei la digerisco….è lui che mi è rimasto sullo stomaco.”

Ridiamo ancora un po’, beviamo una grappa, un’altra,un caffè, finiamo il vino.

“Tuo padre non me l’ha mai perdonata  di aver rischiato di non farti nascere.”

“Digli di prendersela con Cossiga, è lui  che ha vietato la manifestazione no? Che ha coperto l’operato della polizia, tu eri soltanto una ragazza di sinistra che manifestava in piazza in un pomeriggio di sole.”


“Quando ho sentito le doglie mi sono appoggiata al muro del cinema Reale…..te l’ho già raccontato?”

“Ventiquattro volte, ma ricordo soltanto le ultime diciotto.”

“Da quando è morto Carlo Giuliani ho capito che il tempo non passa mai. Patùc, patùc…..fine. Io ho una figlia che avrà dei figli che avranno dei figli. Giorgiana no. Neanche Carlo. C’è quacosa di osceno nella morte dei giovani. Vite interrotte prime di entrare nel ciclo della ripetizione. Della riproduzione. Prima che il lusso estremo della noia abbrevi i tempi della nostalgia, l’ansia della rappresentazione. Chissà se se ne rendono conto, quelli che premono il grilletto, perché così hanno avuto ordine di fare, perché hanno imparato a sparare, chissà se se ne rendono conto che stanno creando questo terribile squilibrio, che stanno interrompendo una vita?”


La guardo: ha soltanto due rughe, ma sono profonde, le chiudono il sorriso in una parentesi tonda, anche quando non sorride.
Anche adesso, che va a prendere dal lavello un mazzo di fiori di campo, umidi, saturi di profumo, e dice: “Andiamo, ti va?”

Mi va.

Mi deve andare. Mi va tutti gli anni, da quando ho memoria.

Camminiamo con un passo assurdamente atletico, come se qualcuno   volesse fermarci , come se dovessimo sfuggire a qualcosa. Che abbiamo detto, oppure sottinteso.

Arriviamo al punto esatto in cui Giorgiana è caduta e sono io, come tutti gli anni ad appoggiare i fiori.
Ce ne sono degli altri, molti altri. Ce ne saranno sempre, tutti i 12 maggio. E continuano a essercene, anche quando quelle dell’età di mia madre saranno morte di vecchiaia. Ci penserò io, e dopo di me….?

Sono passati venticinque anni. Tutta la mia vita, tutta la vita che lei ha vissuto.

“Sarebbe ora che facessi un figlio anche tu, se c’è riuscita quella deficiente di Cristina….”

“D’accordo, mamma, lo farò….. se Peppe è d’accordo.”

Mia madre fa una piroetta.

“Oh Peppe non è mica l’unico portatore sano di spermatozoi di questo mondo!”

Si allontana da me quasi correndo, mi saluta con un ondeggiare della mano. Una ragazza che licenzia i suoi fantasmi e torna a casa a disperarsi. Come se andasse ad una gita.
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Il testo è tratto dal libro “In ordine pubblico, 10 scrittori per 10 storie” curato da Paola Staccioli, pubblicato nel 2005 in collaborazione con l’Associazione  Walter Rossi.


giovedì 11 maggio 2017

Rialto: noi non parteciperemo al bando!


Associazione Culturale Rialtoccupato, Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, Attac Italia, Transform Italia, Maschile/Plurale, Archivio Storico di Critica Marxista, Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, ADP - Associazione Diritti Pedoni di Roma e Lazio, Associazione Culturale Circolo Gianni Bosio
 

“Roma Capitale intende concedere in comodato d'uso gratuito, ad Enti rientranti nelle previsioni dell’articolo 48, comma 3, lettera c) del D.Lgs, 159/2011, l’immobile sito in Via Dell’Acqua Bulicante, n. 316, confiscato alla criminalità organizzata, ai sensi dell’articolo 24 D.lgs. 159/2011, disposto dal Tribunale di Roma Sezione M.P. e per il quale questo Ente ha avviato le procedure per l’assegnazione dell’immobile in oggetto, per lo svolgimento di attività e progetti socio-culturali volti a promuovere la collaborazione tra cittadini e Amministrazione per la valorizzazione dei beni comuni urbani, con particolare riguardo ad iniziative di sensibilizzazione sul valore sociale delle risorse idriche comunali”. 

Questa è la soluzione che l'amministrazione comunale pentastellata propone dopo aver sgomberato per la seconda volta il Rialto. Evidentemente questi nuovi amministratori, che della onestà hanno fatto il loro slogan elettorale, una volta entrati in campidoglio si sono subito adeguati a vecchie logiche politiche basate su una gestione del potere becero e volgare.

Ma veramente si può pensare che promettere un'immobile a uso gratuito avrebbe pulito coscienze e ridato dignità a coloro che hanno sgomberato un luogo storico di democrazia sostanziale?

Ma veramente si può pensare che usando la parola “bando” ci si assicuri trasparenza e buon governo?

Già si era partiti male già nei primi incontri dopo la ri-occupazione del Rialto quando responsabili dell'assessorato al patrimonio facevano girare foglietti con indirizzi di immobili destinati alla edilizia residenziale pubblica paventando soluzioni imbarazzanti e immediatamente respinte al mittente.

Non è bastato il nostro comunicato stampa del 18 aprile dove si ribadiva con chiarezza e alla luce del sole che la soluzione era una e coerente con tutti gli atti e le procedure amministrative in essere: attuare la delibera di Consiglio Comunale 40/04 che prevede lo spostamento delle realtà del Rialto all'ex autoparco dei vigili urbani di via delle mura portuensi.

Ma soprattutto ci domandiamo che differenza passa tra quello di cui oggi parliamo con le pratiche politiche che hanno portato a mafia capitale o al vecchio motto democristiano “frà che te serve”?

Si continua così ad alimentare un meccanismo clientelare, al limite della corruzione, per cui l'Amministrazione si erge a giudice, in maniera del tutto arbitraria, di quali realtà possano usufruire del patrimonio pubblico.

La giunta Raggi da questa vicenda ne esce devastata: sgombera il Rialto e costruisce un bando ad hoc imbarazzante per il Forum dei Movimenti per l'Acqua.

Un bando che proprio identificando l'oggetto nel solo tema dell'acqua e dei beni comuni cancella la pluralità degli ambiti su cui intervengono da anni le realtà presenti al Rialto.

Un bando che non è neanche tale fino in fondo in quanto si tratta di un avviso e infatti si afferma "La documentazione del bando di gara per l’assegnazione dell’immobile, in concessione in comodato d’uso gratuito, verrà definita solo al perfezionamento delle procedure di acquisizione e della effettiva disponibilità del bene confiscato e, pertanto, la presente procedura non è vincolante per questa Amministrazione."

Così si scopre il trucco, ovvero l'immobile non è ancora nell'effettiva disponibilità del Comune ma evidentemente c'era fretta di provare a costruirsi un'alibi in previsione dell'imminente sgombero che infatti è avvenuto, guarda caso, il giorno successivo alla pubblicazione dell'avviso stesso.

Ci sottraiamo convintamente a questo ricatto e proseguiremo la mobilitazione per individuare la soluzione reale e concreta che può garantire l'effettiva continuità alle attività finora svolte.

Soprattutto facciamo appello alla cittadinanza, a quella parte che non si fa ingannare da un simulacro di legalità, da una trasparenza opaca, da una partecipazione impossibile. 
La invitiamo a partecipare con i propri corpi, nelle piazze e nelle centinaia di spazi sociali della città. Dopo le 10.000 persone che hanno sfilato sabato 6 maggio a Roma contro le politiche della giunta Raggi, la città solidale è più viva che mai!
Roma, 11 Maggio 2017.

Contenimento dei cinghiali a Cassino: "si vede il dito ma non la luna"

Alessandro Barbieri e Salvatore Avella  



«E continua l'inosservanza delle linee guida nazionali per il contenimento degli animali selvatici». Così esordiscono gli esponenti di Fare Verde di Cassino e la Consulta dell'Ambiente di Piedimonte San Germano in relazione all'ordinanza nº 99 del 21/04/2017 "Ordinanza contingibile e urgente relativa all'allontanamento e/o abbattimento e/o cattura di alcuni cinghiali selvatici allo stato brado". «Giovedì 11 maggio abbiamo diffidato il Sindaco di Cassino, Carlo Maria D'Alessandro, dal consentire la messa in atto degli indirizzi operativi oggetto dell'Ordinanza del Comune di Cassino n. 99 del 21/04/2017, in quanto illegittimi, illeciti ed irragionevoli e, contestualmente, invitato gli organi competenti a promuovere immediatamente ogni intervento volto a determinare, in autotutela, l’annullamento della stessa. E' inammissibile che il Comune di Cassino ordini la cattura e/o l'abbattimento dei cinghiali senza neanche aver effettuato preventivamente il "censimento faunistico", ossia la ricostruzione di "dimensione" e "struttura" della popolazione provinciale del Sus scrofa (cinghiale). Altra colpa è non aver coinvolto le associazioni animaliste e ambientaliste che, nel settembre 2014, vollero e ottennero un primo tavolo tecnico tra Polizia Provinciale, Corpo Forestale dello Stato, Parco dei Monti Aurunci e lo stesso Comune. Come spiega il biologo Francesco Petretti: “La falla è rappresentata dai ripopolamenti che ancora oggi vengono fatti annualmente a ritmo di decine di migliaia di capi. Inutile pensare di risolvere il problema del sovrannumero dei cinghiali se prima non si tappa la falla, arrestando questo fiume di esemplari liberati ogni anno dalle strutture pubbliche e private per alimentare una crescente domanda venatoria”. Eppure, nonostante i danni perpetrati al territorio, le associazioni venatorie continuano ad avere ascolto presso le istituzioni. E' bene ricordare che l'art. 11 della "Legge quadro sulle aree protette" (Legge 6 dicembre 1991, n. 394 e s.m.), sui parchi prevede il divieto di “cattura, uccisione, danneggiamento, disturbo delle specie animali”, e che pertanto per poter cacciare occorrerebbe modificare la legge. Dunque, è altrove che bisogna indirizzare le forze per la risoluzione del problema e non puntare il dito, anzi il fucile, contro animali selvatici indifesi. La colpa, pertanto, - concludono Avella e Barbieri - ancora una volta è nella specie uomo e non già nella specie animale.»

mercoledì 10 maggio 2017

Malcom X e le elezioni a Frosinone.

Luciano Granieri

1bis
"Bisogna innanzitutto svegliare la gente. Non si può assegnarle un programma finchè essa non si rende conto di averne bisogno".

Malcom X

Questa verità  è stata  affermata    da un tizio  che ha lottato per i diritti civili dei neri ,   nato a Omaha nel Nebraska 92 anni fa e morto assassinato a Washington  Heights New York nel 1965.   Tale  concetto  potrebbe essere tranquillamente attribuito a gente di Frosinone incazzata, come il sottoscritto, costretta a lamentare una predisposizione dei propri concittadini alla narcolessia ogni volta  che si presenta la riffa elettorale per la poltrona di sindaco. 

I Frusinati  - anestetizzati dai buoni   benzina, dalle regalie trovate sotto i piatti nelle cene elettorali, dalle gesta di medici, avvocati,  ingegneri, che spacciano i propri doveri professionali   per preziosi servigi degni di una lauta ricompensa elettorale - non si rendono conto delle necessità di  un programma organico  indispensabile  a far uscire la propria città dal degrado. 

Su questo sonno del diritto di cittadinanza  le consorterie democristiane, socialiste riformiste corrette al fascismo, post democristiane, liberali dispotiche,  in decenni di governo cittadino, hanno spinto Frosinone ad essere una delle città più inquinate d’Italia  con una incidenza di disoccupazione e  povertà di  gran lunga superiore alla media nazionale.  

 Nonostante questi disarmanti risultati nella prossima tornata elettorale,  due soggetti che fondano saldamente le radici della loro campagna elettorale sull’atavica narcolessia frusinate, ovvero il despota liberale Nicola Ottaviani ed il  post democristiano, maldestramente  ricoperto da scrostata vernice socialista riformista, Fabrizio Cristofari ,  quasi sicuramente si contenderanno la poltrona di sindaco al ballottaggio. 

C’è che ci sta provando ad assegnare un programma al popolo dormiente. La lista Frosinone in Comune, formata da movimenti della sinistra variamente allocata  a sostegno del  candidato  Stefano Pizzutelli, dopo diversi tentativi precedentemente naufragati, ritenterà, confidente in un fato meno cinico  e baro . Il neofita Movimento 5 Stelle,  con il candidato Christian Bellincampi, forte del consenso nazionale, è convinto di suonare una deflagrante sveglia e imporre il suo programma ad una cittadinanza improvvisamente diventata consapevole.  

Curiosa la posizione della lista la Tenda, la quale dopo aver passato anni  a tentare  di rianimare  gli inerti cittadini frusinati, si consegna come amorfo corpaccione pentothalizzato all’Orfeo post democristiano  Cristofari. Il  sonno della ragione genera mostri, forse  per certi soggetti della Tenda potrebbe generare qualche posticino all’ombra del sottoscala consiliare, e tanto basta per non svegliare il can che dorme. 

Per quanto mi riguarda credo che la massima di Malcom-X sia dannatamente applicabile  ancora oggi alla narrazione elettorale frusinate. Non si può assegnare un programma alla gente di Frosinone se questa non si rende conto di averne bisogno  e   per svegliarla non basterebbero neanche certi   potenti botti tipo quelli che vengono sparati dal Casermone per avvisare gli spacciatori che è arrivata la roba. 


Per illustrare meglio la situazione propongo una video clip in cui la  musica sarebbe tanto piaciuta a Malcom-X . Si tratta del brano “I got my brand on you” un blues classico di Muddy Waters, eseguito dai Mojo Coffee Blues un gruppo autoctono, ciociaro puro sangue. Così  tanto per sancire il connubio fra rivendicazione dei diritti dei neri e rivendicazione dei diritti dei frusinati.

Good Vibrations


martedì 9 maggio 2017

La mafia liquida è una montagna di merda.

Luciano Granieri


E’ il  pomeriggio piovoso di un 9 maggio in cui la mancanza di Peppino Impastato rimbomba in un  vuoto fragoroso.  Siamo a Ceccano in una piazza a lui dedicata. La targa che lo ricorda dista poche centinaia  di metri da una statua di Padre Pio. Paese che vai Padre Pio che trovi. Più difficile trovare Peppino. E  per questo va dato merito al circolo di Rifondazione Comunista di Ceccano per aver voluto fortemente dedicare, qualche anno fa,  un luogo di condivisione sociale al redattore di Radio Aut. 

Nonostante il mal tempo militanti di Rifondazione e altri compagni variamente comunisti, si sono dati appuntamento sotto la targa per donare un fiore a Peppino.  Attorno al cippo, adornato di fiori, l’evocazione della lotta sociale contro la mafia è inevitabilmente confluita nelle analisi del presente: situazione politica  generale, elezioni comunali a Frosinone. 

Provando ad estraniarmi da quel contesto, cerco di immaginare Peppino a 69 anni, vivo  in mezzo a noi. Me lo vedo discutere animatamente sul senso di una comunità che si è imbarbarita. Lo immagino sollecitare  tutti noi, con ironia, a ritrovare il senso di un’umanità perduta. Sento la sua voce contraddistinta dal suo tipico accento, esortare a non arrenderci , a lottare ancora di più e con coraggio. Perché anche la mafia come la società è diventata liquida (Chissà se   Bauman  sarebbe stato uno dei suoi autori preferiti?).

 E la mafia liquida non uccide solo chi vi si oppone. La mafia liquida è molto più crudele perché colpisce  nel mucchio.  Stermina ogni giorno centinaia di donne e uomini  lasciati affogare in mezzo al mar  Mediterraneo, costretti a fuggire da quei posti che una virulenta e prevaricatrice azione mafiosa ha depredato, bombardato, reso invivibili, devitalizzati  dalla corsa  all’accumulazione e all’arricchimento smisurato. La mafia liquida, getta nella disperazione famiglie intere dopo aver succhiato loro anche l’ultima stilla di dignità, depredando il  reddito da lavoro per annetterlo al gioco della moltiplicazione del profitto. 

La mafia liquida è diventata invasiva perché anche noi, cosiddetti  compagni,   abbiamo perso la strada, orfani di una visione chiara sul perseguimento di  una società più giusta e umana. Orfani delle dinamiche di condivisione delle nostre  pur cospicue risorse intellettuali e materiali.  Ciechi  e sordi innanzi alle richieste di aiuto provenienti proprio dalle vittime della mafia liquida. 

Chissà cosa avrebbe  detto il quasi settantenne Peppino di certi tradimenti e cedimenti che spesso avvengono in concomitanza delle  elezioni?  La campagna elettorale in atto nel Capoluogo è un esempio eclatante in questo senso. Pensare che lui è stato assassinato proprio prima di concorrere alla amministrative  di Cinisi. 

Quale sarebbe stato l’atteggiamento di Peppino innanzi alle menzogne profuse dai media, oggi assurte al titolo nobiliare di  post-verità? Lui, che attraverso Radio Aut, aveva annientato la post-verità seppellendola con la Verità dalla “ V” maiuscola. 

Mentre questi pensieri mi flagellano i neuroni, altre persone continuano a mettere fiori sotto la targa, e il cielo si apre a luminosi raggi di sole. Peppino ci manchi.


lunedì 8 maggio 2017

Non ci “interessa una “sinistra” alla Pisapia

Riceviamo e pubblichiamo da Maurizio Acerbo segretario Nazionale di  Rifondazione Comunista.




Odg approvato dal Comitato politico nazionale, Roma 7 maggio 2017

L’ottimo risultato del compagno Melenchon e del movimento la France Insumise nella campagna elettorale presidenziale francese ci parla ancora una volta della possibilità per la sinistra antiliberista di diventare il punto di riferimento per la costruzione dell’alternativa.
Il risultato di Melenchon contrasta plasticamente con la situazione italiana in cui, a fronte di un protagonismo delle destre populiste e tecnocratiche e ad una disastrosa situazione sociale, non è in campo una proposta della sinistra di alternativa in grado di parlare al paese. Addirittura in Italia, con l’iniziativa di Pisapia, si è riaperto un vetusto dibattito sulla ricostruzione del centro sinistra, come se questo non fosse all’origine della sconfitta delle classi popolari e della sinistra stessa e come se non sia venuta proprio dal PD l’offensiva contro i diritti sociali, i beni comuni e la stessa Costituzione nata dalla Resistenza.
Proprio il risultato francese, e tante altre esperienze europee, dimostra che le posizioni di una sinistra radicale e in netta rottura con classi dirigenti delegittimate possono conquistare consenso popolare, anzi che solo una sinistra radicale può contrastare il diffondersi nei ceti popolari della destra razzista e xenofoba che cresce proprio in conseguenza delle politiche neoliberiste sostenute in Europa dai governi di centrodestra e centrosinistra.
Se la drammaticità della situazione sociale pone la necessità della costruzione della sinistra, il risultato francese ci parla della possibilità di costruire – anche in Italia – una soggettività antiliberista, antirazzista, democratica e ambientalista popolare e di massa che rilanci la lotta per l’attuazione della Costituzione. Una sinistra che avanzi una proposta al paese, una proposta radicalmente alternativa al complesso dei poli politici presenti, dalle destre al centro sinistra, al movimento 5 stelle.
In Italia il tema non è quello di ricostruire il centrosinistra ma di una sinistra alternativa rispetto al PD. Sarebbe un gravissimo errore, con logiche politiciste e di sopravvivenza di ceto politico che non ci appartengono più, rinunciare a un progetto autonomo della sinistra antiliberista.
Rifondazione Comunista non è disponibile per proposte politiche che perseguono l’alleanza col PD, prima o dopo le elezioni.
Lavoriamo da anni per l’unità della sinistra antiliberista e dei movimenti. La sinistra che vogliamo è quella che si espressa negli ultimi anni nei conflitti sociali, nelle lotte, nei movimenti per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale e la pace. Mai come oggi il ritardo in Italia nell’avviare un processo come quello che abbiamo proposto per anni lascia un vuoto che richiama alla responsabilità tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto la prospettiva di un’alternativa in Europa e in Italia, alle politiche non solo di Renzi ma del complesso del Partito Socialista Europeo e alle politiche dominanti nell’Unione Europea che hanno visto la condivisione di liberali, socialisti e popolari.

Il CPN approva le indicazioni emerse dal dibattito e nelle conclusioni del segretario su contenuti, profilo e interlocutori del progetto unitario di una sinistra autonoma e antiliberista.

domenica 7 maggio 2017

Un fiore per Peppino



Martedì 9 Maggio dalle ore 17 in poi a Ceccano, presso il Piazzale Peppino Impastato, ricorderemo con un'iniziativa pubblica la figura di Impastato e di tutte le vittime causate dalla mafia.
Peppino Impastato ucciso con metodi infami e brutali il 9 Maggio 78 (stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro a Roma ) rimane il simbolo della politica onesta, quella che lui Peppino stava cercando di portare avanti nel suo piccolo paese ( Cinisi ), rimane il simbolo della  gioventù e della libertà, rimane un simbolo di dissidenza verso un intero sistema colluso e mafioso.
La storia di Peppino ci insegna che nella Vita ci vuole coraggio per cambiare le cose altrimenti non cambieranno mai, ci insegna che bisogna metterci la faccia, ci insegna che basta un gruppo di amici o di compagni per fare attività politica e sociale onesta ma ci insegna anche che per fare tutte queste cose spesso diventiamo i nemici di qualcun'altro, i nemici di chi vuole che le cose non cambiano mai né in un piccolo paese di Provincia né del resto d'Italia, i nemici che sono disposti a farti pagare con la vita le proprie azioni o le proprie idee come purtroppo è successo ad Impastato, nato da una famiglia mafiosa, riputandola e andando in una "direzione ostinata e contraria".
Ma affinché questa morte non resta invano come tante altre morti e violenze dettate dalla mafia, dall'omertà, dai potenti, dal sistema ed ecc ecc ecc, noi non dobbiamo stare zitti, se pensiamo che qualcosa la dobbiamo dire bisogna dirla, se vogliamo fare qualcosa la dobbiamo fare senza cedere ad intimidazioni, vergogna o giudizio di terzi.
Noi, solo noi, siamo gli artefici di noi stessi nel bene e nel male, possiamo decidere da che parte stare.
Ogni giorno è un giorno buono per lottare, per credere di cambiare, per soffrire se c'è da soffrire e per ridere con spensieratezza se c'è da sorridere. 


Frosinone 07.05.2017                               

                                 Paolo Ceccano / Segretario Provinciale Prc-Se
                             Adriano Papetti / Segretario Circolo “5 Aprile Ceccano”