Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 9 dicembre 2017

Trump, Gerusalemme e l’indifferenza araba verso la Palestina

Mariam Barghouti 



Trump, Gerusalemme e l’indifferenza araba verso la Palestina
di Mariam Barghouti 




I palestinesi hanno provato un senso collettivo di ansia e rabbia quando il presidente Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti riconoscono formalmente Gerusalemme come capitale di Israele e inizieranno il processo di trasferimento della loro ambasciata da Tel Aviv alla città.
Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele è un altro doloroso colpo al morale palestinese poiché dimostra ancora una volta come le potenze internazionali agiscano senza accettare o riconoscere l’esistenza dei palestinesi, nonostante sia la popolazione che subisce il peso delle conseguenze.
Il problema della dichiarazione USA, tuttavia, non si basa sul riconoscimento e sull’affermazione in se’, ma sulla serie di eventi che hanno portato alla sua concretizzazione. È il culmine del fallimento internazionale nell’affrontare le violazioni di Israele dei diritti umani, il continuo sostegno degli Stati Uniti a Israele, l’incompetenza della leadership palestinese nel raggiungere soluzioni attraverso gli sforzi diplomatici e, più recentemente, la nuova amicizia che l’amministrazione statunitense sta costruendo con alcuni Stati arabi.
La storia si ripete.
Quest’anno – anno in cui Gerusalemme è riconosciuta dagli Stati Uniti come la capitale di Israele – segna anche 100 anni da quando Lord Balfour concesse al movimento politico sionista il diritto a una patria ebraica in Palestina. L’ultima decisione americana, quindi, riecheggia la stessa posizione secondo cui le potenze internazionali possono ignorare la popolazione indigena palestinese e il loro diritto all’autodeterminazione.
La dichiarazione di Balfour non solo dimostrò i pericoli di tali affermazioni unilaterali, ma provò anche che Israele le impiegherà per far avanzare il proprio programma coloniale. La dichiarazione del 1917 spianò la strada alla milizia sionista per radere al suolo i villaggi palestinesi e conquistare la terra palestinese, e oggi la dichiarazione di Trump legittima questa storia di violenza fornendo a Israele un costante sostegno.
Trump aveva ragione affermando che “Gerusalemme è la sede del moderno governo israeliano. È la sede del Parlamento israeliano, della Knesset e della Corte suprema israeliana. È la sede della residenza ufficiale del primo ministro e del presidente. È il quartier generale di molti ministri del governo”.
Gerusalemme è stata infatti considerata la capitale di Israele per decenni, anche se non ufficialmente. È per questo che il riconoscimento di Trump è stato reso possibile. Il lavoro preliminare era già in atto e così tutto ciò che ha portato fino a questo momento è la prova della bancarotta morale della comunità internazionale quando si tratta della situazione palestinese.
Il governo israeliano ha imposto un controllo assoluto e completo sulla popolazione palestinese a Gerusalemme, proprio come ha fatto in altre città e paesi palestinesi. I palestinesi gerosolimitani possiedono solo documenti di residenza, che possono essere revocati in qualsiasi momento; Israele demolisce continuamente case nei quartieri palestinesi con il pretesto che mancano di permessi, e i giovani palestinesi sono bersagliati in modo discriminatorio dalle forze israeliane.
Sono queste politiche israeliane, le stesse politiche contro cui i palestinesi hanno protestato per anni, che hanno messo a tacere le voci palestinesi così che Gerusalemme possa essere presentata di fatto come israeliana.
I leader arabi ignorano le grida dei palestinesi.
Ciò che è ancora più angosciante è che ciò non sarebbe stato possibile senza i compromessi raggiunti dalla leadership palestinese. La politica palestinese è stata segnata da rivalità tra fazioni, collaborazione sulla sicurezza con l’intelligence israeliana a spese dei palestinesi e una serie di concessioni sotto forma di accordi e trattati che non hanno mai incapsulato i fondamenti delle richieste palestinesi; giustizia, liberazione e dignità.
E mentre i palestinesi hanno ripetuto per decenni le loro richieste di autodeterminazione e diritti umani fondamentali, la comunità internazionale e la leadership palestinese li hanno ignorati intenzionalmente per perseguire un’altra agenda che ruota attorno ai negoziati. Ciò ha generato solo maggiore repressione e un netto aumento del numero di insediamenti colonici.
Oggi vediamo sia la comunità internazionale sia i leader arabi ignorare ancora una volta le grida palestinesi per la giustizia. Ciò è evidente nel discorso dominante dei leader globali e arabi. Esso ruota attorno alla paura di un’altra insurrezione, instabilità e protesta. Nella maggior parte dei discorsi e dei proclami non c’è una vera presa di posizione sulle radici dell’aberrazione imposta al popolo palestinese sotto forma di un’occupazione violenta.
La fissazione sulla possibile reazione dei palestinesi e della comunità araba come la ragione principale per opporsi a questa decisione oscura il fatto che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana si basa su violazioni e abusi dei diritti umani.
È l’amplificazione della “paura della reazione dei palestinesi / degli arabi” che può tragicamente rappresentare la cornice entro cui spingere verso ulteriori negoziati mentre gli stati arabi si affrettano a controllare il tumulto della protesta e gli Stati Uniti spingono la loro visione di una pace che è solo una facciata per dare a Israele ciò che vuole; uno stato senza il fastidio dell’esistenza palestinese.
Così mentre i leader di tutto il mondo proclamano che questa mossa porterà alla fine dei colloqui di pace, della soluzione dei due Stati e di qualsiasi stabilità nella regione, la verità è che non c’è mai stata né pace né stabilità nei territori dall’inizio dell’occupazione israeliana.
Il discorso degli Stati arabi indica anche l’insincerità nel volere raggiungere una vera soluzione nella regione, soluzione che dovrebbe ritenere Israele responsabile dei suoi crimini e fornire ai palestinesi i loro pieni diritti. Ciò è particolarmente vero mentre si diffonde l’ondata di condanne contro la decisione.
I palestinesi hanno memorizzato questo scenario e la realtà che nessuna azione farà seguito. La verità è che gli Stati Uniti hanno un programma che è allineato con gli interessi israeliani e gli Stati arabi hanno fatto amicizia con l’amministrazione Trump, limitando ogni azione.
Proprio questa estate, abbiamo assistito ai palestinesi che protestavano contro le misure israeliane nella moschea al-Aqsa. Anche allora ci furono condanne e proteste da parte degli Stati arabi e dei paesi internazionali. Tuttavia, questo approccio sintomatico e simbolico continuerà solo a rafforzare l’occupazione e l’espropriazione di Israele della terra palestinese.
Tra le righe del discorso di Trump di mercoledì si intravvede il messaggio di Israele alla comunità globale. Esso predice che se commetti abbastanza crimini mentre reciti una storia al mondo, otterrai ciò che vuoi e te la caverai.

Fonte: zeitun.info 

Gli USA gettano benzina sul fuoco in Medio Oriente Solidarietà con la lotta del popolo palestinese!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia



La decisione del presidente USA Donald Trump di riconoscere unilateralmente Gerusalemme come la capitale dello Stato sionista e razzista d’Israele è una sfida aperta al popolo palestinese e ai suoi legittimi diritti nazionali, un appoggio attivo alla colonizzazione israeliana di tutta la Palestina.
Con ciò gli USA hanno chiarito agli occhi dei lavoratori e dei popoli del mondo chi getta la benzina sul fuoco, chi viola le convenzioni internazionali, chi sostiene i regimi più reazionari e criminali.
L’affossamento della cosiddetta soluzione basata sui “due Stati” è la continuazione della politica di sostegno all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, la continuazione della politica di guerra e terrore perpetrata in Iraq, Libia, Siria, Libano, Yemen, Corea del Nord.
L’imperialismo statunitense, ieri con Obama e oggi con l’incendiario Trump, mira a produrre caos e distruzioni nell’area mediorientale e in altre regioni del mondo. Ciò favorisce gli interessi delle industrie belliche USA e serve alla loro strategia volta a controllare le risorse energetiche, le zone di influenza, le rotte commerciali, per conservare l’egemonia mondiale.
Il vergognoso diktat di Trump deve far riflettere sulle conseguenze negative dei negoziati con gli USA – che non sono mai stati dei “mediatori di pace” - e dei fallimentari accordi di Oslo.
Ma gli imperialisti USA, i sionisti, i regimi reazionari arabi e i loro alleati europei – tra cui spicca per complicità e ipocrisia il governo Italiano – s’illudono se pensano che il popolo palestinese  e gli altri popoli colpiti dall’arrogante scelta di Trump accetteranno passivamente questo nuovo delitto.
La battaglia dei palestinesi per Gerusalemme è la battaglia per la loro liberazione dall’oppressione e dall’occupazione di Israele. Merita perciò il più deciso sostegno da parte degli operai, dei lavoratori, dei giovani e delle donne del popolo, dei sinceri democratici e di tutti gli amanti della pace e della libertà.
Mobilitiamoci in tutte le città a fianco della resistenza del popolo palestinese per esigere il ritiro di Israele da tutti i territori occupati e la formazione di uno Stato palestinese libero, sovrano e indipendente con Gerusalemme come capitale.
Diciamo basta alla complicità del governo italiano col sionismo e al servilismo verso gli USA!  Esigiamo la rottura delle relazioni con Israele! Fuori l’Italia dalla NATO, ritiro delle truppe inviate all’estero! No alla partenza del giro d’Italia da Gerusalemme!
Solo il proletariato, unendo le proprie forze, può farsi organizzatore di un ampio fronte unito antimperialista-antifascista contro i fautori della guerra e del terrore, i loro agenti e i loro complici!

venerdì 8 dicembre 2017

Potere al Popolo assemblea per la costituzione di una lista popolare

Luciano Granieri



 Domenica prossima 10 dicembre a partire dalle ore 16,30 presso l’auditorium De Sica di Sora,  si terrà  l’assembla territoriale della costituenda lista popolare “Potere al Popolo”.

Anche il   blog Aut-Frosinone  sarà della partita .  Accettiamo  la sfida di costruire, anche attraverso la partecipazione alle prossime elezioni, un esercito di sognatori compatto e determinato che marci  verso una società più libera, giusta ed equa. 

L’appello lanciato dal centro sociale napoletano “Je So’ Pazzo, ex Opg", e denominato per l’appunto  “Potere al Popolo”, ha avuto  il merito di gettare sul tavolo della questione elettorale, fuori da ogni ipocrisia o tatticismo,  la forte e, ostinatamente  ignorata dalle oligarchie politico-finanziarie,  esigenza delle persone di voler incidere nella determinazione delle politiche che riguardano la propria vita. Non è una pretesa così campata in aria, perché sancita dall’art.49 della Costituzione. 

Questa esigenza è emersa in modo prepotente  durante la campagna referendaria che ha sonoramente bocciato la riforma costituzionale Renzi-Boschi.  Quella riforma  avrebbe  concentrato nelle mani dell' esecutivo - espressione di una legge elettorale finalizzata alla semplice  ratifica di scelte operate da  consorterie oligarchiche -  il potere di vita o di morte su ogni cittadino. Così come si sarebbe imposta una  brusca destrutturazione delle forme di partecipazione  quali  i referendum e le leggi d’iniziativa popolare.  

A questa ulteriore ed effettiva esclusione dalla sovranità popolare  le persone che in carne ed ossa provano a tirare avanti con un  lavoro precario e schiavizzato , a difendere il proprio reddito dagli assalti della speculazione finanziaria, hanno imposto  un fragoroso No. Anche perché la massa degli esclusi dalle prerogative sancite dall’art.49 cost., guarda caso,  non può accedere a cure sanitarie efficaci, non può ambire ad una scuola decente per i propri figli, in molti casi rischia di vedersi  cacciata dalla propria casa  perché la  lobby  fondiaria necessita di cemento con cui portare avanti i propri giochi speculativi. 

Dal momento che le donne,  gli uomini, italiani, stranieri, inclusi nella devastata cerchia degli esclusi, sono una grande maggioranza, sempre più in crescita, è giusto che a loro venga attribuito il potere di  decidere dei propri destini.  E’ sacrosanto opporsi al fatto che  un governo, manovalanza  dei potentati finanziari, insieme con   quattro notabili rinchiusi  nelle stanze di Bruxelles e Strasburgo,   continuino a determinare la povertà di molti e la ricchezza di pochi. 

Potere al popolo dunque. Ma attenzione, il popolo cui si deve attribuire la capacità di esercitare tale prerogativa, deve essere in grado di assolvere  al meglio questo compito. Per far ciò è necessario ricostruire una coscienza  che, una volta, si chiamava di classe. Il termine non è obsoleto, è tuttora estremamente attuale. Anzi il fatto che venga ogni volta derubricato a vecchio arnese dell’arrugginita cassetta degli attrezzi comunisti, significa che incute paura nella classe  che ha vinto imponendo le leggi  ultraliberiste. 

Per ricostruire questa coscienza non è fondamentale  diffondere  il verbo  di Marx, per quanto sarebbe utilissimo,basterebbe spiegare come il colpevole di uno stato d’indigenza  non sia  l’extracomunitario che viene a rubare il lavoro ai poveracci. Il  presunto carnefice   è  vittima come   noi,  entrambi siamo preda dello sfruttamento di un sistema predatorio che basa la sua forza anche alimentando guerre  fra poveri.  Basterebbe spiegare che la salute, il lavoro, la scuola, l’accesso ai beni indispensabili per la vita, sono diritti sacrosanti, non privilegi da  petire  o pagare alimentando sporchi profitti privati. 

Purtroppo dopo la devastazione culturale iniziata nell’era dello storytelling  reaganiano e tatcheriano, che ha imposto la  valorizzazione personale  fondata  sull’avere e non sull’essere, ha convinto i poveri a votare per i ricchi, è difficile ricostruire un tessuto culturale basato sulla solidarietà sociale.  Ma ciò è quanto   l’esercito dei sognatori deve  fare. Le prossime elezioni possono  costituire solo una tappa, un primo tassello utile a costruire un progetto molto più grande e ambizioso.   Ecco perché l’evento elettorale va gestito con attenzione affinchè non si trasformi da opportunità in  fallimento. Sarebbe un disastro tale da inibire la partenza dell’intero progetto. 

La vicenda dell’”Alleanza per la Democrazia e l’Eguaglianza” , i convocati del Brancaccio da Falcone e Montanari  per intenderci, deve costituire per noi un monito a non ripercorre certi errori. La collegialità invocata in quel progetto, poi naufragata sotto le mire spartitorie di formazioni strutturate, solo per la disponibilità dei finanziamenti provenienti dalla presenza in  parlamento,  ha riproposto tutti gli incubi vissuti nelle precedenti esperienze fallimentari  della  Sinistra Arcobaleno e di Rivoluzione Civile. 

La nostra fortuna è che fra coloro i quali hanno accettato la sfida ci sono partiti e gruppi che sono fuori dal Parlamento e dunque non hanno sostanze da mettere sul tavolo per rivendicare una presunta supremazia. Però, secondo me, un minimo rischio di colonizzazione c‘è . Sta a noi, quelli  che hanno accolto la sfida,  vigilare affinchè ciò non accada. Ricordo che il popola ha il potere quando può esprimersi liberamente e collettivamente  a cominciare dall’entità organizzativa con cui intende proporsi agli elettori. 

Si deve costruire un soggetto in cui ci sia reale parità, dove tutti siano disposti a recedere da  mire che   siano diverse da quelle della collegialità delle decisioni. E soprattutto ci deve essere la certezza  che a  nessuno, indipendentemente dal risultato elettorale,  venga la voglia di  abbandonare il progetto dopo le elezioni.  L’immagine di un movimento popolare strumentalizzato da soggetti il cui obbiettivo  reale  fosse quello di rientrare  in Parlamento, sarebbe deleteria  e devastante per l’esercito di  sognatori che effettivamente reclama l’ambizione di esercitare il potere.  

Sarebbe come risvegliarsi bruscamente dal sogno, ma a noi piace sognare non è vero?

mercoledì 6 dicembre 2017

Abbiamo bloccato il trasporto eccezionale con le nuove parti meccaniche per gli inceneritori di Colleferro. Non fermeranno la nostra determinazione a decidere del nostro futuro!

L’assemblea permanente di Rifiutiamoli.



Oggi (ieri ndr) martedì 5 dicembre, poco dopo le 18 un trasporto eccezionale  che trasportava una parete di caldaia degli inceneritori, si è presentato all’imbocco della strada che porta agli impianti di Colle Sughero a Colleferro. Le persone presenti al presidio hanno immediatamente reagito bloccando il trasporto. In pochi minuti è accorso il sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna, che si è sdraiato davanti al mezzo.

L’allarme lanciato dal presidio grazie al tam tam social ha fatto accorrere al quartiere Scalo una folla di oltre 150 persone, mentre il sindaco di Colleferro si sdraiava davanti al camion e veniva raggiunto dai sindaci di Paliano e Genazzano, che si sono seduti accanto a Sanna assieme agli assessori e ai consiglieri di Colleferro.

Dopo una trattativa tra i responsabili dell’ordine pubblico, il sindaco e i suoi legali, l’autista è stato invitato a fare retromarcia e uscire dalla città.

Il mezzo è arretrato al ritmo della parola d’ordine “retromarcia” scandita dai cittadini, ha percorso la Casilina e si è diretto verso un’area attrezzata per i mezzi pesanti poco fuori Colleferro. All’assemblea del presidio oltre ai sindaci di Colleferro, Paliano e Genazzano si sono poi aggiunti i primi cittadini di Valmontone, Piglio e Serrone, i consiglieri di Segni e Ferentino.

Dopo questa prova di forza abbiamo dimostrato che l’opposizione alla riapertura degli inceneritori è ormai profondamente radicata sia nella popolazione che nelle istituzioni del territorio e che la lotta aperta con la manifestazione dell’8 luglio e poi proseguita con il corteo del 18 novembre, ha fatto un ulteriore salto di qualità.

La coscienza, l’unità, la determinazione espresse, sono la risposta ad anni di silenzio alle richieste di un territorio che subisce da decenni gli effetti di un inquinamento profondo e diversificati.

L’unità di cittadini ed istituzioni del territorio è stata e continua ad essere la garanzia che la mobilitazione proseguirà, con l’obiettivo di far nascere un progetto alternativo che trasformi questo ciclo dei rifiuti basato su discariche e inceneritori in un’economia del riciclo, del recupero e del riutilizzo delle cosiddette materie prime-secondarie. Tutto questo avviene all’interno del Sito di Interesse Nazionale (Sin) Valle del Sacco, uno dei più estesi e complessi per quanto riguarda le diverse fonti di inquinamento del nostro paese. Nonostante tutto, sta maturando la forza e l’intelligenza per imporre il risanamento complessivo del territorio, per battere un progetto che vuole riavviare un nuovo ciclo dei veleni su aree compromesse, per progettare e costruire il proprio futuro.

Non è più tempo di vaghe promesse e gioco delle parti.

La Regione Lazio, principale responsabile del progetto di revamping che per quattro anni, succube dei poteri forti che dominano la filiera del ciclo dei rifiuti, non ha spostato di un millimetro le sue strategie di gestione, ha pensato fino ad oggi di cavarsela con vaghe promesse. E ha continuato a fare il gioco delle parti, mentre lasciava ad un pugno di dirigenti squalificati il compito di portare avanti la ristrutturazione degli impianti tramite la società di proprietà regionale Lazio Ambiente SpA. 

Chi pensava di logorare le energie del movimento Rifiutiamoli, di dividere movimenti ed istituzioni  ha fatto male i suoi calcoli. Nelle prossime settimane la mobilitazione cittadina, che non coinvolge solo Colleferro come è stato platealmente dimostrato stasera , continuerà con le altre battaglie sparse su tutto il territorio della Valle del Sacco, a partire da Anagni.

Nei prossimi giorni, mentre continuerà il blocco dell’accesso dei carichi speciali agli inceneritori di Colleferro, Regione Lazio, responsabile del collasso di Lazio Ambiente e della mancata innovazione della strategia sui rifiuti, e Comune di Roma, responsabile in forma partecipata delle scelte gestionali attuate finora, saranno anche responsabili di quanto potrà accadere a Colleferro.

L’amministrazione regionale dovrà decidere definitivamente la propria strategia  nelle opportune sedi di governo. Non solo, sarà costretta a rendere conto delle scelte che farà sul nostro territorio ai cittadini della Valle. Non gli saranno di certo permesse le solite innocue passerelle elettorali.

A tutte e a tutti  diamo appuntamento al presidio che giorno e notte continuerà a vigilare per impedire il passaggio dei mezzi attesi. Ci impegniamo a  portare la discussione in tutti i luoghi di aggregazione e di incontro della città di Colleferro e della Valle del Sacco.

Prepariamo nuove mobilitazioni.

Una Finanziaria su misura per i padroni

Alberto Madoglio
 


“Il sistema italiano si è messo in moto”. Con questa entusiastica dichiarazione il premier Gentiloni ha salutato i dati Istat che certificano una crescita del Pil superiore alle attese: 1,8%. Questi dati segnalano che al momento l’economia italiana è uscita dalla fase più pesante della crisi e ciò permette al governo di varare una legge di stabilità meno dura degli anni precedenti. Tuttavia si sarebbe autorizzati a pensare, se i dati Istat sono veri, a interventi governativi volti a restituire, almeno in parte, ai lavoratori quello che è stato tolto loro in anni di manovre “lacrime e sangue” che hanno imposto sacrifici pesantissimi alle classi subalterne. Niente di tutto questo. Il governo a guida Pd continua a imporre provvedimenti a favore dei padroni, mentre nega ogni benché minima concessione a operai , impiegati, donne e giovani.
In una manovra che prevede un impiego di risorse per circa 20 miliardi, di cui quasi 16 usati per sterilizzare l’aumento dell’Iva (aumento che non è cancellato ma solo rimandato al 2019. Scelta del tutto ovvia se il centrosinistra vuole avere qualche minima speranza di vincere le elezioni nella prossima primavera), i soldi rimasti vanno ai soliti noti. Come accennavamo in un precedente articolo, sono previsti tagli contributivi a favore delle aziende che assumono. Questo vuol dire che l’assegno pensionistico di questi lavoratori subirà una riduzione.
È confermato il cosiddetto superammortamento per investimenti delle imprese in beni strumentali, con una aliquota maggiorata per investimenti legati alle nuove tecnologie. Ed è grazie a questi investimenti in tecnologie che i padroni giustificano i licenziamenti. I lavoratori pagheranno con le loro tasse queste agevolazioni alle imprese, e a causa di ciò saranno licenziati. Oltre il danno la beffa.  Ovviamente il governo prevede questa eventualità. E quindi? Verranno stanziati incentivi per corsi di riqualificazione professionale: altra truffa attraverso la quale vengono finanziati enti bilaterali tra padroni e sindacati. Questi ultimi avranno soldi per riqualificare, loro sì, settori di apparato in esubero garantendo uno stipendio sulle spalle di chi dovrebbero difendere. Ecco spiegato il perché la Cgil evita come la peste la proclamazione di uno sciopero generale contro il governo.
Non viene abolito il ticket sulle prestazioni sanitarie nel servizio pubblico e per milioni di dipendenti statali sono previste briciole per il loro rinnovo contrattuale.
Non viene bloccato l’innalzamento automatico dell’età per andare in pensione se non per un numero esiguo di lavoratori.
Quanto previsto in questa legge di stabilità è solo un assaggio di ulteriori manovre di austerità. La Commissione europea ha già fatto sapere che nella prossima primavera sarà necessaria una correzione dei conti pari a 3 miliardi per coprire il buco creatosi a causa del credito fiscale concesso alle banche. Ha inoltre segnalato che il debito pubblico del Paese rimane pericolosamente alto (oltre 130% del Pil). Già si stanno rincorrendo voci di ulteriori interventi sulle pensioni per ridurre questo enorme macigno che grava sulle finanze pubbliche.
 
Il gioco delle parti nello schieramento politico borghese
E queste iniziative in campo economico proposte dal governo sono accettate da tutte le frazioni in cui oggi si divide lo schieramento politico borghese. Ovvio che essendo a pochi mesi dalle elezioni politiche che decideranno la nuova maggioranza governativa, ascoltiamo promesse di un futuro fatto di fine dell’austerità e dei sacrifici. Ma sappiamo benissimo che si tratta, appunto, di sola propaganda elettorale. Centrodestra, centrosinistra e Movimento cinque stelle si propongono in realtà come i gestori dello status quo, fatto di politiche antioperaie che hanno impoverito milioni di lavoratori, italiani e immigrati, in questo ultimo decennio.
Specialmente i Cinque stelle, che potrebbero essere il partito di maggioranza alle elezioni, e quindi incaricato di formare il nuovo esecutivo, stanno abbandonando sempre più la retorica, falsa, di forza antisistema, per proporsi come soggetto responsabile, garante degli interessi della grande borghesia imperialista tricolore. La partecipazione a vari convegni della Confindustria, il viaggio negli Usa del leader Di Maio, sono tutte tappe di un percorso volto a proporre i Cinque stelle come forza responsabile in grado di evitare eccessivi scossoni all’economia nazionale.
Lo stesso Salvini, fino a poco tempo fa paladino del sovranismo e campione della retorica “no euro” in salsa nazionale a autarchica, è costretto a modificare il suo linguaggio propagandistico.
Ormai nessuno, nei tre maggiori schieramenti politici, parla più contro l’Europa e la moneta unica.
Un'alternativa ai tre maggiori schieramenti borghesi non può essere certo rappresentata dai diversi spezzoni in cui si è divisa l’area a sinistra del Pd. Pisapia, che mesi fa veniva visto come potenziale federatore in una versione 2.0 dell’Ulivo, ora quasi certamente finirà fagocitato in una lista totalmente subalterna al Pd. Non poteva essere diversamente per chi, è bene ricordarlo, da sindaco di Milano ha, come primo atto, aumentato il prezzo del trasporto pubblico locale, sostenuto un’operazione di propaganda di Israele nel giugno 2012 e, soprattutto, difeso con le unghie e i denti l’Expo 2015, vero scempio ambientale, corruttivo, e distruttore dei diritti dei lavatori coinvolti.
 
A sinistra del Pd nessuna alternativa reale
I settori borghesi che manifestano oggi indisponibilità ad accordarsi col Pd, lo fanno in realtà perché vedono  nel progetto di Renzi non un attacco ai lavoratori ma alla sopravvivenza del ceto politico di cui sono  parte.
Bersani, uomo di raccordo tra Pd e Comunione e Liberazione, ministro negli anni peggiori dei governi ulivisti, D’Alema, premier dell’aggressione imperialista alla Serbia, non sono minimamente credibili come difensori dei più deboli. Ciò non vuol dire che il loro risultato elettorale non potrà essere significativo, ma che come rappresentanti della “sinistra di governo”, come coerentemente dicono, è molto probabile che dopo elezioni possano rendersi disponibili a sostenere, se ce ne fosse bisogno, un esecutivo a guida Pd o addirittura di larghe intese o di “salvezza nazionale” nel caso la situazione economico finanziaria nazionale e internazionale dovesse volgere al brutto. La fine del QE, cioè della creazione di moneta e di bassi tassi di interesse adottata dalla Bce, potrebbe avere ripercussioni sulle economie più deboli del vecchio continente. E già si preannuncia quale sarà l’obiettivo da colpire in questo ultimo caso. Il 28 e il 29 novembre due articoli apparsi sul Corriere della  Sera, a firma rispettivamente Fubini e Stella, hanno lanciato l’allarme sulle pensioni. Il mantra seguito è il solito: il sistema non regge, le prestazioni superano i contributi (ma nessuno dice che ciò accade perché l’Inps è gravata di oneri che dovrebbero essere a carico della fiscalità generale, altro tema delicato visto che i grandi evasori, multinazionali, non certo piccoli commercianti e artigiani, godono di enormi favori anche in questo campo), ulteriori sacrifici sono necessari, e perciò la Cgil dovrebbe mettere da parte velleità barricadere.
 
Un clima sociale tutt’altro che pacificato. nonostante la Cgil
Tutto si può dire del sindacato della Camusso tranne che sia attraversato dalla volontà di lottare seriamente. La Cgil ha affermato, nell’ultimo direttivo, che non sussistono le condizioni per uno sciopero generale contro il governo (come se queste dovessero cadere dal cielo e non fossero in realtà il frutto dell’azione politica e sindacale). Questo a tutt’oggi si traduce in una mobilitazione farsa: sabato 2 dicembre si sono svolte cinque manifestazioni territoriali del sindacato il cui unico scopo è tentare di accreditare un qualche ruolo politico nei confronti della nuova maggioranza da parte della burocrazia dirigente, e in secondo luogo apparire agli occhi dei lavoratori un soggetto che non si piega ai diktat di padroni e governo.
Se c’è un tratto distintivo comune in questi anni di crisi è che più la posta in gioco diventa alta e più la risposta sindacale appare inadeguata. Oggi ciò è vero ancora di più, specie da quando la Fiom è rientrata a pieno titolo nei ranghi della maggioranza confederale e quindi si è posto fine a quello stucchevole gioco delle parti in cui i dirigenti dei metalmeccanici (Landini, ecc.) fingevano di essere un’alternativa ai tentennamenti e tradimenti della Camusso. In questa situazione la Cgil, intesa come il suo gruppo dirigente, non è una soluzione inadeguata al problema, ma parte integrante del problema stesso, cioè del peggioramento repentino e costante delle condizioni di vita delle masse sfruttate.
Non sappiamo cosa ci riserva il futuro prossimo, tuttavia le più recenti lotte, Alitalia, trasporto pubblico locale e nazionale, da ultimo lo sciopero nel più importante centro della logistica in Italia, la sede Amazon di Piacenza, dimostrano che scintille di lotta di classe continuano ad accendersi qua e là nel Paese e indicano un potenziale prezioso: i comunisti devono contribuire ad alimentarle per favorire l'apertura di una nuova stagione di conflitto di classe aperto.
 

domenica 3 dicembre 2017

4 dicembre 2016, quali prospettive ad un anno dalla nuova liberazione.

Luciano Granieri comitato 4 dicembre per la Costituzione di Frosinone


Luciano Granieri, Dionisio Paglia: portavoce del comitato per il No di Frosinone, Anna Falcone vice presidente del Comitato Nazionale per il No.


Il 4 dicembre di un anno fa il popolo sovrano respingeva , attraverso il referendum, la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Fu una liberazione. Da un lato perché il Paese si sollevava  da una  sordida campagna referendaria,  ordita dal partito di maggioranza,  che aveva occupato tv , giornali, e web . Un occupazione estesa al Parlamento inibito e condizionato nella sua prerogativa legislativa dal ricatto delle piccole consorterie che mercanteggiavano lo  schieramento  pro riforma in cambio di indirizzi a loro favorevoli.  Dall’altro per  esserci  liberati da un serio tentativo d’imposizione autoritaria  ordita  dal capitalismo finanziario.  Come è noto vera  mandante della riforma è stata la comunità dei fondi speculativi   guidati da J.P. Morgan,  refrattari  allo  spirito solidaristico inserito nelle costituzioni post fasciste. 

  Il 4 dicembre è stato il coronamento di una vera lotta di popolo, armato solo dalla  grande voglia  di partecipazione  che lo ha condotto a difendere il proprio diritto costituzionale  a  determinare la politica del Paese.  Un armamento irrisorio  se paragonato alla forza d’urto delle TV,  dei giornali  occupati  da  Matteo Renzi  e delle sue truppe cammellate.  Strumenti in apparenza inadeguati ma nella sostanza imponenti. Perché quando c’è  consapevolezza, condivisione e coesione nessuna potenza  mediatica può competere. 

Altro  elemento vincente è stata la passione politica, un carburante del tutto assente nelle fila dei promotori della devastazione costituzionale.  Nei movimenti attivi dentro la  battaglia contro la riforma Renzi-Boschi, si è realizzata la perfetta fusione  fra competenza politico-istituzionale e militanza, ingredienti che contraddistinguevano i partiti del ‘900, entità ormai dissolte  e soverchiate da insopprimibili mire di potere. 

  Personalmente posso affermare chela campagna referendaria  contro la “Deforma” ha segnato profondamente il mio modo di approcciare la lotta politica . Proprio perché tale  coinvolgimento  è cresciuto sulla  passione. Ho conosciuto persone straordinarie, appassionate e consapevoli,  ho rinsaldato  rapporti ancora più stretti con compagne e compagni che ho avuto a fianco in altre battaglie politiche. Insomma quella stagione, mi ha migliorato anche come persona.  

Un mare di immagini  restano  nella memoria indelebili  a coronare un impegno faticoso ma appagante .

Ricordo  il comizio che insieme a  Paolo Ceccano  , segretario provinciale di Rifondazione, tenemmo davanti  alla sede del Pd di Sgurgola, oppure  l’immagine curiosa   di Giorgio Cremaschi  rannicchiato dentro la mia utilitaria, mentre raggiungevamo, con la compagna e amica  Marina Navarra, sindacalista Usb,   il teatro di Isola del Liri per un comizio a favore del no insieme a Luisella Costamagna. 

Come dimenticare  la cena in un ristorante di Ceprano , popolare solo nel prezzo, perché le libagioni furono  sontuose, dopo un dibattito tenuto da me e da Carla Corsetti, esperta costituzionalista, insieme con Marco Ferrando  del Pcl sulle motivazioni necessarie a bocciare la riforma?  E l'abbandono stizzito di un confronto fra le ragioni del si e quelle del no, della senatrice Spilabotte, incapace di rispondere nel merito alle obiezioni che le venivano poste? 

 Degna di nota anche  la gita a Roma insieme a Paolo Ceccano di Rifondazione   e Dionisio Paglia, portavoce insieme a me del comitato per il No di Frosinone, invitati all’assemblea costitutiva del coordinamento per la democrazia costituzionale. Evento partecipato da quegli straordinari studiosi costituzionalisti   bollati da Renzi  come “Professoroni” e “Gufi”, fra i quali ricordo il compianto Stefano Rodotà. Questi alcuni flash di un anno vissuto intensamente.  

Per essere onesti si deve ammettere che fra il  60% di coloro i quali hanno bocciato la riforma costituzionale  ci sono stati   elettori mossi da una grande avversione per  Renzi, per   la sua arroganza,  per  il suo governo, o componenti di partiti avversi al Pd  .  Gente cioè che non ha  tenuto in nessun conto il merito  di un attacco senza precedenti alla Costituzione. Ma  bisogna anche rilevare come la partecipazione sia stata molto elevata per una consultazione  dove non era previsto il quorum. Segno della presenza alle urne di soggetti che in precedenti occasioni si erano astenuti. 

  In particolare le ragioni sociali della Costituzione hanno costituito un contesto unitario nel quale si sono riconosciuti organizzazioni  di scopo che raramente, a  causa della loro specificità, hanno messo in campo una condivisione così stretta. I movimenti per l’acqua, per la tutela del territorio, per la scuola pubblica, per  il lavoro,  hanno riconosciuto un campo comune nella  Costituzione. Non solo, ma  molti cittadini hanno bocciato la riforma perché incideva pesantemente sul diritto di partecipare alla determinazione della politica nazionale  così come sancito dall’art.49. 

 La vittoria referendaria  proprio in questo senso ha riacceso nuove speranze. Aspettative in base alle quali, i partiti, soprattutto quelli orientati verso un blocco sociale diciamo così “proletario” avrebbero dovuto cambiare i loro sistemi organizzativi e orientarli, verso un coinvolgimento totale dei propri militanti e simpatizzanti nella determinazione dei programmi e nella selezione della classe dirigente.  La proposta della  costruzione di una lista per le elezioni ,  che facesse tesoro della grande forza uscita dalla stagione referendaria,  è stata posta sul tavolo.  Ma la partecipazione  non è mai ben vista da chi già siede in Parlamento, anche se milita in forze irrisorie, ha condiviso la lotta per il no, e gioito per la sua vittoria.    

Sinistra Italiana,  Possibile e i transfughi Pd dell’ultima ora , quelli di Mdp,  dopo aver cercato di cooptare il programma dei referendari, hanno fatto prevalere, come al solito, le logiche spartitorie. Peccato perché quella proposta avanzata da due alfieri della campagna referendaria (Tomaso Montanari e Anna Falcone),  avrebbe  potuto portare  alle urne un elettorato da tempo  assente e forse aprire  una nuova stagione politica. Poco male. Io personalmente non ci avevo mai creduto diffidando di partiti nati per diaspora di classe dirigente. 

Quindi si va avanti con la strada tracciata che non è quella elettorale . Aver respinto l’assalto del capitale finanziario alla Costituzione il 4 dicembre di un anno fa  non è  stato che l’inizio. La lotte stanno muovendo  su diversi  fronti. E' necessario  spingere affinchè la Carta sia effettivamente attuata,  promuovere provvedimenti  d’iniziativa popolare che correggano norme già licenziate dal governo, configgenti  con  lo spirito costituzionale, (la buona scuola e la modifica dell’art.81 della costituzione), impugnare l’ennesima legge elettorale  anticostituzionale partorita da un parlamento  illegittimo, portandola  innanzi alla Corte Costituzionale. 

E’ stato un anno straordinario quello che ha portato alla vittoria del 4 dicembre, ma tutto ciò può e deve continuare. Ne va della tenuta democratica del paese e dell’inizio di una nuova stagione in cui il diritto della promozione della persona umana sia realmente assicurato.



Di seguito alcuni video girati lo scorso anno.