Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 30 gennaio 2016

La campagna d'inverno del sindacalismo concertativo

Alberto Madoglio
 

La “campagna d’inverno” lanciata in queste settimane dalla Cgil (e in parte sostenuta da Cisl e Uil) si fonda sul riconoscimento di una sconfitta di carattere epocale da parte delle burocrazie sindacali. A quasi dieci anni dalla scoppio di quella che è chiamata Grande Recessione o anche Grande Contrazione, i dirigenti del maggior sindacato italiano riconoscono che l’azione rivendicativa fin qui seguita è definitivamente fallita.
Questo fallimento viene sancito con la presentazione di due documenti: la “Carta dei Diritti universali del lavoro - Nuovo Statuto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori” e il “Moderno Sistema di Relazioni Industriali”.
Il primo è il testo che, come si evince dal titolo, dovrebbe sostituire lo Statuto dei Lavoratori del 1970. Si tratta di una proposta di legge presentata dalla sola Cgil. Il secondo invece, siglato insieme a Cisl e Uil, è la proposta di una, l’ennesima, riforma del contratto nazionale di lavoro.
Sono due testi corposi (circa una ottantina di pagine in tutto) scritti con una prosa volutamente astrusa, per renderli incomprensibili a chi dovrebbe conoscerne i contenuti, cioè i lavoratori.
 
Un "nuovo Statuto" dei lavoratori: a favore dei padroni
Il primo testo, come detto, è una proposta di legge presentata dalla sola Cgil.
Ci si sarebbe potuti aspettare (non ricordandosi il ruolo concreto, filo-padronale svolto dalle burocrazie in questi anni) un testo contenente una serie di rivendicazioni in grado non solo di recuperare tutte quelle tutele per i lavoratori che si sono perse negli anni, ma anche di garantirne di ulteriori. Così invece non è. La proposta cancella, non solo nella forma, abrogandola, ma anche nella sostanza, la legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori). Ci sia permesso un inciso. Da parte nostra non c’è mai stata l’illusione di considerare lo Statuto dei Lavoratori come la forma più avanzata per la difesa dei lavoratori. Ormai nessuno lo ricorda ma quella legge fu varata nel 1970 per bloccare la grande ondata operaia nata con il famoso autunno caldo del 1969, e per ridare forza e vigore alle burocrazie sindacali, messe in quel periodo in forte difficoltà dalle varie forme di organizzazione di base nei luoghi di lavoro che gli operai si davano. Tuttavia, negli anni, quella legge si è trasformata, nell’immaginario collettivo, come l’ultimo argine in grado di porre un freno, in realtà quasi mai concreto ma almeno simbolico, allo strapotere dei padroni.
Cancellarla oggi significa firmare una resa senza condizioni.
Cerchiamo comunque di entrare maggiormente nel dettaglio. I primi capitoli sono una serie di affermazioni di principio, totalmente astratte, anche condivisibili, ma che appunto per la loro generalità in nulla possono incidere sulle condizioni di lavoro. Già dall’articolo 8 notiamo però come la proposta rivendicativa sia assolutamente moderata (e di questa moderazione sono impregnati i 97 articoli della proposta): viene indicato un periodo minimo di ferie di 4 settimane annue. Se consideriamo che, al di là della vulgata populista in voga oggi, le ore di lavoro medie per dipendente sono tra le più alte tra quelle dei Paesi Ocse, si vede come la volontà della burocrazia Cgil sia ben lontana dal voler riprendere una parola d’ordine storica per le organizzazioni sindacali: la riduzione dell’orario di lavoro. (1)
Ma andiamo oltre: dopo un’altra serie di proposte che, se analizzate in profondità, dimostrano di essere solo strumenti per consentire ai padroni di avere mano libera nei rapporti con operai e impiegati (controlli a distanza, art. 12 e, art. 15, diritto a soluzioni "ragionevoli" -sic- in caso di disabilità) arriviamo alla parte che modifica in profondità la natura delle organizzazioni sindacali.
Il Titolo II ha come obiettivo quello di applicare gli art. 39 e 46 della Costituzione. Secondo la proposta della Cgil i sindacati, potranno essere tali solo se riconosciuti formalmente da una apposita commissione di “esperti” (non sia mai che qualche “inesperto” possa decidere su materie del lavoro).
Duecento anni di lotte per il diritto, da parte dei lavoratori, di crearsi dei sindacati indipendenti da padroni e governi di ogni ordine e grado, vengono cancellati con due articoli (28 e 29) di una proposta di legge. Se pensiamo che tutto questo viene spacciato come volontà di tutelare maggiormente i lavoratori, non può non venirci in mente Gramsci quando irrideva quei riformisti che erano per la rivoluzione, a patto che fosse sancita per Regio Decreto controfirmato da due ministri. Qui si difendono le organizzazioni dei lavoratori... a patto che abbiano il timbro di una Commissione nominata con Decreto del Presidente della Repubblica. Aveva ragione Marx: la storia la seconda volta si presenta sempre come farsa! (2) In sostanza sarà un organismo dello Stato imperialista italiano a decidere quali saranno i sindacati che potranno definirsi tali e non i lavoratori.
Siamo di fronte all’estremo tentativo della maggiore burocrazia sindacale italiana di salvarsi, e di stroncare sul nascere, per legge, ogni possibilità di organizzazione sindacale combattiva dei lavoratori. Davanti a questo progetto di legge, il già vergognoso accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 impallidisce.
L’articolo 40 sancisce, anche qui con un linguaggio che definire barocco è riduttivo, un sistema di cogestione delle imprese sul modello tedesco. Lungi dall’essere un passo avanti per operai e impiegati, questa norma lega le loro sorti in maniera indissolubile a quella dei padroni. La propaganda dice che con questo sistema datori di lavoro e “maestranze” sono sullo stesso piano (altrimenti che parti sociali sarebbero!), in realtà baratteranno parte del loro salario con posti di seconda fila nell’amministrazione aziendale: quando una crisi colpirà l’azienda, perderanno soldi (azioni) senza avere la garanzia che i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione possano in qualche modo garantir loro il posto di lavoro (come dimostra il recente diesel gate alla Volkswagen): nell’immediato il sindacato si mette al servizio del capitalista, e in concorrenza con i lavoratori di altre aziende.
Per finire questa prima parte di analisi: in un documento che richiama il vecchio Statuto dei Lavoratori ci si potrebbe aspettare, quantomeno, il ripristino dell’articolo 18, se non altro come riconoscimento di una battaglia che ha visti impegnati milioni di operai, giovani e studenti nell’ultimo periodo. Così non è. Certo, nei testi fatti circolare dalla Cgil si dice che con questa legge l’articolo 18 sarà ripristinato, anzi verrà esteso a tutti. In realtà in un punto (b) di un capoverso (10) di un articolo (83), si chiarisce che il giudice, tenuto conto delle esigenze dei padroni può sostituire il reintegro con una indennità.
 
La cancellazione del contratto nazionale
La proposta di un nuovo sistema contrattuale, seconda parte della citata campagna di inverno, riprende, nella sostanza, quanto avanzato nella proposta di legge Cgil. Certo, non viene fatto alcun cenno a qualsivoglia forma di reintroduzione dell’articolo 18, nemmeno nella forma presente nel Nuovo Statuto dei Lavori, e ciò dimostra quanto la burocrazia Cgil voglia spendersi per difendere un diritto per i quali milioni di lavoratori negli anni hanno lottato.
Viene invece ripresa e argomentata la richiesta di poter entrare, da parte dei sindacati, nella fantomatica stanza dei bottoni ("cogestione"). In questo testo, oltre alle varie e consuete richieste sul rafforzamento della bilateralità imprese/sindacato e del welfare aziendale (rivendicazioni queste che nel quadro attuale di politiche di austerità sono un avallo alle politiche di tagli allo stato sociale e la sua sostituzione con un welfare privato, che garantisce in parte i lavoratori finché sono in produzione, ma poi li lascia senza difese una volta che sono licenziati o in pensione), di razionalizzazione, non cancellazione, della precarietà, il punto fondamentale è la cancellazione del contratto nazionale di lavoro.
Al vecchio CCNL viene demandata una vaga tutela del quadro normativo del rapporto di lavoro e un altrettanto aleatorio richiamo a un salario di base. Il grosso viene però demandato alla contrattazione di secondo livello. E’ chiaro anche ai più sprovveduti che più si rendono settoriali, particolari, atomizzate, le rivendicazioni dei lavoratori, meno queste avranno la possibilità di garantire reali benefici ai lavoratori stessi. Se poi consideriamo che la struttura produttiva italiana è fatta di milioni di piccole e piccolissime imprese, ecco che la richiesta di rafforzare il secondo livello di contrattazione diventa una vuota petizione di principio.
Così come è illusorio pensare che, grazie alla cogestione aziendale, al superamento del rapporto conflittuale tra capitale e lavoro (ammesso che possa mai avvenire) si possano creare le condizioni per uscire dalla crisi nella quale il capitalismo italiano e internazionale è sprofondato da anni.
 
Una resa incondizionata sul terreno del nemico
La questione che, nella proposta dei sindacati confederali (così come in ogni situazione in cui bisogna dimostrare di essere persone serie, con la testa sulle spalle), viene ripetuta come un mantra è la crescita della produttività.
Citiamo testualmente da pagina 15: “Il gap della produttività del nostro Paese va combattuto perseguendo l’innovazione organizzativa, di processo e di prodotto, la scelta della qualità piuttosto che quella del mero taglio dei costi, l’internazionalizzazione e l’ampliamento dei mercati, una nuova e più significativa politica degli investimenti pubblici e privati invece della delocalizzazione”.
Bastasse così poco! Quello che non viene detto, non sappiamo se per mala fede o ignoranza, crediamo per un misto delle due cose, è che le cose sono un po’ più complicate.
Secondo l’economista capo dell’Ocse, Catherine Mann, “il rallentamento della crescita potenziale nei Paesi avanzati è una preoccupazione permanente”.  Secondo Husson (Economia, le coordinate della crisi in arrivo, da A l’encontre), la crisi della produttiva è un fenomeno che è iniziato dagli anni ‘80. Stiamo parlando, tra gli altri, degli Usa di Google e Apple, degli investimenti pubblici per la ricerca militare e spaziale. Se nemmeno la più grande potenza imperialista è riuscita a trovare la soluzione a questo annoso problema, come si può pensare che bastino una serie di banalità scritte sulla carta a uscire da questa impasse? (3)
Ecco cosa produce la Cgil nel momento della sua massima decadenza politica e organizzativa
Tutto ciò non è un caso. Aver tradito le mobilitazioni contro il Jobs Act dell’autunno del 2014, aver cullato l’illusione di poter riconquistare con la pressione sul parlamento e nei rinnovi contrattuali quello che non si era voluto mantenere con la lotta, l’essere scesi sul terreno del nemico di classe (definire un nuovo progetto di relazioni industriali, come da premessa del testo dei confederali) non poteva che portare a questo scempio.
Si conferma inoltre come i contrasti tra Camusso e Landini, da molti visto come oppositore strenuo dei cedimenti della segretaria Cgil, siano stati in realtà un gioco delle parti. Dopo aver sottoscritto l’accordo della vergogna, aver minacciato di espulsione quei sindacalisti della Fiom che si oppongono al modello Marchionne in Fca e praticano l’unità con altri sindacati non supini ai diktat aziendali, Landini perde ogni aura di difensore degli sfruttati.
All’inizio di questo articolo abbiamo parlato di resa incondizionata da parte della Cgil. Ma nella lotta senza esclusione di colpi tra capitale e lavoro, l’esercito proletario ha subito sì duri colpi ma è ben lontano dall’essere sconfitto. Quanto fatto dalla Cgil assomiglia più a una fuga nel campo del nemico, come quella che Dumouriez fece al tempo della Grande Rivoluzione  Francese. (4) Ma come, nonostante quel tradimento, il popolo e le truppe della Rivoluzione  sconfissero gli eserciti della reazione monarchica europea, così oggi le fila del proletariato hanno la possibilità di sconfiggere i piani di padroni, governo, burocrati di ogni risma. Oggi come allora solo con una rivoluzione, nel nostro caso socialista, si potrà aprire un’epoca nuova per i proletari in Italia e nel mondo.
 
Note
(1) Secondo quanto appreso dal sito oecd.stat, stante una media Ocse di ore lavorate pari a 1770 annue, l’Italia si colloca poco sotto a 1734, superiore a Spagna (1689), UK (1627), Francia (1473) e Germania (1371).
(2) Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte.
(3) Da un breve report apparso su Il Sole24ore del 27 gennaio, ben il 27% dei macchinari delle imprese italiane ha età superiore ai 20 anni. Dal 2005 la media è passata da poco più di 10 a oltre 12 anni. Oggi il 79% dei macchinari non ha nessuna integrazione ICT (internet, nuove tecnologie informatiche ecc).
(4) Per approfondire: Mathiez-Lefebvre, La Rivoluzione francese, Cap. VIII, "Il tradimento di Dumouriez".

venerdì 29 gennaio 2016

Ai cittadini di Frosinone serve un sindaco non un avvocato.

Luciano Granieri



Che l’avvocato Nicola Ottaviani sia un abile e stimato professionista, principe del foro, è fatto assodato. Peraltro  lo stimato professionista  è anche sindaco di Frosinone. Ciò di per se non sarebbe un problema, se non si verificasse una faccenda assai anomala. Il professionista Nicola Ottaviani, non riesce a scindere la figura di avvocato da quella di sindaco. Egli anche nella mansione  di “primo cittadino” continua ad esercitare la funzioni di avvocato .  

E’ avvocato difensore di Acea, continuando a rimandare ad ulteriore valutazione delle inadempienze del 2014-2015, peraltro già accertate dalla segreteria tecnico-operativa (STO),  la soluzione della rescissione contrattuale, previa messa in mora del gestore. Tale procedura, dopo il consiglio comunale di ieri pare  essersi attivata, ma campa cavallo.... e l’esito in sede di consulta dei sindaci è tutt’altro che scontato.  Bisogna rilevare che la  stessa STO  aveva  già  accertato  per il 2013 inadempienze tali, da imporre immediatamente la rescissione per colpa del contratto di servizio,  senza tanti indugi, saltando la fase della messa in mora, evitando   così che l’imminente  fusione fra Acea Ato 2 e Acea Ato5 possa far rientrare dalla finestra ciò che si vuole cacciare  dalla porta. 

Altra efficace arringa difensiva è stata spesa per le decisioni  prese in merito all’inquinamento ambientale. Con la spregiudicatezza che si deve ai più abili principi del foro, Ottaviani ha spacciato per  eccellente provvedimento antinquinamento, la delibera di moratoria  per sei mesi  sugli effetti operativi di un’autorizzazione, da lui stesso concessa, per la  realizzazione di un inceneritore alle soglie della città.  Stante il perdurare delle critiche situazioni ambientali, quell’autorizzazione non  si sarebbe mai dovuta concedere. Il procrastinare relativo  all’attuazione di quel provvedimento è l’abile escamotage che un eccellente avvocato avrebbe adottato per prendere tempo e far passare una contingenza sfavorevole al suo assistito in attesa di nuovi e più fausti sviluppi. 

Ed infine veniamo alla questione Multiservizi.  Se da un lato l’analisi delle competenze istituzionali sulla costituzione di una newco (nuova società), che avrebbe potuto  assorbire gli ex lavoratori della  Multiservizi,  è stata condotta in punta di codice , sostenendo l’impossibilità del Comune ad approvare la soluzione  già adottata dagli altri azionisti,  Regione, Comune di Alatri, e Provincia  di Frosinone,  in assenza di una specificazione delle competenze riguardanti proprio la  Provincia, dall’altro l’avvocato Ottaviani non si è fatto scrupolo ad affidare l’incarico dei servizi svolti dagli ex lavoratori della Multiservizi, a cooperative private, senza ottemperare alle corrette regole, sia di promulgazione del bando, sia delle condizioni  inserite nel bando stesso;    in particolare le postille relative all’obbligo da parte delle società vincitrici della gara  di assumere un certo numero di lavoratori ex Multiserizi.  Per questa inadempienza l’avvocato Ottaviani rischia di perdere la causa e di dover risarcire,  500 mila euro per   danni  ai lavoratori. 

Al netto di queste elucubrazioni, la strenua difesa  da parte dell’avvocato Ottaviani dei suoi assistiti (leggi poteri forti) ha rischiato di  finire in tragedia. Poche ore fa uno dei licenziati della Multiservizi - il quale proprio per le acrobazie azzeccagarbugliesche dell’avvocato Ottaviani, ha perso la speranza di riacquistare il proprio diritto al lavoro, magari nella newco - si è incatenato ad un palo in Piazza VI Dicembre, nei pressi della tenda degli ex lavoratori della Multiservizi, piazzata in  presidio di  protesa sotto il Comune. In una mano aveva  una tanica di benzina, nell’altra un accendino e minacciava  di darsi fuoco se la sua disperata situazione non avesse trovato soluzione  al più presto. Fortunatamente tutto si è risolto per il meglio , ma il sindaco non ha rinunciato all’ennesima brillante prestazione da principe del foro in spregio ai diritti e all’intelligenza dei  cittadini.  

Nel  consiglio comunale che era iniziato  subito dopo l’evolversi positivo  dei drammatici  eventi, sollecitato sulla questione dal consigliere Martini,   annunciava, dopo copioso sfoggio di latinorum,  di aver dato mandato per la  presentazione di una  denuncia nei confronti, cito testualmente  “delle persone che hanno procurato la critica  situazione esponendo un povero padre di famiglia al rischio della propria incolumità per fini politici che non hanno nulla a che fare con la tutela del posto di lavoro”. In buona sostanza  il    disoccupato che minacciava di darsi fuoco è stato talmente ingenuo e suggestionabile, da subire il   plagio  e l’invito a suicidarsi  da parte di  una fantomatica banda di arruffapopolo talmente spregiudicata da  non  farsi scrupolo, per i propri fini, a mettere a rischio la vita di un loro  compagno.    

La  spregiudicatezza  dell’ arringa  propria di un  brillante avvocato, può arrivare prima a provocare gesti inconsulti e poi insultare chi li ha compiuti,  ma  un sindaco, non può e non deve permettere che un cittadino arrivi alla determinazione di darsi fuoco,  a causa di una politica  comunale smaccatamente orientata alla protezione degli interessi dei più forti, e poi apostrofarlo come utile idiota.

Referendum, la tentazione del populista

Massimo Villone

Curiosa storia, la data del referendum sulla riforma costituzionale. Renzi ha parlato di voto in ottobre. Ma rumors insistenti dicono che a palazzo Chigi piacerebbe molto votare prima, magari insieme alle amministrative. Tanto da incaricare un autorevole emissario di saggiare l’orientamento della Corte di cassazione sul punto. A quanto pare, chi ha con arroganza scommesso tutto su un plebiscito teme un voto sulla riforma solitario e lontano. E se gli italiani si fermassero a pensare? Se non bastassero battute e tweet? È meno rischioso forzare la mano, fare presto, e andare all’ammucchiata. Come bruciare i tempi referendari? Dopo il prossimo voto della camera la legge sarà pubblicata — senza promulgazione — nella Gazzetta Ufficiale. Entro i successivi tre mesi – tempo massimo, non soglia minima — 500mila elettori, cinque consigli regionali, o un quinto dei componenti di una camera potranno avanzare richiesta di referendum. La Corte di cassazione ne valuterà la (sola) legittimità. La disciplina è nella legge 352/1970. Il trucco c’è. Il voto della camera verrà entro metà aprile. Dopo, basteranno poche ore per pubblicare il testo in Gazzetta Ufficiale e presentare in Cassazione la richiesta di referendum da parte dei parlamentari, di maggioranza e di opposizione. Per l’articolo 12, comma 3, della legge 352, la Corte «decide, con ordinanza, sulla legittimità della richiesta entro 30 giorni». Se anche la Cassazione decidesse nell’ultimo giorno utile, non andremmo oltre metà maggio. Il decreto di indizione del referendum potrebbe poi seguire nel giro di poche ore, fissando per il voto una data «in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto». E saremmo all’inizio di luglio, o anche prima se la Cassazione si pronunciasse velocemente. Il gioco è fatto. Che fine fanno i tre mesi per la richiesta di referendum previsti dall’articolo 138? Ci vediamo già inondati dai tweet con cui l’ineffabile premier spiega ai sudditi che il referendum l’ha già chiesto lui attraverso i parlamentari di maggioranza, e che dunque non c’è bisogno di aspettare che lo chiedano anche altri. È uno spreco di tempo e di soldi pubblici. Dunque, una paterna sollecitudine dell’uomo di palazzo Chigi? Ma solo giocando al finto tonto si potrebbe ignorare il diverso messaggio politico e istituzionale dato dalla provenienza della richiesta. Che è poi un diritto direttamente attribuito dalla Costituzione a soggetti diversi, ciascuno dei quali ha titolo a esercitarlo entro il termine prescritto. Il termine di tre mesi può di fatto ridursi solo nel caso in cui tutti i soggetti titolari — elettori, parlamentari, consigli regionali — esercitino il proprio diritto in tempi più brevi. Vale anche per la raccolta delle firme. Votare prima del decorso dei tre mesi o del minore tempo eventualmente sufficiente per la raccolta significherebbe azzerare il diritto di 500mila elettori di chiedere il voto popolare. Lo ha sostenuto anche Giuliano Amato da presidente del Consiglio nel 2001. E per il passato, si è preferito aspettare il decorso del termine. Ma da questo governo — la cui frequentazione del diritto costituzionale è labile e del tutto occasionale — non possiamo certo attenderci attenzione per i precedenti. Dunque, prepariamoci. Come? Le firme sono raccolte su richiesta di un comitato promotore. Anche tale richiesta può essere subito presentata in Cassazione, per la pronuncia sulla legittimità. L’eventuale successiva indizione del referendum andrebbe a interrompere il subprocedimento — a quel punto già aperto — di raccolta delle firme. Il diritto di richiedere il referendum con la firma di 500mila elettori viene direttamente dalla Costituzione. Si può dunque argomentare che la richiesta di raccogliere le firme di per sé preclude una anticipata indizione del referendum. Il comitato — secondo la Corte costituzionale — può sollevare conflitto tra poteri dello stato davanti alla stessa Corte. E bene potrebbe farlo per il decreto di indizione intempestivo. Se insistesse, il governo andrebbe al voto essendo in corso un giudizio davanti alla Consulta. E non dimentichiamo che l’indizione assume la forma di un decreto del presidente della Repubblica. Nel gergo dei costituzionalisti, è atto sostanzialmente governativo, e il governo ne decide i contenuti. Ma un presidente della Repubblica minimamente arbitro dovrebbe pur avere qualche remora a firmare un decreto che vanifica una raccolta di firme in corso, predestinato a un giudizio per conflitto tra poteri. Potrebbe essere anche chiesta la sospensiva del decreto di indizione. Non è specificamente prevista per il conflitto tra poteri, ma non mancano in dottrina voci autorevoli nel senso che sia consentita, e le pronunce della Corte non chiudono la porta. In ogni caso conta che basterebbero la richiesta del comitato promotore e il ricorso alla Corte — che il governo non può impedire — a porre ostacoli al voto referendario prima dell’estate, e comunque a disvelare il trucco di una concomitanza apparentemente normale e fortuita con le amministrative. Si voti a ottobre. L’agitazione disvela che la paura serpeggia nelle stanze del potere. E se alla fine la vittoria non fosse sicura? Se il popolo sovrano avesse un sussulto di orgoglio? Se Davide abbattesse Golia? Comunque siano avvertiti, a palazzo Chigi. Le carte bollate sono già pronte. 

© 2016 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

giovedì 28 gennaio 2016

Termina il processo al sindaco del mausoleo di Graziani

ANPI DI MASSA CARRARA

Il 12 febbraio 2016, alle ore 11, con tutta probabilità, terminerà il processo al Sindaco e ai due assessori del Comune di Affile per la costruzione di un monumento dedicato al gerarca fascista, Rodolfo Graziani.
Come ANPI abbiamo, immediatamente, condannato e denunciato questo gesto e, adesso, attendiamo fiduciosi che venga fatta giustizia: una giustizia da rendere nei confronti della nostra Costituzione e nei confronti di coloro che hanno dato la vita per scacciare il morbo fascista che aveva pervaso il nostro Paese.
E’ evidente come questa vicenda debba ricordarci che il pericolo di derive neofasciste esiste ed è forte e, proprio per questo, chiediamo che in tale battaglia non sia presente solo l’ANPI ma tutti coloro che credono fermamente nei valori della libertà e della democrazia.
A questo durissimo percorso hanno preso parte diversi Comuni che si sono costituiti come parte civile e, proprio a loro, va il nostro sentito ringraziamento.
Prima del processo, inoltre, venerdì 5 febbraio alle ore 17, presso le scuderie estensi di P.zza Garibaldi (Tivoli) verrà proiettato il documentario di Valerio Ciriaci, “If only i were that warrior” e come ANPI di Massa Carrara saremo presenti.
Il film affronta i crimini di guerra impuniti del generale Graziani e gli altri commessi in nome delle ambizioni imperiali di Mussolini. Il regista segue le storie di tre personaggi percorrendo Etiopia, Italia e Stati Uniti. Un viaggio attraverso i ricordi di vita ed i resti tangibili dell'occupazione italiana dell'Etiopia, che attraversa le generazioni e continenti di oggi dove questa eredità, spesso trascurata, lega ancora il destino di due nazioni e i loro popoli.

Solleviamo le nostre coscienze e condanniamo, a una sola voce, questo atto indegno.

video Luciano Granieri

ANTITRUST: “QUESTE COSE NON SI FANNO!”

Newsletter n° 6 del Comitato Provinciale Acqua Pubblica di Frosinone


Il gestore non ha fatto le letture periodiche dei contatori?

Non ha tenuto conto delle autoletture comunicate dagli utenti?
Ha, quindi, fatturato sulla base di stime che a volte si sono rivelate errate o eccessivamente elevate? Ha inviato fatture di conguaglio pluriennali di elevata entità?
Non ha rispettato la periodicità di fatturazione, inviando bollette relative a consumi pluriennali di elevato importo?
In caso di perdita occulta nell'impianto impone sui consumatori gran parte dell'onere di pagamento dell'acqua non consumata effettivamente?
Una volta emesse fatture di questo genere, alla scadenza del termine per il pagamento ha avviato immediatamente le procedure di morosità, minacciando il distacco dell'utenza ed arrivando a metterlo in atto?
Nella gestione dei reclami presentati dagli utenti, il comportamento del gestore ha generato gravi inerzie a loro danno sia con la mancata risposta, o con la formulazione di risposte evasive, non pertinenti o non risolutive rispetto all'oggetto di reclamo?
In caso di reclamo, sono mai state sospese cautelativamente le procedure di riscossione e distacco delle utenze?
Se il gestore ha tenuto questo comportamento, per l'Antitrast  “si tratta di condotte connotate non solo da una mancanza di diligenza, ma anche di carattere aggressivo: idonee cioè a determinare nei consumatori un indebito condizionamento; ovvero a ottenere il pagamento di importi non corrispondenti ai consumi effettuati, oppure dovuti ma con modalità e
tempistiche diverse, da parte di un'impresa che opera in regime di monopolio per la fornitura di un bene vitale ed essenziale come l'acqua e che dispone di un'importante leva commerciale come la minaccia di interrompere il servizio. Peraltro tali condotte ostacolano l'esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori, condizionandoli attraverso la minaccia del distacco della fornitura in pendenza del reclamo o dell'istanza e costringendoli così al pagamento in forza dell'essenzialità del servizio idrico integrato.”

Sorpresa! L'Antitrust non sta parlando di ACEA ATO 5 S.p.A., ma di ACEA ATO 2 S.p.A., quella che gestisce il servizio nell'ATO 2 di Roma, quella che nelle intenzioni della multiutility dovrebbe incorporare i nostri rubagalline.
L'Antitrust ha sanzionato ACEA ATO 2 S.p.A. per un milione e mezzo di euro ed è in attesa di verificare che la “discola” corregga i propri comportamenti.
Da parte sua la degna sorella maggiore del nostro gestore, che naturalmente ha annunciato che ricorrerà al TAR, tra le altre cose, lamenta che il tutto è riferibile ad un 250 casi … un'inezia rispetto al numero di utenze gestito...


Da parte nostra dobbiamo dire che è dalla primavera del 2008 che denunciamo puntualmente ed esattamente quello che l'Antitrust rileva e non solo, nell'indifferenza complice delle istituzioni e della magistratura che di fatto hanno consentito ad una società privata di angariare e vessare mezzo milione di cittadini.

Sarà nostro compito far giungere all'Antitrust la “notizia” che nell'ATO 5 del Lazio, non qualche centinaio, ma decine di migliaia di casi testimoniano il sistematico e criminale impiego dei comportamenti condannati.

Il denaro della povera gent in saccoccia a i fannulloni

Francesco Notarcola – Presidente dell’Osservatorio Peppino Impastato 

Ho prenotato una ecografia alla tiroide un anno fa. Oggi mi sono presentato all’ambulatorio n. 16  sito nell’ex “Umberto I°” di Viale Mazzini. C’erano 15 persone in attesa dalle ore 8. Del medico nemmeno l’ombra. Alcuni pazienti, stanchi di aspettare, sono andati via mentre altri sono rimasti a protestare. I dirigenti del distretto non sapevano dare alcuna spiegazione. Abbiamo interessato anche la direzione generale della ASL.
Dopo tutto questo, alle ore 9,30, sono arrivati medico ed infermiere, e sono iniziate le visite.
Con simili comportamenti lo sfascio sanitario continua. Si  porta acqua, sempre di più, al mulino della sanità privata mentre della salute dei cittadini non”frega” niente a nessuno. Tacciono sindaci, dirigenti di partito ed eletti al Parlamento e alla Regione Lazio. Il presidente della Provincia ed il suo vice, invece…..dorrnono sonni tranquilli.
 Com’è noto i dirigenti asl sono remunerati molto bene e sarebbe ora che ciascuno svolgesse al meglio il proprio ruolo. Altrimenti così come sono stati assunti, con gli stessi tempi e con gli stessi metodi, dovrebbero essere licenziati. Non si può essere fannulloni con i soldi della povera gente.

mercoledì 27 gennaio 2016

A proposito di unioni civili

La Famiglia

Una delle più sciocche  e banali obiezioni che si muovono agli anarchici, è quella riguardante la famiglia, poiché i preti, i borghesi e tutti coloro che non conoscono o fingono di non conoscere la nostre idee, credono che noi vogliamo la distruzione  di essa, mentre ne reclamiamo la trasformazione: cioè vogliamo che la famiglia discenda  dalle nebulose vette del convenzionalismo  dove l’han confinata i sofisti della morale clerico-liberaloide, e vada  da assidersi sulla base granitica della morale umana senza tocco e senza aspersorio, senza codice e senza acquasanta.
“Voi anarchici –essi dicono- volete distruggere il più sacro degli istituti sociale: la famiglia: voi volete che la società diventi un grande brefotrofio, ed il mondo un covo di bastardi”.E’ inutile dire che queste obiezioni noi potremmo ritorcerle contro di loro che sono i fautori della prostituzione, del concubinaggio, dell’adulterio ; contro di loro che abusano della miseria,  della fame delle figlie del popolo per renderle madri infanticide, contro di loro la cui preoccupazione, quando sono scapoli, è quella di trovare un  buon partito, di dare la caccia ad una cospicua dote e niente affatto all’oggetto bello, elegante e amato.
Per costoro non esiste altra bellezza che il luccichio dell’oro, non esiste altro amore che l’interesse quattrinaio. Ecco perché essi si scagliano contro gli anarchici, i quali vogliono sollevare la famiglia  da questo fango, da questa bruttura, da questo labirinto di affetti venali e venderecci, onde trasportarla in un ambiente  ove l’amore  non si venda al miglior offerente e la reciprocanza degli affetti non sia costretta a passare sotto le forche caudine del mercimonio matrimoniale.
Gli anarchici credono che la famiglia così come oggi costituita rappresenti non la spontaneità dell’unione fra i due sessi, bensì la coercizione e la prepotenza legale esercitata impunemente e santamente protetta dalla Chiesa e dallo Stato; per cui essi vogliono che la famiglia sia emancipata da ogni pregiudizio e da ogni coazione, essi vogliono che il talamo nuziale non sia contaminato dalle bugiarde promesse di un amore che nel cuore dei due esseri coniugati non ha palpiti, essi vogliono che il focolare domestico non sia un feudo semi-barbaro ove la donna soggiace oppressa sotto la tirannia dell’uomo e dove la legge civile e quella ecclesiastica impongano a lei di obbedire ciecamente fino a baciare la mano che vilmente la percuote.
Nella società degli anarchici vaticinata, non vi saranno né bastardi, né trovatelli; poiché allora non vi sarà più ragione di nascondere il frutto del proprio amore, non vi sarà più la necessità di abbandonare sulla pubblica via delle innocenti creaturine che a nessuno chiesero di venire al mondo, e che le sciagurate giovanette sono costrette a ripudiare, fino a diventare assassine del proprio sangue, per aver salvo l’onore  e la moralità di cui si fa bella questa civiltà borghese.
La famiglia deve essere basata sugli affetti naturali, sull’amore verso l’unione dell’uomo e della donna deve avvenire non per imposizione, non per suggestione, non per avidità  danaresca; essa deve invece scaturire simpaticamente dalla legge di reciprocanza, essa deve sorgere dalla elezione.
Il vincolo matrimoniale costituisce un delitto di lesa natura perché si frappone alla estrinsecazione di essa sostituendo alle sue leggi assolutamente morali, le leggi immorali dell’artificialismo; costituisce un delitto di lesa umanità perché costringe alla convivenza perpetua due esseri, quantunque al loro amore sia subentrato l’odio, generato dal modo stesso di convivenza da esso vincolo matrimoniale voluto; e ad altro non  serve che ad infiorare la giovane sposa  alla stessa guisa che s’infiora la vittima condotta al sacrificio.
Di chi sono figli tutti quei derelitti bambini oggi depositati nella ruota e degenti nei brefotrofi? Di nessuno! E perché la società li chiama bastardi? Perché i loro padri e le loro madri sono sconosciuti; perché concepiti nella miseria, nel vizio, nel delitto!
Gli uni sono frutto dell’inganno, della frode, della fame; gli altri di una passione sepolta sotto la maschera dell’onore, o di un amore contrastato!
Nella società avvenire i figli di nessuno saranno i figli di tutti; essi saranno allevati ed educati non mercè la filantropia di qualche istituto di beneficenza, ma mediante lo sforzo spontaneo di tutti gli umani  che alla carità avranno sostituito la solidarietà.
Si rimprovera agli anarchici di voler trasformare la società in un covo di bastardi, mentre essi vogliono che i bastardi di questo mondo corrotto insolente e fratricida diventino i figli legittimi di un mondo nuovo sorretto dal’amore  e dalla pace.
Domani non saranno più possibili i bastardi, gli infanticidi frutti di amori venali, poiché date le identiche condizioni di vita sociale dell’uomo e della donna, non assisteremo più al doloroso spettacolo di disgraziate operaie prostituite al capofabbrica, al capitalista, al signorotto, per essere ammesse al lavoro dei campi e delle officine ove invecchiano precocemente; non vedremo più delle madri povere rubare il latte ai propri figli onde nutrire, con pochi soldi, i figli di una ricca signora la quale si rifiuta di allattare il neonato uscito dalle proprie viscere, per salvare così la bellezza del suo corpo dai pericoli dell’allevamento; domani, in una società liberamente costituita, non deploreremo più i terribili e scandalosi drammi coniugali perché l’unione dei due sessi avverrà naturalmente senza coercizioni di sorta e l’amore non sarà più subordinato ad una buona dote.
Questo vogliono gli anarchici, e questo non significa voler distruggere la famiglia, ma significa dare ad essa quel carattere veramente naturale ed umano che le fu tolto da chi ebbe interesse di ostacolarne la sua retta funzione, rinserrandola nel ferreo cerchio del convenzionalismo  e dell’artificio giuridico  e religioso.
Quelli stessi che accusano gli anarchici di voler distruggere la famiglia, oggi, impressionati dai micidiali inconvenienti che essa presenta, pensano di attenuare il suo dispotico organamento proponendo, a mezzo del magno Parlamento, un progetto di legge di divorzio.
Questo progetto di legge, già vigente in altri paesi, tende a dare la facoltà ai due coniugi di rompere il contratto matrimoniale qualora fra di essi non vi fosse più compatibilità di carattere, oppure altre cause sorgessero a rendere impossibile la loro unione. Come si vede questa nuova forma di convivenza, diremo così famigliare, altro non è  che un primo passo verso il libero amore dagli anarchici sostenuto, come dai moralisti a rovescio è accanitamente combattuto.
Però anch’esso presenta  le sue difficoltà, sia nella forma che nell’applicazione. Nella forma, essendo esso regolato dal codice penale e da altre leggi più o meno tranelli; nell’applicazione, perché date le condizioni presenti  così disparate fra l’uomo e la donna, quest’ultima sarebbe sempre la vittima e l’altro il carnefice.
Quale è dunque il miglior modo di risolvere la questione della famiglia? E’ quello proposto dagli anarchici, cioè emancipazione completa dell’uomo e della donna, libertà sconfinata  per l’una e per l’altro, e unioni dei due sessi per mezzo dell’amore libero.

Aristide Ceccarelli, anarchico ceccanaese.
Tratto dal libro: L'anarchia volgarizzata
Prima edizione: Roma 1910
Seconda edizione: Ceccano 2016 

Per approfondire  la storia di Aristide Ceccarelli clicca sul seguente link:



Torrice: approvata all'unanimità risoluzione del contratto e sostegno alla pl n.238


NON SI BATTE CIGLIO! TORRICE APPROVA LA RISOLUZIONE CONTRATTUALE CON ACEA E LA CONDIVISIONE DELLA PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE PER L' ACQUA PUBBLICA E I BACINI IDROGRAFICI

 La storia di un Comune si scrive in questo modo: il Consiglio Comunale di Torrice ha approvato all'unanimità la delibera che autorizza il Sindaco a procedere alla risoluzione contrattuale con Acea , suffragata dalle inadempienze che la STO ha posto in evidenza. Ma Torrice è stato anche tra i pochi Comuni che da oggi sarà impegnato a promuovere la legge regionale n. 238/2015 in attuazione della LR n . 5/2014, legge su iniziativa popolare, che stabilisce il ritorno alla gestione pubblica del servizio idrico, che vedrebbe  protagonisti i Comuni associati e uniti non più da Ambiti Territoriali ma da Ambiti, rispondenti alla legge Galli, individuati però su base idrografica, ottenendo così ambiti più piccoli e collegati sulla base delle risorse idriche naturali presenti sul territorio, i cosiddetti BACINI IDROGRAFICI. Sono estremamente soddisfatta del risultato riportato e se da sempre ho agito affinché il gestore del servizio idrico rispettasse il contratto e i diritti degli utenti, contestandone le azioni, i finti piani di investimento, utili solo a giustificare tariffe esorbitanti e non il miglioramento del servizio stesso , oggi ho una forza in più, quella dell' intera assise di Torrice! È' stata una grande manifestazione di fiducia nella mia persona e nell impegno sempre profuso in questo senso, e che non conoscerà mai pause!

Dr.ssa Alessia Savo sindaco di Torrice

martedì 26 gennaio 2016

ACEA ATO 5: BASTA PAROLE, CHIEDIAMO A OTTAVIANI L'IMPEGNO PER LA RISOLUZIONE CONTRATTUALE.

Meetup 5 Stelle Frosinone 



“BASTA PAROLE, CHIEDIAMO A OTTAVIANI L'IMPEGNO PER LA RISOLUZIONE CONTRATTUALE, CHIEDA LA CONVOCAZIONE DELLA CONFERENZA DEI SINDACI CON UNICO ODG: RISOLUZIONE CONTRATTO CON ACEA”


“ACEA spa ha avviato il suo progetto di fusione che comporterà un’ulteriore perdita di democraticità sul servizio a danno di tutta la collettività provinciale e, in particolare, dei cittadini di Frosinone. L’impatto che tale fusione avrà sulla qualità del servizio, sulle tariffe e sui rapporti tra Autorità d’Ambito e Gestore dovranno essere ancora valutati, ma adesso è il momento di agire con fermezza e di rispettare la volontà dei cittadini che con il referendum del 2011, si sono espressi in modo netto (circa il 97%) a favore della gestione pubblica del servizio idrico. Abbiamo appreso che il Sindaco Ottaviani ha chiesto alla STO aggiornamenti e ulteriori approfondimenti circa le inadempienza del gestore, tale azione a noi appare come un perdita di tempo e una manovra politica per non arrivare alla risoluzione contrattuale. Infatti, già nella conferenza dei sindaci del 09/09/2013, in cui all’ordine del giorno vi era la votazione della risoluzione contrattuale con il gestore, il sindaco Ottaviani chiese di non procedere alla risoluzione e si fece promotore di una mozione con cui fu chiesto alla STO di redigere una relazione dettagliata delle inadempienze e la relativa messa in mora di Acea, chiedendo di ricevere il necessario supporto tecnico, relativamente all’ipotesi di risoluzione contrattuale. La Segreteria Tecnica Operativa a fine 2013 ha prodotto gli atti e inviato a tutti i sindaci la relazione dettagliata. Da allora sono passati circa due anni e mezzo e ci rendiamo conto che la posizione del sindaco Ottaviani non cambia, ma con la scusa della ragioni giuridiche non si è mai espresso a favore della risoluzione e come membro di diritto della Consulta d’Ambito non sta tutelando i cittadini di Frosinone che si vedono vessati da ACEA.” – a dichiararlo è Il Meetup 5 Stelle di Frosinone che continua – “Per tutti questi motivi il Meetup 5 Stelle di Frosinone ha chiesto al Sindaco, con lettera protocollata il 26/01/2016, 1) di inviare formale richiesta di convocazione della Conferenza dei Sindaci al Presidente della stessa, prima che scadano i termini per la fusione, per procedere alla risoluzione della convenzione (ex articolo 34) sulla base delle inadempienze che la Segreteria Tecnica Operativa ha già comunicato al gestore a fine 2013; 2) di schierarsi a favore dell'attuazione della legge regionale nr. 5 del 04/04/2014, che istituisce i nuovi ambiti di bacino idrografici, al fine di evitare di ripiombare nelle mani di ACEA anche in caso di risoluzione contrattuale. Concludiamo dicendo che il Sindaco oggi ha delle grandi responsabilità decisionali che ricadranno sulle tasche dei cittadini e soprattutto sulle future generazioni".

video Luciano Granieri

” Jazz, suoni, ritmi e pulsioni vitali dell’era post moderna” 5° appuntamento

Luciano Granieri

Prosegue il nostro viaggio attraverso la storia degli Stati Uniti d’America raccontata dai musicisti di jazz. Venerdì 29 gennaio a  partire dalle ore 16,00, presso la sede dell’associazione culturale “Oltre l’Occidente in L.go Aonio Paleario n.7 a Frosinone, si terrà il  quinto appuntamento del seminario  ”  Jazz, suoni, ritmi e pulsioni vitali  dell’era post moderna”. Il titolo dell’incontro è : Bebop fu solo una rivoluzione musicale? Come era prevedibile, ancora una volta, la sequenza temporale e tematica  degli appuntamenti non è stata rispettata. Contavamo di esaurire l’era del Bebop nel pomeriggio del 22 gennaio scorso, ma ciò non è stato possibile. La discussione fra i partecipanti si è focalizzata sulle condizioni storico sociali dell’America impegnata nel II conflitto mondiale, e sul  periodo immediatamente successivo. Si è  messa in risalto la frustrazione degli afroamericani, prima massacrati nei campi di guerra, o   sfruttati  nelle fabbriche a rimpiazzare gli operai bianchi partiti per il fronte, e poi ripiombati   nel razzismo e nella discriminazione più feroce alla fine delle ostilità mondiali. La stessa frustrazione che colse i jazzisti neri, costretti a subire umiliazioni presso le orchestre swing dove suonavano. Uno sconforto che spinse alcuni musicisti afroamericani  a riunirsi in un piccolo locale della 118° ovest ad Harlem, il Minton’s, e costruire la loro rivoluzione musicale. Fu solo una rivoluzione artistica o ebbe risvolti anche nella società civile?  Questo è il tema che andremo ad approfondire nel prossimo appuntamento del 29 gennaio. In realtà le vicende del Bebop, dei suoi protagonisti Charlie Parker, Dizzy Gillespsie, Thelonius Monk, Kenny Clarke e tutti gli altri musicisti  che con loro cambiarono totalmente la poetica jazzistica a partire dagli anni ’40, non potevano esaurirsi in un unico incontro. Venerdì prossimo dunque, a partire dalle ore 16,00 presso la sede di Oltre l’Occidente rivivremo insieme l’epopea dei boppers  e l’influenza che essi ebbero in altre forme artistiche come la letteratura. Scrittori e poeti della Beat generation ne furono chiarissima testimonianza.


LA GARA DA 1,63 MILIARDI PER LA PULIZIA DELLE SCUOLE PUBBLICHE E’ STATA TRUCCATA, LO DICHIARA L’ANTITRUS

Ufficio Stampa del  Deputato  Luca Frusone (M5S)


Il Governo, con la legge sulla Buona Scuola, aveva prorogato alle 4 società coinvolte gli affidamenti senza necessità di fare nuove gare fino al 31 luglio 2016.

“L’Antitrust ci ha dato ragione, la gare d’appalto per la pulizia delle scuole pubbliche italiane erano tutte truccate, sono mesi che il M5S si batte per denunciare queste irregolarità, sono mesi che ci battiamo affinché venga riconsiderato il metodo d’internalizzazione per i lavoratori che si occupano delle pulizie delle scuole pubbliche. Perché bisogna dirlo che l’esternalizzazione ha portato il sistema degli appalti all’utilizzo di scellerate tecniche di ribasso delle offerte, con pesanti ricadute sulle condizioni lavorative degli impiegati e una conseguente incapacità di garantire un servizio adeguato nelle scuole. Tale sistema non ha prodotto mai alcun risparmio reale e ha invece contribuito a far sprofondare le scuole nel degrado più assoluto. Io stesso ho denunciato la situazione assurda che stanno vivendo i lavoratori della Ma.ca, Servizi generali e Smeraldo s.r.l, società che hanno vinto l’appalto per la pulizia delle scuole nelle province di Frosinone e Latina. Anche su queste società chiederei di operare gli stessi controlli da parte dell’Antitrust, perché anche per il lotto Frosinone – Latina ci sono delle gravi irregolarità. Senza contare che i lavoratori di queste cooperative sono vittime di soprusi e vessazioni di ogni genere, tra cui il mancato pagamento dello stipendio, il mancato rispetto dei parametri orari, il non riconoscimento degli istituti di legge previsti come malattia, maternità o altro e questo lo ha detto anche il Ministero del Lavoro. A fronte di ciò e delle innumerevoli denunce fatte dai lavoratori al MIUR, totalmente inascoltate, ho interrogato il Ministro del Lavoro, chiedendo un intervento immediato sulla situazione, trattandosi di una gara indetta dal Consip. Ma purtroppo le mie domande non hanno ancora avuto risposta.” – a dichiararlo è il Deputato 5 Stelle Frusone che continua – “Siamo però contenti di avere avuto la conferma che stavamo nel giusto, l'Antitrust ha certificato la totale irregolarità riguardo gli appalti delle pulizie per le scuole, di tutte le gare pubbliche bandite negli ultimi anni. Da qui la decisione del Garante della concorrenza, di multare per 110 milioni le quattro società che si erano aggiudicate le gare. Sappiamo che questa è solo l'ultima di una serie di anomalie che rendono ormai necessario un intervento della magistratura.” – Che la vicenda fosse opaca era apparso evidente già da luglio, quando un comma del maxiemendamento alla riforma della buona scuola prorogava per un anno i servizi di pulizia affidati alle imprese che avevano vinto le gare bandite da Consip tra la fine del 2013 e l'inizio del 2015 in tutta Italia. E continua – “Ci troviamo davanti alla situazione in cui la gara da 1,63 miliardi per la pulizia delle scuole pubbliche italiane è stata truccata, ma nessuno pensa a revocare gli appalti alle 4 società coinvolte. Anzi, il Governo e il Parlamento lo scorso mese di luglio hanno addirittura inserito nella legge sulla Buona Scuola una norma per prorogare a queste società gli affidamenti senza necessità di fare nuove gare fino al 31 luglio 2016. A tal proposito interrogheremo nuovamente il Governo affinché si assuma le proprie responsabilità e revochi immediatamente gli affidamenti degli appalti alle società coinvolte.” – e conclude – “Nella mia interrogazione chiedevo inoltre al Ministro se non ritenesse opportuno adottare iniziative normative urgenti volte a rendere il servizio di pulizie nelle scuole, di diretta competenza statale, non ricorrendo quindi alle esternalizzazioni, al fine di evitare un inutile spreco di denaro pubblico. Spero che arrivi presto una risposta nel merito."

Inceneritori Colleferro Staccare la spina, prima che sia troppo tardi!

Unione Giovani Indipendenti, Comitato Residenti, Retuvasa, Comitato No bio Metano Artena, Circolo Arci Montefortino '93, Artenaonline.


Il 29 gennaio prossimo alle ore 17 l'aula consiliare del Comune di Colleferro ospiterà una conferenza stampa promossa dall’ Amministrazione comunale sugli inceneritori di Colleferro congiuntamente alle associazioni che hanno sottoscritto il ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio portato avanti dal Comune di Colleferro: Unione Giovani Indipendenti, Comitato Residenti, Retuvasa, Comitato NobioMetano Artena, Circolo Arci Montefortino '93, Artenaonline.

Come associazioni faremo chiarezza sulle valutazioni che ci hanno portato a condividere l’iniziativa del ricorso al TAR ed annunceremo le nostre future iniziative di mobilitazione sulle quali si sta nuovamente realizzando una ampia rete di collaborazione tra un gran numero di associazioni del territorio, come già è accaduto in passato e col senso di una ancor più drammatica urgenza.

L'Amministrazione ha deciso a suo tempo di ricorrere al T.A.R. in conseguenza alla della delibera regionale che prevede l'estensione dell'autorizzazione d'impatto ambientale (A.I.A.) all'inceneritore di proprietà di Lazio Ambiente.

Ne condividiamo le ragioni e riteniamo estremamente preoccupante la situazione, perché tra rinnovi di autorizzazioni, manifestazioni di interesse per l'acquisto degli impianti e intenzioni di ammodernamento delle strutture, si anticipa un disegno politico che punta ad allungare la vita degli inceneritori. Il loro rilancio è considerato il motore economico per il salvataggio e la privatizzazione della società Lazio Ambiente, prospettata da Regione Lazio entro la prima metà dell’anno.

Il risanamento degli inceneritori, il cosiddetto ‘revamping’, altro non sarebbe se non una completa ricostruzione che richiederebbe investimenti per decine di milioni di euro, per cui il recupero dei capitali investiti e relativi profitti richiederebbe una attività degli impianti per almeno 15-20 anni. In tal caso la chiusura degli impianti sarebbe esclusa e con essa ogni possibilità di poter istituire una gestione dei rifiuti virtuosa e non impattante sul territorio e sulla salute di chi lo abita.

Acea, Rida Ambiente, è indifferente per la popolazione sapere chi sia il gruppo d'affari pronto ad acquistare gli impianti, poiché a questo punto non c'è né margine di trattativa né possibilità di discutere. Si deve solo agire affinché si arrivi alla chiusura.
Il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale per un’impiantistica che si è dimostrata nei fatti obsoleta, antieconomica e notevolmente inquinante è un’assurdità, soprattutto a fronte degli innumerevoli dati epidemiologici che accusano gli inceneritori di Colleferro dell'aumento di gravi patologie nella popolazione (si veda lo studio Eras sul sito www.eraslazio.it). Da questo studio si evince il riscontro evidenzia l’aumento dei ricoveri ospedalieri del 79% per problematiche salutari incrementate della presenza degli impianti in questione.
Senza dimenticare che sulle due ciminiere pende anche un processo penale in corso per traffico illecito dei rifiuti che ha coinvolto più di venti tra cui anche dirigenti e tecnici dell'allora consorzio GAIA, oggi Lazio Ambiente Spa.
Il 29 gennaio ci saremo perché bisogna staccare la spina, prima che sia troppo tardi.

Frana Ss. Cosma e Damiano, Pontecorvo (FR)

Salvatore Avella e Alessandro Barbieri


Nella mattinata del 22 Gennaio i rappresentanti delle associazioni ambientaliste di Fare Verde Onlus - Sez. Cassino, Consulta dell'Ambiente di Piedimonte San Germano e comitati locali sono stati ricevuti e sentiti dal Sindaco del Comune di Pontecorvo, Anselmo Rotondo, in merito alla vicenda dello smottamento di terra in località Ss. Cosma e Damiano che ha interrotto i collegamento con il vicino Comune di Pico. «Assoluta disponibilità dal primo cittadino - spiegano gli ambientalisti - che ci ha informati sui provvedimenti adottati in termini di sicurezza stradale e incolumità pubblica e privata. Si è poi discusso sulla necessità di mettere ulteriormente in sicurezza l'area interessata dalla frana in attesa dei pareri di tecnici (geologi). La frana della strada provinciale adiacente la cava Grossi Rocco & Gino Srl di impianti di frantumazione e affini pare non si sia ancora arrestata e per questo motivo che siamo fortemente preoccupati anzitutto per l'incolumità delle persone che ci lavorano. A nostro avviso, un cedimento al quanto "anomalo", visto che la strada è sprofondata non a valle bensì all'interno della cava stessa. Uno scherzo della natura o c'è dell'altro? Nei prossimi giorni, in concerto con l'amministrazione comunale, la Provincia e la Regione si prenderanno i giusti provvedimenti del caso. Non escludiamo atti di denunce volte ad individuare i presunti colpevoli.

La rivoluzione siriana dopo gli attentati di Parigi e l'offensiva dell'imperialismo e della Russia

Intervista a Joseph Daher (Corrente di sinistra rivoluzionaria di Siria)


Florence Oppen (*)

Florence Oppen: Da più di 4 anni è cominciata la rivoluzione siriana, nel marzo 2011. Abbiamo visto come il regime di Assad ha rafforzato la sua offensiva contro i ribelli e il popolo siriano alla fine del 2014 utilizzando barili-bomba nelle zone controllate dai ribelli, che hanno causato più di 20.000 morti. Inoltre, alla fine di settembre dell’anno scorso, la Russia ha cominciato ad intervenire militarmente e, a fine ottobre di quest’anno [2015] abbiamo visto come è stata organizzata la Conferenza di Vienna, diretta dagli Usa e dalle potenze europee (più Cina, Arabia saudita e Russia) per riunire i due campi avversari e trovare una “transizione verso la pace”. Questo processo di “sviamento” della rivoluzione verso un “governo di transizione”, così come si è pianificato nella Conferenza di Vienna, è stato frenato o, al contrario, accelerato dagli attentati di Parigi?
Joseph Daher: Il progetto del governo di transizione è stato accelerato dagli attentati di Parigi, però questa opzione è molto più vecchia, ed è stata quasi sempre l’opzione preferita dalle varie potenze imperialiste. Gli obiettivi degli Usa e delle potenze occidentali dall’inizio della rivolta delle masse popolari siriane non hanno mai assistito o aiutato i rivoluzionari siriano a rovesciare il regime di Assad. Esattamente al contrario, gli Usa hanno tentato di arrivare a un accordo con il regime di Assad (o con settori di questo) e con l’opposizione legata all’Occidente e le monarchie del Golfo. Queste ultime non sono per niente rappresentative del movimento delle masse popolari e sono assolutamente corrotte. Questa soluzione di un governo di transizione è conosciuta come “soluzione yemenita”: mantenere il regime così com’è, e fare alcuni cambi superficiali.
In questo contesto bisogna ricordare le linee direttrici approvate dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu il 30 giugno 2012, secondo le quali sarebbe possibile (non è escluso) un governo di transizione presieduto da Assad. L’unico criterio per la formazione di questo governo di transizione era il “consenso” della delegazione dell’opposizione alla presenza o meno di Assad in detto governo, allo stesso modo in cui i delegati che rappresentavano il regime di Assad potevano vietare qualsiasi persona proposta dai delegati dell’opposizione.
Inoltre, l’assenza o la mancanza di qualsiasi organizzazione e assistenza militare decisiva degli Usa e degli altri Paesi occidentali ai rivoluzionari siriani è un’altra prova della volontà di appoggiare qualsiasi cambiamento radicale in Siria.
F.O.: Qual è stato l’impatto dell’intervento militare della Russia e il suo ruolo nel processo rivoluzionario siriano? Pensi che la Russia cerchi unicamente di eliminare lo Stato islamico?J.D.: L’intervento militare della Russia ha raggiunto un livello superiore il 30 settembre 2015 quando la sua aviazione militare a cominciato i primi bombardamenti in Siria. Alla fine dell’estate 2015 la Russia aveva già aumentato considerevolmente il suo coinvolgimento a fianco del regime di Assad, in particolare fornendo formazioni e appoggio logistico all’esercito siriano. Il 17 settembre l’esercito di Assad ha cominciato a utilizzare nuovi tipi di armi aeree e terrestri inviate dalla Russia, e foto satellitari di metà mese mostravano due istallazioni militari russe aggiuntive vicino alla città siriana di Lattakiyya.
La Russia ha avuto un ruolo fondamentale nella sopravvivenza del regime di Assad: è il suo principale fornitore di armamenti, e, a partire da gennaio 2014, non ha fatto altro che aumentare l’invio di materiali (munizioni, armamenti, blindati, droni, bombe teleguidate ecc.).
La propaganda sulla “guerra contro il terrorismo” lanciata dallo Stato russo è una maniera di appoggiare politicamente e militarmente il regime di Assad e schiacciare ogni forma di opposizione in Siria. Putin vuole che i diversi attori internazionali considerino Assad come la principale forza che li può aiutare contro il “terrorismo”.
Gli obiettivi dei bombardieri russi sono chiari: salvaguardare e consolidare la potenza militare e e politica di Assad. Il presidente russo Vladimir Putin il 28 settembre ha detto, prima dell’inizio delle operazioni, che “non c’è altra soluzione per porre fine al conflitto siriano che quella di rafforzare le istituzioni dell’attuale governo legittimo della Siria nella sua lotta contro il terrorismo”. In altri termini, quello che Putin propone è schiacciare ogni forma di opposizione al regime di Assad, tanto le democratiche come le reazionarie, nel quadro della “lotta contro il terrorismo”.
Tutti i regimi autoritari hanno utilizzato questo tipo di propaganda per reprimere i  movimenti popolari o i gruppi di opposizione che sfidano il loto potere: tanto Assad contro il movimento popolare dall’inizio della rivoluzione, come il dittatore Sissi in Egitto per reprimere i Fratelli musulmani, ma anche la sinistra progressista e i movimenti democratici (il partito Socialisti rivoluzionari, il Movimento 6 aprile ecc.), come Erdogan per affrontare il Pkk e i distinti movimenti di sinistra o, per dare un ultimo esempio, la repressione delle monarchie del Bahrein e dell’Arabia saudita contro i manifestanti e le mobilitazioni popolari contro i loro regimi dittatoriali.
Bisogna ricordare che secondo il Centro di documentazione delle violazioni (Vdc) in Siria, dall’inizio delle operazioni militari russe del 30 settembre, tra l’80% e il 90% degli obiettivi dei bombardamenti, che hanno causato la morte di più di 520 civili e 100.000 sfollati, non erano nelle zone controllate dallo Stato islamico. I bombardamenti dell’aviazione militare russa hanno distrutto decine di ospedali oltre a una fabbrica di pane, cisterne di acqua potabile, mercati popolari ecc.
È chiaro che, dopo gli attentati di Parigi, Mosca tenta di colpire maggiormente i jihadisti, ma continua a bombardare i gruppi del Els (Esercito siriano libero) e i civili. Il 28 novembre, per esempio, l’aviazione russa ha bombardato un centro medico nella provincia di Idlib che ospitava una panetteria che fabbricava 130.000 kg di pane al mese e una cisterna di acqua potabile che riforniva 50.000 persone. Anche diversi quartieri popolari di Aleppo e della sua regione, e di Idlid, sono stati bombardati.
F.O.: E come analizzi l’intervento militare francese in Siria oggi, dopo gli attentati?J.D.: La Francia ha intensificato i suoi bombardamenti dopo gli attentati del 13 novembre. Ora ha mobilitato 3.500 unità militari e dispiegato la sua portaerei Charles-de-Gaulle nell’est del Mediterraneo, che dal 23 triplica la capacità di azione del governo francese.
Prima degli attentati, la Francia aveva già bombardato nel settembre 2015 insediamenti dello Stato islamico in Siria, vicino alla città di Deir Zor. Le autorità francesi avevano giustificato questi bombardamenti perché erano “santuari di Daesh dove si sono addestrati quelli che hanno attaccato la Francia”, aggiungendo che “stiamo agendo per legittima difesa”.
Dal 27 settembre, la Francia ha portato a termine quattro serie di bombardamenti addizionali in Siria, nel quadro dell’operazione «Chammal», contro lo Stato Islamico. Questa operazione era in corso dal 2014, nell’operazione congiunta diretta dagli Usa a partire dal settembre 2014, con obiettivi in Iraq (dietro richiesta del governo di Bagdad) e in Siria, dove fino a questo momento ha rifiutato di collaborare con il regime di Assad. L’operazione Chammal raggruppa circa 60 Paesi, tra cui Usa, Regno Unito, Francia, i Paesi vicini alla Siria, e la Turchia. Dal suo inizio ha escluso l’intervento diretto in territorio siriano, però ha inviato forze speciali e truppe irachene e curde. Inoltre, solo una dozzina dei suoi membro sono intervenuti nei bombardamenti, che sono già stati circa 8.300 dal 2014, l’80% dei quali compiuti dagli Usa.
Dagli attentati, la Francia ha chiesto agli altri governi occidentali che si uniscano alla “guerra contro lo Stato Islamico”. Il Regno Unito si è unito alla campagna dopo un voto del parlamento britannico a favore dei bombardamenti in Siria il 2 dicembre del 2015. Poche ore dopo la votazione, l’aviazione britannica aveva già cominciato a bombardare le istallazioni petrolifere dello Stato Islamico. Alcuni giorni dopo, il parlamento tedesco, il Bundestag, ha votato a favore del progetto di Angela Merkel, e il 4 ha autorizzato il dispiego di un massimo di 1.200 soldati (che rappresenta la maggiore missione della Bundeswehr all’estero) e di sei aerei Tornado per missioni di riconoscimento in Siria, più una fregata di appoggio alla portaerei francese Charles-de-Gaulle.
Per tanto, oggi sono sei i Paesi che stanno intervenendo in Iraq e Siria (Usa, Francia, Regno Unito, Canada, Australia e Giordania). La Danimarca e i Paesi Bassi intervengono solo in Iraq. E altri quattro Stati (Turchia, Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati arabi uniti) effettuano bombardamenti solo in Siria. Per quello che si riferisce al “rinforzo” statunitense, la portaerei Harry Truman si sta dirigendo verso il Mediterraneo, e Washington ha già 3.500 soldati in Iraq, a cui si vanno a sommare le forze speciali (circa 200 uomini in Iraq, e un rinforzo non ancora quantificato che sarà dispiegato in Siria).
Oltre a tutto questo, la Francia ha chiesto una maggior collaborazione alla Russia, che ha dichiarato, dopo gli attentati di Parigi, che questi mostravano che la Russia ha una politica estera corretta. Di fatto, il 26 novembre 2015 i governi francese e russo hanno annunciato la loro decisione di “coordinare” i loro bombardamenti in Siria contro Daesh, in particolare per puntare al trasporto dei prodotti petroliferi. Il contrabbando del petrolio rappresenta una delle principali fonti di finanziamento di Daesh, con un reddito stimato di 1.5 milioni di dollari al giorno. Francia e Russia si sono accordati inoltre per scambiarsi informazioni perché i bombardamenti non colpiscano quelli che “lottano contro Daesh”, cioè i gruppi dell’Els che lottano contro il regime e lo Stato Islamico.
F.O.: Oggi la Lit-CI e altre organizzazioni della sinistra rivoluzionaria che appoggiano la rivoluzione affrontano una intensa polemica con un settore della sinistra mondiale che pare essere convinto che non c’è niente da difendere nel processo rivoluzionario siriano visto che ci sarebbe un intervento imperialista (Usa) dalla parte dei ribelli. Questa posizione afferma che, sfortunatamente, non c’è già più niente da difendere nel processo rivoluzionario siriano perché i ribelli sono finanziati e controllati dall’imperialismo nordamericano o dagli islamisti radicali. Qual è quindi il ruolo che vuole svolgere l’imperialismo nordamericano nella regione e qual è la realtà del suo intervento?J.D.: In primo luogo vorrei precisare che c’è stata una totale assenza di assistenza militare conseguente in appoggio dei rivoluzionari siriano, sia da parte degli Usa che degli altri Paesi occidentali. Di fatto, il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo nel gennaio 2015 dove un collaboratore della Cia affermava: “Alcuni carichi di armi erano talmente piccoli che i comandanti dovevano razionare le munizioni. Uno dei comandanti di fiducia degli Usa riceveva un totale di 16 pallottole al mese per combattente. Si chiedeva ai ribelli che consegnassero i loro lanciamissili anticarro per averne di nuovi, però non potevano avere nemmeno proiettili per i blindati che catturavano. E quando l’estate passata chiedevano più munizioni per scontrarsi con i gruppi legati ad Al Quaeda, gli Usa gliele negarono”.
Il piano di Barack Obama, che è stato approvato dal Congresso nordamericano con un preventivo di 500 milioni di dollari per armare ed equipaggiare tra i 5.000 e i 10.000 ribelli ma che non è mai stato messo in marcia, non cercava di rovesciare il regime di Assad, com’è chiaro nella risoluzione stessa: “Il segretario della Difesa è autorizzato a fornire assistenza, formazione, equipaggiamento e approvvigionamento, in coordinamento con il segretario di Stato, a elementi dell’opposizione siriana e ad altri gruppi siriani scelti in maniera appropriata con i seguenti obiettivi: 1) difendere il popolo siriano contro gli attacchi dello Stato Islamico e rendere sicuri i territori controllati dall’opposizione siriana, 2) Proteggere gli Usa, i suoi amici e alleati e il popolo siriano dalla minaccia dei terroristi in Siria, 3) Favorire le condizioni per una soluzione negoziale al conflitto siriano”.
Questo programma è stato un fallimento e ora è stato cancellato. Ma prima del suo termine, la dirigente politica del Pentagono, Christine Wormuth, aveva riconosciuto che “il programma era molto più piccolo di quello che ci aspettavamo”, e che c’erano tra i 100 e i 200 combattenti in corso di formazione, precisando che ricevevano una formazione disastrosa. Un generale nordamericano è arrivato a dichiarare davanti al Congresso Usa che si riuscì a formare con successo solo “quattro o cinque” soldati dell’opposizione.
Il capo di Stato maggiore del gruppo ribelle addestrato dagli Usa, la divisione 30, si è dimesso dal suo incarico e si è ritirato dal programma il 19 settembre 2015. Ha parlato, tra le altre cose, “dell’assenza di un numero sufficiente di reclutamenti” e della “mancanza di serietà al momento di mettere in marcia il progetto che istituiva la divisione 30”.
L’altro ostacolo che gli Usa hanno incontrato in Siria è stato e continua ad essere quello di riuscire a costituire gruppi armati che siano fedeli ai suoi interessi, a causa della realtà locale. Questo di deve all’accordo della grande maggioranza dei gruppi di opposizione siriani a non cooperare con Washington se questa non garantisce loro la possibilità di mantenere la loro indipendenza e autonomia e se questa cooperazione non comporta il chiaro obiettivo di rovesciare Assad.
Dopo il suo fallimento nel tentativo di formare battaglioni dell’Esercito siriano libero (Els), gli Usa hanno cambiato la sua strategia nell’autunno del 2015 e hanno deciso ora di appoggiare politicamente e militarmente le Forze democratiche siriane (Fds) per sconfiggere Daesh (o Stato Islamico). Le Fds sono state create nell’ottobre 2015 per dare una copertura giuridica all’appoggio militare degli Usa al Pkk in Siria. Le Fds sono dominate dal Ypg (il braccio armato del partito Pyd, Partito dell’unione democratica, sezione siriana del Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan) dato che gli altri gruppi che vi partecipano (gruppi curdi, siriani e alcuni legati all’Als, come l’esercito rivoluzionario Jaysh al-thuwar) hanno un ruolo ausiliario. Gli Usa hanno la speranza che altri gruppi dell’Els si uniranno alle Fds. Tuttavia la politica del Pyd, e in particolare il suo atteggiamento di non confronto con il regime di Assad, il suo appoggio all’intervento militare russo, oltre agli abusi contro civili arabi in alcune regioni, impediscono al momento che si formi un legame di fiducia tra queste forze e i gruppi rivoluzionari popolari siriani.
Dall’altro lato, gli Stati della regione, come Turchia, Arabia saudita o Qatar, hanno finanziato vari gruppi: in gran parte si tratta di movimenti islamisti fondamentalisti che si oppongono agli obiettivi della rivoluzione e che vi antepongono i propri interessi politici. Il Quatar, per esempio, ha fornito un appoggio chiave al gruppo Jabhat al Nusra, mentre la Turchia appoggia, direttamente o passivamente, vari movimenti islamici fondamentalisti (come la coalizione Jaysh al-Fatah, diretta da Jabhat al Nusra e Ahrar Sham) e dello Stato Islamico. Questo appoggio è ovvio quando la Turchia permetta totale libertà di movimento a detti i gruppi da entrambi i lati della frontiera nord dela Siria contro i gruppi democratici dell’Els e, in particolare, che combattono qualsiasi forma di autonomia delle regioni curde sotto il controllo del Pkk. E infine, le televisioni private delle monarchie del Golfo hanno sostenuto e finanziato, con il consenso delle classi dirigenti dei rispettivi Paesi, vari movimenti islamici fondamentalisti con l’intento di trasformare una rivoluzione popolare in una guerra confessionale.
F.O.: Ti sembra quindi che oggi continuino ad esserci attivisti, correnti o gruppi nel processo rivoluzionario siriano che la sinistra (e anche le masse popolari e i lavoratori del mondo intero) dovrebbero appoggiare?
J.D.: In primo luogo dobbiamo ricordare che la rivoluzione siriana fa parte di un processo rivoluzionario che si è dato in tutta la regione, e che è parte integrante delle sue dinamiche. Ogni tentativo di separare la rivoluzione siriana da questo processo deve essere combattuto. I rivoluzionari in Siria combattono – come gli altri attivisti negli altri Paesi delle regioni – per la libertà e la dignità. In questa lotta si scontrano con regimi autoritari e gruppi islamisti e jihadisti che si oppongono ai loro obiettivi.
Le aspirazioni e le resistenze popolari delle masse siriane vengono completamente ignorate e anche combattute sul terreno della lotta da forze che le sovrastano. Ci sono moltissimi individui e piccoli gruppi, anche se molto indeboliti dalle repressioni del regime prima e dei gruppi fondamentalisti dopo, che formano comitati popolari locali di coordinamento.
Tuttavia esistono ancora enclavi di speranza e resistenza, composte da gruppi e movimenti democratici diversi che si oppongono a tutte le forme di controrivoluzione: il regime di Assad e i gruppi fondamentalisti islamici. Sono questi quelli che mantengono ancora vivi i sogni dell’inizio della rivoluzione e i suoi obiettivi: la democrazia, la giustizia sociale, l’eguaglianza e l’opposizione al progetto di uno Stato confessionale. Li troviamo ad Aleppo e nei dintorni, a Idlib e nei suoi dintorni, o nelle zone rurali che circondano Damasco. Se ne possono trovare molti esempi sul mio blog.
F.O.: Puoi farci qualche esempio?
J.D.: Per esempio, nella piccola città di Burkmal, ad est della città di Deir Zor, occupata dallo Stato Islamico, gli atti di resistenza popolare degli abitanti non hanno smesso di aumentare in novembre e dicembre 2015 contro i membri di Daesh. Ci sono state manifestazioni e hanno fatto sventolare sopra una scuola la bandiera della rivoluzione siriana, oltraggiata dai jihadisti, mentre un commando armato, legato a gruppi della rivoluzione, ha assassinato quattro dei comandanti dello Stato Islamico nella città. Nella città di Minjeb, nella zona rurale di Aleppo, hanno avuto luogo varie manifestazioni contro la repressione della popolazione locale da parte dello Stato Islamico, in particolare contro le pene di morte inflitte per “apostasia” (rinuncia o abbandono della credenza religiosa). In questo contesto, in varie occasioni, membri dello Stato Islamico, uno dei quali era un giudice dei tribunali religiosi imposti dallo Stato Islamico, sono stati uccisi. Nella città di Raqqa e nella provincia di Deir Zor, un commando dell’Els, chiamato “Sudario bianco” porta avanti attacchi di guerriglia diretti contro le unità militari dello Stato Islamico.
Ma posso darvi esempi di resistenza che si ripetono dalla scorsa estate, quando varie manifestazioni furono organizzate nelle zone rurali attorno ad Aleppo, Damasco e altre località, anche a Idlib. A Idlib, alla fine del mese di giugno c’è stata una protesta, dopo la preghiera del venerdì, per esigere che la gestione dell’amministrazione municipale venga affidata e gestita dalla popolazione locale e che il quartiere militare della coalizione Jaish al-Fatah (dominata da Jabhat al-Nusra e Ahrar) si sposti fuori dalla città. O a Duma, vicino a Damasco, dove a giugno ci sono state diverse proteste dopo il sequestro di un membro del consiglio locale. In agosto e settembre, nella piccola città di d’Al-Atarib, nei dintorni di Aleppo, che è occupata da Jaghat al-Nusra (Al-Qaeda) ci sono state diverse manifestazioni contro le sue pratiche autoritarie. E il 7 agosto 2015, per esempio, migliaia di persone hanno sfilato nella città di Saqba (nella zona rurale di Damasco) in nome degli obiettivi della rivoluzione siriana. Una settimana più tardi, un gruppo di donne hanno manifestato per la liberazione dei prigionieri politici detenuti dall’organizzazione Esercito dell’Islam, legata all’Arabia Saudita. Hanno passato mesi a protestare.
Il 25 settembre curdi, arabi, assiri e turkmeni hanno manifestato contro i crimini dello Stato Islamico e Assad nel quartiere di Sheikh Maqsoud, ad Aleppo. Il 6 ottobre, i rivoluzionari di Aleppo hanno organizzato una manifestazione contro Jabhat Al-Nusra e hanno chiesto che la organizzazione lasciasse la città. Il 18 ottobre è stata organizzata a Duma una campagna di solidarietà dei rivoluzionari con il popolo palestinese e l’Intifada. Il 10 novembre ci sono stati atti di disobbedienza civile organizzati da militanti che protestavano contro la sparizione di rivoluzionari per mano di Jabhat Al-Nusra nei quartieri di Aleppo.
Come hanno scritto i rivoluzionari siriani: “I nemici sono tanti… la rivoluzione è una… e continua”. Il movimento popolare siriano non ha detto la sua ultima parola.
F.O.: La crisi dei rifugiati ha scosso duramente l’Europa. Come possiamo aiutare veramente i rifugiati siriani? Che limiti vedi al discorso puramente “umanitario” che si è imposto come egemonico?
J.D.: Possiamo aiutare veramente i rifugiati siriani. La prima cosa è lottare contro le vostre stesse borghesie. Non possiamo dimenticare il ruolo degli Stati imperialisti occidentali nella situazione attuale. Le politiche razziste di sicurezza dell’Union europea (Ue) in materia di immigrazione sono ugualmente responsabili dei drammi quotidiani dei rifugiati in viaggio, per terra e per mare, verso l’Europa. La politica di chiusura delle frontiere spinge centinaia di migliaia di persone che fuggono dalla guerra e dalla miseria a usare mezzi illegali e pericolosi per tentare di raggiungere i Paesi europei. Bisogna sottolineare che i pochi rifugiati che arrivano in Europa (la grande maggioranza si fermano in Paesi che non sono dell’Ue) devono affrontare la violenza della polizia, il “campo della giungla” a Calais, Francia, la costruzione di un muro di quattro mesi di altezza da parte del governo ungherese lungo i 175 km della sua frontiera con la Serbia, le operazioni navali dell’agenzia Frontex nel mar Egeo e nel Mediterraneo, e che tutte queste politiche repressive sono finite in tragedie, con migliaia di persone affogate.
Bisogna lottare contro la messa in pratica della “Fortezza Europa”, e lottare per l’apertura delle frontiere. E, allo stesso modo, bisogna lottare per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati (diritto all’alloggio, al lavoro ecc.), e, in generale, per quelle delle classi popolari.
Dobbiamo anche combattere la propaganda razzista e islamofoba, in particolare quella dell’estrema destra europea, che non smette di qualificare i rifugiati siriani, così come quelli di altre nazionalità, come “terroristi potenziali”. È il caso del leader del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip), il quale ha avvertito che quelli che fuggono sono probabilmente estremisti dello Stato Islamico e di altri gruppi jihadisti che “rappresentano una minaccia diretta alla nostra civiltà”. Questi dirigenti politici non sono molto diversi dal dittatore Assad, che nel settembre 2015 ha scritto su Twitter: “Il terrorismo non si fermerà qui, verrà esportato attraverso l’immigrazione illegale verso l’Europa”. Quando l’estrema destra non bolla i rifugiati come terroristi, li accusa di minacciare le “radici cristiane” dell’Europa, come ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban di fronte all’arrivo massiccio di immigrati. Infine Marine Le Pen, leader del movimento fascista francese, il Fronte nazionale, che è d’accordo e diffonde tutta questa propaganda razzista, dopo gli attentati ha chiesto “un immediato stop all’accoglienza degli immigrati” e il ristabilimento delle frontiere nazionali, che equivale in pratica alla completa chiusura delle frontiere
Tuttavia, dobbiamo sottolineare che, nonostante la situazione difficile, un gran numero di rifugiati si è organizzato per protestare e resistere agli attacchi della polizia e alle politiche di sicurezza degli Stati dell’Ue, come nel caso delle persecuzioni alla stazione ferroviaria di Budapest, nei campi di rifugiati di Calais e in Grecia, o alla frontiera ungherese.
Dobbiamo organizzarci per lottare, insieme ai rifugiati e agli immigrati senza documenti, per imporre l’apertura delle frontiere, la libera circolazione e l’accoglienza degna delle persone che fuggono dalla guerra, dall’oppressione o dalla miseria sociale. Dobbiamo porre fine ai campi alle politiche razziste e, soprattutto, mettere in discussione il sistema capitalista, che è l’origine di queste catastrofi.
Ma, come ho detto all’inizio, non basta combattere l’estrema destra, bisogna condannare la politica imperialista e le guerre provocate dagli Stati occidentali nella regione, che sono responsabili dei problemi politici ed economici che causano la fuga di migranti e rifugiati. E questo implica anche condannare la collaborazione degli Stati occidentali con le dittature nella regione. La soluzione non risiede nella collaborazione con regimi autoritari come quello di Assad. La soluzione è certamente opporsi allo Stato Islamico e alle altre forze reazionarie e jihadiste (giova ricordare che Assad ne ha favorito lo sviluppo all’inizio della rivolta popolare in Siria, mentre uccideva e reprimeva le forze democratiche e progressiste), ma è importante opporsi ugualmente e soprattutto al regime barbaro, autoritario, criminale di Assad. Poiché è questo regime la causa della catastrofe attuale in Siria, e dell’esilio di milioni di siriani e siriane. Tanto lo Stato Islamico, quanto Assad, sono due forze barbare che si alimentano reciprocamente, e entrambe devono essere sconfitte per poter costruire una società democratica, laica e sociale in Siria, e anche in altri luoghi.
Per questo è necessario appoggiare i movimenti popolari democratici e sociali che si oppongono a queste due forze controrivoluzionarie, e alle diverse forme di imperialismo (Ue e Russia) e sub-imperialismo regionale (Iran, Arabia Saudita, Qatar e Turchia) che lottano contro gli interessi delle masse popolari in lotta. Questi attivisti esistono ancora in Siria, e lottano quotidianamente contro le forze islamiche fondamentaliste nonostante le difficoltà. Se guardiamo per esempio quello che sta succedendo in Iraq, dove è nato lo Stato Islamico, vediamo che nelle ultime settimane di novembre si è formato un movimento popolare che mette in questione il regime di Bagdad, appoggiato dall’Iran. Si possono sentire nelle manifestazioni degli appelli a costruire uno Stato laico e non confessionale, contro la divisione della popolazione in sunniti e sciiti, per i diritti delle donne e l’uguaglianza, e una denuncia chiara verso i partiti che hanno una politica confessionale. I manifestanti accusavano il regime iracheno confessionale di essere, a causa della sua politica, responsabile dello sviluppo dello Stato Islamico, e innalzavano striscioni sui quali si poteva leggere “il parlamento e lo Stato Islamico (o Daesh) sono due facce della stessa medaglia”, o “Daesh è nato dalle viscere della vostra corruzione”. Solo in questo quadro di analisi politica della situazione potremo uscire dall’incubo delle dittature e dei fondamentalismo di ogni tipo, potremo dare la possibilità a milioni di persone di avere una vita libera e degna.
(*) dal sito della Lit - Quarta Internazionale www.litci.org
(traduzione di Matteo Bavassano)