Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 19 settembre 2015

Il Colosseo come la Asl

Luciano Granieri

Per promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo bisogna lavorare aggratis. Questo   è     la morale della vicenda relativa alla ritardata apertura del Colosseo per assemblea sindacale avvenuta venerdì  scorso. Al fine di  contribuire a rendere fulgido e splendido il biglietto da visita delle grandi bellezze italiane,  bisogna rinunciare a circa 4mila euro l’anno in busta paga. Questo è l’importo del salario accessorio che il personale di custodia dovrebbe percepire a compenso del  lavoro straordinario,  delle prestazioni fuori turno e notturne. 

Ebbene i lavoratori, stufi di non ricevere da un infinità di mesi  i soldi spettanti, si sono messi a fare assemblea sindacale. Un assemblea decisa da tempo, autorizzata dal Mibact  e comunicata tempestivamente ai tour operator . Una scelta  che  ha comportato l’apertura dell’Anfiteatro Flavio alle 11,30 anziché alle 8,30. La grande fila di turisti davanti al Colosseo in attesa dell’apertura degli ingressi , che secondo Renzi, il Ministro Franceschini ed il sindaco Marino, hanno costituito uno sfregio per il nostro Paese, è stata solo un po’ più lunga del solito. Infatti per entrare nel sito  la fila si fa sempre e comunque. Il  personale di custodia al servizio ai turisti è ampiamente insufficiente, tale da non riuscire ad accogliere un numero di visitatori adeguato  rendendo così inevitabile la formazione di file. 

Lo sfregio vero dunque non è la coda  dei turisti  ma la mancanza di  fondi per  assicurare gli addetti necessari  a rendere agevolmente fruibili i musei. Di questo sfregio evidentemente non sono colpevoli i lavoratori in lotta, ma gli stessi Renzi e Franceschini. Comunque pronta è stata la reazione del Presidente del Consiglio e del suo Ministro a questa provocazione sindacale. Il Consiglio dei Ministri in quattro e quattr’otto ha varato un decreto legge  per cui i musei e i luoghi di cultura sono equiparati ai servizi pubblici essenziali. Categoria che comprende la sanità, la scuola, il trasporto pubblico (treni aerei) .Comparti in cui le modalità di uno sciopero vanno concordate con la Commissione di Garanzia.  

Tale equiparazione  è abbastanza inquietante , non tanto per l’ennesimo attacco ai diritti dei lavoratori, esercizio comune all’iperliberista governo renziano, ma per altri terribili scenari ipotizzabili. Prendiamo il sistema sanitario. Ottenere  una prestazione diagnostica, anche importante,  comporta un’attesa superiore ai  dodici mesi. Se questo è l’andazzo fra qualche tempo  per visitare il Colosseo, non basterà più una fila di due ore ma sarà necessario accamparsi per un anno sotto le volte dell’anfiteatro in attesa del proprio turno. E  allo stesso modo della scuola sarà possibile che il custode del cenacolo di  Leonardo a Milano, se vuole il contratto a tempo indeterminato, dovrà prendere servizio presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria dove sono esposti  i Bronzi di Riace.  

Comunque tralasciando le solite sparate autoritarie di un ducetto  fascioriformista, a seguito dell’agitazione è arrivato lo sblocco dei fondi per pagare il salario accessorio a tutti i lavoratori del settore. Ciò è una chiara dimostrazione che alla fine gli sfregi pagano e che i diritti si possono difendere solo con la lotta, con buona pace di Renzi, Franceschini e Marino. Tanto i turisti in coda ci saranno sempre.


venerdì 18 settembre 2015

IL DIRITTO DI SCIOPERO SI DIFENDE SCIOPERANDO!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

Il governo reazionario e antioperaio di Renzi ha varato oggi un decreto legge che restringe ulteriormente il diritto di sciopero.
Con l’aiuto dei principali media e avvalendosi dell’atteggiamento complice dei vertici sindacali collaborazionista, il governo ha preparato da mesi questo provvedimento che colpisce l’intero movimento operaio e sindacale.
Lo ha fatto dopo aver cancellato l’art. 18 e introdotto misure di controllo a distanza dei lavoratori, dopo aver tagliato ulteriormente i fondi dei servizi sociali, sanitari e culturali che dice di voler “difendere” dagli scioperi.
Tutti i partiti di destra e di “sinistra” della borghesia, in testa il PD neoliberista, partecipano alla carica contro i lavoratori e le loro organizzazioni di massa.
Non passa giorno che i lavoratori si vedono privati del diritto di assemblea, di sciopero, di espressione delle proprie opinioni. I contratti collettivi nazionali di lavoro vengono negati. Gli operai più combattivi vengono multati, sospesi e licenziati dai padroni. E in fabbrica, nei cantieri, nei campi, i proletari vengono sacrificati sull’altare del profitto come e più di prima.
Autoritarismo nei posti di lavoro e autoritarismo politico, liquidazione delle libertà conquistate a caro prezzo dalla classe operaia e controriforma della Costituzione democratico-borghese fanno parte di un solo progetto reazionario ispirato dal grande capitale.
C’è un solo modo per far saltare questo attacco reazionario che procede in varie forme in tutta l’UE imperialista: sviluppare e organizzare la lotta di classe degli sfruttati!
Chiamiamo gli operai e gli altri lavoratori sfruttati a riprendere la lotta più combattiva e compatta contro l'offensiva del capitale e del suo governo.
Il fronte unico di lotta del proletariato, e ancor più l’esistenza di un forte Partito comunista rivoluzionario, sono le armi decisive che abbiamo per impedire alle forze reazionarie di portare a termine il loro piano e per aprire la via a unGoverno degli operai e degli altri lavoratori sfruttati, che sorga dal movimento rivoluzionario delle masse sfruttate e oppresse e si appoggi sui loro organismi.
Contro l’attacco ai diritti di assemblea e di sciopero, assemblee e scioperi ovunque!
Rafforziamo e uniamo l’opposizione di classe nei sindacati di massa!
Diamo vita a Comitati operai e popolari nei posti di lavoro e sul territorio!
Organizziamo lo sciopero generale per cacciare il governo Renzi!

Uniamoci, organizziamoci, lottiamo per farla finita con un sistema moribondo, per l’alternativa di potere del proletariato!

Furto di contatori a Piedimonte San Germano: il Coordinamento Provinciale interviene riallacciando il servizio idrico

 Consulta dell'Ambiente di Piedimonte San Germano 


E' di 22 giorni fa l'amara sorpresa di una famiglia con 3 minori che ritornando nella propria abitazione dopo la spesa si è accorta che il contatore dell'acqua non c'era più. Non riuscendo a regolarizzare tutte le bollette dell'acqua, a causa della situazione disagiata in cui attualmente vivono, la famiglia pedemontana si è vista sottratto quel bene "inalienabile" per l'essere umano, al quale non si può fare a meno, sancito dai Diritti Universali dell'Uomo e ribadito nell'ultimo referendum nazionale popolare del 2011: l'acqua. Eppure ancora oggi dobbiamo fare i conti con questa scandalosa vicenda della mala gestione di Acea ATO5, contro quei sindaci ignavi che da anni permettono all' "esattore Acea" di vessare e ricattare i cittadini. Così, intorno ai primi di Settembre, alcuni membri del Coordinamento Acqua Pubblica Frosinone, Marcello Iacovella per il Comitato Acqua Nostra Cassino e Alessandro Barbieri della Consulta dell'Ambiente di Piedimonte S.G., sono intervenuti portando all'attenzione del sindaco Nocella l'urgente problema, essendo egli la massima autorità sanitaria, con la promessa che avrebbe risolto non solo quest'ultimo caso ma anche altri simili. «Nella mattinata del 18 settembre, - commentano Iacovella e Barbieri - non riscontrando alcun provvedimento dall'amministrazione comunale, siamo dovuti intervenire presentando alla caserma locale dei Carabinieri formale "denuncia di furto contro ignoti" e ripristinando il relativo servizio idrico con l'installazione di un nuovo contatore. Il Coordinamento Provinciale - ricordano i membri - supporta gratuitamente da anni chiunque voglia difendere il diritto all'acqua. Cogliamo l'occasione per ricordare che sia a Cassino, sia a Piedimonte S.G. ci si può rivolgere agli sportelli gratuiti mediante i nostri contatti. La lotta continua.» 


Partecipazione all'assemblea di Vertenza frusinate.

Il Segretario del PCd’I Provinciale

Oreste Della Posta


Il Partito Comunista d’Italia aderisce alla manifestazione che si terrà il 22 alle ore 16 davanti alla sede della Provincia di Frosinone.
Invitiamo a partecipare a tale iniziativa le forze che vogliono lottare per la dignità del lavoro come stanno facendo il “Comitato Promotore per la vertenza Frusinate contro la disoccupazione e la precarietà” e il “Comitato lotta per il lavoro”.
Le due vertenze, dopo essersi nuovamente confrontate sulle criticità del nostro territorio, hanno deciso di fissare un incontro che avrà luogo il 22 settembre alle ore 16 presso la sala della Provincia di Frosinone.
Quest’assemblea si prefigge l’obiettivo di riunire quante più persone possibili: lavoratori disoccupati, giovani, rappresentanti politici locali, in modo da affrontare insieme un discorso che abbia come filo conduttore il lavoro e che coinvolga tutte le aree da nord a sud della Provincia.
Si partirà dai problemi quotidiani che i tanti senza lavoro della Provincia si trovano ad affrontare per tentare di acquisire una coscienza che possa portare verso una via d’uscita, consapevoli dell’attuale inefficienza della politica che non riesce a dare risposte concrete, della mancanza di accesso ai servizi primari e della necessità di un’informazione diretta che attraverso la trasparenza e l’avvio di pratiche partecipative riesca ad aggirare l’illegalità.

giovedì 17 settembre 2015

APPELLO PER ASSEMBLEA PUBBLICA “VERTENZA FRUSINATE”




Vertenza Frusinate

Il nostro territorio muore progressivamente. LA NOSTRA COMUNITÀ STA VIVENDO MOMENTI DRAMMATICI SIA SOCIALI CHE ECONOMICI, nella indifferenza totale della politica, degli amministratori, impegnati evidentemente a servire altri interessi.
La vicenda che ha riguardato la Grecia si rispecchia con la vicenda del Sud Italia abbandonato a se stesso nell’ambito proprio di una stretta creditizia chiamata più correttamente AUSTERITÀ, che ha determinato un crollo del PIL sprofondato a -14,5% rispetto al 2007, incidendo quasi esclusivamente sui redditi medio-bassi.
Un settore che ha patito significativamente la CRISI è quello manifatturiero, nonostante riveste un ruolo di primo piano all’interno dell’economia di Frosinone, sia in termine di addetti, che di valore aggiunto e di aggregazioni distrettuali, ricoprendo quasi il 10% delle imprese della provincia e oltre il 12% delle aziende manifatturiere del Lazio. Così come mostrano dinamiche negative ancor più accentuate le imprese artigiane della provincia di Frosinone, per non parlare del settore agricolo.
Il livello di DISOCCUPAZIONE nelle regioni meridionali italiane è il più basso rispetto a qualsiasi altro paese dell’Unione Europea. A Frosinone raggiunge il 18,5%, con un +106,2% dal 2009, con tassi di crescita doppi rispetto alla media regionale (+49,0%) e molto più elevati della media nazionale (+60,0%), toccando le 28.352 unita.
La parcellizzazione del LAVORO, la sua frammentazione, l’abbassamento dei salari fanno il resto, smantellando dinamiche di relazione, cancellando ogni possibile sforzo di costruzione e speranza del futuro. Si vive alla giornata ben sapendo che domani potrebbe essere peggio di ieri. In cerca di maggiori opportunità, migliaia di persone con flusso crescente si spostano dal Sud verso il Nord. Gli altri si tramutano in “LAVORATORI SCORAGGIATI”,  ritirandosi dal mercato del lavoro. Questi pesantissimo fenomeno nel frusinate conta il  44% di inattivi rispetto alla forza lavoro (Italia 36,5%), che negli ultimi anni ha visto una flessione pari all’8,1% (dai 171mila del 2009, con circa 14 mila unità in meno). Soprattutto un crescente numero di giovani non intraprende più alcuna azione attiva di ricerca di un impiego, collocandosi così fuori dal perimetro delle forze di lavoro.
Chi rimane è alla prese per soddisfare le esigenze primarie e per far fronte anche alla necessità di cibo: per alcuni strati della popolazione, imbandire una tavola è una chimera raggiungibile solamente attraverso l’elemosina, le file per i pacchi alimentari. Si amplia il fenomeno dei WORKING POOR, ovvero dei lavoratori a basso salario, che ha assunto dimensioni rilevanti e costanti, senza che esso avvii un percorso verso la stabilizzazione del rapporto di lavoro e una maggiore indipendenza economica.
Il REDDITO pro capite nella provincia di Frosinone ha subito una notevole contrazione dal 2009, specie se lo si rapporta all’andamento nazionale. Difatti, posto pari a cento il reddito medio delle famiglie procapite sul territorio italiano il divario con la media nazionale è aumentato negli anni attestandosi al 75,9.
Dall’altro lato la compressione della SPESA PUBBLICA per investimenti e servizi ai cittadini è stata uno degli aspetti più deflagranti per le popolazioni locali (il comparto comunale ha ridotto la spesa primaria di più del 7 per cento); una mancata redistribuzione del reddito; una privatizzazione delle risorse; un attacco allo stato sociale; una restrizione dei diritti e dei processi democratici, con il connotato sempre presente di una diffusa e tentacolare illegalità e corruzione. I comuni, nonostante le tasse per la casa, l’immondizia e le tariffe per i servizi alla persona siano al massimo, riducono ulteriormente la spesa per i servizi alla persona.
I BENI PUBBLICI diventano appannaggio di interessi privati: la gestione di Acea con bollette fuori controllo per le tasche dei cittadini è un esempio da manuale, ma è anche un caso limite, oltre il quale c’è solo la disperazione. La sanità è in preda ad un pesante ed indiscriminato sfascio, mentre i privati anno affari, offrendo servizi a costi altissimi, per pochi. La distruzione del territorio e del suo ambiente continua indiscriminato e senza che alcuno trovi modo di contenere quell’inerzia imprenditoriale locale che ha basato tutto sul mattone e vorrebbe al di là di ogni buon senso continuare a depredare suolo e aria. Un territorio depauperato, inquinato, aggredito, asservito al riciclo di denaro che vede la gestione dei rifiuti come rischiosa ma “appetitosa risorsa” economica a dispetto della comunità dei cittadini. In questa veloce, incontenibile, rottura del patto sociale e civile, la democrazia viene privata delle sue necessarie connotazioni come la traspar enza e la partecipazione, diventando strumento di decisione per pochi, perché pochi devono gestire le risorse e i beni di tutti.
Manca una politica locale di rilancio economico ed occupazionale, ma anche tutela nel garantire a tutti l’accesso ai servizi primari.
C’è necessità di riconoscere il valore della comunità nella solidarietà e nella condivisione; c’è bisogno che questa comunità affronti i problemi del nostro territorio e ne promuova pratiche partecipative, guardando il futuro con responsabilità e non come una risorsa da consumarsi insaziabilmente.
I comitati, i coordinamenti, gli attori singoli o plurali che in questi mesi stanno proponendo un diverso modo di informare e difendere il lavoro, i beni pubblici, la cultura, l’ambiente, sono chiamati a dare un contributo nella ricostruzione collettiva di una coscienza civile, culturale, sociale ed economica opponendosi insieme senza indugi alle politiche messe in atto nei nostri territori senza attendere ancora, inerti, un cambiamento che dalle politiche in atto di austerità non potrà avvenire.
Si fa appello per la partecipazione ad una assemblea pubblica IL 22 SETTEMBRE ’15 ALLE ORE 16 PRESSO LA SALA CONSILIARE DELLA PROVINCIA DI FROSINONE che dia l’avvio ad un movimento che sappia coinvolgere tutte le aree della Provincia di Frosinone per gli interventi necessari a rilanciare l’economia e l’occupazione

La magia di "Bello de nonna"

Luciano Granieri



Il calcio di oggi, quello della Champions League è roba per ricchi capitalisti. Partecipare alla massima competizione europea per un club significa guadagnare centinaia di  milioni di euro. Il giocattolo fa  gola a ricchi sceicchi, magnati russi e scaltri finanzieri. I migliori calciatori sono merce pregiata, sono  guerrieri dalla faccia pulita arruolati in  invincibili armate pedatorie che imperversano sui campi di mezzo mondo. 

Atleti il cui costo raggiunge cifre iperboliche, Messi o Neymar del Barcellona, Cristiano Ronaldo del Real Madrid, Muller del Bayern Monaco e tanti altri celebrati campioni che militano nel Manchester City, nel Chelseae, nel Paris  Saint Germain sono gli attori da red carpet  che mandano avanti il miliardario e sfavillante carrozzone della Champions. Un carrozzone dove i tifosi allo stadio contano sempre meno e gli abbonamenti alle pay tv sempre di più. 

Eppure il calcio non era sport borghese. Agli inizi del ‘900 quando sono iniziati i primi campionati in Italia, il football era figlio del popolo, perfino Gramsci lo esaltò come sport sano  e corretto. Il Corriere dello Sport, ad esempio,  nacque il 14 luglio del 1923  come periodico. Allora  si chiamava  Sport e Proletariato . L’editoriale del primo numero riferiva di  un incontro di calcio promosso dalla federazione del lavoro fra una rappresentanza italiana di operai e  la francese  Federatione Sportive du Travail finito 7 a 2 per gli Italiani. Le partite si svolgevano nei campi impolverati di periferia e nei paesi. La Pro Vercelli, Il Casale, la Novese vinsero  fior di scudetti.  

Poi piano piano la borghesia si è impadronita del giocattolo  trasformandolo nella macchina da soldi che è oggi. Ma fortunatamente rimanendo il calcio pur sempre un sport e dunque dipendente dall’abilità, dalla fantasia, dalla creatività dei suoi interpreti, spesso regala momenti di vera e propria arte. Una magia a che per avverarsi non ha bisogno dei milioni  di investimenti, della ferrea programmazione. La magia si materializza, si genera per un’intuizione, per la straordinarietà di un gesto. E’ la fantasia e il coraggio di Davide che spesso ha ragione di Golia. 

E’ accaduto l’altro ieri sera allo Stadio Olimpico di Roma, quando  un ragazzo di 24 anni  con la faccia pulita di figlio del popolo  s’inventa il gesto, l’intuizione che consente alla Roma di pareggiare la partita contro il Barcellona, lo squadrone campione d’Europa. Lo strapotere di Messi e compagni era straripante. Nessuna tattica, nessun modulo avrebbe potuto cambiare gli equilibri, troppa la differenza fra i calciatori blaugrana,  in maglia blu elettrico per l’occasione, e la Roma. Ma  all'improvviso si avvera l’inimmaginabile , il colpo di genio, un tiro da 55 metri che lascia di stucco il portiere dei Catalani Ter Stegen e fa esplodere l’Olimpico incredulo  di gioia. 

E' proprio il  giovanotto dalla faccia di figlio del popolo a creare la magia. Un ragazzo semplice che tempo fa, dopo un gol realizzato contro il Cagliari, corse ad abbracciare la nonna in tribuna. Bello de nonna lo chiamarono dopo quel gesto. E l’altro ieri sera bello de nonna è entrato nella storia del calcio e dello sport in generale, perché quel gol da 55 metri è pura magia è  l’incantesimo  del ragazzo semplice ma geniale. Forse è per gente come bello de nonna che il calcio nonostante i milioni  e le tristi storie di corruzione che colpiscono federazioni e dirigenti, rimane uno sport emozionante e coinvolgente, sano avrebbe detto Gramsci.


mercoledì 16 settembre 2015

Sabra e Chatila negli occhi di chi c'era

Ingrid Colanicchia 


«Hanno ucciso mio padre con un colpo di pistola alla testa. Alla mia vicina di casa incinta di 9 mesi hanno squarciato la pancia. Dei dieci uomini cui ho raccontato quello che stava succedendo e che hanno deciso di andare a parlare con gli israeliani che presidiavano le uscite dei campi, neppure uno ha fatto ritorno».
Jamila mi guarda fisso negli occhi mentre mi dice di far sì che quelle parole non rimangano tra le quattro mura della sua casa. Siamo nel campo profughi di Chatila, alla periferia sud di Beirut. Seduta accanto a lei c'è sua madre, un fagotto di rughe scavate.
La storia che Jamila vuole che racconti è quella del massacro dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, di cui ricorre il 33° anniversario: non perché pensa che ci sia qualcuno che non la conosca, ma perché nessuno fino ad oggi ha pagato per quelle 40 ore di sangue.
Verso la strage
È il 16 settembre del 1982. La guerra civile tra cristiani maroniti e musulmani dilania il Libano da sette lunghe estati. Da giugno l'esercito israeliano ha occupato il sud del Paese. A fornire al primo ministro, Menachem Begin, e al ministro della Difesa, Ariel Sharon, il pretesto per varcare i confini e mettere alle strette l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) – che in Libano ha traslocato dopo aver lasciato la Giordania e che è direttamente coinvolta nel conflitto – è l'attentato in cui rimane ferito Shlomo Argov, ambasciatore israeliano a Londra. Ne è responsabile un commando del gruppo di Abu Nidal, ex membro di Fatah espulso da Arafat già nel lontano 1974: l'Olp è dunque totalmente estranea ai fatti, ma il governo israeliano non si lascia sfuggire l'occasione per dire che il Libano va bonificato dalla presenza palestinese. Ad agosto la dirigenza dell'Olp – la cui presenza era sempre stata mal digerita, costituendo di fatto uno Stato nello Stato – accetta di lasciare il Paese a condizione che l'esercito israeliano non entri a Beirut ovest (dove si trovano i campi palestinesi e le sedi e gli uffici dell'organizzazione) e che un forza multinazionale garantisca la sicurezza dei campi profughi, a quel punto privi della protezione dei fedayn e dunque alla mercé dei falangisti cristiani e degli israeliani.
Tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, l'Olp, insieme ai suoi combattenti, abbandona il Libano. Ma a dispetto degli accordi presi e delle assicurazioni fornite dall'inviato statunitense Philip Habib, il contingente composto da Usa, Italia e Francia lascia il Paese il 13 settembre, con 15 giorni di anticipo. Neanche 24 ore dopo, il leader delle Falangi Libanesi, Bashir Gemayel, eletto da un paio di settimane – per la gioia di Israele – presidente della Repubblica, viene ucciso da un'esplosione nella sede del suo partito.
L'attentato dà ancora una volta a Sharon l'alibi per rompere gli accordi ed entrare a Beirut ovest. Il 16 settembre l'occupazione della città è completata e i campi sono circondati dall'esercito israeliano. Tutto è pronto per far partire il piano concordato con i falangisti capitanati da Elie Hobeika.
Mancano poche ore al massacro di Sabra e Chatila. Quando la mattina del 18 settembre si porrà fine alla strage, strade e vicoli dei due campi saranno bagnati dal sangue di oltre 2mila persone (la cifra precisa non è mai stata accertata).
Nessuna giustizia
Jamila Khalife, in quel settembre del 1982, ha solo 14 anni. È fidanzata con un ragazzo che poi diventerà suo marito. «Quel 16 settembre ero nascosta in un rifugio insieme a tutta la mia famiglia», ci racconta. «Mia madre, mio padre, le mie sorelle e mio fratello. Quando abbiamo capito cosa stava succedendo siamo usciti. Tutti tranne mio padre. Siamo andati alla moschea per dare l'allarme: dieci uomini che erano lì hanno deciso di andare a parlare con gli israeliani. Non sono più tornati. A mio padre hanno sparato. Quando ho ritrovato mia madre al Gaza Hospital stava piangendo, ma non mi ha detto che papà era morto. Abbiamo dormito lì una notte ma il giorno dopo, non sentendoci sicuri, ci siamo spostati in una scuola».
Complici i razzi illuminanti sparati dall'esercito israeliano, il massacro prosegue incessantemente giorno e notte. Nessuno nel resto della città sa cosa sta succedendo. I soldati che circondano i campi respingono indietro, a morte certa, chiunque provi a uscire.
Uomini, donne, bambini, anziani (palestinesi ma anche libanesi che vivono nei campi e che tentano, inutilmente, di salvarsi mostrando la loro carta d'identità) sono falciati dalla ferocia dei falangisti. Giaceranno a terra, seviziati e mutilati, fino alla fine del massacro. Il caldo di quei giorni di settembre farà sì che molti sopravvissuti riusciranno a riconoscere i loro congiunti solo grazie agli indumenti e agli effetti personali.
Per tanti altri non ci sarà neppure questa consolazione: di molti non si troverà infatti mai il corpo. Così, per esempio, non si saprà più nulla del figlio diciannovenne di Abu Jamal che incontriamo per tre volte e che per tre volte ci mostra la foto di quel figlio perso per sempre.
Solo il 17 settembre cominciano a circolare le prime notizie della strage. Israeliani e falangisti sanno che resta loro poco tempo per tentare di occultare il bagno di sangue. Le milizie cristiane si mettono subito all'opera scavando fosse comuni per nascondere i cadaveri.
Il loro piano però fallisce e il 18 settembre il mondo viene a sapere cosa è successo.
Inutili i tentativi di parte israeliana di scaricare ogni responsabilità: la loro complicità con i falangisti è chiara.
Nonostante lo sdegno internazionale nessuno ha pagato per quel crimine di guerra. Non Elie Hobeika, a capo delle milizie falangiste, che dopo la fine della guerra civile sarà eletto più volte al Parlamento libanese. Non Ariel Sharon che nel 2001 diventerà addirittura primo ministro.
Mentre, con il resto della delegazione, posiamo una corona al memoriale del massacro (creato grazie al comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila" e in particolare grazie all'impegno del giornalista italiano Stefano Chiarini) penso che questa storia meriti ogni parola spesa per raccontarla. Ancora e ancora, come mi dice Jamila.
* La foto ritrae Umm Hussein, una delle sopravvissute al massacro, davanti al memoriale in ricordo delle vittime.

Calcio, partita Frosinone-Roma. Disgraziatamente non è successo niente.

Luciano Granieri



Come avvenuto dopo la partita di calcio  FROSINONE-TORINO, vorrei proporre alcune riflessioni anche per Frosinone-Roma. Tralasciando  l’aspetto emotivo, inerente un match che vedeva opposta la mia squadra del cuore alla compagine della città in cui vivo, vorrei  focalizzare l’attenzione, non sulla partita, o sul post partita, ma su quanto accaduto nelle  due settimane precedenti l’evento.  Un periodo più lungo del solito perché, fra la vittoria della Roma sulla Juve e la partita con il Frosinone,  c’è stata   la sosta per la Nazionale. 

Quando sono stati pubblicati i calendari delle partite di serie A, ho pensato al 12 settembre come una giornata storica e gioiosa per la nostra città. E’ indubbio che la realtà di giocare in serie A si percepisce maggiormente quando al "Matusa" arrivano le  grandi  squadre come   Roma,  Juve, l’Inter,  Milan,  Napoli, Fiorentina. Inoltre la  suggestione emotiva e sportiva che evoca un incontro fra il Frosinone e una grande  del campionato  della stessa Regione, come  la Roma,  che dista dal Matusa solo 80 km,  è veramente unica. 

Questo caleidoscopio di sensazioni positive è stato letteralmente rovinato dalla campagna stampa cominciata sin dal giorno successivo la vittoria della Roma sulla Juve. I giornali locali hanno iniziato a diffondere la mappa delle strade interdette alla circolazione. Era un’ecatombe, tutta Frosinone bassa chiusa sin dalle 8,00 del mattino del 12 settembre. Per assicurare l’ordine pubblico si è mobilitata la Pubblica Sicurezza, la Polizia Stradale, la Polizia Forestale e Ferroviaria,  Carabiniere e Guardia di Finanza, e forse pure i servizi segreti.” La città sarà blindata e sarà un sacrificio che deve essere ben accetto per motivi di ordine pubblico...”Queste le parole del perfetto di Frosinone D.ssa Emila Zarrilli. Nessun soggetto proveniente da Roma senza biglietto poteva avvicinarsi allo stadio, avrebbe rischiato una denuncia penale. Ci viene in mente la triste immagine di un povero cristo del tutto indifferente al calcio,  venuto da Roma, non per assistere alla partita, ma  per trovare i suoi parenti a Frosinone, magari residenti in Piazzale Kennedy vicino al Matusa , tradotto in questura per essere stato beccato senza biglietto. 

Allo stato dei fatti però, questa blindatura della città non è avvenuta, o almeno, non nella forma annunciata dalla stampa! La partita si è svolta serenamente, senza problemi di sorta. Si potrà rilevare che l’assenza di episodi violenti è conseguente al pesante spiegamento delle forze dell’ordine. Ho troppa stima dei tifosi canarini e di quello romanisti, salvo i pochi dalla mente intossicata dai veleni fascisti e razzisti,  per ipotizzare che non è avvenuto nulla  per lo stato di Polizia messo in atto. Non ci sarebbe stata violenza comunque. 

 Insomma un evento aggregativo, carico di passione e amore per lo sport è stato trasformato in una sciagura grondante  paura e terrore. Un processo necessario a legittimare quello stato di Polizia che incombe ogni volta che si presenta l’occasione di una festosa  aggregazione di popolo,  condivisione di passioni ed emozioni. Già perché quanto accaduto in occasione della partita Frosinone-Roma è uno dei tanti esempi di come si debba mobilitare la forza pubblica per impedire ogni condivisione sociale, sia pure legata ad un fattore marginale come lo sport. 

La sensazione  di precarietà e   solitudine, deve rimanere costante ed incombente,  nulla la può interrompere. La paura del diverso (il rifugiato,  come il tifoso di una squadra avversaria) deve sempre attanagliare  la popolazione. Tutto ciò è funzionale a mantenere quello stato di Polizia che tanto serve al potere per imporre le peggiori nefandezze,  come precarietà, disoccupazione e povertà diffusa,  pur mantenendo la pace sociale . 

Uno stato di Polizia che grazie alla letale diffusione del terrore per l’”altro” viene  perfino invocato da parte della stessa collettività che ne è vittima. Ogni forma di organizzazione  sociale è da combattere come la peste, perfino quella del tifo organizzato che esula dal controllo della gendarmeria fascista di regime. Una feccia, quella di destra,  che grazie alle sue intemperanze,  giustifica la repressione. Quanti altri Frosinone-Roma ci saranno in futuro? Tanti ma sarebbe ora di smascherare queste sordide manovre repressive atte a soffocare l’indignazione popolare vessata dai soprusi del potere e indirizzata verso una precarietà della vita sempre più devastante.



PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DEI CENTRI ANTITROMBOSI NELLA PROVINCIA DI FROSINONE

ASSOCIAZIONE ITALIANA PAZIENTI ANTICOAGULATI



GIOVEDI’ 17 SETTEMBRE 2015 ore 15,30

SALA TEATRO A.S.L. VIA ARMANDO FABI FROSINONE

SARÀ ILLUSTRATO il

PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DEI CENTRI ANTITROMBOSI NELLA PROVINCIA DI FROSINONE

Il progetto prevede:
·       uniformità nella gestione della terapia anticoagulante orale in tutti i centri della provincia;
·       percorso personalizzato per ogni paziente per la prevenzione e la cura di tutte le patologie delle quali è portatore;
·       monitoraggio permanente di tutti i pazienti e dotazione di un emblema di riconoscimento;

Il progetto è stato elaborato dall'Associazione AIPA e dalla ASL con un gruppo di lavoro composto da:

·       Dott. Roberto Testa Direttore sanitario ASL Frosinone
·       Dott. Bruno Macciocchi Direttore Dipartimento Scienze Mediche
·       Dott. Fausto Marrocco Dirigente medico S.C. Geriatria Polo D
·       Dott. Francesco Bellato Dirigente medico S.C. Cardiologia Polo B
·       Dott. ssa Maria Paola Gemmiti Dirigente medico S.C. Cardiologia Polo C
·       Dott. Raffaele Reggio Direttore SIT
·       Dott. Fulvio Ferrante Direttore AREA Dipartimentale Farmaceutica
·       Prof. Antonio Marino Presidente AIPA Frosinone
·       Sig. Francesco Notarcola Presidente Onorario AIPA Frosinone
·       Sig. Tullio Rapone Vice Presidente AIPA Frosinone


Sarà presente la Prof.ssa Isabella Mastrobuono Direttrice Generale ASL FR

martedì 15 settembre 2015

Insegnamenti dalla storia

Severo Lutrario

 Siamo di fronte all'avanzata trionfante del potere finanziario.Ci si sente impotenti di fronte a chi ha in mano la forza e la legge ma non la giustizia. E sono in tanti coloro che si chiedono, scoraggiati, cosa si possa fare.Credo che da questa “cronaca” vecchia di quasi due millenni può nascere un qualche ragionamento fecondo.



LA MANCATA CONQUISTA ROMANA DELLA CALEDONIA

Settimo Severo, primo imperatore africano della storia di Roma, militare salito al comando al termine della guerra civile seguita alla morte di Commodo (quello del Gladiatore), pensò di dare lustro al proprio nome puntando ad una grande vittoria sulle turbolente tribù che abitavano le terre a nord del Vallo di Adriano, oltre i territori romani della Britannia.

Erano popolazione celte, con cui un secolo prima s'era già scontrato Gneo Giulio Agricola, senza giungere ad una soluzione definitiva.

E fu così che Settimio, col figlio primogenito Caracalla, sul finire del 208 dopo Cristo, mise in marcia un potente esercito, supportato pure da una grande flotta navale lungo le coste orientali dell'isola, nei territori che si estendevano verso nord.

Contrariamente alle speranze dell'imperatore, la campagna fu lunga ed estenuante e si concluse solo nel 211 dopo Cristo, con la morte dell'imperatore e con i figli Caracalla e Geta che pensarono bene come non fosse il caso di esaudire in maniera postuma il desiderio dell'esasperato padre, che avrebbe voluto il totale sterminio di quelle popolazioni, uomini, donne e bambini compresi.

Cos'era successo?
Com'era stato possibile che il più potente esercito del mondo, con i più ampi mezzi a disposizione, comandato da un uomo dalle indubbie capacità militari, fosse stato tenuto per anni in scacco da popolazioni considerate selvagge, vestite solo di tatuaggi, armate di lancia, spada ed un piccolo scudo, senza elmi, senza corazze e senza condottieri?

Per capirlo occorre prima conoscere la logica di Settimio, militare, si, ma anche ben consapevole politico romano.

Se la “pacificazione” dei confini settentrionali della Britannia poteva essere la motivazione d'una campagna, la ricaduta “politica” della stessa sarebbe stata tutta nelle modalità con cui si doveva cogliere il risultato: una grande vittoria in una battaglia in campo aperto, la conquista con la sottomissione o la distruzione d'una capitale ed il trofeo di un re da portare in catene nel trionfo lungo le strade di Roma.

Erano questi i segni della consacrazione di cui Settimio aveva bisogno.

Ma dagli inizi del 209, quando Settimio, Caracalla ed il loro esercito si misero in cammino, attraversando in lungo ed il largo prima i territori tra il Vallo di Adriano e quello di Antonino e poi quelli nella parte nord orientale oltre il secondo vallo, non trovarono modo di combattere una sola battaglia in campo aperto, non ebbero la ventura di imbattersi in una sola città nemica, non trovarono a contrastarli né alcun re barbaro, né alcun condottiero della cui testa potersi vantare.

Trovarono solo foreste, fiumi, montagne e paludi, qualche capanna abbandonata ed il logorio della guerriglia di pastori e cacciatori non disposti ad accettare la “civiltà” portata sulla punta del gladio dai romani.

Non trovarono eserciti, città, condottieri e re perché semplicemente non c'erano.

I Pitti, i più “selvaggi” dei Caledoni, quelli che vivevano nella parte centro occidentale della Caledonia sino alle highland ed all'oceano, vivevano in clan e solo quando serviva affidavano al più valoroso il compito di guidarli, decidendolo in modo democratico.
Non avevano né beni personali né proprietà, vivevano in capanne di fango e paglia, ma consideravano il ferro più prezioso dell'oro e ne sapevano fare buon uso.

I pascoli per le greggi e le foreste per la caccia non erano di nessuno, ma ognuno ne poteva godere purché se ne prendesse cura.
Non erano né buoni né teneri e sapevano essere crudeli e feroci, ma erano uomini liberi nella terra che abitavano.

Settimio Severo ha cercato invano il nemico, il nemico che poteva conoscere e riconoscere, il nemico che avrebbe utilizzato la sua stessa grammatica, fatta di potere e forza.
Non lo ha trovato perché non c'era.

E non ha compreso che l'avversario irriducibile era proprio l'assenza dello specchio nel cui riflesso declinare il nemico.

Non c'era un potere contrapposto al proprio con cui giocarsi sul piano della forza la partita, non c'era una linea di confine oltre la quale misurare la potenza del proprio potere.
C'era solo un territorio aspro e inospitale.

Ed un popolo che quel territorio viveva senza possederlo.

E stata questa la ragione che, probabilmente in maniera assolutamente inconsapevole, ha fatto si che ai Caledoni non sia toccato in sorte lo stesso destino di tanti popoli che con la loro potente organizzazione e la forza dei loro re, hanno dovuto chinare il capo di fronte alla potenza di Roma e stringere ai polsi i monili dello stile di vita romano.

Io credo che questa storia possa insegnare qualcosa anche a noi quando misuriamo, scoraggiandoci, la pochezza della nostra forza e del nostro potere dinanzi allo strapotere dei poteri forti.

Probabilmente dobbiamo smettere di accettare di ingaggiare battaglie sul piano scelto dai nostri avversari, sul piano in cui hanno dalla loro la forza e il potere.

Mandiamoli a caccia dell'esercito che non c'è, facciamo della guerriglia un'arte e del territorio la nostra casa comune.

lunedì 14 settembre 2015

Sora.Occupazione della sala consiliare contro lo smembramento dell'ospedale

Luciano Granieri


Domenica scorsa 13 settembre  i dipendenti ospedalieri del S.S. Trinità di Sora, a seguito dell’ulteriore smembramento della loro struttura, hanno deciso di organizzare un presidio permanente all’interno dell’aula consiliare del Comune. Nel corso dell’occupazione i cittadini sono stati  informati sulla drammatica situazione del loro ospedale. E’ stata, inoltre,  organizzata una raccolta firme   affinchè la Asl di Frosinone predisponga un avviso pubblico per due pediatri, due ginecologi ed uno psichiatra destinati  all’ospedale sorano. Ciò  al di fuori del numero di deroghe assegnate per rispettare i  livelli essenziali di assistenza così come è avvenuto nella Asl di Rieti . Nella stessa petizione si chiede il blocco dello smantellamento del Laboratorio di Analisi del Centro Trasfusionale  con l’immediata rassegnazione del personale e dei macchinari spostati a Frosinone. 

Ormai anche per l’ospedale S.S. Trinità di Sora  i nodi stanno arrivando al pettine. Il  reparto di pediatria chiuderà. Non è più in grado di coprire i turni a causa del mancato rinnovo dell’incarico al pediatra.  Di conseguenza non potrà essere evitata  la sospensione dei ricoveri di ostetricia. Altra nefasta decisione aziendale riguarda la chiusura di psichiatria per mancanza di  personale. Cardiologia è al collasso,  il personale presente  non riesce più ad assicurare le attività, sia  ordinarie che urgenti, e non si intravede la possibilità di veder assegnato al reparto un altro medico.

 Allo stato dei fatti emerge chiara la volontà di chiudere l’ospedale che pure è la struttura principale del distretto C. L’impegno dei dipendenti ospedalieri  è encomiabile, però giova ricordare che questi esiti nefasti sono la inevitabile conseguenza di dinamiche che sono in atto a tempo e forse non adeguatamente valutate nella loro gravità. Ricordiamo l’impegno del sindaco di Sora, e di molti altri sindaci, nel confronto-scontro con la manager Mastrobuono per scongiurare gli effetti letali di un atto aziendale  devastante per la sanità pubblica provinciale,  ma foriero di enormi opportunità di profitto per gli operatori privati. Ricordiamo che si andava a confutare  un programma in cui   non si prevedevano cambi di rotta per limitare la mobilità passiva, portatrice di uno stato debitorio inaccettabile, né era inserito un numero di posti letto sufficiente ad assicurare i LEA. 

Purtroppo la dedizione alla lotta  di alcuni amministratori fra cui il sindaco Tersigni è andata scemando fino a piegarsi alle volontà del commissario Zingaretti. E come spesso accade i cittadini sono stati lasciati da soli. Ora si sta compiendo, con lo svuotamento del S.S. Trinità,  un’inevitabile  ulteriore tappa verso  lo smembramento della Asl provinciale che proseguirà inesorabile. Perché l’obbiettivo vero riguarda il compimento di una strategia  generale finalizzata  alla totale svendita della sanità pubblica ai profitti privati. 

La debolezza dei vari movimenti che si sono succeduti nella protesta, pur veemente e per certi versi inedita,  contro la spoliazione della nostra Asl, è stata proprio quella di non aver adottato  una  visione più  ampia nelle dinamiche del conflitto, di non  essere stati in grado di   uscire dalle rivendicazioni limitate alla propria condizione specifica  per approdare ad un terreno più propriamente politico. Un ambito certamente complesso che coinvolge una vera e propria idea di società. Un disegno di collettività  in cui siano preminenti  , una sanità pubblica di qualità, ma anche l’accesso a quelle risorse, necessarie  alla promozione della  dignità umana, come acqua ed energia, che oggi sono oggetto di profitti. 

Ora è troppo tardi, la macchina è inesorabilmente in moto, ma non tutto è perduto. Speriamo che dal presidio del Comune di Sora possa ripartire e riorganizzarsi una nuova lotta che coinvolga ancora di più i cittadini e che tenga maggiormente presente quali siano i fattori in gioco.

Depuratore consortile Anagni: lo scaricabarile e le dichiarazioni di circostanza non aiutano

Retuvasa

Il depuratore consortile di Anagni
Stupisce la sollecitudine con cui il Presidente del Consorzio per lo Sviluppo Industriale (ASI) di Frosinone, Francesco De Angelis, puntualizza, nella prima parte del suo comunicato stampa di ieri,  che «Il depuratore di Anagni non è di proprietà dell’ASI e pertanto, per la realizzazione dello stesso, il consorzio industriale della Provincia di Frosinone non ha investito e speso alcuna risorsa. Appare del tutto evidente che, non essendo proprietari, non compete all’ASI l’attivazione dell’impianto in questione».
Per la verità non ci sembra che nessuno, neppure nelle recenti dichiarazioni della stampa relative ai resoconti stenografici della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, abbia mai sostenuto che sia di proprietà ASI il “depuratore consortile”, come viene comunemente definito anche dalla Regione Lazio (cfr. ad es. http://openspesa.lazio.it/pagamento/163931), o se si preferisce “l’impianto di depurazione dell’agglomerato industriale di Anagni” (http://www.asifrosinone.com/aree-produttive/agglomerato-anagni). C’è da chiedersi allora perché il Presidente abbia tanta premura di allontanarne dall’ASI l’aura.
Viene spontaneo inoltre chiedersi se il Presidente ASI rammenti bene, o voglia rammentare, una serie di atti che non si perita di considerare nelle sue pur asciutte dichiarazioni.
Rammenta che il Presidente della Regione Lazio, con Disposizione del Commissariato per l’emergenza della Valle del Sacco n. 39/2012 prot. 365/12, ha affidato la gestione del depuratore al Consorzio ASI? Rammenta che l’ASI ha accettato tale disposizione con propria delibera 11 aprile 2012? Rammenta che il 28 marzo 2013 Regione Lazio Area Risorse Idriche e Consorzio ASI hanno stipulato una convenzione per definire le modalità di gestione? Rammenta che nell’aprile 2014 il Consorzio, pur in ritardo di 8 mesi, ha presentato alla Regione un funzionale Piano di Gestione?
Non c’è alcun dubbio sul fatto che oggi l’ASI è formalmente soggetto gestore del depuratore. C’è da chiedersi invece, anche alla luce delle dichiarazioni di De Angelis, se il Consorzio ne sia sostanzialmente soggetto gestore. Infatti dalla stipula della Convenzione ad oggi nessun autentico passo in avanti è stato compiuto. Trattandosi di un’opera pronta, chiavi in mano, collaudata in assenza di reflui industriali e civili nel luglio 2014, costata 20 milioni di euro, la cosa non fa certo molto piacere alla popolazione della Valle del Sacco.
E al di là degli atti succitati, l’ASI non può non essere naturalmente cointeressato e parte attiva dell’ottimale realizzazione e gestione del depuratore, esercitando un ruolo chiave nel trovare la sinergia tra interessi pubblici e interessi delle aziende del territorio. La verità ci sembra che, non sapendo come esercitare questo ruolo, l’ASI intenda ora apparire immune da qualsivoglia responsabilità sulla questione.
Nella seconda parte del suddetto comunicato stampa,  il Presidente dell’ASI scarica elegantemente le responsabilità della gestione del depuratore sulla Regione Lazio, in particolare all’assessore suo compagno di partito: «Siamo, infine, a conoscenza del forte impegno della Regione Lazio e dell’assessore Fabio Refrigeri per superare le difficoltà esistenti e giungere presto alla soluzione della problematica».
Se così De Angelis sembra tentare di non far ricadere alcuna responsabilità in capo al proprio ente, si può riconoscere che abbia ragione nell’attribuirne la parte principale alla Regione (e, si potrebbe aggiungere, queste sono verosimilmente da cercarsi più nell’operato di farraginose direzioni regionali che dell’assessore di turno).
Puntiamo dunque al cuore della faccenda. Si è riusciti dopo un ventennio e un notevolissimo impiego di risorse pubbliche a completare il depuratore di Anagni, che può trattare tutti i reflui industriali e buona parte di quelli civili, un’opera chiave per la salvaguardia dell’ambiente e la funzionalità di un’area industriale degna di questo nome. Perché le aziende non si allacciano? Perché non sono obbligate a farlo e molte non ne vedono alcun vantaggio, in quanto già contano su autonomi impianti di depurazione, con costi di trattamento dei reflui inferiori a quelli che risulterebbero dal conferimento al depuratore consortile (tacendo di chi è tentato di risparmiare ulteriormente non effettuando alcun trattamento e scaricando nel fiume Sacco). Solamente se il depuratore fosse ancora sotto la gestione del Commissariato per l’emergenza della Valle del Sacco si potrebbe stabilire un obbligo coattivo, ma ormai questo è il passato. Il problema, oggi, è dunque in che modo persuadere, con incentivi economici o altre modalità, le aziende ad allacciarsi al depuratore. Non ci sembra proprio che a riguardo vi sia un «forte impegno» e soprattutto un sollecito impegno, né da parte della Regione Lazio, né del Consorzio ASI. Il problema è oggettivo e delicato, ma le soluzioni non sembrano impossibili, se si è armati della necessaria buona volontà ed efficienza, prima che quel gioiellino che è oggi il depuratore consortile di Anagni arrugginisca.

Con tanti auguri di buon lavoro all’Assessore Refrigeri, al Presidente De Angelis e a quanti operano alle loro dipendenze.