Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 20 ottobre 2012

Salviamo Cinecittà Studios!

Le lavoratrici ed i lavoratori di Cinecittà chiedono a tutti i cittadini di questo Paese il sostegno alla loro battaglia contro chi vuole distruggere lo storico sito degli Studios sulla via Tuscolana, vanto e orgoglio dell'Italia. Abete e soci per rilanciare il cinema, vogliono seppellire Cinecittà sotto una colata di cemento: un albergo di 200 stanze, 6000 parcheggi, piscina, ristoranti, sale fitness, in sfregio alla mission e ad ogni forma di cultura. Per realizzare tutto questo progettano di affittare, vendere e licenziare i lavoratori. Se va in porto questo disegno sparirà per sempre un mondo, la capacità di decine di migliaia di artigiani, che grande hanno fatto la storia del cinema, andrebbe persa per sempre. Cinecittà rimarrebbe soltanto un sogno del passato e l'Italia sarebbe derubata di uno dei suoi simboli più magici. La politica, le Istituzioni, il mondo della cultura devono impegnarsi nella costruzione di un progetto vero.
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Attaccata Estelle Freedom Flottilla.

Video post a cura di Luciano Granieri

Estelle, Keep Sailing for Justice. Gaza Is   waiting...

Safi Ahmed




Agencies – The Canadian Boat To Gaza reported that they received a message from the Finnish Foreign Department informing that Israel informed them that its soldiers will board Estelle solidarity ship currently around 120 Nautical Miles away from the Gaza shore.
The Estelle ship is sailing under a Finnish flag; its crew was informed that the army will board the ship in international waters, and will tow the ship along with the activists to the Ashdod Port.
Activists on-board the ship said that if the Israeli army attacks them, the attack will be another act of piracy and kidnapping to enforce the illegal Israeli siege and blockade on the coastal region.
Irene McInnis of the Canadian Boat to Gaza stated that the ship is challenging the illegal and inhuman siege imposed on the coastal region, and added that “the world should not be silent anymore”.
It is worth mentioning that retired Canadian Member of Parliament (MP) is on board the Estelle solidarity ship.
A recent tweet from the ship says; “The crew reports that it is dark and still calm, but there are unidentified boats moving around them. We wish for peace and justice”, the Ship to Gaza Sweden Ship to Gaza Sweden @ShiptoGazaSE said on its twitter account.
Last Sunday, Israel issued a warning informing Finland that its army will intercept and stop the Estelle solidarity ship heading to the Gaza Strip to deliver humanitarian supplies.

Attaccata Estelle Freedom Flottilla

Napoli Urban Blog

La necessità di unificare le lotte per respingere i "bastoni" del governo

Fabiana Stefanoni   Pdac


Il governo Monti presenterà al parlamento una legge finanziaria - chiamata beffardamente "legge di stabilità", espressione edulcorata che poco si addice a uno Stato e a un'economia nazionali che di stabile hanno ben poco - che prevede un taglio pari a 12 miliardi di euro alla spesa pubblica. E' una manovra simile a quella che i premier di altri Paesi europei stanno varando in queste settimane, dalla Spagna al Portogallo alla Grecia. Ma, mentre in quei Paesi le manifestazioni di massa contro i tagli del governo sono all'ordine del giorno, qui da noi non sembra ancora innescarsi una risposta all'altezza dell'attacco in corso. E' utile interrogarsi sul perché, anche al fine di individuare un'alternativa alla grottesca pace sociale che sta accompagnando uno dei più pesanti attacchi della storia alla classe lavoratrice nel nostro Paese.
Solo bastoni: le carote per i lavoratori sono finite
Il ministro dell'istruzione Profumo, nel difendere la proposta di aumentare di 24 ore al mese a parità di salario l'orario base degli insegnanti - cosa che comporterebbe il taglio di altre decine di migliaia di posti di lavoro che vanno ad aggiungersi ai 180 mila posti di lavoro persi nella scuola per i tagli della Gelmini - ha esplicitato la strategia d'azione sua e del governo di cui fa parte: "credo veramente che il Paese dobbiamo un po' allenarlo, dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota, qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di più il bastone e un po' meno la carota, altre volte viceversa ma non troppa carota". Il ministro dimentica un particolare importante: il governo non ha più carote da distribuire ai lavoratori, ai tantissimi disoccupati, agli studenti.
Lo dimostra questa ultimissima manovra finanziaria, che prevede un taglio da più di un miliardo al sistema sanitario nazionale, già pesantemente colpito dalla spending review di luglio: vengono ulteriormente ridotte le spese per l'acquisto di beni, servizi e dispositivi medici, a cui andrà ad aggiungersi un altro ridimensionamento dei posti letto negli ospedali per opera delle regioni (che subiscono un'ulteriore stretta di più di 2 miliardi, che si tradurrà in tagli ai servizi, sanitari in primis). Se si sommano ai tagli di Monti quelli di Tremonti, si ricava che in un solo anno la Sanità italiana ha subito tagli pari a 13,7 miliardi (senza contare i tagli delle spese di competenza delle regioni).
Il pubblico impiego con questa manovra subisce ancora un pesantissimo attacco: blocco dei contratti (e degli aumenti) fino al 2014, blocco dell'indennità di vacanza contrattuale (cioè di una parte della retribuzione erogata dallo Stato nel periodo che intercorre tra la scadenza di un contratto e il suo rinnovo), addio definitivo ai recuperi delle tornate contrattuali perse. In parole più semplici, questo significa che le già misere buste paga dei dipendenti pubblici non solo non vedranno aumenti ma, al contrario, saranno ulteriormente ridotte. Fanno eccezione, guarda caso, i dirigenti (quelli con retribuzioni pari a centinaia di migliaia di euro, che hanno proprio in questi giorni visto riconosciuto dalla Consulta l'illegittimità del taglio del 5% delle loro retribuzioni per "irragionevole effetto discriminatorio").
L'operazione "cieli bui" - in virtù della quale è previsto lo spegnimento dell'illuminazione durante le ore notturne per risparmiare sulle spese dell'elettricità - completa questa manovra: il cielo sopra le teste di milioni di proletari è sempre più buio.
Ecco a chi vanno le carote!
Mentre il governo chiede continuamente sacrifici a chi non ha più nemmeno i soldi per comprarsi il pane, effettivamente c'è qualcuno che continua a ricevere succulente carote. E non si tratta tanto e solo dei "deputati" e dei "politici", le cui nefandezze ora sono sotto gli occhi di tutti. C'è qualcuno che continua a ricevere carote d'oro zecchino dal governo, e lo fa senza che nessun giornalista - né quelli della stampa borghese illuminata né quelli che hanno intrapreso crociate contro la "casta dei politici" - gridi allo scandalo. Sono i capitalisti della grande industria, i banchieri, i grandi azionisti, cioè coloro che hanno sempre avuto in dono dai governi loro amici - da Prodi a Berlusconi a Monti, indifferentemente - centinaia di miliardi di euro, sia sotto forma di finanziamenti diretti (come i soldi erogati nel piano di salvataggio delle banche o negli incentivi alla Fiat) sia sotto forma di finanziamenti indiretti (come nel caso degli ammortizzatori sociali, con i quali lo Stato ha pagato gli operai al posto dei padroni). Per fare un esempio recente, il famigerato decreto "Salva Italia", del dicembre 2011, mentre innalzava drasticamente l'età pensionabile e introduceva la famigerata Imu, stanziava 700 milioni come "misura di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria". Così, quest'ultima "legge di stabilità", mentre bastona a sangue le schiene già spezzate dei lavoratori, regala ancora soldi a investitori e speculatori: per le loro tasche già gonfie vengono stanziati ben 790 milioni per la realizzazione del Tav Torino-Lione e oltre 1,2 miliardi di euro per il Mose a Venezia. Carote d'oro a pochi capitalisti che devastano l'ambiente, bastonate a sangue per milioni di lavoratori.
Il ruolo delle burocrazie sindacali
Ma torniamo alla domanda iniziale. Perché, nonostante questo massacro sociale, in Italia non assistiamo alla risposta di lotta e di massa che vediamo in altri Paesi colpiti da misure analoghe? Le lotte sono state in questi mesi varie e in qualche caso radicali: dalla dura lotta degli operai della Irisbus e dell'Alcoa a quella altrettanto radicale degli operai della Jabil di Cassina de' Pecchi, dagli scioperi degli immigrati alle lotte degli operai dell'Esselunga e di Basiano, fino alle mobilitazioni degli operai Fincantieri, dei no-Tav, dei precari della scuola, degli studenti, dei lavoratori di Taranto contro i licenziamenti all'Ilva. Ma sono lotte che per ora sono rimaste divise e frammentate, in alcuni casi condotte in un vicolo cieco dalle burocrazie sindacali, che hanno firmato accordi al ribasso cantando la litania del "non possiamo fare nient'altro". 
E' proprio, paradossalmente, il fatto che la classe lavoratrice italiana è la più sindacalizzata d'Europa che contribuisce a determinare questa situazione. Sono circa 15 milioni gli iscritti alle tre confederazioni sindacali concertative Cgil, Cisl e Uil (6 milioni iscritti alla Cgil, la più grande numericamente). Questo determina un peso enorme degli apparati burocratici di questi tre sindacati che - anche in virtù del rapporto privilegiato con lo Stato che ne tutela i privilegi - hanno una grande capacità di controllo sulla classe lavoratrice nel nostro Paese. E questi apparati burocratici, che mirano anzitutto alla propria conservazione, stanno ponendo un freno fortissimo alle mobilitazioni. La radicalizzazione delle lotte è, infatti, vista come un nemico da esorcizzare da chi, negli apparati burocratici, vive di piccoli o grandi privilegi: la conservazione dello status quo diventa la premessa per la conservazione di questo strato di parassiti.
Le manifestazioni del 20 e del 27 ottobre 
La Cgil, il principale sindacato italiano, in virtù del suo legame con il Pd (che appoggia il governo Monti), non solo si è rifiutata di proclamare scioperi generali contro le "riforme" delle pensioni e del lavoro, ma anche oggi - mentre sottoscrive rinnovi contrattuali che smantellano di fatto la contrattazione collettiva, come nel caso del rinnovo del contratto dei chimici - si limita a convocare un presidio il 20 ottobre a Roma, sulla base di una piattaforma che è ben difficile distinguere dalle dichiarazioni di Confindustria: politica industriale a favore degli investimenti, proroga degli ammortizzatori sociali, "allentamento" del patto di stabilità per permettere ai Comuni di completare le opere infrastrutturali (cioè per permettere ai Comuni di saldare le spese con le imprese). La rivendicazione più "radicale" è "detassazione delle tredicesime", come se qualche euro in più in busta paga una tantum permettesse di risolvere i problemi degli operai che non arrivano a fine mese. E' una manifestazione a supporto del Pd e delle sue manovre di governo ed elettorali, alla quale purtroppo parteciperanno molti lavoratori convinti a torto di scendere in piazza contro il governo Monti.
Una settimana dopo, il 27 ottobre, si svolgerà invece una manifestazione - il "No Monti Day" - promossa dal Comitato No Debito di Giorgio Cremaschi. E' una manifestazione convocata con modalità, purtroppo, non democratiche, in parte speculari a quelle delle burocrazie sindacali: il Comitato No Debito è rimasto di fatto un intergruppi, in cui i leader di vari partiti e sindacati, cooptati da Cremaschi, decidono dove e quando convocare le manifestazioni. L'importante occasione di lanciare un grande movimento per il non pagamento del debito anche in Italia è rimasta in gran parte tradita, perché non ha dato vita, per volontà dei promotori, a un reale processo di costruzione di strutture di base nelle città.
La manifestazione del 27 ottobre, inoltre, è convocata sulla base della piattaforma riformista elaborata da Cremaschi e calata dall'alto, senza che vi sia stato alcun percorso di discussione che coinvolgesse le migliaia  di lavoratori e giovani che condividono la parola d'ordine del non pagamento del debito e che potrebbero essere coinvolti nello sviluppo di una reale mobilitazione. E' una piattaforma che rivendica la possibilità di riformare il capitalismo nel momento in cui questo sistema economico è in piena putrefazione. E' una piattaforma che, anziché rivendicare l'esproprio senza indennizzo della grande industria e delle banche, propone di porre "forti vincoli" alle multinazionali; che propone una "rivoluzione per la democrazia" e un "drastico taglio alle spese militari" (nemmeno quindi la loro abolizione). E', appunto, un programma che pretende di riformare il capitalismo con misure neokeynesiane, anziché avanzare rivendicazioni che ne implichino l'abbattimento. Per questo il Pdac non ha sottoscritto quella piattaforma (a differenza di altre organizzazioni politiche, che pure a parole si definiscono "rivoluzionarie", che invece l'hanno accettata in silenzio in cambio di un po' di visibilità mediatica) ma si attiverà per la migliore riuscita di quella manifestazione e sarà a Roma il 27 ottobre per proporre l'unico programma realistico di fronte alla crisi del sistema capitalistico: unificare le lotte e le vertenze in uno sciopero generale europeo, espropriare senza indennizzo e sotto controllo operaio la grande industria e le banche, cacciare Monti per un governo operaio.

La procura di Torino nega le torture, verità per Fabiano

 Simonetta Zandiri

L'hanno catturato e poi pestato in 10, con manganello e bastoni, gli hanno spezzato il braccio, il naso, gli hanno dato calci nei testicoli, l'hanno trascinato verso la cosiddetta "base", un casotto dove avevano il deposito dei lacrimogeni, lasciato steso su un lettino dopo essere passato in mezzo ad un "corridoio" di carabinieri e poliziotti che continuavano a sputargli in faccia e prenderlo a calci, fino a quando, una volta sul lettino, c'è stata l'ennesima sfilata di fdo per colpirlo ancora.... si chiama TORTURA, TORTURA e non può essere negata, meno che mai ARCHIVIATA, e non è possibile e accettabile che una testata giornalistica come REPUBBLICA scriva una MENZOGNA e non la RETTIFICHI. VERGOGNA! GUARDATE E DIFFONDETE QUESTO VIDEO... visto che Fabiano non può avere la cosiddetta "giustizia", che la gente sappia almeno LA VERITA'!

Testimonianza diretta di Fabiano Di Bernardino, studente bolognese e attivista del TPO, ricoverato presso il reparto di Traumatologia dell'ospedale CTO di Torino, che racconta l'inaudita serie di viloenze subite dalla Polizia all'interno del cantiere bunker della Maddalena, dopo essere stato fermato durante la manifestazione NO TAV del 3 luglio 2011 in Val di Susa


Iannarilli tifa Polverini

Luciano Granieri


Il presidente della Provincia Antonello Iannarilli rifiuta di diventare decadente. Ha bloccato la procedura avviata dal consiglio per farlo decadere entro il 29 ottobre, ultima  data utile  per disfarsi del fardello  provinciale e candidarsi  alle elezioni politiche.  Ci piacerebbe credere  che la pressione dell’opposizione e di una parte di cittadinanza, compreso il nostro blog e il nostro movimento Collettivo Ciociaro Anticapitalista,  abbia indotto il presidente ad una procedura meno subdola.  Ovvero  la presentazione delle dimissioni e l’azzeramento della giunta.  La realtà invece è un’altra. Il presidente,abile gestore dell’uso privato di carica pubblica, si è fatto due conti, e ne ha concluso che suscitare tanto casino per una forzatura procedurale sarebbe stato controproducente e probabilmente avrebbe determinato una caduta d’immagine in vista delle eventuali candidature o alle politiche o alle regionali.  Infatti le mire del presidente provinciale, ex uscente,  non cambiano di una virgola.  Prima fase del piano. Puntare alla Regione Lazio. Per presentare la propria candidatura alla Pisana, Iannarilli deve dimettersi  entro 45 giorni dalla data delle elezioni. A questo punto è d’obbligo  tifare per la Polverini affinchè tiri per le lunghe  nello stabilire la data delle elezioni. Ormai   sembra certo   che si  andrà al voto per la Ragione non  prima di gennaio-febbraio del prossimo anno. Nel  frattempo il massimo dirigente provinciale, nel  rimanere  ancorato insieme ai suoi sodali compagni di merende alla poltrona, spera che il Parlamento lavori per lui. In particolare sarà  oggetto di attenzione   il  disegno di legge che riforma il reato di diffamazione a mezzo stampa,  la legge “Salva Sallusti” per intenderci ,    arenatasi  presso la commissione Giustizia del Senato.  Qualcuno potrà obbiettare che c’entra la legge “salva Sallusti” con Iannarilli. C’entra. E’  sufficiente ricordare la straordinaria abilità  dei parlamentari  piddiellini nell’infilare in disegni di legge marginali, tipo la definizione della lunghezza  della coda dei gatti, emendamenti di tutt’altra natura e di ben altro interesse alla gestione privata di carica pubblica. Infatti  fra gli emendamenti al dispositivo  di legge “Salva Sallusti” che saranno posti in votazione presso la commissione Giustuzia del  Senato  il 23 ottobre prossimo,  ne figura uno  proposto dal senatore  Pdl Gennaro Coronella  che sarà molto interessante per Antonello Iannarilli.  Infatti  la proposta, che poco c’entra  con la legge in discussione,   prevede di revocare  l’ineleggibilità in Parlamento  dei presidenti di Provincia. Un emendamento che se passasse toglierebbe le castagne dal fuoco non solo a Iannarilli, ma anche a tanti altri presidenti di provincia, per lo più del  Pdl  che vogliono candidarsi alle politiche.  Pare che l’emendamento possa esser cassato  per estraneità alla materia, ma il lassismo del governo Monti mostrato sulle proposte di legge che non riguardano la materia economica, non esclude  che la norma possa ripresentarsi sotto altra forma  e approvata. Dunque perchè fare tanto casino per nulla?  Male che va, se la Polverini riuscirà a tenere duro, c’è pronta per Iannarilli una candidatura alla Regione, se poi i parlamentari piddiellini riusciranno  a fare bene il proprio lavoro,  si riproporrà intatta la possibilità per uno scranno in Parlamento. Non facciamoci illusioni,  chi   è abituato a preservare  la carica pubblica per i propri interessi privati  non si fa soggiogare né dalle forze di opposizione  -che in realtà protestano,  non per denunciare la forzatura  delle procedure , ma perché anche loro vorrebbero una bella poltrona pubblica, da cui alimentare i propri interessi privati – né da  quattro disperati come noi che strillano dalle piazze e dai blog.  

venerdì 19 ottobre 2012

Uso privato di carica pubblica

Collettivo Ciociaro Anticapitalista



Il Collettivo Ciociaro Anticapitalista, denuncia l’uso privato di carica pubblica che il “DECADENTE” presidente della Provincia di Frosinone Antonello Iannarilli, la giunta e i consiglieri di maggioranza stanno impunemente esercitando per  assicurare  la propria  sopravvivenza e  difendere i  privilegi acquisiti.  L’utilizzo di normative  -quali quelle relative alla incompatibilità di cariche fra presidenza di enti locali e incarichi parlamentari  - a proprio uso e consumo, la cui validità è legittima solo quando è funzionale a mantenere in vita una giunta provinciale agonizzante anche senza il suo Presidente, è scandaloso. Ed è ancora più scandalosa la solerzia con cui il  consiglio Provinciale si attiva  quando c’è da deliberare per salvaguardare i propri privilegi soprattutto se questa  è  paragonata  al lassismo totale riservato alla deliberazioni su  provvedimenti che riguardano il governo del territorio.  La vicenda della consiglio provinciale di Frosinone, unita a quella della Regione Lazio dove la governatrice Polverini, pur dimissionaria, sta tergiversando nell’indire le elezioni, prendendosi tutto il tempo necessario  e anche oltre, per  foraggiare con incarichi pubblici a pioggia l’elite a lei collaterali  ,  e per riorganizzare le proprie truppe, sono fulgidi esempi di come le cariche pubbliche siano usate per scopi privati.  Non è fondamentale curarsi della grave crisi sociale che investe i propri amministrati, non è utili occuparsi dei scuola, sanità  e crisi occupazionale, tutto questo comporta solo grane.  L’importante è, fra un taglio alla sanità e un accorpamento scolastico,  curarsi dei propri interessi e se possibile acquisire nuovi privilegi. Per questo motivo il collettivo ciociaro anticapitalista, auspica una rivoluzione politica e sociale degli enti pubblici. E’ necessaria la formazione di organismi partecipativi, composti da singoli cittadini, movimenti , comitati , che oltre ad offrire contributo di partecipazione  diretta al governo del territorio, svolgano il compito di controllare la trasparenza e l’efficienza  delle amministrazioni pubbliche,  denunciando abusi e inefficienze. E’ ora che la comunità si riappropri del proprio diritto democratico di controllare l’operato di coloro che ha scelto come propri amministratori.

Comunicato inviato alla stampa.

E i presidenti provinciali si accorsero dell'incompatibilità del doppio mandato

Andrea Cristofaro. Collettivo Ciociaro Anticapitalista


E’ impressionante assistere all’uso personalistico che i partiti e i loro esponenti fanno delle istituzioni. In piena ondata di antipolitica causata fra l’altro anche dalle ultime inchieste sulla diffusa abitudine dei rappresentanti del popolo di rubare soldi pubblici, i politici non si perdono d’animo e continuano a fare i loro porci comodi senza preoccuparsi della reazione dell’opinione pubblica. E lo fanno sicuramente a ragion veduta, visto che la gente ha dimostrato troppe volte la propria incapacità di reagire alle ingiustizie e agli imbrogli. Così in ottobre diversi presidenti e consigli provinciali tutti insieme si sono accorti, dopo aver svolto per anni il doppio incarico di presidente e di deputato, che le due cariche sono incompatibili. Quindi vari presidenti si sono dimessi entro il 12 ottobre, guarda caso l’ultimo giorno utile per potersi candidare alle politiche. Ma altri, fra cui il “nostro” Iannarilli sono stati ancora più creativi: hanno fatto in modo che il consiglio provinciale votasse l’incompatibilità del doppio incarico, facendoli decadere. La differenza è presto detta: in questo caso il presidente si potrà candidare e il consiglio non verrà sciolto, perché il suo posto sarà occupato dal vice presidente. Rimane il fatto che questo consiglio provinciale che improvvisamente si dimostra così attento alle regole, per diversi anni ha mantenuto un presidente incompatibile, difendendone il diritto a portare a termine tutti e due i mandati. Ma noi siamo sicuri che le persone a questi particolari non faranno caso, e continueranno a votare questa gentaglia che usa le istituzioni a proprio uso e consumo. Come stanno facendo i parlamentari che da mesi sono impegnati a sviluppare una nuova legge elettorale, come insistentemente chiede il presidente della repubblica raccomandandosi che sia una legge elettorale che tenga fuori dal parlamento le voci fuori dal coro e che non provochi un cambio della linea politica dell’attuale governo. Naturalmente il presidente fan del mercato e delle banche usa altre parole, ma il senso è quello. Questi tizi, dicevamo, fra una fiducia e l’altra votate per il governo Monti, essendo ormai esentati dal dover fare politica stanno usando tutte le energie per inventarsi una legge elettorale che renda impossibile che qualcuno perda e soprattutto che renda inutili le elezioni. Così si inventano i premi di maggioranza fatti a misura di sondaggio e di alleanze, la regola salva lega, i voti di preferenza finti, i quorum aumentati. E anche in questo caso fanno affidamento sull’indifferenza passiva del popolo. Neanche le primarie sfuggono alla regola: le regole vengono cambiate ad arte per impedire l’ascesa del sindaco di Firenze, fra doppio turno e albi di iscrizione resi pubblici e secondo turno a numero chiuso. Anche in questo caso gli elettori che andranno a votare alle primarie saranno dei semplici comprimari che pensano di essere invece i protagonisti. Stenderei un velo pietoso sulla battaglia per la data delle elezioni che si sta svolgendo nel Lazio. La situazione reale è che al centrosinistra ai fini elettorali conviene andare subito al voto, mentre al centrodestra conviene aspettare. Così inizia la battaglia sui regolamenti e sulle postille, che niente ha a che vedere con la soluzione dei problemi della regione Lazio e dei suoi cittadini: anche qui le istituzioni usate a proprio uso e consumo. Ma  il centrosinistra che in questi giorni va in piazza a chiedere elezioni entro l’anno per portare pulizia e giustizia è quello stesso centrosinistra che aveva votato insieme al Pdl l’aumento dei soldi dati ai gruppi consiliari e che quei soldi li ha anche presi ed usati; ed è lo stesso centrosinistra che in anni di governo ha fatto innumerevoli favori ai poteri forti a danno dell’ambiente e della qualità di vita dei cittadini. Ma queste sono cose che non contano: ciò che conta è che il centrosinistra ha già il candidato per le regionali, e invece il centrodestra è in pieno caos politico. E già, il candidato alla presidenza della regione del Pd dopo aver fatto campagna elettorale per le comunali di Roma ora non può aspettare, non sia mai che succeda qualcosa al nazionale e gli tocchi cambiare ancora e presentarsi alle politiche. E poi il tesoriere dell’Idv è stato colto con il malloppo nel sacco, meglio andare subito alle elezioni prima che ne scoprano qualcun altro. A proposito: nell’ufficio di presidenza regionale l’aumento dei soldi ai gruppi consiliari per il centrosinistra l’hanno votato il Pd e l’Idv. I consiglieri della Fds hanno detto che non ne sapevano niente, che i soldi li hanno presi si, ma li hanno usati solo per fare politica. Ora mi chiedo: ma quanta politica hanno fatto i consiglieri della Fds, visto che siccome non c’erano soldi, dal regionale del Prc per le elezioni delle ultime comunali di Frosinone alla lista del Prc sono arrivati 500 euro? E per fortuna c’era stato l’aumento. E così mentre il paese viene stritolato dalle spire del FMI i rappresentanti del popolo si dedicano a lotte dietro le quinte per conservare i privilegi e poltrone, e si delineano all’orizzonte le future alleanze che daranno origine ai patetici (politicamente) carrozzoni che si contenderanno le poltrone nelle varie assemblee, nazionali, regionali e comunali. Qualcuno si presenterà a sinistra fuori dal coro, e per questo andrà lodato, ma ciò non toglie che le prossime elezioni saranno del tutto inutili, avranno un risultato stabilito a tavolino, concordato fra i due poli principali, e di conseguenza il voto degli elettori sarà ininfluente sul risultato delle elezioni stesse. Quella parte della sinistra che avrà la fermezza di restare fuori dal centrosinistra deve organizzarsi per preparare il dopo elezioni, la stagione di lotte che sicuramente arriverà nei prossimi mesi, quando anche il gioco della Cgil verrà scoperto. Ormai in tutte le iniziative elettorali del Pd è presente un rappresentante della Cgil, non ultima l’iniziativa svolta a Frosinone davanti alla prefettura con la presenza di tutti i “pezzi grossi” del centrosinistra provinciale, o addirittura la Camusso che accompagna Bersani ad una iniziativa per le primarie: come si può pensare che un sindacato del genere possa svolgere il proprio ruolo, quando fa campagna elettorale insieme al partito che più di tutti, appoggiando il governo Monti, sta attaccando i diritti dei lavoratori? Un sindacato che non indice uno sciopero generale perché più che gli interessi dei lavoratori interessano i legami con uno dei partiti che stanno distruggendo i diritti conquistati con anni di lotta? E intanto, per ricordare a tutti che il parlamento ormai non decide più niente, si fa già il nome del prossimo presidente della Repubblica, un certo Monti…………

Verso il "No Monti Day"

Luciano Granieri. Collettivo Ciociaro Anticapitalista


  Ieri  pomeriggio ho partecipato con molto piacere all’incontro dibattito organizzato dagli amici di  www.ecodellarete.net presso la saletta centro delle arti di Frosinone. Nel corso dell’assemblea  i  rappresentanti di movimenti , partiti e singoli cittadini che parteciperanno il prossimo 27 ottobre al No Monti day erano chiamati a spiegare le  motivazioni della loro adesione  e mettere in luce l’assoluta necessità di costituire un fronte comune forte contro le politiche messe in atto dal governo dei tecnici.  L’incontro pubblico aveva la primaria finalità di fornire maggiori informazioni ad un ipotetico uditorio sulla natura dell’evento,  cercando di squarciare il velo  di falsità e di luoghi comuni costruiti ad arte dai media asserviti trasversali e bipartisan, secondo cui la cura di cavallo, che ammazza il cavallo, pianificata dal governo Monti sotto dittatura della troika (Bce, Fmi e Unione europea)  è necessaria per uscire dalla crisi.  Purtroppo l’uditorio era più che ipotetico, era praticamente assente, se si  esclude   una cittadina che ha avuto il buon cuore di ascoltarci ma anche di intervenire. Il  Dibattito quindi  si è svolto fra gli stessi  relatori che  evidentemente non dovevano convincersi l’un l’altro sulla necessità di contrastare il governo  Monti e i trattati europei  che impongono la macelleria sociale.  Rimane comunque  la platea della   rete. Spero  fortemente che i nostri interventi possano costituire, per chi avrà la bontà di visionarli   sul nostro blog o, ancora meglio,  su  www.ecodellarete.net,   un momento di controinformazione, una piccola ma affilata spina che si incunei nella costruzione mediatica  tesa ad   inculcare nelle menti l’ineluttabilità di questo piano di impoverimento di massa. In merito allo svolgimento del dibattito vorrei  fare qualche riflessione.  Intanto  non tutte i movimenti invitati hanno inviato un loro rappresentante.  Oltre al sottoscritto ,  in rappresentanza del Collettivo Ciociaro Anticapitalista , c’erano Severo Lutrario, dell’USB,  Luigi Sorge, del Partito Comunista dei Lavoratori, Domenico Belli segretario del circolo cittadino di Sel e  i padroni di casa di  www.ecodellarete.net Fiorenzo Fraioli e Claudio Martino. Non pervenuti gli esponenti della FIOM , di Rifondazione e del Movimento 5 Stelle, l’unico movimento  a motivare la sua assenza con una e.mail  nella quale si asseriva che, pur nella condivisione dell’ostilità al governo Monti, il Movimento 5 Stelle declinava l’invito a partecipare all’assemblea   perché composta da relatori troppo schierati a sinistra. Chissà  se ci fosse stato  qualcuno di CasaPound  forse  qualche grillino si poteva recuperare. La cosa personalmente mi ha interessato il giusto, cioè nulla, e ho trovato anche eccessivo il tempo dedicato da Fiorenzo Fraioli a stigmatizzare questa assenza.  Per il resto il dibattito ha evidenziato due posizioni ben preciseMentre  Fiorenzo Fraioli attribuisce alla moneta unica,  ai trattati europei -che impongono ai paesi che li hanno sottoscritti  il fiscal compact,  e il paraggio di bilancio - la colpa della crisi e dello strapotere dell’oligarchia finanziaria,  il sottoscritto e Luigi Sorge del Pcl,  invece,  sostengono  che l’euro e i trattati europei (funzionali  al trasferimento del potere decisionale nelle mani del’oligarchia capitalista) non sono altro che un’arma potentissima a disposizione  del capitalismo   e che non è sufficiente neutralizzare l’arma ma bisogna decisamente eliminare, attraverso la lotta di calasse,  l’assassino che la usa ossia il sunnominato  capitalismo. Purtroppo la polemica inaspritasi su queste posizioni ha forse un po’ deteriorato la natura unitaria del messaggio contro il  governo Monti  che sarebbe dovuto uscire chiaro  dall’assemblea. Ma si sa la discussione è il sale della democrazia, a patto magari che si rispetti il diritto  di tutti ad esprimere la propria idea senza interrompere continuamente  e bruscamente  con il tentativo di delegittimare le posizioni altrui. Del resto, a giudicare delle adesioni al  No Monti Day, saranno molti i comunisti che la pensano come me e Luigi a scendere in piazza .  Parteciperanno:  Rifondazione Comunista , la Rete dei Comunisti, Partito Comunista dei lavoratori, Sinistra Critica, Carc (Comitato di appoggio alla resistenza Comunista)   e chi non è d’accordo con queste posizioni dovrà farsene una ragione   magari sacrificandosi  nel  condividere la protesta con persone che la pensano diversamente . A proposito! Dall’assemblea è uscita un notizia inaspettata . Domenico Belli di Sel ha assicurato la partecipazione del suo gruppo al No Monti day, è uno scoop perché ad oggi  Sinistra Ecologia e Libertà non figura nella lista delle adesioni né a livello di partecipazione di singoli circoli, né tanto meno  a livello nazionale.



I filmati sono tratti da http://www.ecodellarete.net/

giovedì 18 ottobre 2012

No Monti Day: il 27 ottobre c'è rischio scontri. Forse un servizio d'ordine

fonte: http://www.huffingtonpost.it



Gli organizzatori del No Monti Day temono che la manifestazione del 27 ottobre degeneri in scontri e tafferugli organizzati da gruppi estranei alla protesta di piazza. E per questo starebbero organizzando un servizio d'ordine per tenere lontani coloro che dovessero presentarsi a volto coperto. Il tentativo, insomma, è quello di non replicare la giornata del 15 ottobre 2011 quando l'enorme mobilitazione sfociò nella lunga guerriglia urbana di piazza San Giovanni.
 «Sappiamo che qualcuno, non avendo le forze per organizzare niente di proprio, si comporta da parassita e approfitta delle masse in piazza per coprirsi e fare guerriglia», confessa un promotore che preferisce rimanere anonimo. La paura è che un eventuale pioggia di sampietrini e fumogeni possa oscurare ancora una volta, a livello mediatico, le ragioni di una mobilitazione che idealmente vorrebbe ricollegarsi alle altre mobilitazioni europee.
In effetti all'interno del frastagliato movimento la discussione sullo svolgimento del No Monti Day è sotterranea ma vivacissima. Per le aree più radicali, il corteo del 27 ottobre sarebbe un compromesso pacifico soprattutto nella scelta di rimanere lontano dai palazzi della politica: il percorso concordato infatti prevede di partire da piazza della Repubblica e arrivare a piazza San Giovanni. Nessun assedio al Parlamento come è accaduto recentemente a Madrid, dunque, e nessuna piazza Syntagma. In questo modo, è l'accusa, si cerca di stemperare «la giusta rabbia popolare» che invece diventa protagonista in Spagna e soprattutto in Grecia: ed è proprio la continua rivolta greca il riferimento di coloro che vorrebbero una reazione forte al governo Monti e alle politiche dell'austerity.
Al No Monti Day per il momento aderiscono parti della Fiom vicine a Giorgio Cremaschi (comitato No Debito), la Cgil insegnanti, il sindacato Cobas e molte rappresentanze sindacali di base, rete degli studenti universitari, Rifondazione Comunista, ma anche Gianfranco Mascia del Popolo Viola, scrittori e docenti universitari. Sempre nelle parole degli organizzatori, la speranza è quella di «coinvolgere la gente comune, non affiliata alla politica, persone giovani e meno giovani che non sono d'accordo con quello che sta succedendo in nome dello spread». 
Nessun esponente di Sinistra ecologia e libertà ha invece manifestato la propria adesione, al contrario dell'anno scorso: la battaglia del 15 ottobre in questo senso ha segnato uno spartiacque all'interno della sinistra, che nella sua parte maggioritaria avrebbe voluto scendere in piazza pacificamente sul modello degli allora “indignados” spagnoli e degli Occupy americani. Ora risulta difficile capire in quale modo l'opposizione alle politiche europee e del governo Monti possa esprimersi senza cadere nella trappola della violenza o non-violenza.

Centro sinistra provinciale in piazza per sollecitare le elezioni regionali

Luciano Granieri


 La protesta dei consiglieri regionale di opposizione delle Regione Lazio, dall’occupazione della sede della giunta si è diffusa alle  città capoluogo, con sit-in indetti dai vertici provinciali dei partiti del centro sinistra davanti alle prefetture .  L’ostinata decisione della dimissionaria Renata Polverini di rinviare le elezioni per il nuovo consiglio fino  almeno alla primavera del prossimo anno  sta esasperando anche i cittadini comuni i quali,  attraverso alcune associazioni hanno presentato un esposto contro la governatrice per abuso d’ufficio .   Ieri quindi anche a Frosinone  segretari provinciali ed  esponenti di spicco dei partiti di centro sinistra, hanno organizzato un presidio in Piazza della Libertà davanti alla prefettura.  Da I segretari provinciali Sara Battisti (Pd), Orlando Cervoni (PdCi) , Ornella Carnevale (Rifondazione Comunista) Nazzareno Pilozzi (Sel), al presidente Socialista e consigliere provinciale Gianfranco Schietroma, al consigliere regionale Pd Francesco Scalia all’eurodeputato, sempre del Pd,  Francesco De Angelis , tutti  hanno condiviso con forza, insieme ai militanti  e rappresentanti sindacali,  la necessità di andare alle elezioni del consiglio regionale entro il 16 dicembre.  L’ampio schieramento di centrosinistra in questo frangente sta cercando  anche   di ritrovare l’unità perduta nel convinto sostegno condiviso alla candidatura di Nicola Zingaretti, dirottato dai vertici Pd alla corsa per la Regione anziché concorrere come precedentemente previsto alla carica di sindaco di Roma. Al di la delle valutazioni politiche che possono più o meno essere condivise, per quello sarebbe auspicabile visionare il programma di Zingaretti,   resta il fatto che l’accanimento terapeutico  per tenere in vita l’assise  dimissionaria sta costando molto alla comunità, sia in termini di strappo alla democrazia che in meri termini economici.  Il risparmio di denaro pubblico che si otterrebbe accorpando in un election day , comunali d Roma, regionali e politiche, sarebbe irrisorio di fronte allo sperpero dovuto alla remunerazione di un consiglio destituito e inerme, alla perdita di fondi europei che lo stesso consiglio destituito non può chiedere nei tempi necessari.  Ma soprattutto votare a dicembre porrebbe fine alle ultime devastanti  scorribande dalla Polverini . Solo ieri  la governatrice ha riunito una giunta  fantasma per distribuire un pacchetto di provvedimenti  a beneficio di amici imprenditori.  Si tratta di 85 milioni di euro di regalie decise a  tempo scaduto , fra cui spicca il cambio di destinazione d’uso da industriale a commerciale della zona  di Castel Romano, in pratica il via libera alla costruzione di nuovi centri commerciali in quell’area. Andare  al voto prima possibile significa  porre termine al saccheggio di denaro pubblico regionale che la Polverini sta usando per foraggiare clientele elettorali  in vista della sua candidatura alle elezioni politiche. Il  prolungamento dell’agonia serve anche ai sodali della Polverini  come Luciano Ciocchetti  (Udc)   deciso  a rimanere asserragliato nel suo ufficio di assessore   fino a quando il partito  non riuscirà ad assicurargli un posto in Parlamento.  Questa grave e anomala situazione forse richiederebbe ben altra mobilitazione che non i semplici sit in organizzati dall’opposizione.  Ma chi semina  l’assopimento delle coscienze democratiche  predicando, in nome del riformismo,   moderazione ideologica   per il mantenimento di  una pace sociale che sta reggendo sempre meno, non può raccogliere  la forza popolare  necessaria per alimentare  un conflitto risolutivo. Sicuramente la sfilata dei segretari provinciali dei partiti di centro sinistra davanti ai Prefetti non sortirà alcun effetto , non sarà che acqua fresca per la determinata impunità della Poverini.  Speriamo solo che venerdì prossimo  la ministra Cancellieri, riesca a ottenere la resa della ex governatrice e ristabilire un minimo di giustizia democratica.

Di seguito alcune immagini del presidio con intervista all’Eurodeputato Pd  Francesco De Angelis, al consigliere regionale del Pd Francesco Scalia, al segretario provinciale di Sel Nazzareno Pilozzi e al segretario del circolo cittadino, sempre di, Sel Domenico Belli.

mercoledì 17 ottobre 2012

Il presidente decaduto

Luciano Granieri


Ciò che è accaduto oggi al consiglio provinciale di Frosinone è l’ennesimo esempio di uso privatistico delle cariche istituzionali. E’ una consuetudine molto in voga ultimamente soprattutto  nelle assisi  provinciali. In vista dell’accorpamento delle province, che depotenzia  i poteri dei dirigenti,   e della disponibilità di  caselle lasciate libere nei consigli regionali dimissionari e in odor di camorra, molti presidenti provinciali sono invogliati a salire di grado, e dal momento che  per candidarsi ad altre poltrone devono disfarsi della loro ormai ingombrante e inutile carica provinciale, fanno di tutto per svincolarsi. Ma solidarietà di casta vuole che un presidente di provincia debba comunque assicurare  la pagnotta ad assessori e consiglieri di maggioranza che l’hanno appoggiato mantenendoli  ben saldi sulla loro poltrona . Ciò non sarebbe possibile in caso di dimissioni perché il consiglio verrebbe commissariato e di fatto la giunta azzerata.  Ma il geniale  escamotage escogitato dalla giunta provinciale di Frosinone guidata da Iannarilli riesce ad accontentare tutti.  L’attuale presidente Iannarilli ha mire alte, vuole candidarsi a consigliere regionale   e, per assicurare la permanenza dei suoi adepti nei  posti che contano,  ha resuscitato una vecchia norma. Ovvero una legge che rende incompatibile la carica di Presidente della Provincia con incarichi parlamentari ( Iannarilli è attualmente deputato). L’entrata in vigore di tale normativa risale al 2011, ma fino ad oggi nessuno nell’assise provinciale se ne era accorto  .   Finalmente  oggi una distratta giunta ed un ancora più svagato consiglio provinciale hanno fatto  ammenda della  loro distrazione e si sono resi conto   che Iannarilli,  essendo deputato,  non può ricoprire la carica  di presidente della Provincia,  MEGLIO TARDI CHE MAI.  Dunque un rinsavito consiglio provinciale riunito oggi  ha posto a votazione “La contestazione dell’incompatibilità dei ruoli del presidente della Provincia” provvedimento approvato grazie ai voti della maggioranza che ha fatto decadere l’attuale presidente, evitando così il commissariamento dell’ente e l’azzeramento della giunta. Piccolo particolare al comando della Provincia dovrebbe accedere il vice presidente, incarico che nella giunta provinciale frusinate risulta vacante in quanto la delega alla vice presidenza attribuita a Cardinali era stata ritirata da Iannarilli qualche mese fa . Ma ad eleggere un vice presidente da far diventare in un battibaleno presidente non ci vuole molto.  I consiglieri di opposizione consci di essere testimoni  dell’ennesima presa in giro, hanno tentato di far mancar il numero legale   per rinviare il voto. La cosa sembrava riuscire, ma come al solito ci hanno pensato quelli dell’Udc a rompere le uova nel paniere. Gli ex democristiani di Casini si sa   non si fanno  scrupoli a favorire dall’opposizione la maggioranza o, viceversa, a far cadere una maggioranza di cui son membri  favorendo l’opposizione. Infatti Alessia Savo  consigliere Udc d’opposizione assieme all’altro consigliere di opposizione, ex fascista ripulito  Fabio Bracaglia, rientrano in aula assicurando il numero legale e la riuscita della farsa.  Iannarilli  è decaduto  per mano del consiglio, libero quindi di assurgere ad incarichi più alti, mentre  i suoi consiglieri possono comunque  rimanere li dove sono sempre stati.  Ma la provincia di Frosinone  non è l’unica ad aver pianificato questa strategia.  Anche nella provincia di Napoli il presidente Cesaro è decaduto libero di candidarsi alle elezioni politiche. Questi stratagemmi meschini offendono la dignità dei cittadini che hanno votato il loro rappresentanti. Ormai le cariche nei consigli provinciali, regionali,  le poltrone di sindaco, passano di mano come se le istituzioni pubbliche fossero  holding in cui gli amministratori delegati si scambiano le posizioni di comando.  Così come nelle multinazionali i dipendenti non devono mettere bocca sulla composizione del consiglio di amministrazione, anche  ai cittadini non deve interessare se un presidente di provincia decide di diventare consigliere regionale,  o un sindaco  preferisce candidarsi alla presidenza della provincia. Ai cittadini si chiede di votare ogni tanto  e poi di lasciar fare agli eletti senza impicciarsi.  Se non si riesce a minare il senso di impunità di questi loschi figuri, la collettività dovrà sempre più subire decisioni  lesive alla propria dignitosa  sopravvivenza. Urge  dunque  provare a rovesciare il sistema ed esigere il controllo popolare sull’operato dell’oligarchia  elettoralistica. E’ ORA CHE IL POTERE TORNI NELLE MANI DEL POPOLO.

Riassunto  iconomusicale




ll presidente Iannarilli non vuole giocare più, vuole andare via  a giocare in altri campi (regionali o nazionali) , ma gli assessori voglio fermarsi li, non vogliono lasciare più la loro poltrona. E allora? E allora essendo il presidente Iannarilli anche deputato   torna buona una norma secondo la quale un presidente di provincia non può ricoprire contemporaneamente la carica di deputato. Era una norma di tanto tempo fa che ovviamente nella giunta provinciale di centrodestra si sono guardati bene dall'applicare. Del resto si sa per gli adepti di Berlusconi la legge è uguale per tutti ma per alcuni è più uguale di altri.
Oggi  quel codicillo torna buono, perchè consente di far decadere il presidente della provincia che così può candidarsi alla regione o di nuovo al parlamento, senza far commissariare  il consiglio provinciale la cui presidenza verrà affidata al vice presidente per altro ancora da nominare. Si salva così la capra Iannarilli che potrà sedere su qualche scranno della Pisana o di Montecitorio e si salvano anche i cavoli degli assessori e consiglieri di maggioranza che rimarranno viceversa incollati allo scranno provinciale grazie al quale hanno goduto già di enormi privilegi .E poi qualcuno dice che questi assessori e questi consiglieri sono inetti...Tutta invidia

A proposito i brani sono  "Non gioco più" di Mina con uno straripante TOOT THIELEMAN  all'armonica e un frammento di  "Io mi fermo qui" dei Dik Dik.

martedì 16 ottobre 2012

Dopo la manifestazione per la Valle del Sacco il "No Monti day"

Collettivo Ciociaro Anticapitalista


Prima tappa resistente
Manifestazione in difesa della Valle del sacco.
con l'aiuto straordinario degli AreA il brano è "Le labbra del tempo"


Seconda Tappa resistente:

Il Collettivo Ciociaro Anticapitalista parteciperà alla manifestazione nazionale No Monti Day.  Sabato 27 ottobre saremo in piazza a Roma   insieme ad altri  movimenti,  organizzazioni e singoli cittadini  perché siamo convinti che non esistono altri mezzi , alternativi alla mobilitazione, per  tentare di incrinare il pensiero unico neoliberista.  L’oligarchia finanziaria, in sinergia con gli interessi delle multinazionali, ha di fatto preso il potere diretto  anche nel nostro Paese. Il governo Monti, strenuo difensore degli interessi di questa oligarchia, non è una parentesi emergenziale, ma è il prodotto della degenerazione politica, del decadimento di questo esercizio da strumento di rappresentanza  dei cittadini  a corporazione  tesa alla strenua difesa degli interessi del capitale. Tanto più si è resa necessaria questa svolta autoritaria , quanto più  sono risultati  evidenti i disastri che il pensiero neoliberista ha procurato alla società e alla  stessa economia.  Il potere finanziario non può ammettere che è il sistema da cui trae linfa e  capacità di accumulo a provocare la crisi, né può permettere che questa incontrovertibile verità possa diffondersi nella società civile.  Ecco perché  la presenza  di  un governo diretta  emanazione delle oligarchie finanziarie è indispensabile. Un governo come quello guidato da Monti - che  faccia pagare la crisi   provocata   dalle grandi scorribande finanziarie  a chi subisce incolpevole gli  effetti nefasti della crisi stessa,  che continui nella sistematica operazione di saccheggio del reddito da lavoro  a favore delle rendite finanziarie, che, grazie alla compiacenza dei media di regime, di comitati elettorali conniventi e spesso di forze sindacali asservite ,  diffonda  la falsità per cui è l’eccessiva spesa sociale a provocare il debito e non l’emorragia di capitali necessari a pagare gli interessi maturati attraverso scorribande  finanziarie criminali - è vitale per la sopravvivenza del pensiero unico . Non si deve sapere ad esempio  che nel 2011 il rapporto fra entrate fiscali e spese sociali era in attivo (avanzo primario) di 370miliardi, mentre la spesa per il pagamento di interessi  maturati, spesso a seguito di attacchi speculativi orditi  dai facoltosi clienti delle banche d’affari ammontava a 2000 miliardi.  Le conseguenze  che l’azione di un governo simile provoca sulla collettività sono terribili. Disoccupazione, precarietà del lavoro, sanità e scuola pubblica annientate, mercificazione di beni comuni,  sono il prezzo che la comunità deve pagare alla dittatura della finanza . Per non finire annientati da questo  perverso sistema  è necessario ribellarsi sin da subito ai governi  come quello guidato da Monti che tale sistema impongono, ecco perché sabato 27 noi saremo in piazza, per dire basta alla dittatura del capitalismo e alle ingiustizie prodotte  dal regime neoliberista che pervade tutta l’Europa.
Sul  seguente link l’elenco delle adesioni.


Aquino, raccolta firme per i referendum sul lavoro


Comitato referendario di Aquino

La prima iniziativa promossa  dal comitato referendario di Aquino per quanto concerne la raccolta firme per i referendum sul lavoro ha dato un esito molto positivo,infatti si sono raccolte ben più di 200 firme.  Questo testimonia il grande interesse dei nostri cittadini verso temi di grande spessore sociale e sopratutto si evidenzia la volontà di non sottostare alle decisioni di un governo  composto da banchieri e dalla grande finanza.
La raccolta firme continuerà con altre iniziative pubbliche in modo da  dare a tutti i cittadini la possibilità di firmare . Ricordiamo ancora una volta che possono firmare solo i residenti del comune di  Aquino fino al 12 gennaio 2013.
Come si può facilmente notare  ancora una volta i mass  media non danno nessuna notizia su questi referendum, ed ecco perché abbiamo deciso di coordinarci e dare vita a questo comitato in modo da poter informare tutti di queste  iniziative  e dare un grande contributo a queste lotte di democrazia.
Togliere il lavoro ad un uomo corrisponde esattamente a privarlo della propria dignità. Quindi lanciamo un forte appello a tutti coloro, che come noi intendono portare avanti questa battaglia, a venire  firmare e ad aderire a questo comitato.
Diciamo no alla precarietà e riappropiamoci della nostra dignità di lavoratori.

"Caporalismo" oggi

Angelino Loffredi. Fonte. http://www.unoetre.it

Gramsci, il Caporalismo, l'attuale situazione politica:"Comandare per comandare è caporalismo" Invece bisogna comandare "perché un fine sia raggiunto" e cioè bisogna comandare per obbedire a un fine e allora gli altri obbediranno per comandare. Scrive meglio Gramsci quando precisa:"Nell'obbedienza c'è un elemento di comando e nel comando un elemento di obbedienza. Il comando è una funzione. Per questo merita di comandare solo chi intende far cessare la funzione stessa di comando".Le ultime vicende politiche, gli scandali che le stanno attraversando, i partiti basati sull'obbedienza al capo, privi di un adeguato processo di selezione del personale politico mi hanno fatto tornare in mente la categoria del Caporalismo, evidenziata in "Passato e Presente" da parte di Antonio Gramsci.


INDIETRO POPOLO ! UN VENTENNIO DI CANZONI Dal temibile CISCO ai Modena City Ramblers

Cisco


AVETE MAI VISTO UN FILM PARTENDO DALL’ULTIMA SCENA?
AVETE MAI LETTO UN LIBRO COMINCIANDO DALL’EPILOGO?
SE NON VI E’ MAI SUCCESSO, E’ ARRIVATO IL MOMENTO
INDIETRO POPOLO! IL NUOVO TOUR “INDOOR” DI STEFANO “CISCO” BELLOTTI, VI PORTERA’ A SPASSO NEL TEMPO PARTENDO DALLA FINE DELLA STORIA PER ARRIVARNE ALLE RADICI, CERCATE DI TENERE IL PASSO PERCHE’ POTRESTE PERDERVI O ANCHE CADERE DAL PALCO!
INDIETRO POPOLO E’ UN NASTRO RIAVVOLTO NEL PRESENTE PER RILEGERE IL PASSATO E AFFRONTARE MEGLIO IL FUTURO, UNA “MARATONA ALL’INCONTRARIO” NELL’ULTIMO VENTENNIO SCURO DEL NOSTRO PAESE CON UN SOLO VINCITORE, LA MUSICA!
DA MONTI A MANI PULITE, DALL’EURO ALLA LIRA, DA BERLUSCONI A …BERLUSCONI!
20 ANNI DI COMBAT FOLK MOLTIPLICATI PER 20 CAVALLI DI BATTAGLIA, UN MODO PER FESTEGGIARE, BALLARE, POGARE E PRENDERSI IN GIRO, UNA STRADA CON ACCESSO VIETATO A CHI NON HA VOGLIA DI RICORDARE, RIFLETTERE E CARENZA DI AUTOIRONIA
INDIETRO POPOLO! IL NUOVO TOUR DI STEFANO “CISCO” BELLOTTI
Da dicembre e per tutta la stagione invernale, in tutti i migliori locali Italiani !!!

Secondo atto della commedia tragica Cai-Alitalia

Luciano Granieri


Oggi  con la presentazione  del nuovo piano industriale  di Cai - Alitalia va in scena un altro atto della tragicommedia costruita intorno alla compagnia aerea di bandiera nazionale .  Questa rappresentazione, iniziata quattro anni fa, vede come protagonisti il meglio della drammaturgia berlusconiana unita al meglio della drammaturgia  del sobrio governo tecnico. Un cast di all star, riunite  tutti insieme appassionatamente,  per un successo  che in quattro anni ha bruciato tre miliardi di denaro pubblico , ridotto sul lastrico 4 mila esodati  ed oggi si appresta a bruciare  altri mille posti di lavoro , agnelli scarificali offerti al perverso canovaccio della socializzazione dei debiti e privatizzazione di profitti, che in questo caso non si sono realizzati. Ma ripercorriamo in breve la sceneggiatura della commedia. Quattro anni fa, a seguito delle pesanti perdite accumulata da Alitalia, il governo Berlusconi, anziché cedere ad Air France il pacchetto azionario della compagnia di bandiera italiana, sacrificando in nome dell’italianità una migliore offerta economica e un decente trattamento per i lavoratori offerto dai Francesi, decise di favorire una congrega di suoi amici imprenditori  e banchieri.  La compagnia berlusconiana, sotto la sapiente regia di Corrado Passera - nel primo atto banchiere di BancaIntesa, nel secondo atto,  ministro per le attività produttive nel governo dei tecnici  - decise, come da prassi, di socializzare i debiti, lasciati in pagamento alla comunità attraverso la parte pubblica di Alitalia, e  privatizzare  il ramo  attivo  della compagnia a favore dei soliti noti influenti amici affamatori di popolo. Nacque Cai   (Compagnia Aera  italiana)  una Spa composta da capitani coraggiosi  allora amici del governo in carica.  Nel  novero di questa èlite figuravano accattoni  come :Roberto Colaninno,  l’avvelenatore di  Taranto,oggi agli arresti domiciliari, Emilio Riva,  Emma Marcegaglia,  allora  presidente di Confindustria , l’onnipresente Benetton e Carlo Toto, patron della compagnia low cost “AirOne”, il quale da  debitore sull’orlo della banca rotta, grazie alle magie dell’allora banchiere e oggi ministro, Corrado Passera, riuscì a racimolare qualche milione per acquistare una parte della nuova società.  Socio di minoranza, attore non protagonista,  rimase   Air France.  Partire  con una azienda nuova di zecca  bonificata da  debiti  non era sufficiente. In cambio dell’impegno a salvare l’orgoglio italico nel trasporto aereo  costoro esigevano la riduzione del personale da 20.000 a 14.000 addetti  con salari minori e orari di lavoro più lunghi ,  oltre a enormi agevolazioni fiscali. Il tutto con l’assenso dei sindacati di regime impegnati  alla salvaguardia, non dei lavoratori, ma dei propri privilegi.  Per 4.300 dipendenti scattò la cassa integrazione.   Ammortizzatore sociale che,  terminando sabato scorso , ha dato inizio  alla  mobilità lunga  regime con cui questi lavoratori dovrebbero arrivare alla pensione. Già dovrebbero.  Perché nel frattempo è entrata in scena l’attrice protagonista  della compagnia dei teatranti tecnici. La ministra del (NON) lavoro Elsa Fornero.  Tale stella di prima grandezza  ha spostato il traguardo  della pensione per questi lavoratori di sette anni in avanti, gettando 4000 famiglie nella disperazione  senza uno straccio di remunerazione mensile, né stipendio, né pensione .   Partendo da condizioni economiche che più  favorevoli non potevano essere  la cordata di mega manager- industriali, banchieri privati amici degli amici è riuscita in un’impresa titanica. Accumulare in quattro anni gli stessi debiti che la compagnia pubblica aveva accumulato in venti . Alla faccia dell’efficienza dei privati!!! Nel  secondo atto in scena oggi il nuovo piano industriale che il presidente Roberto Colaninno presenterà ai sindacati di regime e al governo  -nelle persone dell’ex banchiere regista della commedia, oggi ministro per le attività produttive,   Corrado Passera e di Guido Improta, oggi sottosegretario allo stesso  ministero,  e ieri responsabile delle relazione esterne di Cai – conterrà   il solito programma lacrime e sangue:  I 750 addetti  messi incassa integrazione  a zero ore nel 2011 verranno licenziati,  a loro si aggiungeranno altri 1.000 lavoratori  assunti a  tempo indeterminato. Il destino dei precari, a  cui sono stati estorti 2000 euro per i corsi di formazione, è del tutto ignoto ma   è ragionevole prevedere che non riservi nulla di buono.  Dunque attori della vecchia e della nuova compagnia ,o presenti con parti  diverse in entrambe le compagnie  contemporaneamente,  stanno per certificare l’ennesimo fallimento di una classe imprenditoriale e finanziaria marcia ma sempre in auge pronta ad  arricchirsi alle spalle della collettività  . Per  soddisfare le mire dei vari Berlusconi, Tremonti, Colaninno, Riva, Toto, Passera,  Improta  e soci, si sono sacrificati migliaia di posti di lavoro , gettati al vento miliardi di euro.  E oggi, probabilmente, Air France rimasta sullo sfondo,  si farà avanti di nuovo per acquistare Alitalia ma con un offerta notevolmente inferiore a quella proposta quattro anni fa e con un piano industriale che provocherà altre pene per i lavoratori. I sindacati di regime adesso  strillano, minacciano mobilitazioni, ma dove stavano quattro anni fa? La vicenda Alitalia è una chiara dimostrazione di come il governo dei banchieri non è affatto diverso da quello  dei pagliacci . Anzi nella sua fredda determinazione a trasferire porzioni di capitali dal reddito da lavoro all’accumulazione finanziaria è anche più spietato.  Del resto gli attori sono gli stessi. Ieri i banchieri facevano affari in combutta con la classe politica, oggi continuano a prosperare ai danni della collettività gestendo i propri interessi  in prima persona,  relegando la politica al ruolo di catalizzatore della rabbia popolare.  Mentre l’indignazione e  si riversa sui Formigoni, sui Fiorito, sulla Polverini,  mentre si continua a discutere se Vendola  appoggerà Renzi,  qualora quest’ultimo vincesse le primarie del contro sinistra , o viceversa, mentre si esalta l’estrazione popolare di Bersani, fotografato e ripreso nell’officina del padre l’oligarchia liberista mette  appunto l’ennesimo scippo da undici miliardi e mezzo ai danni di disoccupati, lavoratori, precari, malati . E  nessuno,  a parte chi finalmente si è convinto a scendere in piazza il prossimo 27 ottobre contro la dittatura del potere finanziario e capitalista incarnato dal governo Monti, dice nulla.

Vendola vuole bombardare la Siria?

fonte: http://www.controlacrisi.org



Oggi sul quotidiano Il secolo XIX è uscita un'intervista a Nichi Vendola che ha fatto notizia per l'apertura nei confronti dell'ipotesi dell'elezione di Monti alla Presidenza della Repubblica (non riusciamo a capire come su questa via si possa "archiviare il neoliberismo" ma tralasciamo in questa sede di approfondire). 

Ma c'è un altro stralcio piuttosto inquietante in tema di politica estera (cioè di guerre prossime venture) che merita una sottolineatura:

Giornalista: Se ci fosse un intervento militare come in Libia cosa fareste?


«Noi al governo non avremmo 'danzato' il Bunga Bunga insieme a Gheddafi. Faccio fatica a capire perché hanno bombardato la Libia e non la Siria. E comunque, durante il governo Prodi fui d'accordo sulla missione di pace in Libano, e fui anche orgoglioso perché tra quei militari c'erano molti pugliesi.»

Se l'italiano non è un'opinione dobbiamo dedurrre che secondo Nichi Vendola sarebbe giustificata la partecipazione dell'Italia a un intervento armato anzi direttamente al bombardamento della Siria. 
Va ricordato che anche sulla Libia Nichi Vendola si lanciò in avventati giudizi positivi sull'imposizione della no-fly zone che poi nel giro di poche ore si trasformò nel bombardamento a tappeto di un paese sovrano conclusosi soltanto con l'uccisione di Gheddafi e il cambio di regime. E' questa la cura che Nichi Vendola propone per la guerra civile siriana? 
Speriamo di no, anche se non abbiamo dubbi che il PD si accoderebbe immediatamente a un'eventuale richiesta NATO/USA.
Certo un bombardamento della Siria non avrebbe nulla da spartire con la missione di pace in Libano che ha visto la partecipazione delle truppe anche italiane come forza di interposizione tra belligeranti che accettavano l'intervento internazionale come garanzia per la cessazione del conflitto armato. 

Siamo sicuri che si tratti di una frase detta male (magari per l'ansia di accreditarsi come forza di governo) o riportata male. 
Doveroso segnalarla in un paese in cui è stato il centrosinistra a invocare l'intervento militare in Libia.

[dobbiamo a Nichi Svendola la segnalazione]

lunedì 15 ottobre 2012

Frammenti di Oreste Scalzone, da Genova al 15 ottobre, passando per Matteo Renzi

Oreste Scalzone



 12 anni bastano compagni.


Avete mai visto una rivoluzione, una sovversione, che continua a riprodursi per appuntamento, spettacolare.

Ce li organizza la società dello spettacolo, e noi appresso. Ogni volta s’è riprodotta così: chi faceva il pacifico, chi faceva il black bloc…ma fino a quando?Sappiamo già tutto, fino a quando andremo avanti?
Il 15 ottobre forse ha chiuso un cerchio.
[...]
La crescita, l’intergenerazionale…quelli del ’69, l’operaio comune eh, non io, Pifano, Curcio o Miliucci, ma quello delle canzoni di lotta continua: ha recuperato del reddito, no?  ha mandato il figlio all’università?  E mo si ritrova che fa da ammortizzatore sociale.
Pulisce il culo dei bambini, tiene in casa la nuora o il genero , c’ha già i genitori con l’Alzheimer (perché è l’aumento della speranza di vita dopo i 75 anni) aspetta di avercelo  lui e gli dicono pure che ha rubato il futuro a quella faccia da cazzo di Matteo Renzi.

Dottor Niki e mister Vendola

 Fonte, www.controlacrisi.org


13 ottobre 2012. Una giornata particolare. Una giornata in cui parte la grande campagna di raccolta firme per il referendum 'salva Articolo 18' (quello smantellato dalla riforma del lavoro votata anche dal Pd). Una campagna promossa da forze politiche e sociali della sinistra, da Rifondazione alla Fiom, dall'Idv a Sel. Per questo si potrebbe definire una bella giornata. Ma è anche il giorno in cui si 'firma' un'altra cosa, in netta contrapposizione con la precedente. Si 'firma' la 'carta d'intenti' di Pd, Sel e Psi.
Un vero e proprio patto vincolante che stabilisce come la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti fra i progressisti saranno risolti da una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta. In poche parole il partito di maggioranza imporrà a Sel e Psi la propria linea. Inoltre, il patto prevede per i progressisti il vincolo di lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi e ad appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona.

Fra i primi a commentare negativamente i contenuti del patto è stato Alfonso Gianni di Sel, che ha detto: "definire il patto come una strada in salita sarebbe un eufeismo"... "Un evidente compromesso tra chi vuole proseguire l'agenda Monti e chi no". Gianni ha dato giudizi trancianti sul patto. "In questo modo – ha continuato - si ha un'immagine surreale dell'Italia, come se il governo Monti fosse stata una parentesi trascurabile che non ha prodotto guasti. Quindi si glissa sull'articol 18, persino sull'art.8, oggetto di referendum, non si parla di fiscal compact. Anzi si ribadisce la volontà di assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro paese". 

Netto è stato anche il giudizio di Paolo Ferrero del Prc: "Con questo accordo il Fiscal Compact non si cambierà mai perché quel trattato la Germania non è disponibile a rinegoziarlo, si può solo disdettare unilateralmente. Qui si dice chiaramente che la politica economica impostata da Monti continuerà. Del resto visto che i simboli hanno il loro valore, forse non è un caso che quello schieramento abbia abbandonato non solo la parola sinistra ma anche quella centro sinistra".

Insomma, nello stesso giorno in cui la maggioranza del popolo di sinistra – compresi i militanti di SEL - inizia a raccogliere le firme per i referendum (Vendola è uno dei componenti del comitato promotore, cioè uno di quelli che ha apposto la firma in cassazione per presentare i quesiti) contro le controriforme sul lavoro in chiara discontinuità con le ricette che l'Europa liberista ha imposto in questi anni, Vendola firma un patto di lealtà agli impegni istituzionali ed ai trattati sottoscritti con un partito come il PD che questi impegni li ha già portati in agenda appoggiando il Governo Monti. 

Tutto questo rischia di diventare un incubo per i militanti di Sel, che mentre raccolgono le firme per smantellare le porcate fatte dal governo Monti, sostenuto dal Pd, devono anche partecipare a delle primarie che decideranno chi andrà a proseguire quelle porcate. Alcuni non riescono a capire come queste due cose si possano mettere insieme, essendo totalmente contrapposte tra loro. 

Quello che si temeva si sta avverando: è arrivato Dottor Niki e Mister Vendola! 

domenica 14 ottobre 2012

La candidatura alla presidenza USA di Dizzy Gillespie

Vincenzo Martorella. fonte : www.ilpost.it



Quando il trombettista Dizzy Gillespie salì sul palco del Monterey Jazz Festival per comunicare al mondo la sua intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali statunitensi, Mitt Romney era un adolescente sedicenne: e certamente seguiva gli sviluppi della situazione dal momento che il padre George, all’epoca governatore del Michigan, era uno dei candidati alle primarie del partito Repubblicano. Barack Houssein Obama, invece, aveva da poco compiuto due anni.
Era il 21 settembre 1963, e mentre pensava a chi piazzare nei punti nevralgici del potere e nel futuro gabinetto della Casa Bianca (ribattezzata per l’occasione Casa del Blues) Gillespie non era mai stato così serio in vita sua: Miles Davis capo della CIA, Duke Ellington ministro dello Stato, Max Roach ministro della Difesa, Charles Mingus ministro della Pace, Louis Armstrong all’Agricoltura, Malcolm X alla Giustizia ed Ella Fitzgerald alle Politiche Sociali.
L’annuncio fu fatto nel suo tipico stile, a metà tra umorismo graffiante e musica spericolata. «Voglio diventare Presidente degli Stati Uniti – urlò al microfono davanti a trentamila spettatori entusiasti – perché ce ne serve uno!». Questa frase diventò immediatamente lo slogan della campagna elettorale. Ma per inseguire un improbabile successo, Gillespie sapeva di aver bisogno di un inno. Il cantante Jon Hendricks, eminenza poetica dell’entourage gillespiano, quella sera si unì alla band: molto solennemente spiegò che il brano che stavano per eseguire avrebbe fatto da colonna sonora alla corsa presidenziale di Gillespie.
Si intitolava Vote for Dizzy: la musica era quella di Salt Peanuts, un vecchio classico del bebop; il testo, invece, l’aveva scritto lo stesso Hendricks sulle note della melodia, e diceva cose così: “Vote Dizzy! Vote Dizzy! You want a good president who’s willing to run / You wanna make government a barrel of fun”, “Votate per Dizzy! Volete un bravo presidente che si dia da fare / Volete un bel governo che vi faccia sganasciare”; o ancora: “Your political leaders spout a lot of hot air / But Dizzy blows trumpet so you really don’t care”, “Gli altri politici quanto fiato san sprecare / Ma Dizzy se non altro lo usa per suonare” (la traduzione è di Dario Matrone).




L’annuncio lanciato dal palco di Monterey veniva in realtà da lontano. La società statunitense si avvicinava pigramente all’elezione presidenziale del novembre 1964, preparando il secondo, scontato, mandato per John Fitzgerald Kennedy. Per sfruttare il clima propagandistico la ABC, l’agenzia che si occupava del management di Gillespie, all’inizio del 1963 aveva prodotto una serie di spillette con la scritta “Dizzy for President”. Avrebbe dovuto essere semplice materiale promozionale, ma gli avvenimenti presero una piega diversa. In quell’anno, infatti, accaddero fatti ai quali un tipo da sempre a fianco dei neri e dei più deboli (categorie che troppo spesso coincidevano negli Stati Uniti, e delle quali Gillespie si era trovato a far parte) non poteva assistere passivamente.
Il 12 giugno, all’indomani del celebre discorso in cui Kennedy illustrava agli americani il suo disegno di legge contro la segregazione razziale nelle scuole e nei luoghi pubblici, l’attivista afroamericano Medgar Evers fu freddato con una fucilata alla schiena mentre entrava nella sua casa a Mound Bayou, nel Mississippi. Dell’omicidio fu accusato Byron De La Beckwith, un militante del White Citizen’s Council, formazione assimilabile al Ku Klux Klan; questi, grazie a una vergognosa manipolazione dei giurati (tutti bianchi), evitò il carcere per oltre trent’anni fino a quando, nel 1994, il caso fu riaperto e lui finalmente condannato.
La storia alimentò l’immaginario riformista del tempo: Bob Dylan e Nina Simone incisero canzoni sull’accaduto, scrittori e commediografi lo misero al centro di romanzi e lavori teatrali, fino al film del 1996 Ghost of Mississippi (uscito in Italia l’anno dopo col titolo di L’agguato), nel quale Rob Reiner ricostruiva la riapertura del processo e la condanna di De La Bleckwith, interpretato da James Woods.
Due mesi e mezzo più tardi, oltre trecentomila afroamericani (per le autorità molti meno) marciarono su Washington in difesa dei loro diritti. Reclamavano pari opportunità di lavoro, invocando misure più ficcanti e determinate rispetto a quelle indicate da Kennedy nel suo discorso. Sul palco si alternarono i rappresentanti delle sei categorie religiose e politiche afroamericane più importanti; tra questi, Martin Luther King pronunciò il suo celebre discorso I Have a Dream. Joséphine Baker fu l’unica donna a prendere ufficialmente la parola. E tra le decine di migliaia di manifestanti, una coppia esibiva con fierezza la spilletta “Dizzy for President”: fu quella la molla che trasformò un’idea forse bislacca in una faccenda più seria.
A settembre, la piccola e sgangherata macchina elettorale che avrebbe sostenuto Gillespie era stata messa in piedi grazie all’intervento di Ralph Gleason e sua moglie Jeannie. Gleason era un noto critico jazz, e aveva iniziato, in articoli pubblicati su quotidiani nazionali e riviste specializzate, a diffondere la notizia di una eventuale candidatura da parte di Gillespie. Il quale, invece, non aveva ancora sciolto la riserva: inserirsi nel complicatissimo meccanismo elettorale americano non era affatto facile. Gillespie decise di provarci quando, il 15 settembre, un vile attentato dinamitardo alla Sixteenth Street Baptist Church di Birmingham, Alabama, provocò la morte di quattro ragazzine afroamericane. La strage, evidentemente, puntava a fermare il processo di integrazione razziale avviato negli Stati del sud, un processo contro il quale il governatore dell’Alabama – George Wallace, populista e segregazionista, che si sarebbe candidato alle primarie del partito Democratico – si opponeva da sempre. Come nel caso Evers, il colpevole, Robert Chambliss, appartenente a una cellula del Ku Klux Klan, fu subito individuato, ma grazie a protezioni e connivenze riuscì a evitare il carcere a vita, a cui fu poi condannato nel 1977, quando il caso venne riaperto.
Cinque giorni dopo la strage razzista di Birmingham, Dizzy Gillespie annunciò a Monterey la sua volontà di candidarsi alla più alta carica degli Stati Uniti. Dalle gradinate un gruppo di fans provenienti da San Francisco espose un lenzuolo che inneggiava a Dizzy for President.