Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 17 giugno 2017

Proteste riuscite e proteste di frustrazione

Luciano Granieri




E’ un maledetto venerdì di un maledetto e bollente pomeriggio di giugno. Mi trovo bloccato sul raccordo anulare.  Mezz’ora per fare due chilometri e ne devo percorrere altri venti, tanta la distanza che mi separa dallo svincolo della Roma-Napoli. L’aria è rovente  ci saranno 50 gradi, ogni tanto qualche automobilista accosta con il motore in surriscaldamento. Una situazione da girone infernale. 

Dalla radio arriva la notizia che Roma e il raccordo anulare sono congestionati perché lo sciopero degli addetti al trasporto pubblico e del personale di Alitalia ha costretto molti utenti a prendere la macchina intasando la città. Chiamo casa, per avvisare di non avere la più pallida idea di quanto ci metterò a tornare. Mia moglie mi dice che anche mio figlio tornerà dall’università in serata perché non ha trovato la metro che l’avrebbe portato in stazione. 

Comincio a bestemmiare. Ma  anche se il caldo è  incessante, non riesce  bloccare i mie neuroni e inizio a riflettere che se si vuole avere la minima possibilità di spuntarla su una vertenza bisogna fare come i lavoratori del trasporto pubblico, di Alitalia e della logistica. Stanno scioperando per ottenere lo sblocco del contratto riguardante le loro categorie, fermo dal  2014, contro le privatizzazione dei servizi pubblici, per un piano industriale diverso di Alitalia e per la triste vicenda dei voucher.  

Lo sciopero indetto da Cub Trasporti, Adl e Si Cobas, Usi, evidentemente sta riuscendo se anche il sottoscritto ne sta rimanendo vittima. Ricomincio a bestemmiare, ma non contro i lavoratori che stanno scioperando, ma contro quella  masnada di servi del potere finanziario che occupano il parlamento. Burocrati reazionari  artefici del crudele sfruttamento dei lavoratori  della logistica , privi di qualsiasi diritto, vite eternamente precarie  che rischiano la vita non solo quando faticano ma anche quando protestano. Uno di loro  è morto sotto le ruote di un TIR mentre partecipava ad un presidio di protesta . 

Continuo a bestemmiare contro quei manager privati  illuminati, che distruggono aziende fondamentali, come l’Alitalia, con piani industriali fantasiosi, e poi a pagare le conseguenze delle loro scempiaggini lautamente retribuite  sono i lavoratori.  Tutto ciò non accadrebbe se si potessero nazionalizzare le compagnie  strategiche per il Paese. Le invocazioni proseguono verso quella accozzaglia di personaggi del governo che continuano a tagliare i fondi agli  enti locali i quali non sanno come gestire i servizi pubblici a cominciare dai trasporti urbani. 

Penso anche, non con una punta di sollievo, che se tutte le persone rimasti vittime dello sciopero rivolgessero le loro bestemmie alla stessa gente contro cui sto inveendo io ,  la protesta indetta dai sindacati di base otterrebbe un successo superiore alla aspettative. 

Una conferma che l’agitazione ha colpito nel segno  mi arriva la mattina seguente sfogliando i giornali. I più incazzati di tutti sono i dirigenti piddini, dal segretario Matteo Renzi, al ministro dei trasporti Graziano Del Rio. Tutti invocano un ulteriore giro di vite sulla regolamentazione del diritto di sciopero, additano i sindacati di base e gli scioperanti come degli irresponsabili, ed  emettono altre  rabbiose lamentazioni . 

Un'affermazione del segretario Pd mi colpisce più di altre. Renzi afferma che va regolata la rappresentanza sindacale partendo dall’accordo firmato dalla “triplce” e confindustria nel 2014.Cioè  quell’accordo per cui i sindacati    minoritari nelle aziende non possono svolgere attività sindacale di nessun tipo men  che meno d’opposizione. Firmò quel ricatto vergognoso  anche la CGIL. Pensare che proprio   da li vuole ripartire Renzi.  Da un accordo fatto con la CGIL.  Quella stessa CGIL che si è vista sonoramente bocciare dai lavoratori Alitalia il piano da macelleria sociale concertato insieme alla peggiore   consorteria predatoria  ultra liberista. 

Oggi quella CGIL, piccata, ha chiamato in piazza la sua gente, compreso l’indotto partitico associato, perché il governo ha dato un colpo mortale, quasi definitivo, all’annosa vicenda referendaria.   Alla  bocciatura della Corte Costituzionale del quesito sull’art.18 ,perché scritto male, non si sa quanto consapevolmente,  è seguito lo smacco  del voucher tolto per evitare il referendum e poi rimesso. Una presa in giro umiliante per la democrazia, ma ancora di più per chi ha voluto sostituire una tortuosa e infruttuosa strategia referendaria a quella della protesta.

 Il rito della gita “entro porta” si è consumato oggi a Roma. La Camusso dal palco ha assicurato che i giuristi consulenti della CGIL stanno predisponendo il ricorso alla Corte Costituzionale  per chiedere il rispetto dell’art.75 e l’eliminazione dei voucher. Se la redazione del ricorso avrà la stessa efficacia del quesito referendario proposto sull’art.18, ci terremo i voucher per sempre. 

Una manifestazione, indetta da un sindacato - che ha firmato di tutto contro i lavoratori, legge vergogna sulla rappresentanza compresa, che propone piani industriali lacrime e sangue insieme ai padroni, fortunatamente bocciati dai lavoratori stessi , che accoglie  nel corteo parlamentari i quali in aula non si sono espressi in modo avverso alla legge oggetto della protesta - diventa un specie di burlesque o al meglio una manifestazione di frustrazione. 

Sarei disposto a passere molti altri pomeriggi dentro una macchina fermo sul raccordo anulare  con 50 gradi di temperatura, se ciò potesse significare che il maggiore sindacato italiano si è finalmente deciso  a passare dalla parte giusta nella lotta di classe.



Amministrative di Frosinone le valutazioni del segretario provinciale Prc-Se

 Il Segretario Prc - Se Paolo Ceccano



La tornata elettorale delle amministrative si è conclusa, a Frosinone, con una chiara sconfitta del centrosinistra.
Questo è, nostro malgrado, il dato più dolente su cui vale la pena di soffermarsi a riflettere. E’ piuttosto evidente che il traino verso il basso della coalizione è stato il PD, il quale ha fallito elettoralmente  in tutto e per tutto. Pur essendo al governo in ogni dove, dalla regione alla provincia e in buona parte di tutti gli enti intermedi, la percentuale elettorale ad una sola cifra del Partito Democratico  da il senso di un partito che versa in una sofferenza di consensi irreversibile. Che questo schema elettoralistico a cui il centro sinistra frusinate ha dato vita noi abbiamo intuito subito che non avrebbe funzionato. Per questo motivo abbiamo ribadito il nostro impegno verso la ricostruzione di una Sinistra concreta che ha assunto i connotati di una marcia lunga.
Siamo riusciti ad entrare nel consiglio comunale di Frosinone eleggendo Stefano Pizzutelli, sostenuto  anche  da  noi di Rifondazione Comunista, con la candidatura a consigliere  di Francesco Smania, nostro Segretario cittadino che vogliamo ancora una volta ringraziare per la sua disponibilità e attaccamento al partito e per il buon risultato elettorale ottenuto.  Cosi come siamo riusciti ad eleggere compagni nelle altre realtà della provincia con risultati che fanno ben sperare.
Sperare in una Sinistra che sa presentarsi con il proprio volto, non più ingannata e liberata dall’idiozia del cosiddetto voto utile.
Non esiste voto più utile di quello libero e che dà il senso pieno ad una ipotesi di cambiamento, ormai in pieno cammino, di cui la Sinistra dovrà essere la propulsione.
E’ questa l’idea di fondo del PRC qui in provincia persegue. E ci siamo; abbiamo imboccato un cammino che saprà unificare la Sinistra nella sua interezza, il nostro sforzo è quello di ampliare e consolidare in ogni parte della provincia questa bella esperienza verso cui ogni persona potrà guardare con speranza. 


  

                                                                                                                                                               

venerdì 16 giugno 2017

ius soli mio

Giovanni Morsillo



Quando io sono nato, non ero ancora cittadino italiano. Ero più concretamente un terrone nato da genitori ciociari in territorio genovese, ma fu ugualmente registrato il mio nome nell'anagrafe di quel Comune, e nel registro generale, non in uno a parte per gli "stranieri".
Merito dei Savoia, di Cavour, di Garibaldi, della Resistenza, non saprei. Fatto sta che, sebbene mi fosse stata riconosciuta la cittadinanza italiana e sui miei documenti comparisse Genova come luogo di nascita, cosa che mi accompagna ancora, non ero un vero e proprio cittadino (lo ero solo formalmente e nei diritti, non ancora nei doveri).
Ero solo un abitante, ma non sapevo nulla della storia, della lingua, delle tradizioni, delle religioni e delle leggi italiane, per cui credo che qualcuno di quei sottili pensatori che si inalberano garbatamente e in modo spesso assai discutibile per chi vanterebbe una presunta superiorità, avrebbe certamente trovato da ridire sulla mia qualifica di italiano e di genovese prima che io avessi imparato la lingua, la Costituzione (che poi essi calpestano, ma questo è solo un inciso), le usanze, la religione e le leggi.
Poi l'ho fatto, con mediocri risultati ma l'ho fatto, anche se nessuno mi ha chiesto se sapevo chi fosse il Presidente della Repubblica quando ho votato per la prima volta, e nessuno mi ha chiesto di accennare l'Inno nazionale prima di darmi la patente per la macchina.
E quindi, fortunatamente, non ho dovuto aspettare la maggiore età, né dimostrare che proprio non avevo nulla a che fare con i terroristi di nessun paese straniero (fossi stato dei NAR o un brigatista, anche negli anni '70 la cittadinanza ce l'avevo e nessuno me l'avrebbe tolta).
Ma i miei genitori erano italiani, almeno a giudicare dalle carte. Carte che non avevano confezionato loro, ma che lo Stato gli aveva fornito, senza chieder loro se sapessero dov'è Verona o quali sono i fiumi della Sicilia. Lo erano perché, prima che nascessero, qualcuno aveva spostato i confini, per ragioni che i miei genitori sono morti senza sapere. E venivano tollerati solo perché al Nord serviva gente che lavorava senza far tanti capricci, abituata alla fame e non al sindacato, ma avevano gli occhi addosso: se sbagli ci ricordiamo che sei terrone, con quel che ne consegue.
C'erano un po' qui, un po' là, soprattutto in centro, i cartelli "Non si affitta a meridionali", nei quartieri operai molto meno, altrimenti gli affari con chi li facevi? Ma tutto sommato, era meglio della fame, si lavorava e si progrediva economicamente, col sogno di tornare e comprarsi un pezzetto di terra al paese, dove c'erano quelli che parlavano come te.
Certo, sono cose vecchie, mezzo secolo e più è passato. O no?
E' vero, i confini ci sono e dicono che uno della Libia o della Somalia non possono certo aspirare a diventare italiani, ma solo perché la Storia non gli è stata amica quanto lo fu con i miei genitori (e con me). Se essa avesse dato retta al Governo italiano degli anni 1911 e poi dal '34 al '43 (Libia) o dal 1889 al 1941 (Somalia), essi sarebbero italiani a tutti gli effetti, ma non andò così.
Insomma, se la qualifica di italiano ha un senso per veneti e calabresi, valdostani e campani, ciociari e salentini, questo è solo per un casuale incrociarsi di interessi di classi dominanti che nemmeno esistono più.
Perché, ci chiediamo quindi, una persona che nasce in Italia debba essere considerata libica, o somala o chissà cosa? Se nasce in Italia, apprende la nostra cultura (che non si trasmette per via genetica) e rispetta le nostre leggi, e magari da adulto contribuisce anche a farne di migliori, perché rinunciare al suo contributo?
Fa sorridere amaramente che chi si oppone a politiche di semplice realismo, si appelli spesso addirittura alla storia di Roma, dimostrandone una conoscenza a dir poco approssimativa, più vicina al concetto di appartenenza vigente nelle curve degli stadi che a qualsiasi professione politica seria. Come fa cadere le braccia il semplicismo con cui si spacciano "verità alternative" ed associazioni di idee assolutamente gratuite, come immigrato=islamico (la stragrande maggioranza dei profughi e immigrati è cristiana), Musulmano=terrorista (i musulmani sono un miliardo e mezzo, se fossero tutti terroristi saremmo scomparsi da un pezzo), e così favoleggiando.
Ieri a Mogadiscio l'ISIS ha fatto 31 morti.; la notizia è stata data fra le minori, senza spazi e reportage. Ma Mogadiscio non è in Italia, la Storia ha deciso diversamente, e quindi non ci tocca.
Questo progressivo sfascio sociale, politico e culturale, però, non può essere solo denunciato. Serve, e prima che sia troppo tardi, affrontare i nodi accantonati dell'organizzazione politica generale (Europa, Onu, trattati sovranazionali) per dare, ma sul serio e prima possibile, risposte concrete alle nuove facce che la miseria e la sofferenza assumono.
Senza politica, lo spazio per gli sciovinismi cresce, si allarga il consenso a forme nuove e vecchie di razzismo, e si rischia di esserne sopraffatti.
L'allarme che lanciamo e forte, ma pare che orecchie disponibili ce ne siano poche, per quanto nobili, e purtroppo quasi sempre attaccate a teste che non possono decidere.

giovedì 15 giugno 2017

Alitalia: una vertenza di importanza fondamentale

  La lotta dei lavoratori può aprire nuovi scenari per la lotta di classe



 Matteo Bavassano
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Dopo le mobilitazioni dei mesi scorsi e la vittoria del No al referendum di aprile, continua la lotta dei lavoratori Alitalia. Sabato 27 maggio c’è stata una manifestazione molto partecipata a Roma, a cui hanno partecipato diversi lavoratori in lotta ed attivisti dei sindacati di base. La solidarietà di classe è ovviamente fondamentale per il proseguimento vittorioso della lotta: anche per questo è molto importante lo sciopero di venerdì 16 giugno.
Oltre allo sciopero in Alitalia (la quale minaccia di cancellare centinaia di voli a ridosso dell’inizio delle vacanze estive per molti italiani), è stato proclamato uno sciopero generale del trasporto pubblico, e sindacati attivi nel settore della logistica come SiCobas, AdlCobas e SolCobas hanno indetto anche loro lo sciopero per sostenere i lavoratori dell’Alitalia. Uno sciopero che si preannuncia importantissimo, al punto che il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture aveva fatto appello al "senso di responsabilità" delle organizzazioni che hanno indetto lo sciopero affinché lo ritirassero per non creare disagi. Appello che è stato, giustamente, rispedito al mittente dai lavoratori in lotta, che si sono detti disponibili a un confronto… dal giorno dopo lo sciopero!
La verità sui problemi di Alitalia
Contrariamente a quanto falsamente fatto intendere da tutta la stampa borghese, come già abbiamo rilevato in un precedente articolo, tutti gli indicatori di costi operativi dell’azienda (dal costo del lavoro all’indice del costo per passeggero per km) non solo sono in linea con quelli delle altre compagnie europee di riferimento (Air France-Klm, Lufthansa, British airways), ma sono spesso più bassi. E la crisi non è neppure imputabile allo sviluppo dei vettori low cost, che pure certamente in questi ultimi 20 anni hanno cambiato sensibilmente il trasporto aereo. La verità è che non c’è stata la volontà politica di salvare la compagnia di bandiera, anzi si è puntato al suo fallimento e smembramento.
La realtà, che pochissimi conoscono, se non gli "addetti ai lavori", è che le compagnie low cost vengono pagate dagli enti aeroportuali per mantenere le rotte, ad esempio Ryanair pretende una percentuale sui ricavi dei negozi negli aeroporti, oltre a ricevere finanziamenti diretti anche dalle regioni. È inutile quindi parlare di mercato del trasporto aereo, quando si decide politicamente di finanziare una compagnia che sfrutta brutalmente i lavoratori, che paga le tasse in Irlanda, piuttosto che investire nell’Alitalia, dimostrando di ritenere il trasporto aereo un servizio pubblico importante.
Nazionalizzare l’Alitalia è non solo possibile, ma anche auspicabile, nella prospettiva di migliorare il settore del trasporto aereo in Italia, sia da un punto di vista di condizioni dei lavoratori (sia lavorative che salariali), sia dal punto di vista dei passeggeri, con servizi migliori e più economici. A patto però di mettere in discussione anche l’attuale sistema aeroportuale privatizzato italiano: rinazionalizzare gli aeroporti è imprescindibile per gestire centralmente tutti gli “incentivi” che vengono corrisposti alle varie compagnie. A questo si accompagnerebbe, necessariamente, la fine della liberalizzazione dei servizi di terra (o handling), che ha portato solo alla compressione dei salari e al peggioramento delle condizioni lavorative.
La nazionalizzazione è l’unica soluzione per salvare il settore del trasporto aereo in Italia, ma chiaramente è una soluzione che il governo non vuole accettare. Ecco perché nello sciopero del 16 deve chiamare direttamente in causa le politiche governative sul trasporto, deve scontrarsi direttamente col governo, che fino a ieri era sordo alle richieste e alle proposte dei lavoratori e oggi prova maldestramente a elemosinare il ritiro dello sciopero.
La protesta dei lavoratori metterà in luce l’importanza fondamentale del settore del trasporto aereo in Italia e dell’Alitalia all’interno del settore, perché bloccherà di fatto tutto il traffico passeggeri. Il punto focale dello scontro sarà l’aeroporto di Fiumicino: se il blocco durerà oltre le 24 ore, grazie alla determinazione dei lavoratori, il governo non potrà fare altro che cedere, se non vuole rischiare una paralisi totale del traffico. E a quel punto, i rapporti di forza saranno dalla parte dei lavoratori. Per questo occorre sostenere i lavoratori dell’Alitalia nella loro lotta, e concentrare la solidarietà di classe attorno a loro.
Una vertenza importante non solo per il settore del trasporto aereo
La lotta in Alitalia può diventare un passo fondamentale nella lotta di classe del nostro Paese: da diversi anni a questa parte è la prima vertenza di una certa importanza che -a condizione di essere diretta ascoltando le esigenze dei lavoratori in lotta e non le esigenze burocratiche e ponendo la vertenza nella giusta prospettiva rivendicativa (che deve essere non meramente aziendale, ma più generale)- può vincere, ribaltando non solo una privatizzazione fallimentare, ma convincendo i lavoratori che le privatizzazioni non sono una soluzione ai problemi né loro, né dell’economia, e che quindi bisogna lottare contro di esse. Una prospettiva fondamentale, dato che nei prossimi anni il governo pianifica di privatizzare le principali aziende del trasporto pubblico locale.
La classe lavoratrice deve lottare per vincere, potrebbe così stabilire un pericoloso precedente per i padroni borghesi: dimostrando che le aziende private devono essere salvate non svendendo i lavoratori e tutelando i parassiti, ma facendo pagare a padroni e manager i costi della riorganizzazione produttiva necessaria a mantenere le aziende funzionanti nazionalizzandole e ponendole sotto il controllo dei lavoratori. Dobbiamo dimostrare e ricordare alla classe operaia che è perfettamente in grado di gestire la produzione secondo l’interesse generale della società, senza bisogno di capi, azionisti e padroni.
È con questa consapevolezza che, finalmente, la classe lavoratrice italiana smetterà di incassare passivamente gli attacchi dei capitalisti e inizierà a rispondere colpo su colpo, facendola finita con un sistema che umilia i lavoratori, per costruire un mondo più giusto, in cui si possa vivere dignitosamente del proprio lavoro.

I cittadini di Anagni vogliono sapere quando entreranno in funzione i servizi sanitari che hanno già pagato.

IL COMITATO  “ SALVIAMO  L’ OSPEDALE DI  ANAGNI “



La manifestazione di sabato 10 giugno u.s., organizzata dal Comitato  Salviamo l’Ospedale di Anagni, ha in primo luogo dimostrato quanto  i cittadini abbiano a cuore il loro Ospedale e intendano, senza ripensamenti, mettere in atto tutte le iniziative necessarie per raggiungere gli obiettivi all’ordine del giorno.

Nonostante l‘ imprevedibile, immotivato e sorprendente divieto della Questura di Frosinone di usare l’ amplificazione, giunto poco prima dell’ inizio, la manifestazione è stata avviata con la determinazione di svolgerla fino in fondo da parte degli organizzatori e dei cittadini presenti, anche se con indubbio disagio per tutti.

I   punti essenziali esposti negli interventi sono stati  i seguenti:

   1- Il nodo centrale della situazione è rappresentato  dall’ Atto Aziendale che riguarderà il programma  sanitario da realizzare  nella  provincia di Frosinone. E’ in via di definizione o è stato  approntato e già  firmato?

     I cittadini  debbono sapere  che  cosa   prevede per l’ Ospedale di Anagni, quali servizi saranno destinati alla nostra struttura. Servizi che i cittadini hanno già pagato.

    2- Quale programma di utilizzo  prepara  l’ Azienda  ASL  per l’ apparecchiatura  di eccellenza destinata alla  mammografia, per estendere al meglio l’ opera di  prevenzione del cancro al seno?  Acquistata e donata all’Ospedale  da  BancAnagni, da altri privati, con un contributo del Comune  e dei cittadini stessi; anch’ essa è stata già   pagata dai  cittadini e rappresenta un’ opportunità per  creare ad  Anagni un Centro di Prevenzione, capace di  rispondere ad un numero molto elevato di richieste, della popolazione della zona nord, di diagnosi  precoci e di terapie  mirate.
Considerando che quattro ospedali della provincia sono stati dotati dello stesso macchinario a spese della Asl (cioè di tutti noi contribuenti), sarebbe un'ulteriore beffa se l'Asl non mandasse i radiologi per il suo funzionamento, mandandoli invece solo negli altri ospedali.

     3) L’ importante iniziativa del sindaco di Sgurgola, Antonio Corsi,  che ha riferito  di  aver  presentato alla Camera dei Deputati,  tramite il suo gruppo  politico, un’interrogazione al Ministro della  Salute sulla drammatica  situazione  sanitaria dell’ Ospedale  di Anagni e del   territorio.   L’ Atto è un’ interrogazione a  risposta scritta che attendiamo di leggere.  Esso potrebbe promuovere  l’ adesione e il sostegno di altri gruppi politici con positivi  risultati.

        Il testo lo riportiamo in calce al presente comunicato.
 
 Infine,  i cittadini  presenti hanno aderito alla proposta, venuta da molti degli intervenuti, di organizzare   una  manifestazione  alla  Regione  Lazio, in tempi possibilmente  brevi, per ribadire le  richieste di assicurare l’ assistenza sanitaria  di Soccorso ed  Urgenza, oggi  assente, in un territorio, caratterizzato anche da  emergenze  dovute a patologie  accertate, derivanti dal grave degrado ambientale. 


Anagni,  13  giugno 2017


Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-16888

presentato da
ARTINI Massimo
testo di
Giovedì 8 giugno 2017, seduta n. 811
  ARTINIBALDASSARREBECHISSEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute . — Per sapere – premesso che: 
la situazione dell'ospedale di Anagni è allarmante e quanto finora è rimasto in funzione per fornire ai cittadini un servizio ai limiti minimi dell'assistenza di base rischia la chiusura; 
la quotidiana destinazione dei rimanenti spazi disponibili alla realizzazione del distretto sanitario territoriale sottrae a quello che residua dei servizi dell'ospedale le ultime risorse; 
occorrerebbe inoltre spiegare ai cittadini che cosa è e come verrà organizzato l’«ospedale ambientale» e in quale delibera regionale sia riportato il finanziamento di 1 milione 600 mila euro per la sua realizzazione (tanto è dovuto in rispetto ai princìpi di collaborazione democratica e di trasparenza nelle scelte e nelle decisioni); 
i cittadini di Anagni e della zona nord della provincia di Frosinone, il sindaco e i consiglieri comunali di Anagni, i sindaci dei comuni del territorio firmatari della delibera di riattivazione dell'ospedale di Anagni, il presidente della provincia, il presidente della regione Lazio e li assessori alla salute e all'ambiente e il direttore generale della Asl di Frosinone, nonché i rappresentanti sindacali e dei partiti e dei movimenti politici chiedono che l'ospedale possa fornire assistenza alla popolazione e soddisfare le reali esigenze di soccorso prevedendo: 
un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri; 
un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all'emergenza-urgenza; 
una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in Day surgery
una unità operativa di anestesia e sala operatoria; 
un servizio di radiologia per indagini radiologiche con trasmissione di immagine collegata in rete allo specialista di turno; 
un servizio di laboratorio per indagini laboratoristiche in pronto soccorso –: 
se il Governo sia a conoscenza della situazione dell'ospedale di Anagni e se si intenda promuovere, anche tramite il commissario ad acta per l'attivazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, una verifica in ordine alla situazione sanitaria del suddetto ospedale. (4-16888)


Una risposta a Falcone, Montanari e a tutta la sinistra in buona fede

Beniamino Simioli (ex opg "Je so' pazzo")


In questi giorni sta facendo discutere un appello lanciato da Anna Falcone e Tomaso Montanari per creare una lista di Sinistra Unita alle prossime elezioni. Tanti militanti, ormai privi di riferimenti nei partiti, hanno letto in questo appello parole condivisibili, un segnale di apertura e di novità.
Altri, invece, scottati da esperienze simili, lo hanno accolto come l’ennesima proposta di accrocchio pre-elettorale. Anche perché il ceto politico della sinistra si è subito mosso per cavalcarlo, vedendo in questa proposta l’occasione d’oro, forse l’ultima, di riciclarsi… 
Ma che ne pensano di questo appello le realtà di lotta, i movimenti di base, i giovani precari, studenti, disoccupati, chi fa militanza ogni giorno sui territori? Di che cosa avrebbe davvero bisogno la sinistra? 
In questa lettera aperta abbiamo provato a far sentire questa voce, a dire come la vediamo da qui, dal basso. Abbiamo voluto urlare cosa secondo noi si dovrebbe fare non fra venti anni, ma subito; provato a esprimere la rabbia e l’urgenza di rottura che dovrebbe muovere qualsiasi progetto di vera sinistra oggi.  
Speriamo di aver interpretato il sentimento di tante e tanti... La condizione terribile in cui siamo e in cui stiamo scivolando sempre di più – almeno noi che non abbiamo paracadute – non dovrebbe consentire più a nessuno di fare giochini, di provocare ulteriori fallimenti e scoraggiamento, di stare a guardare... 


Cara Anna, caro Tomaso, 
vi ricordate? Ci siamo conosciuti proprio all’Ex OPG “Je so’ pazzo” di Napoli. Eravamo nel pieno della campagna referendaria, e vi volemmo da noi perché ci sembrava che, a differenza di molti improvvisati difensori della Costituzione, eravate determinati, ci credevate come noi. Non solo in quella carta scritta con il sangue dei partigiani e delle masse popolari di questo paese, ma anche nella possibilità di far cadere, attraverso un forte NO, il Governo Renzi, uno dei più reazionari di sempre. Un governo che era stato sostenuto da D’Alema, Bersani, Speranza, Civati, Fassina, tutti allegramente nel PD (partito che, ben prima del dicembre del 2016 o del febbraio 2014, era quello della borghesia, del padronato e degli speculatori – ed è davvero strano che nel 2013 la SEL di Vendola e Fratoianni non se ne fossero accorti, e ancora oggi su molti territori siano alleati)…  

Vi ricorderete sicuramente l’emozione e il calore di quelle assemblee con centinaia di persone, e vi scriviamo con amicizia, perché vogliamo portare il nostro punto di vista, di un’organizzazione di base, che siccome è fatta da giovani, da precari e dai disoccupati, da chi sta in lista d’attesa nella sanità sfasciata e la mattina va a lavorare con i mezzi di trasporto pubblici, da quelli che non votano, forse può dire qualcosa in cui molti si possono rivedere… 

Tante cose che avete scritto nel vostro appello sono condivisibilissime. Anche noi vediamo il pericolo arrivare, vediamo l’opportunità storica di ribaltare “l’economia che uccide”, pensiamo che la disuguaglianza sia la matrice di ingiustizie e guerre, pensiamo che rivadano messe al centro del dibattito le esigenze degli sfruttati, degli ultimi... Anche noi pensiamo che bisogna mettere insieme tutto ciò che si muove dal basso, i comitati, le lotte, i movimenti che hanno anni di duro lavoro dietro, e proiettarli in una dimensione di massa. Soprattutto, anche noi pensiamo che “una sinistra di popolo non può che rinascere dal popolo”. 

Ma appunto. Che c’entrano con il popolo Fratoianni o Civati, che prontamente hanno risposto “ci sono”? Loro che fino a qualche ora fa e forse ancora ora cercano disperatamente l’accordo con Pisapia (uno che ha votato Si al referendum)? Perché continuare a coinvolgere persone che con il popolo non hanno niente a che vedere? Perché lasciare che siano personaggi come questi a mettere il cappello su processi che negli altri paesi d’Europa (ma anche fuori, se pensiamo al Sudamerica, al Kurdistan etc), sono stati molto più genuini, hanno messo al centro le giovani generazioni e chi non aveva mai partecipato alla spartizione delle torte?

I dirigenti della “sinistra”, come testimoniano le storie personali, sono parte del problema e non della soluzione. L’unico modo che hanno di contribuire è farsi da parte. Se non si parte da questa premessa nulla di buono potrà mai realizzarsi. 

Sappiamo che può suonare duro, ma la realtà è così. Questa è gente che ha vissuto di politica, non può capirci, non può parlare il linguaggio della maggioranza, sarebbe falsa. È gente che ha traghettato la sinistra sempre più a destra, l’ha svergognata davanti alle masse (quale tarantino intossicato dall’ILVA dimenticherà mai la telefonata di Vendola al faccendiere della famiglia Riva?). Appena vedono i loro simboli e i loro nomi, le masse iniziano a bestemmiare... 

Noi pensiamo che debba essere data a tutti la possibilità di ravvedersi. Siamo umani e comprensivi. Ma quando ti ravvedi, se sei sincero, ricominci da capo, dai volantinaggi e dallo spazzare a terra, come fanno tanti militanti di 50 e 60 anni in tanti circoli, associazioni, centri sociali di questo paese. Se ti sei ravveduto cerchi di metterti al servizio, non di comandare ancora, o di andare in televisione. Cerchi di riguadagnarti la fiducia con il lavoro, non evitando ancora il lavoro o la lotta contro la sopravvivenza che noi viviamo ogni giorno.  

Secondo punto. Il vostro appello dice cose giuste, ma appunto, le dice solo. Sono parole. Di fatti in Italia ce ne sono pochi: li stanno facendo le reti di mutualismo, chi occupa le case, chi evita la devastazione dei territori con i propri corpi, prendendo decine di anni di denunce, i lavoratori della logistica o quelli che si prendono il rischio di votare NO ai referendum caldeggiati da padroni e sindacati confederali… 

Il vostro appello è carente perché non parla di questi fatti, non li valorizza. Come al solito si dice cosa si dovrebbe fare ma non il come, non si danno esempi, non si cerca il metodo di quei fatti, dei successi che pure raccogliamo. E così tutto non può che ridursi alla solita petizione d’intenti, al conseguente cartello elettorale che nel migliore dei casi potrà esprimere una rappresentanza parlamentare che si limiterà a fare testimonianza.

Pensiamo che quella sinistra che si sveglia ogni volta sotto elezioni debba avere l’umiltà di imparare da quei movimenti che vengono tanto invocati nell’appello ma non sono mai presi ad esempio. La rappresentanza nelle istituzioni trova un suo senso solo se è strumento a servizio di pratiche che hanno già dimostrato la loro efficacia nel migliorare le condizioni di vita delle classi popolari. La rappresentanza ha senso solo se è irruzione nel teatrino dei borghesi, solo se è di disturbo alla promulgazione di leggi pensate sempre contro di noi, solo se è la voce degli oppressi in luoghi dove quella voce si vuole ignorare. 

La rappresentanza ha senso solo se è Controllo Popolare, solo se è diffusione di quello che accade nelle stanze ammuffite, solo se è antagonismo parlamentare. Le elezioni sono un mezzo tra i tanti e non il fine. I comunisti e la vera sinistra lo hanno sempre saputo. Negli ultimi trent’anni i dirigenti e gli intellettuali lo hanno invece dimenticato. Se non si ha coscienza di questo si parte già sconfitti.

Terzo punto. Serve un cambio anche nel linguaggio, una rottura visibile rispetto al passato. Con il parlare forbito, con l’educazione, non si cambiano le cose. Non è che non siete bravi voi, ma è proprio il limite di ogni progetto che parta dal mondo intellettuale. Negli ultimi quindici anni abbiamo già visto il fallimento dei “Girotondi”, della “Sinistra Arcobaleno”, di “Rivoluzione Civile”, delle liste dei “professori”…. Ci è bastato. Se gli intellettuali vogliono essere utili si devono mettere a servizio delle masse popolari e non tentare di rappresentarle. Non devono fare gli “illuminati”, ma mettere a disposizione dei più deboli le loro risorse, i loro soldi, i loro contatti, la loro visibilità. 

Se vogliamo vincere, magari non oggi, ma domani sicuro, a dare la linea devono essere quelli che quotidianamente mettono le mani nella merda, che sono forse un po' rozzi ma sanno cos’è il lavoro salariato, l’antifascismo in periferia, la violenza del padrone, la distribuzione di pasti ai senza tetto, l’accoglienza dei rifugiati.
 
Se vogliamo vincere – e guardate che vincere non è piazzare un parlamentare o superare soglie di sbarramento, ma in questa fase è radicarsi fra le masse, far sì che ascoltino con interesse un messaggio diverso, che siano colpite da un’altra umanità possibile –, è inutile stilare bei programmi super dettagliati che non verranno mai realizzati. Servono – a tutti i livelli, non solo come leader! – persone vere, umane, credibili. Servono poche parole chiare e comprensibili sulle quali politicizzare le persone, aggregarne qualcuna in più e basare la nostre pratiche quotidiane. 

È questo che secondo noi bisogna fare, insieme a tutte le realtà che ci vogliono stare. L’abbiamo già scritto: più che di accrocchi elettorali, abbiamo bisogno di una vera campagna politica che attraversi il dibattito elettorale. Una campagna che ci porti a un maggiore livello di coordinamento a partire dalle pratiche, che ci faccia animare il dibattito e imponga dal basso il nostro ordine del giorno. 

Diremo poche cose ma chiare: 

1. In questo paese la ricchezza c’è, sappiamo anche dov’è, dobbiamo andarcela a prendere e redistribuirla. Dobbiamo attaccare i grandi patrimoni e l’evasione fiscale come non è mai stato fatto prima. 

2. In questo paese, e soprattutto al Mezzogiorno, c’è bisogno di lavoro. Oggi non c’è perché i rapporti di produzione e i rapporti di forza sono strutturati a nostro svantaggio. Dobbiamo spingere con la lotta per avere lavoro vero, intervento pubblico, rispetto dei diritti sui posti di lavoro, democrazia sindacale, maggiori salari, pensionamenti, ricambio generazionale, riduzione dell’orario di lavoro. 

3. In questo paese il pubblico funziona male, non per colpa dei lavoratori ma per colpa della politica, dei dirigenti, delle clientele, delle commistioni con il privato. Solo il controllo popolare, solo le conoscenze dei lavoratori e dei cittadini che usano quel servizio, solo la vigilanza dal basso può impedire che vengano violati i nostri diritti. Dobbiamo estendere ovunque il controllo popolare e dargli visibilità. Dobbiamo stare con il fiato sul collo su chi fa grandi e piccole truffe, sui mafiosi, sui conniventi.  

4. L’Italia non è solo l’Italia ignorante, che odia, in competizione, schiacciata fra ansia e depressione. C’è un po’ dovunque un’Italia che resiste, allo stesso tempo arrabbiata e solare, che si dà una mano, che si viene in soccorso. Cristiana o comunista, laica o credente, proletaria e a volte pure borghese: magari sporca, ma generosa. È un’Italia di cui andare fieri, che deve smettere di nascondersi, che deve essere orgogliosa. Questa è l’Italia a cui bisogna dare voce, che va mostrata alle masse, che deve diventare modello.   

Cara Anna, caro Tomaso, 
conoscendo la vostra intelligenza e umanità, crediamo che vi siate rivisti in queste riflessioni, e che ci vorrete rispondere. In ogni caso, chiunque condivida queste paginette sappia che noi siamo a disposizione, pronti da subito ad avviare collaborazioni. Non possiamo subire mesi di campagna elettorale, e guardarci la partita fra le tre destre di Salvini, del PD e di Grillo! Dobbiamo subito irrompere con un’immagine concreta di speranza e di riscatto!

Potere al popolo!

mercoledì 14 giugno 2017

Frosinone isola felice della partecipazione democratica? Anche no.

Luciano Granieri


Lasciando da parte, per un attimo,  le elezioni amministrative di Frosinone e rivolgendo l’attenzione  agli scenari di  tutta Italia,  salta agli occhi  l’indiscutibile   vittoria del partito astensionista . I cittadini   che hanno deciso di astenersi dalla scelta del sindaco sono pari  il 40% degli aventi diritto. 

Interpretare questo fenomeno non è cosa semplice. Provo a dare una mia valutazione. Sulla base dei dati raccolti dell’Istituto Cattaneo, risulta che  negli ultimi 25 anni, cioè da  quando è in vigore il  modello iper maggioritario per l’elezione diretta  del primo cittadino,   la partecipazione elettorale è crollata dall’82% al 60% attuale . 

Il  depotenziamento ideologico dei partiti, determinato dalla sciagurata stagione maggioritaria, che ha fortemente personalizzato il consenso, si è manifestato in modo ancora più significativo nelle contese locali. I programmi presentati per le amministrazioni delle città si sono concentrati  maggiormente sulla  promozione personale del candidato sindaco. Progetti   determinati  non già da finalità di buon governo del comune, cosa che presupporrebbe approfondite analisi sulla natura urbanistica, sociale ed economica del territorio,  ma da mero marketing elettorale. Come è noto le regole della comunicazione commerciale sono ferree , per cui paga di più promettere la costruzione di  uno stadio piuttosto che la progettazione di un parco fluviale. 

Su queste basi le proposte dei candidati a sindaco si sono rivelate più o meno simili, determinando un appiattimento dell’offerta politica. Non avendo alternative concrete a programmi finalizzati esclusivamente all’ottenimento del consenso, i cittadini più consapevoli e maturati nell’alveo di una solida cultura ideologica e politica,  hanno preferito disertare le urne. Allo stesso modo l’irrilevanza delle opposizioni determinata dalla legge iper maggioritaria per l’elezione del  sindaco, ha limitato ulteriormente la  partecipazione al voto, e alla stessa campagna elettorale. 

Tornando  nella nostra città notiamo, però, che il fenomeno dell’astensionismo è in netta controtendenza rispetto al dato nazionale. A Frosinone hanno votato il 72,5% degli aventi diritto, la percentuale più alta per i comuni capoluogo, insieme con Rieti e Catanzaro. Finalmente una notazione positiva, dopo  tanti guai  che hanno contraddistinto negativamente la nostra città.  Le ultime elezioni amministrative hanno mostrato che il senso  democratico dei frusinati è granitico. Sarà vera gloria?  

Sempre dallo  studio dell’Istituto Cattaneo si rileva che nei 25 anni di contese locali regolate  dalla legge elettorale del “sindaco podestà”, e in modo più significativo nell’ultima tornata amministrativa, il calo di partecipazione si è registrato maggiormente nei  territori in cui più forte era il radicamento dei partiti storici connotati ideologicamente.  E’ il caso, ad esempio, di quelle che una volta erano definite le "città rosse". In altri comuni, invece,  la partecipazione è  ancora elevata. Ciò  perché qui resta  imperante una estesa rete di grandi e piccoli notabili, campioni di preferenze, in grado di portare al voto gli elettori grazie ad incentivi localistici quando non clientelari.  

Credo di non sbagliare inserendo Frosinone nella schiera di questi comuni. La storia della recente campagna elettorale lo dimostra inequivocabilmente. Il sindaco vincente ha assoldato in 9 liste 281 candidati, per lo più appartenenti al sottobosco del notabilato borghese della città. Recettori di quel voto incentivato da interessi personali, assolutamente privatistici, che con il bene comune del capoluogo non hanno  nulla a che fare. Nelle ultime amministrative il fenomeno è emerso più prepotentemente che in passato , ma è facile  constatare come  esso sia ormai storicamente consolidato.

 Anche  le   giunte precedenti,infatti,  sono state elette secondo le medesime dinamiche privatistiche e familistiche  Considerato che la storia degli ultimi  15 anni ci consegna una città sempre più in caduta libera, con livelli di inospitalità, abbandono, degrado  drammaticamente elevati,   consegue che questo modo di eleggere le amministrazioni frusinati  è devastante. 

Per cambiare veramente  verso e orientare le vele al  vento di una  riscossa sociale, culturale  e ambientale è necessario disarticolare la rete dei notabili di piccolo cabotaggio e disconnetterla dal corpo elettorale.  E’ una rivoluzione culturale difficile perché si tratta di educare i cittadini ad un voto consapevole, che veda al centro della scelta il bene della città e non il proprio tornaconto. Una rivoluzione difficile che si scontra con decenni di oscurantismo democratico.  

La vera novità di queste elezioni a Frosinone, però, è determinata proprio dal fatto che forse, per la prima volta, sono entrati in consiglio tre esponenti (Bellincampi ,Mastronardi  del Movimento 5 Stelle e Stefano Pizzutelli della lista Frosinone in Comune) la cui campagna elettorale si è basata fra  l'altro, sulla denuncia del voto privatistico familistico. 

Forse è l’inizio di un cambio di rotta. Ma l’impegno nel solco  di questa rivoluzione culturale,  è al limite dell’impossibilità. Sta ora  alle forze che hanno eletto i tre consiglieri  e ad altri movimenti attivi nel capoluogo cercare di portare avanti questa rivoluzione a cominciare da domani. In consiglio comunale, ma soprattutto nella piazze della città.

“Rifondazione Comunista Frosinone, sarà presente sabato a Roma al fianco dei Lavoratori e della CGIL. ”

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Giuseppe Di Pede: Responsabile lavoro Prc Frosinone

 
Il PRC della provincia di Frosinone sarà presente alla manifestazione promossa dalla CGIL di sabato 17, per chiedere al governo di rispettare la volontà di 3 milioni di Lavoratori e cittadini che hanno sostenuto il quesito referendario sull’abolizione dei Voucher.

Temi importanti come la tutela dei Lavoratori, stanno alla base della politica del PRC, e pertanto ci mobiliteremo per contrastare questo vergognoso atto del governo del PD, che prima ha evitato il referendum provvedendo a cancellare i Voucher, e poi li ha rintrodotti chiamandoli buoni lavoro.

Per noi i Voucher sono strumenti di vero e proprio sfruttamento, che sarà un bene cancellarli.

Istituiti per contrastare l’illegalità e lo sfruttamento nel settore dell’agricoltura, si è finiti per allagarli a tutti i settori, grazie a Monti Fornero e Renzi dopo, stravolgendo i principi per cui erano stati istituiti.

Solo nel 2016 si stima che l’utilizzo in Italia dei voucher è stato di circa 145milioni di buoni, il Lazio è al sesto posto tra le regioni con l’utilizzo di oltre 7 milioni di buoni e la provincia di Frosinone con l’utilizzo di oltre 683 mila buoni, si attesta al secondo posto in regione Lazio e al 66 posto in Italia.

Dati impressionanti che fanno rabbrividire, e soprattutto, molte volte, sono usati per coprire lavoro nero sfruttato e sottopagato.

Bisogna infatti regolarizzare il mondo del precariato e del lavoro nero, con una legge ad hoc che dia una risposta seria a settori produttivi dove occorrono tante figure per poco tempo, come il commercio, la ristorazione, l’agricoltura e il lavoro domestico, i buoni lavori riinseriti dal PD, non sono altro che voucher mascherati.

Scandaloso infatti è stato il ruolo del governo del PD, servi dei padroni e dei grandi interessi finanziari, dimostrazione pratica che loro non rappresentano  più le esigenze dei Lavoratori, anzi,  dimostrano con il JOB ACT  di peggiorarne la condizione.
 Come sempre Rifondazione Comunista sarà dalla parte dei più deboli, e non ci leveremo mai il cappello davanti al padrone.


Giuseppe Di pede Resp Lavoro Prc
Paolo Ceccano Segretario Provinciale Prc


Alla lotta! La classe operaia e i popoli devono prendere il proprio destino nelle loro mani!




Nel mondo capitalista-imperialista, dunque nell'Unione Europa (UE), a causa delle conseguenze distruttive della crisi economica internazionale e dell’intensificazione di tutte le principali contraddizioni di questo sistema, si sono verificati significativi cambiamenti a livello internazionali e nazionale.
Le diverse sfide della classe dominante e delle sue istituzioni producono politiche aggressive e centralizzate contro la classe operaia e i popoli oppressi.
Questa politiche, nei loro diversi aspetti e forme, portano l'UE a divenire sempre più sfruttatrice, più reazionaria, più guerrafondaia e più avida di saccheggio neocoloniale, specialmente nei paesi africani.
 
Per l’unità e la solidarietà degli operai contro l’offensiva capitalista!
In Europa, mentre si accresce lo sfruttamento della classe operaia, milioni di giovani  non hanno altro futuro all’infuori di precarietà ed emigrazione. Milioni di persone vengono private dei servizi sociali e le donne continuano ad essere discriminate. La povertà colpisce con particolare gravità le condizioni di larghe masse, mentre la ricchezza e il potere di una minoranza crescono sempre più.
In questa difficile situazione, i capitalisti portano avanti una politica estremamente aggressiva contro la classe operaia. L'attacco agli interessi vitali e ai diritti basilari dei lavoratori si sta dispiegando in ogni paese europeo. I piani di licenziamento di migliaia di lavoratori sono una dura realtà in molte fabbriche e aziende. Dovunque aumenta la pressione sugli operai per produrre di più con meno salario. I contratti collettivi e gli Statuti dei lavoratori sono sotto attacco. I padroni vogliono imporre cosa, come e quando negoziare al solo scopo di aumentare lo sfruttamento e peggiorare le condizione dei lavoratori, di distruggere le loro organizzazioni. Con l'appoggio dei governi vogliono estendere gli orari di lavoro e ridurre sempre più le pensioni.
Questa offensiva è portata avanti con la complicità delle burocrazie sindacali opportuniste e “gialle”. Contro queste politiche gli operai e le masse popolari non hanno mai smesso di lottare, ma si sono lanciate in duri conflitti contro lo Stato affrontando anche la sua violenza di classe. Il grande movimento che si è sviluppato in Francia contro la riforma del codice del lavoro (la “legge El Khomri”), gli scioperi e le mobilitazioni che si sono succeduti in diversi paesi, dimostrano che i lavoratori non accettano la distruzione dei loro diritti, ma esigono il ritiro delle leggi e delle misure reazionarie e antipopolari; allo stesso tempo mettono in luce che questa resistenza deve essere sviluppata dappertutto.
Ora i lavoratori si preparano a mobilitarsi  di nuovo per difendere i propri interessi contro l’offensiva capitalista e le politiche neoliberiste dei governi che vogliono smantellare i posti di lavoro, le conquiste sociali e i diritti, che vogliono eludere leggi ed accordi  collettivi che limitano la loro sete di profitti.
Gli operai stanno aumentando la pressione sui dirigenti delle loro organizzazioni, chiamando “traditori!” i capi dei sindacati complici del capitale. Tentano di organizzarsi su piattaforme sindacali di classe e reclamano una politica diversa, basata sulla lotta di classe, non sulla collaborazione di classe. Esigono l'unità d’azione nella lotta contro capitalismo ed il suo Stato.
Sosteniamo e lottiamo con gli operai per gettare il peso della crisi sulle spalle delle classi dominanti, per la difesa delle libertà della classe operaia e delle sue organizzazioni!
Diciamo stop ai licenziamenti per i profitti,  esigiamo la riduzione dell’orario di lavoro senza decurtazioni del salario, l’aumento delle paghe specie per i lavoratori meno retribuiti, l'aumento delle pensioni e la riduzione dell’età pensionabile. Rivendichiamo uguale salario per uguale lavoro per ogni lavoratore. Rivendichiamo uguali retribuzioni per i lavoratori uomini e donne. Rivendichiamo uguale salario e stessi diritti per i lavoratori nativi e migranti!
Senza dubbio l’organizzazione di un potente fronte unico della classe operaia contro le politiche della borghesia attrarrà nel nostro campo gli strati oppressi della popolazione che, a causa della politica pro-monopoli della socialdemocrazia e dell'influenza delle politiche populiste e nazionaliste, oscillano dalla parte della reazione in una serie di paesi capitalisti.
 
“Europa Unita”: Europa della reazione e della militarizzazione
In tutta Europa le tendenze reazionarie e antidemocratiche sono in crescita. Esse si manifestano non solo nella centralizzazione strutturale dell'UE - come nel caso dei paesi decisivi dell'Eurozone che si orientano verso una cooperazione più esclusiva e accentrata  -  ma anche nelle controriforme volte a rafforzare il potere dei governi e a indebolire la sovranità popolare, nella militarizzazione degli Stati e delle società, nelle politiche che rafforzano e diffondono il nazionalismo sciovinistico, il razzismo e le tendenze fasciste.
L’UE e gli Stati imperialisti che la dirigono stanno tentando di riposizionarsi sviluppando politiche più aggressive ed espansioniste in un periodo di rapidi cambiamenti nelle condizioni e nelle relazioni del capitalismo mondiale (aumento del protezionismo, conflitti commerciali, guerre valutarie, sanzioni economiche, etc.).
Per legittimare queste politiche manipolano le crescenti paure e preoccupazioni dei  popoli europeo riguardo il corso degli eventi nel mondo.
Il progetto di una “Europa che prende il destino nelle sue proprie mani” porterà alla legittimazione e alla realizzazione di più aggressive politiche interventiste, alla trasformazione delle misure di emergenza in misure ordinarie, alla costruzione di Stati di polizia, all’aumento della mobilitazione xenofoba contro i rifugiati e a movimenti fascisti.
Un’Europa dove le forze della reazione si rafforzano comporterà, da parte degli operai e degli altri lavoratori, una percezione dei loro fratelli e sorelle di classe degli altri paesi come rivali, e di conseguenza una minore preoccupazione per l'indebolimento dell'amicizia e la solidarietà tra di loro.
La sanguinosa storia dell'Europa prova che questa è una via senza uscita, specialmente per gli operai e le masse lavoratrici. Oggi gli operai, il popolo lavoratore e la gioventù che scendono nelle piazze contro le leggi reazionarie e la restrizione dei diritti, contro i partiti e movimenti razzisti e fascisti, per la solidarietà con i rifugiati e contro le spese militari, conto il G7, la Nato e la formazione dell’esercito europeo, mostrano l'unico atteggiamento che bisogna assumere e rafforzare. La solidarietà, la collaborazione e il coordinamento devono essere sviluppati così come le organizzazioni di massa.
 
Stop alle politiche di guerra! Fuori dalla NATO e dalla UE!
Il continente europeo, che ha già ha sofferto le conseguenze di due guerre mondiali scatenate dalle potenze imperialiste più aggressive, oggi è testimone di un enorme costruzione militare per una nuova guerra in cui è probabile che saranno usate armi nucleari. Dalla Scandinavia, al Mar Baltico, sino al Mediterraneo e al Mare Nero osserviamo che i preparativi di guerra si sono intensificati. Vengono dispiegati nuovi armamenti, missili, aerei da guerra e truppe, principalmente dalla NATO e dai suoi membri. Si tratta di un piano aggressivo contro la Russia. Ciò fa parte della preparazione di una guerra globale da parte delle quattro principali forze imperialiste di oggi - gli Stati Uniti, l'Unione Europea, la Russia e la Cina – specialmente di quella attualmente più aggressiva e pericolosa, l'imperialismo USA.
Mentre decine di migliaia di persone stavano protestando nelle strade di Bruxelles e nelle altre città europee contro Trump e il vertice della NATO, il 25 maggio scorso lo stesso Donald Trump, Angela Merkel e gli altri leader degli Stati membri hanno riaffermato all’unanimità la decisione che avevano preso a Varsavia per attuare un gigantesco aumento della spesa militare del 2 percento del PIL entro il 2025, cioè quasi un raddoppio delle spese reali. Hanno così scelto la via della guerra, dell’aggressione e della militarizzazione e beneficio degli Stati Uniti e dei grandi monopoli europei produttori di armi.
Per gli operai, per i giovani, per i pensionati e per le generazioni future questo significa tagli alle spese sociali e una rinnovata imposizione a ridurre i salari, ad aumentare gli orari di lavoro e distruggere quello che resta delle conquiste dei lavoratori e delle lotte popolari, così come una maggiore pressione per arruolare i giovani negli eserciti.
Le guerre attuali e quelle pianificate significheranno la distruzione e il saccheggio di interi paesi e dei popoli di altri continenti, dall’Africa, alla'Asia, all’America Latina.
La dichiarazione contro il vertice della NATO, sottoscritta dai membri europei della Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML), dal titolo “Manifestiamo uniti contro la politica di guerra! Fuori dalla NATO e dalla UE guerrafondaie e antipopolari!”, distribuita in ognuno dei nostri paesi, è un appello per unire i lavoratori e le forze popolari e creare un fronte unito contro la guerra e la militarizzazione.
La lotta comune e il fronte unito sono necessari in tutti i paesi e per tutti i popoli che amano la pace. Sono ancora più urgenti se vediamo che subito dopo il vertice della NATO, Merkel e Macron, il nuovo tandem della costruzione dell'Unione Europea, hanno dichiarato che l'Esercito europeo è all’ordine del giorno. E’ una dichiarazione dell'EU come superpotenza imperialista globale, in cooperazione e rivalità con gli Stati Uniti.
I Partiti e le Organizzazioni Marxisti-Leninsti, chiamano i lavoratori e popoli d'Europa a fermare la pericolosa corsa al riarmo e alla guerra, spiegando che il nemico principale dei lavoratori e dei popoli è dentro casa, nei propri paesi: è la borghesia!
Facciamo appello a continuare la lotta per fermare le guerre e la corsa al riarmo, per il ritiro delle truppe militari spedite negli altri paesi, per uscire dalle alleanze guerrafondaie come la NATO e la UE, per dissolvere questi strumenti dell’ imperialismo.
 
La realtà dimostra che capitalismo non è il nostro futuro!
Il capitalismo è un sistema moribondo; il suo stato generale di salute peggiora continuamente, sebbene, alcune volte, sembra rianimarsi.
Gli operai, le masse lavoratrici, la gioventù, le donne del popolo e i popoli oppressi non possono più sopportare questo barbaro sistema che offre solamente povertà, disoccupazione, precarietà e reazione, e che ci sta portando verso un nuovo periodo di guerre.
Per vivere, per avere un futuro, per progredire è necessario unirsi, sviluppare la solidarietà internazionale, estendere ed elevare la lotta con una politica offensiva contro il sistema capitalistico per determinare una rottura rivoluzionaria che è necessaria per aprire la strada ad una società nuova e umana.
La vittoria della rivoluzione non dipende solo dalle condizioni oggettive che la facilitano, ma anche dai lavoratori e dai popoli che sono gli artefici di questa rivoluzione.
La situazione internazionale impegna a rafforzare i Partiti e le Organizzazioni M-L, ad  incoraggiare la costruzione di nuovi partiti del proletariato rivoluzionario per sviluppare la coscienza di classe, dirigere la lotta della classe operaia e dei settori popolari, rafforzare i nostri legami e la solidarietà internazionali, per assicurare una via di uscita rivoluzionaria dalla situazione attuale  
Questo è il nostro compito principale nell’anno del centenario della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre!
Germania, giugno 2017
 
Partito Comunista degli Operai di Danimarca - APK
Partito Comunista degli Operai di Francia - PCOF
Organizzazione per la costruzione di un Partito Comunisti degli Operai di Germania (Arbeit Zukunft)
Movimento per la riorganizzazione del Partito Comunista di  Grecia (KKE 1918-1955)
Piattaforma Comunista - per il Partito Comunista del Proletariato d'Italia
Partito Comunista di Spagna (marxista-leninista) - PCE ( m-l)
Partito del Lavoro - EMEP (Turchia)