Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 22 marzo 2020

Un Blues per rendere omaggio alle vittime del Covid-19

Luciano Granieri




I went down to St. James Infirmary                                 Sono andato all’ospedale St.James

Saw my baby there                                                               li ho visto la mia piccola

She was stretched out on a long white table                    distesa su un lungo tavolo bianco
So cool, so sweet, so fair                                                   così fredda, così dolce così bella

Let her go, let her go, God bless her                      lasciala andar via, lasciala ander via Dio benedicila

Wherever she may be                                                 ovunque lei sia

She can look this wide world over                  lei può cercare in questo vasto mondo
But she’ll never find a sweet man like me     ma non potrà mai trovare un uomo dolce come me

When I die bury me in straight lace shoes               quando morirò seppellitemi con le scarpe lucide

                  I wanna a box-back coat and a Stetson hat             voglio una giacca coi risvolti e un cappello Stetson

             Put a twenty-dollar gold piece on my watch chain  mettete venti dollari in pezzi d’oro nella catena del mio    orologio
             So the boys’ll all know that I died standing pat      così che i ragazzi penseranno “anche da morto sa il fatto suo


Questo è il testo del brano St.James  Infirmary. Un pezzo dalle  origini  incerte,  pare venisse dall’Irlanda,  le cui note devono aver risuonato  per diverso  tempo, agli inizi del ‘900, lungo le venti miglia del porto di New Orleans , nei locali di Storyville. Un blues che Louis Armstrong rese famoso avendolo  inciso a Chicago nel 1928 e che in seguito entrò nel repertorio di mille altri musicisti non solo di jazz.  

Parla di un povero cristo, alcuni alludono ad un giocatore d’azzardo fallito, comunque un poveraccio, che mestamente si reca a vedere la sua donna  morta all’ospedale di St.James (che non si trova  a New Orleans ma probabilmente ci   si riferisce a un    ospedale aperto  a Londra prima dell’invasione normanna per ricoverare “quattordici sorelle lebbrose nubili”).  Qui di fronte alla sua “piccola” così dolce e così bella distesa su un lungo tavolo bianco, il povero ma orgoglioso, e un po’ guascone , ragazzo immagina come dovrà essere il suo di funerale. 

Lui abituato a girare scalzo come i vagabondi di New Orleans  pretende di essere seppellito calzando delle scarpe lucide, indossando un’elegante giacca coi risvolti e un cappello Stetson, e prega qualcuno affinchè gli metta venti dollari in pezzi d’oro nella catena del suo orologio, in maniera che quella eleganza sfoggiata nella bara, possa testimoniare una vita diversa da quella vissuta. 

Probabilmente St.Jame Infirmary  sarà risuonata spesso nei funerali di New Orleans eseguita delle bands che suonavano per dar lustro al defunto anche se poverissimo.  Il  funerale a New Orleans era una cerimonia in cui, così come nelle occasioni festose,  le varie bands tendevano a mettere in mostra le abilità dei solisti, in particolare i cornettisti, che davano fondo ai polmoni nel soffiare dentro i propri strumenti blues a profusione. La cerimonia funebre non era propriamente triste ma era   la semplificazione  del come la vita era considerata dai neri  rispettosi del principio racchiuso nelle parole “piangere alla nascita ed esultare alla morte”.  

Guardando la  fila di camion militari, con dentro le bare delle vittime di Bergamo decedute per il Covid-19, diretti al tempio crematorio di Serravalle Scrivia, ho provato desolazione e tristezza.  La manifestazione della morte sottratta   all’emotività di chi rimane in  vita. Non un figlio, non un genitore, non una sorella o fratello che potesse piangere e rinnovare la vita del proprio caro ricordando momenti del vissuto insieme, ma solo un mesto saluto da lontano imposto dalle ferree regole della distanza sociale. Neanche la possibilità,  di esultare alla maniera dei neri di New Orleans, di confessare al proprio caro  quei  sentimenti  rimasti segreti, di ipotizzare  il riscatto nella morte di ciò che non si è potuto essere  in vita. 

E allora ho immaginato , d’appresso a quei lugubri camion, la presenza di un carretto con sopra una band, magari capitanata da King Oliver e   Luis Amstrong insieme, suonare le note di St. James Infirmary per dar lustro a qui defunti.  Un modo per lenire  il  mondo di tristezza che mi ha colto nel vedere quei feretri.  Una tristezza infinita che deve per forza spingerci a concepire un sistema di vita completamente diverso da quello che abbiamo vissuto finora. Lo dobbiamo a loro, a chi ahimè sarà destinato a lasciarci nelle prossime ore e a tutti noi.


  

Nessun commento:

Posta un commento