Fidel Castro è morto nell'alba italiana . Aveva 90 anni. Media e
web si stanno scatenando nel celebrare o
denigrare la figura del grande rivoluzionario. Come al solito a farmi venire l’orticaria sono i commenti delle
sirene riformiste. “Con la scomparsa Fidel
cade l’ultimo retaggio rivoluzionario del ‘900” dicono autorevoli commentatori del
quotidiano di casa Renzi , della serie: ormai le rivoluzioni socialiste sono
roba vecchia da svendere come cimeli nel magazzino di un rigattiere . Non sono uno storico, forse potrà essere anche vero, ma una cosa è
certa al riformismo liberale occidentale non pareva vero di proclamare il de
profundis della rivoluzione.
Resta l’utopia. Un’utopia la cui concretezza rimane nel discorso dello stesso Castro , quando, nel 1989 stroncò le parole di Gorbaciov in visita a Cuba. L’allora segretario
del Pcus sosteneva che le riforme in senso capitalista
erano imprescindibili così come la
perestroika sovietica stava dimostrando.
Il Lider Maximo rispose che Cuba a differenza dell’Unione Sovietica non doveva
fare i conti con lo stalinismo dunque non erano
necessarie contrizioni e
stravolgimenti particolari.
Ugualmente
stucchevole è la narrazione sulla dittatura
del proletariato Castrista , ammorbidita e addomesticata dalle azioni
pastorali dei Papi e dalla illuminata
azione pacifista di Barak Obama. Manca solo l’affermazione per cui grazie all’azione
del vaticano e del presidente americano uscente , Fidel Castro, se fosse arrivato vivo
al 4 dicembre, avrebbe fatto l'endorsment per il si alla riforma costituzionale.
La verità è che la
grandezza di Castro è proprio quella di aver alitato sul collo del capitale la pressione
comunista e antimperialista. Una storia quella dell’imperialismo americano che
comincia ben prima di Castro. Alla fine
dell’ 800 per mitigare le rivolte e le
sommosse che proliferavano negli Stati
Uniti, a causa delle devastazioni che già allora le corporations capitalistiche
stavano arrecando al corpo sociale, fu necessario predisporre un piano di
espansione territoriale, per dimostrare la grandezza imperialista della nuova
grande Nazione e quindi distogliere
operai, neri e classi subalterne dal conflitto sociale .
Cuba in particolare fu
oggetto di queste attenzioni anche perché
nell’ìsola caraibica, molto vicina alla Florida, le grandi multinazionali
avrebbero potuto implementare il loro profitto . Dopo poco più di trent’anni
dal disastro della guerra civile, gli Stati Uniti. nel 1898 s’impegnarono in un
conflitto con la Spagna per il dominio di Cuba. Una nave
americana, la Maine, che era alla fonda presso l’Avana, saltò in aria. Gli americani accusarono le autorità
spagnole di aver provocato lo scoppio. Gli spagnoli negarono ogni addebito, ma
per fare chiarezza proposero di affidare la soluzione del caso al giudizio di
una commissione dì inchiesta internazionale. La proposta fu rifiutata dagli
Stati Uniti senza neppure discuterla. Così il presidente McKinley chiese al
Congresso di autorizzarlo ad estromettere gli spagnoli dall’isola con
l’utilizzo dell’esercito qualora fosse stato necessario. Il 19 aprile il
Congresso approvò, e dopo quattro mesi
di guerra Cuba fu liberata dagli spagnoli. Oltre all’isola caraibica gli americani si impossessarono di altre
colonie spagnole come Portorico e le Filippine. Già le Hawai erano possedimento statunitense ricco di
redditizie attività.
Evidentemente la prorompente azione imperialista fu utile
per distogliere i pensieri del popolo dal malcontento interno. Ma fu proprio l’avvento di Castro, più di
sessant’anni dopo, che spaventò gli americani. In quella tranquilla colonia,
conquistata alla fine del ‘900, dove
imperava il malaffare gestito in tutta tranquillità dal fantoccio dittatore Fulgencio Batista, grazie alla rivoluzione castrista, il comunismo non fu mai così vicino
alla corazzata imperialista. Il Comunist Control Act del 1954 aveva messo fuori
legge il partito comunista americano . Era in realtà un documento che garantiva
al cittadino americano medio la protezione contro quel non meglio definito
“pericolo rosso” il quale era molto lontano, fino ad allora, dal territorio statunitense. Aveva dimora in
Europa, in Asia. Ma dopo la rivoluzione
cubana, il “pericolo rosso” era a li a due passi da Maiami, dalla Florida.
Al
di là dell’aspetto ideologico la fine della dittatura di Batista costituì un grave
danno per gli interessi degli imprenditori e del crimine organizzato americano.
Non era più possibile per i miliardari
annoiati effettuare la solita scappatina all’Avana per acquistare i sigari ,
frequentare le bische gestite dal racket del gioco d’azzardo. I gangsters
statunitensi, prima della destituzione di Batista, si arricchivano controllando
i loschi affari della prostituzione,
della droga. Fidel Castro aveva
cacciato dall’isola, oltre che i malavitosi, le multinazionali americane che a
Cuba erano padroni di tutto. Insomma una piccolo Paese antimperialista stava li a sfidare il colosso americano costituendo
anche una non trascurabile minaccia militare.
E’ questo affronto che gli
americani e le società occidentali imperialiste non potranno mai perdonare a Castro e alla rivoluzione. E anche l’affannarsi della vulgata riformista,
ad affermare che dopo la morte di Castro
quelle dinamiche ormai non sono altro che vecchi arnesi del ‘900 testimoniano
come la storia di quella rivoluzione fa ancora paura. Su questa paura , che mostra di non essersi mai
sopita, bisogna costruire una nuova prospettiva rivoluzionaria anticapitalista.
E’ difficile in un periodo in cui è stata distrutto ogni tipo di condivisione
sociale, ma basta cominciare da piccole (o grandi) cose. Gli eredi di quelle corporations che Castro caccio da Cuba, oggi s’impegnano, mettendo bocca su materie che non gli competono,
a promuovere la riforma Renzi.Boschi. Votare No a quella riforma è un primo
piccolo passo per ripartire dalla lezione castrista. Adelante Companeros , hasta la victoria siempre sin
dal 4 dicembre.
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