Maria Paola Patuelli
Lutti in Europa
Jan Palach, Praga, gennaio 1969
Pawel Adamowicz, Danzica, gennaio 2019
Senza dimenticare
Rosa Luxemburg, Berlino, gennaio 1919
In questi giorni si oscilla - oscillo - fra dolore, sconcerto e vergogna.
Guido Crainz, la settimana scorsa, ha dato voce al dolore di chi – non saremo una moltitudine, ma ci siamo – nel cinquantesimo anniversario del sacrifico di Jan Palach - 16 gennaio 1969 - trova insopportabile che sia la destra europea, la peggiore, quella che disprezza i diritti, tutti, senza distinzione alcuna, che siano civili o sociali - Orban docet – a proporsi come erede di Palach. Questa destra! Qualcuno di loro vede nell’esempio di Jan qualcosa che li riguarda? Morire invocando libertà e giustizia? Potrebbe farlo solo chi, come l’opposizione sociale e civile in queste settimane a Budapest, o come le donne in sommossa per difendere la loro dignità, a Varsavia, si oppone a quei governi, sempre più neri. Non possono sentirsi eredi di Jan i neri amici di Orban, di Salvini e i nemici della vittima di ieri, Pawel Adamowicz, lui sì erede di Jan. Danzica, città simbolo di guerra - i primi colpi della seconda guerra mondiale sparati a pochi chilometri dalla città - e di rinascita, con l’epopea di Solidarność. Danzica, città meravigliosa, aveva un grande sindaco, da venti anni in difesa dei diritti civili e sociali, città divenuta, dopo tanti orrori della storia, luogo di solidarietà e di accoglienza, in una Polonia governata invece dal partito di Kaczynsky, capofila del gruppo “sovranista” detto di Visegrad. Pawel andava in tutt’altra direzione e la sua città era con lui. Forte, coraggioso, aggredito e ucciso mentre pronunciava parole di solidarietà. Si sta costituendo una internazionale nera? Sembra che sia così. Bisognerà al più presto connettere le forze, che ci sono, e dare gambe a una internazionale della giustizia, dell’uguaglianza, della solidarietà. Ogni impresa necessita di simboli. Li abbiamo. Jan Palach, ieri, Pawel Adamowicz, oggi. In Italia, il piccolo sindaco combattente di Riace, Mimmo Lucano, i genitori di Lodi che sostengono la mensa per tutt* i bambini. E mille altre storie.
Noi giovani comunisti italiani, allora, il 16 gennaio del 1969, ci sentimmo sorelle e fratelli di Jan Palach. Soffrimmo per il suo sacrificio, ma non abbiamo avuto dubbi. Lui, e noi, con quei carri armati dell’URSS non avevamo nulla a che spartire. E due mesi dopo la sua morte andammo a Praga, a rendergli omaggio. Una mano anonima aveva posto un cartello che copriva il toponimo antico, rinominando la piazza con il nome di Jan. Ora, dal 1989, la piazza si chiama Jan Palach. Un ritardo di venti anni, venti anni perduti nella storia d’Europa. Perdita che continua a pesare. Ma che non può stravolgere l’oggi e i suoi simboli. E non può trasformare il bianco in nero. I “sovranisti” si tengano lontano da Palach, e dalla sua storia. Vi immaginate una Europa che indietreggia verso un caos di piccole egoiste nazioni? C’è da tremare.
E, in questi giorni tristi, per noi, in Italia, si aggiunge la vergogna. Il “sovranista” ministro degli Interni va ad accogliere vestito da militare un delinquente sedicente rivoluzionario. Mancava solo il mitra. E aggiunge che il delinquente deve “marcire in galera”. Ignoranza totale della nostra Costituzione. Si rilegga, Salvini, il compito che la nostra Costituzione affida al carcere. Siamo di fronte a una vergogna nazionale. La vergogna è la sua, non la nostra. Rivoluzionario chi? Il delinquente fuggitivo? Il ministro? In realtà, è il ministro di un governo che alcuni suoi componenti hanno recentemente definito “rivoluzionario”. Stanno stracciando in molti punti quei diritti civili e umani che Palach chiedeva e che la nostra Costituzione impone. In effetti potrebbe essere una rivoluzione, ma all’incontrario.
Un altro lutto antico i presenti giorni ci ricordano. Gennaio 1919. Berlino. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, trucidati. Loro sicuramente rivoluzionari. Con eccessi di speranze. Non di delitti. Fiduciosi, fino alla fine, che socialismo, libertà e giustizia fossero facce della stessa medaglia.
A proposito di Europa. Juncker dice che con la Grecia l’Europa ha sbagliato. Gli chiedo, da europeista convinta, come sono. Adesso lo dici?
Maria Paola Patuelli
16 gennaio 2019
Sono date che si rincorrono …
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